Subsonica_Phcredits Chiara Mirelli 2
«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi», si legge nelle pagine de Il Gattopardo, intramontato capolavoro di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Lì si parlava di Sicilia, di Risorgimento, di ‘800. In questo caso prendo a prestito il riferimento letterario per parlare di Torino, di musica, di 2018.

Tutto cambi, perché tutto resti immutato. Tutto passa, e quindi tutto resta. Corsi e ricorsi della storia. La teoria dell’eterno ritorno.
Mettetela come volete, il concetto è il medesimo ed è chiaro: quel che era potrebbe tornare. Anzi, sicuramente tornerà. Lo sanno bene i Subsonica, che hanno applicato questo principio al loro nuovo album, l’ottavo in carriera, 8.
Da buoni torinesi, hanno portato avanti la tradizione esoterica su cui si fonda la loro città, ed ecco che il titolo del disco acquista anche un significato filosofico: 8 come il simbolo dell’infinito, di ciò che non passa mai davvero.
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Dopo un lungo periodo passato ognuno in progetti paralleli o solisti, avrebbero potuto cavarsela con un Greatest Hits di pezzi riarrangiati, per poi raccontare con un’aria annoiata e compiaciuta che per loro erano come dei veri inediti, una pratica molto in voga tra i loro colleghi. Invece, hanno fatto un album di 11 veri pezzi nuovi, in cui è però possibile ripassare sui sentieri sonori battuti in questi vent’anni e più di attività. Da quando, cioè, nel 1997 si sono affacciati sul panorama musicale italiano, per poi affermarsi come una delle grandi realtà del rock elettronico. 
Ma ai retaggi del passato, Samuel, Boosta, Max, Vicio e Ninja hanno aggiunto anche una spinta che dal presente li proietta verso il futuro, il moderno, verso soluzioni non ancora esplorate fino a oggi.
Ecco allora che in 8 si ritrova il fermento degli anni ’90 in episodi come Punto critico o La Fenice, ci sono baldanzosi inserti di groove elettrico, già proposto per esempio nel singolo Bottiglie rotte, e ci sono le sperimentazioni eclettiche, come nei beat afro e nei bassi ossessivi di Nuove radici, dedicata a quei giovani che scelgono di tornare alla terra.  
E poi c’è la poesia, quel lirismo delle parola e dei suoni che i Subsonica non hanno mai davvero abbandonato, ma che hanno manifestato con particolare evidenza solo in certe situazioni: qui lo fanno con le punteggiature sintetiche di L’incredibile performance di un uomo morto e soprattutto con Le onde, il delicato e ispirato omaggio al produttore Carlo Ubaldo Rossi, scomparso in un incidente nel 2015.

Seppur forse lontani dal riproporre pezzi destinati alla memoria come Tutti i miei sbagli o Nuvole rapide, i Subsonica dimostrano che la loro formula alchemica funziona ancora: il tempo l’ha cambiata, ma il suo DNA non si è troppo alterato.
E’ cambiato tutto, ma i Subsonica sono ancora qua. 

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