Vogue Italia rende omaggio allo stile di Mina

Karen Elson, Photographer Luigi and Iango

Mina come icona della musica italiana la conosciamo molto bene tutti, e tutti l’abbiamo celebrata, osannata, idolatrata.
Quello che però non è mai stato forse sottolineato e ricordato nel modo giusto è il ruolo di Mina come icona di uno stile personale, irriverente, giocoso e disubbidiente. Uno stile sfuggente dalle definizioni, talvolta (volutamente) esagerato, allergico alle banalità, anticonformista e sicuramente personalissimo.
A celebrare il talento visionario di Mina ci pensa ora Vogue Italia, che dedicherà il numero di ottobre proprio ai 60 anni di attività di una delle più innovative artiste del panorama italiano.
COVER VINTAGE MINA, Photographer and painter Mauro Balletti
«Mina ha influenzato il costume», scrive Massimiliano Pani nel numero di ottobre di Vogue Italia, dedicato proprio a sua madre. «Già dagli inizi, le ragazze la presero a modello pettinandosi, truccandosi e vestendosi come lei, cercando di assomigliarle. Poi, dopo il ’78, la sua immagine è passata solamente attraverso le copertine dei suoi progetti musicali. Con Mauro Balletti ha costruito per eccesso e per sottrazione un infinito “photo book” di Mine-nonMine. Proprio con Mauro siamo andati, mesi fa, da Vogue Italia per proporre una collaborazione che vertesse sul lavoro di “Mina e l’immagine”».

Il risultato è una carrellata senza precedenti di immagini in cui top model di fama mondiale e icone della femminilità italiana posano per fotografi e artisti internazionali interpretando a loro modo lo stile unico di questa inconfondibile artista, a 60 anni dal suo debutto alla Bussola e a 40 da quell’addio alle scene che ne ha ulteriormente alimentato il mito. Su una delle copertine del numero, scattata da Luigi & Iango, impressionante la somiglianza di Gisele Bündchen, che per ricrearne la sensualità e le espressioni si è preparata guardando i video dell’artista. E poi molte altre “nonMine” che verranno mostrate in anteprima venerdì 21 settembre a Milano al cinema Manzoni durante Making Love, il party di Vogue Italia che ogni anno rappresenta il clou della fashion week, e che per questa edizione è appunto “A Vogue Tribute To Mina”. Dove famosi performer italiani e internazionali si metteranno alla prova con i grandi successi di Mina, accompagnati dal pubblico che sarà chiamato a prendere anch’esso parte all’evento.

Nel numero in edicola dal 2 ottobre la più famosa top italiana di sempre, l’ex first lady di Francia e oggi cantautrice Carla Bruni, interpreta Mina per l’obiettivo di Giampaolo Sgura, che ha fotografato altre nove italiane (i cui nomi verranno rivelati durante il party). Ancora una super model di casa nostra, Mariacarla Boscono, viene inseguita da Dario Catellani per le strade di Cremona, la città della “Tigre”. Oltre a Gisele, il duo composto da Luigi Murenu e Iango Henzi ha fatto rivisitare storiche immagini della cantante alle top model internazionali Guinevere Van Seenus (nella famosa versione barbuta dell’album Salomè), Karen Elson e Remington Williams.
Gisele Bündchen, Photographer Luigi and Iango
Dopo Gisele, verranno svelate nei prossimi giorni sul profilo Instagram di Vogue Italia una seconda e una terza copertina. La quarta è un’immagine inedita di Mina opera di Mauro Balletti – dal 1972 suo ritrattista e firma di tutte le copertine (un centinaio) che dal ritiro dalle scene sono il suo unico palcoscenico – e ispirata alla rivoluzionaria cover realizzata nel 1950 per Vogue America dal maestro Erwin Blumenfeld.

«Partendo da una mia immagine inedita di Mina», spiega Balletti, «ho voluto rendere omaggio alla splendida fotografia della modella con rossetto, neo e eyeliner di Blumenfeld: un ritratto sorprendente, che richiama la cartellonistica della Belle Époque. Ho quindi realizzato un “Frankenstein”, una delle mie operazioni estetiche che nascono quando mi accorgo, per esempio, che la bocca migliore per un’immagine è presente in un’altra foto. Qui ho tolto il naso, con l’aiuto di Stefano Anselmo, il make up artist che collabora con me da sempre. Anche questa immagine è stata concordata con Mina».

