Fermi tutti: Missy Elliott è tornata


“Chi è Missy?” chiede all’inizio del video di Throw It Back una ragazzina a un’esterrefatta Teyana Taylor. La stessa domanda che probabilmente si farebbero oggi molti altri teenager sentendo parlare di Missy Elliott.
Per i più grandicelli la signora in questione non ha bisogno di alcuna presentazione, ma visto che il suo ultimo album, The Cookbook, risale al 2005 non c’è da stupirsi che le nuove generazioni non sappiano di chi si stia parlando e perché tanto clamore si è creato intorno all’uscita del suo nuovo EP Iconology.

Icona, autorità, maestra, qualsiasi definizione si voglia dare a Missy “Misdemeanor” Elliott non sarà mai esagerata: senza il suo contributo il panorama hip-hop sarebbe probabilmente molto diverso e a molte delle attuali reginette del rap sarebbe mancato un valido punto di riferimento.

L’uscita del nuovo EP è quindi un’ottima notizia, soprattutto perché i nuovi brani arrivano dopo un lunghissimo periodo di silenzio, durante il quale non sono mancati anche problemi di salute: le uniche eccezioni sono state la partecipazione all’Haltime Show del SuperBowl nel 2015 insieme a Katy Perry, la pubblicazione di un paio di singoli nel corso degli ultimi 4 anni e qualche collaborazione. Ma il nome di Missy Elliott mancava stabilmente sulle scene da troppo tempo.
Certo, Iconology non è esattamente quello che forse i fan si aspettavano, visto che si tratta di un minialbum di sole quattro tracce inedite e una versione acapella. Piuttosto improbabile che sia questo il tanto anticipato “ME7” di cui la stessa Elliott aveva in più occasioni parlato nei mesi scorsi, ma un nuovo EP è sempre meglio di un ennesimo singolo tra un periodo di silenzio e l’altro, anche perché il nuovo progetto ci mostra una Missy in gran forma anche grazie alla collaborazione di Timbaland, a cui è stata affidata la produzione.
Si passa dai bassi vibranti del groove di Throw It Back alle ritmiche serrate di Cool Off, mentre sulle sonorità urban votate all’r’n’b di DripDemeanor si inserisce il featuring di Sum1. A chiudere sono le influenze soul di Why I Still Love You, racconto agrodolce di un amore non esattamente corrisposto.

Per lanciare l’EP è stato scelto, non a caso, Throw It Back, una sorta di orgogliosa rivendicazione di meriti e un invito a fare “un salto indietro”, quando il nome di Missy Elliott non suonava sconosciuto a nessuno.

Il prossimo 26 agosto, durante la cerimonia dei VMA, Missy Elliott riceverà il prestigioso Michael Jackson Video Vanguard Award, il riconoscimento assegnato ogni anno per onorare la carriera di un artista che ha fornito un decisivo contributo alla musica.

Insomma, giù il cappello, “This Is A Missy Elliott Exclusive”.

Jennifer Lopez riceverà il Michael Jackson Video Vanguard Award ai prossimi VMA

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Il prossimo 20 agosto si svolgerà al Radio City Music Hall di New York l’annuale cerimonia dei VMA (Video Music Awards): per l’occasione MTV ha annunciato che il Michael Jackson Video Vanguard Award sarà conferito quest’anno a Jennifer Lopez.
Durante la serata la diva, che ha anche ricevuto due nomination per il video di Dinero (Best Collaboration e Best Latin), tornerà anche ad esibirsi sul palco dopo 17 anni: l’ultima sua esibizione ai VMA era infatti del 2001.

Cantante, attrice e produttrice, Jennifer Lopez ha una carriera che conta 80 milioni di dischi venduti e quasi 3 miliardi di dollari incassati al botteghino con i suoi film. Nel 2001 l’uscita in contemporanea del suo secondo album in studio, J.Lo, e della commedia romantica The Wedding Planner le ha permesso di diventare la prima donna ad avere un album e un film al numero uno nella stessa settimana. Inoltre, la Lopez si è dimostrata attenta anche alle cause umanitarie, in particolare organizzando eventi di beneficenza in soccorso alla popolazione di Puerto Rico dopo i danni causati dagli uragani Irma e Maria. Nell’aprile 2018, TIME l’ha infine inserita nella classifica delle “100 persone più influenti”.

Il suo nome va così ad aggiungersi alla lista di artisti che hanno ricevuto il riconoscimento del Vanguard Award, da Michael Jackson, a cui il premio è stato intitolato, a Madonna, Guns N’ Roses, Britney Spears, Justin Timberlake, Beyoncé, Kanye West, Rihanna e P!nk.

Le cerimonia dei VMA sarà trasmessa sui canali di MTV in oltre 180 paesi e territori, raggiungendo oltre mezzo miliardo di famiglie in tutto il mondo. In Italia lo show sarà trasmesso solo su MTV (in esclusiva su Sky canale 130) lunedì 20 agosto in diretta dalle 3.00 del mattino e martedì 21 agosto alle 21.00 nella versione sottotitolata.

Look What You Made Me Do: Taylor Swift, Katy Perry e la noia

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Fino a qualche anno fa Taylor Swift era solo una cantante biondina e col faccino pulito che vendeva vagonate di milioni di dischi (in America soprattutto) facendo country, senza per giunta eccellerne.

Andava tutto liscio, nessuno rompeva le scatole a nessuno, fino a quando Kanye West – eravamo ai VMA del 2009 – non ha fatto l’imperdonabile errore di salire sul palco per interrompere il discorso di ringraziamento di Taylor: lei si era appena aggiudicata il premio per il miglior video femminile con You Belong With Me battendo tra gli altri Beyoncé candidata con Single Lady, che secondo il rapper sarebbe stata la legittima vincitrice.
Ovviamente, la figura dell’imbecille in quell’occasione l’ha fatta West e la Swift è passata agli occhi di tutti come la poverina che si è vista violare la scena dal collega sbruffone. Il momento è rimasto naturalmente negli annali di MTV come uno dei più trash e iconici di sempre.

Non sono passati molti anni ed ecco che ha insediare il regno di marzapane di Taylor ci ha pensato un