«Abbiamo iniziato a lavorare a questo progetto oltre un anno fa, quando la famiglia di Mina ci ha proposto di collaborare in occasione dei suoi 60 anni di carriera», dice Emanuele Farneti, direttore di Vogue Italia. «Abbiamo pensato che sarebbe stato bello celebrare non la Mina cantante, ma la Mina straordinaria creatrice di immagine, e l’impatto che ha avuto sul mondo della moda, del beauty, della cultura pop in generale. Abbiamo così chiesto a una serie di fotografi e stylist, italiani e non, di lavorare sulle sue referenze: ne è uscito un numero monografico di incredibile varietà, a conferma di quanto fertile sia il suo immaginario. La cosa che mi è piaciuta di più? Che l’operazione non ha nulla di vintage, ma è anzi totalmente contemporanea».
GUINEVERE VAN SEENUS, Photographer Luigi and Iango
Michael Bailey Gates per esempio ha voluto come modella la drag queen Aquaria, vincitrice dell’ultima edizione del talent RuPaul’s Drag Race. Altri servizi ispirati a Mina sono stati scattati da Andrea Artemisio, Annemarieke Van Drimmelen, Paul Kookier, Raymond Meier e Sarah Moon.

Completano lo speciale di quasi 100 pagine testi in cui lo stile rivoluzionario di Mina e la sua influenza sull’immagine di moda in tutto il mondo sono commentati, tra gli altri, dall’editor in chief di W Stefano Tonchi, dal direttore creativo Giovanna Battaglia, dal fashion editor George Cortina, dall’artista islandese Ragnar Kjartansson, dal casting director Piergiorgio Del Moro, dalla make up artist Fulvia Farolfi e dal giornalista Angelo Flaccavento.

Vogue Italia celebra i 60 anni di Madonna: i primi estratti dell’intervista

COVER VOGUE ITALIA AGOSTO
“Mio figlio David, che il 24 settembre compirà 13 anni, vuole giocare a livello professionistico. Ho fatto di tutto per trovargli le migliori scuole di calcio con i migliori allenatori, ma l’America in questo campo è piuttosto arretrata rispetto al resto del mondo. Vedevo la sua frustrazione, e poi mi sembrava anche il momento giusto. Sentivo che avevamo bisogno di un cambiamento e volevo andare via per un po’ – come sa, questo non è il momento migliore per l’America –.”

Madonna, che compirà 60 anni il prossimo 16 agosto, vive da un anno a Lisbona con quattro dei suoi sei figli: David Banda e Mercy James, di 12 anni, e le gemelle Stella e Esther, 5 anni. La popstar, in esclusiva mondiale sul numero di agosto di Vogue Italia, rivela i motivi del trasferimento e racconta la sua vita di tutti i giorni nella capitale portoghese.

Madonna è infatti protagonista della storia di copertina del magazine con un eccezionale servizio fotografico realizzato da Mert&Marcus, che hanno potuto seguire la popstar a Lisbona nei suoi luoghi quotidiani, e ritrarla in compagnia dei suoi quattro figli.

“Mi sono detta: vediamo un po’ se per un anno riesco a vivere da un’altra parte e a portare i miei quattro figli in un ambiente diverso, perché penso sia importante farli crescere a contatto con culture differenti. La scelta era fra la Juventus Academy a Torino, il Barcellona e il Benfica o lo Sporting a Lisbona. Ci sono andata e ho cercato di immaginarmi come fosse abitare in queste città. Certo, Barcellona è una città fantastica, e anche Torino mi piace, ma non mi sembra adatta ai bambini. Va bene per gli intellettuali, con tutti quei bellissimi musei e quei palazzi imponenti, ma non credo che i ragazzi si sarebbero divertiti. Devo pensare a tutti, non posso tenere conto soltanto di David. Così sono andata a Lisbona e nel complesso mi è sembrata la scelta migliore. (…) Il Portogallo è imbevuto di storia: il suo impero ha lasciato un segno nel mondo, l’architettura è straordinaria. Ed essendo anche il luogo dove ha avuto origine lo schiavismo, risente delle influenze musicali di paesi come l’Angola e Capo Verde, oltre che della Spagna. E se questo non bastasse, una delle mie attività preferite in assoluto è andare a cavallo. (…) Per cavalcare vado a Comporta, o a casa di amici, o ad Alcácer. Sono molte le zone circostanti dove poter andare a cavallo, e ogni volta che mio figlio la domenica non ha la partita, la giornata diventa un’avventura in cui scegliamo un posto dove cavalcare.”

 


Nell’intervista a Vogue Italia, Madonna spiega come l’esperienza di Lisbona sia stata fonte d’ispirazione anche per il suo prossimo disco, in uscita entro la fine dell’anno.

“Dico sempre che il Portogallo è governato da tre f: fado, football e Fátima. È anche un paese molto cattolico, cosa che a me sta benissimo. Mi ricorda Cuba, perché le persone non hanno molto ma apri la porta di qualsiasi casa, vai in qualsiasi vicolo e sentirai sempre della musica. (…) Si ascolta sempre tanto fado e il kuduro, un genere musicale angolano. Anche molto jazz, e della vecchia scuola: una cosa bellissima. Ho incontrato tanti musicisti meravigliosi e molti di loro hanno finito per collaborare al mio nuovo disco, perciò Lisbona ha influenzato la mia musica e il mio lavoro. Come avrebbe potuto essere il contrario? Impossibile passarvi un anno senza essere condizionata da tutta la cultura che mi circondava.”

Ma la vita della mamma del calciatore, ha rivelato Madonna a Vogue Italia, non è tutta rose e fiori.

“Qualsiasi donna che si dedichi a tempo pieno ai figli, che vada e venga dai campi di calcio, le risponderebbe che intanto una vita non ce l’ha perché le cose cambiano di settimana in settimana e le partite di fine settimana in fine settimana: a volte sono in città, a volte no, e fino al giovedì sera non si sa se saranno di sabato o domenica, se a mezzogiorno o magari più tardi. È impossibile organizzarsi e poi hai come la sensazione di essere ingiusta nei confronti degli altri figli, per non dire di te stessa!”

Ma la popstar afferma che tutti i suoi figli si sono adattati al cambiamento.

“La cosa più sorprendente è la loro capacità di superare ogni ostacolo, immergersi in qualsiasi cosa, nella musica, nel ballo, nel pallone e negli sport in generale, attività che li portano a stretto contatto con gli altri e rendono l’adattamento più facile. (…) I ragazzi hanno imparato a parlare portoghese stando in mezzo agli altri, non sedendosi in un banco di scuola con una lavagna davanti, per capirci. In questo modo imparare è divertente, è interattivo. Soprattutto per Stella ed Esther, che hanno passato quattro anni in orfanotrofio; sono così felici di stare con gli altri, di rendersi utili, di fare parte di un gruppo, piccolo o grande che sia, di essere delle leader. Sono estremamente forti e piene di vita e di gioia. (…) Sono due bambine molto aperte e a causa del mio lavoro e dei continui viaggi per il mondo, delle cose che faccio e dei posti in cui mi ritrovo. Tutti i miei figli hanno la mente molto aperta e io ne sono molto orgogliosa. C’è gente che mi dice: di certo vuoi che tuo figlio diventi un calciatore di successo, la maggiore (Lourdes, nda) una ballerina, Rocco un pittore. E io rispondo sempre di no, quello che voglio per i miei figli è che diventino esseri umani responsabili, capaci di amare e di provare compassione. Nient’altro. Non mi importa quale via seguano, voglio solo che siano dei bravi esseri umani che trattano tutti gli altri con dignità e rispetto a prescindere dal colore della pelle, dalla religione e dal genere sessuale. Questa è la cosa più importante, mi spiego? Se poi dovessero diventare il prossimo Picasso o Cristiano Ronaldo, benissimo, sarebbe solo la ciliegina sulla torta.”

Madonna ha anche parlato con Vogue Italia del Malawi, dove nel 2006 ha fondato l’organizzazione a scopo di beneficenza Raising Malawi, creata per assistere i bambini del luogo resi orfani dall’AIDS, e dove ha incontrato e adottato i figli David e Mercy James. Lo scorso anno ha aperto il primo ospedale pediatrico del Paese, che porta il nome della figlia Mercy James e che la popstar visiterà a breve per il primo anniversario dall’inaugurazione.

“L’idea non è di portare personale da fuori, bensì di istruire e preparare i malawiani che vogliono fare i dottori, i chirurghi, gli infermieri: è questo il modo in cui un Paese può diventare autosufficiente e orgoglioso di se stesso. (…) Nell’ospedale vengono realizzati interventi chirurgici che in altre parti del mondo non esegue nessuno. La settimana scorsa, in terapia intensiva, è stato eseguito un intervento su due gemelli siamesi nati con il fegato in comune. Le probabilità che sopravvivessero all’operazione – che vivessero – erano molto scarse. Alla fine, non soltanto l’intervento è riuscito bene, ma i bambini sono sopravvissuti e stanno recuperando. Non ha idea di quanto ciò possa rendere orgogliosi, di cosa significhi per la gente del luogo, per la comunità, poter dire: «Abbiamo fatto una cosa che non sa fare nessuno. Abbiamo salvato delle vite e le abbiamo cambiate». È questo a dare speranza alla gente.”

Foto di Mert Alas and Marcus Piggott, courtesy Vogue Italia.
VOGUE ITALIA AGOSTO

50 Shade Of Gay: l’inno anti-omofobia dei Junksista

a4105343648_10
I Junksista sono un duo tedesco di musica elettronica formato da Boog e Diana. Pur non essendo molto conosciuti qui in Italia, sono attivi sulle scene già da tempo: i loro suoni spaziano dalle influenze degli anni ’70 alle memorie dei sintetizzatori degli anni ’80, mentre i loro testi abbondano spesso e volentieri di ironia.

In occasione della giornata contro l’omofobia e la transfobia, il 17 maggio, i Junksista rilasciano 50 Shade Of Gay, un brano che, come già il titolo suggerisce, vuole celebrare l’omosessualità e la diversità in ogni “sfumatura” e in chiave assolutamente ironica, e con un groove perfetto per il dancefloor.
Il singolo, insieme ad alcune versioni remix, è scaricabile gratuitamente (o con un’offerta libera) e disponibile in streaming sulla pagina di bandcamp dell’etichetta della band, Alfa Matrix.

Un vero e proprio inno arcobaleno, con un testo che gronda di citazioni a dir poco iconiche….. Strike A Pose!

Muff diver . Bone smuggler . Bean flicker . Clit licker
butch, femme, a hasbian
Short hair – must be a lesbian

Dancing on the rainbow bridge
Dudes that look like skinny chicks
Chicks that look like beardless boys
Kiss me under the mirror ball
The moves of “Vogue”, we know them all
Wear the purple suit today
50 Shades Of Gay
Strike a pose – Yeah!
Donut puncher . Rug muncher . Pillow biter .Like it tighter?
Dykes on bikes and nancy boys
Show some pride and some noise!

Dancing on the rainbow bridge
Dudes that look like skinny chicks
Chicks that look like beardless boys
Kiss me under the mirror ball
The moves of “Vogue”, we know them all
Wear the purple suit today
50 Shades Of Gay
Strike a pose – Yeah!

Strike A Pose: tra Madonna e la vita

strikeapose_poster_100x140
“Give Me More Of You”, “Dammi più di te stesso”.

Pare che Madonna lo dicesse spesso ai suoi ballerini durante il tour. Voleva che da loro emergesse qualcosa che andasse al di là dell’aspetto tecnico e della bravura, voleva il lato umano, o meglio, l’espressione della personalità. “Express Yourself”, “Esprimi te stesso”, come recita un altro celeberrimo mantra che gira attorno all’universo della Ciccone. Un comandamento che pronunciato oggi, nell’anno del Signore 2016, ha un forte significato, ma che nel 1990 era ben più difficile da mettere in pratica, soprattutto se eri gay. Già, perché Madonna i suoi ballerini li sceglieva volontariamente gay, pescandoli tra i migliori in circolazione, certo, ma dovevano essere omosessuali. Tutti, tranne uno.
Proprio attorno alle storie dei sette ballerini si muove Strike A Pose, il documentario di Ester Gould e Reijer Zwaan che racconta con gli occhi di questi ragazzi il tour e i suoi retroscena, e soprattutto quello che è successo negli anni successivi.
Un tour che non era semplicemente una qualsiasi serie di concerti, bensì il Blond Ambition Tour di Madonna, vale a dire la tournée che più di tutte ha imposto un modo diverso di fare concerti alle star del pop, e quei sette ragazzi sono stati forse i ballerini più famosi al seguito di una popstar.
Il titolo, Strike A Pose, anche questo entrato nell’enciclopedia delle epigrafi “cicconiche”, è ripreso da Vogue, il singolo del 1990 accompagnato dal video forse più iconico di Madonna, ricco di citazioni cinematografiche e soprattutto zeppo di voguing, il particolare ballo di moda nell’underground omosessuale di New York in quel periodo, che tanto piacque alla cantante al punto che due dei ballerini furono assoldati proprio per la loro abilità nell’eseguirne le mosse.


Programmato dopo pochi mesi dall’uscita di Vogue, il tour fece molto discutere per i toni accesi, tra molteplici riferimenti al sesso e alla religione (tanto per dire, a Toronto Madonna rischiò addirittura l’arresto per la performance di Like A Virgin in cui simulava una scena di masturbazione). Ma il Blond Ambition non fu solo il tour più rivoluzionario di Madonna, ma anche l’occasione per schiaffare sulla faccia dell’America puritana (e del resto del globo) tematiche all’epoca off limits come l’omosessualità, l’HIV e l’uso del preservativo.
Legato al tour fu poi Truth Or Dare, arrivato in Italia con il titolo di A letto con Madonna, il documentario che raccontava i retroscena dei mesi vissuti in lungo e in largo per i concerti: protagonisti, Madonna e loro, i suoi sette ballerini, i suoi “figli”, come la Ciccone li chiamava. Con loro parlava, con loro mangiava, con loro passava del tempo tra giochi e frivolezze (la scena del bacio gay è forse la più nota e chiacchierata), raccontava se stessa e faceva raccontare a loro la favola di chi era arrivato sulla vetta del mondo pur essendo gay, in un mondo che in quegli anni non era ancora tanto disposto ad ascoltare. Ha fatto scuola quel documentario, uno dei più visti di sempre, e proprio da qui Gould e Zwaan sono partiti per narrare un’altra storia, molto meno frivola e patinata.
Perché va bene la musica, vanno bene le provocazioni, ma poi la vita “si mette in mezzo”, anche quando non è invitata e ci si devono fare i conti assieme.


Sia chiaro però: in Strike A Pose non c’è – se non in minima parte – quello scontato senso di nostalgia del passato che ci si potrebbe attendere. 26 anni dopo l’esperienza unica del Blond Ambition, i ballerini di Madonna sono diventati uomini e hanno messo in fila anni e consapevolezze. Sono cresciuti e sono andati oltre, sono sopravvissuti, tutti tranne uno, Gabriel Sue, portato via dall’HIV nel 1995 a 26 anni.
Già, l’AIDS, la grande bestia nera di chi era giovane tra gli anni ’80 e ’90 e che in questo documentario diventa uno dei grandi protagonisti. “I miei amici cadevano come mosche”, dice uno dei ballerini.
E mentre nelle strade la comunità gay iniziava a scendere in piazza a far sentire la propria voce, Madonna dal palco invitava il suo pubblico al sesso sicuro e a non nascondere nulla, HIV compreso. Ma poi, si diceva, la vita si è voluta mettere in mezzo, a volte a caro prezzo.
sap_11_group2014

Oggi i leggendari ballerini del Blond Ambition sono uomini che si sono costruiti la propria vita, chi continuando con la danza, chi facendo serenamente tutt’altro, ma tutti hanno di quel periodo un ricordo sereno. Nel film entriamo nelle case e nelle vite di Luis, Oliver, Salim, Jose, Kevin e Carlton, conosciamo la madre di Gabriel, e ascoltiamo il racconto di sette vite lontane da ogni possibile immaginazione.
26 anni fa erano ballerini, oggi sono prima di tutto persone, che dopo l’incontro con Madonna hanno visto passarsi davanti molto altro. Nessun bisogno di rivalsa, pochissima nostalgia dei riflettori, ma tanta, tantissima vita da portarsi addosso.
Una vita che forse – o probabilmente – non sarebbe stata così, nelle sue gioie e tragedie, se un giorno di 26 anni fa Madonna non li avesse scelti tra le decine di aspiranti per dar vita a uno dei più grandi spettacoli che la storia del pop possa elencare.

Quello che ormai tutti hanno capito è che il Blond Ambition non sarebbe stato possibile senza l’anima di Madonna.
Quello che invece dovremmo provare a chiederci è come sarebbe stato il tour se sul palco con lei non ci fossero stati quei sette ragazzi.
Strike A Pose sarà al cinema solo per due giorni, il 5 e 6 dicembre (elenco delle sale  su www.nexodigital.it)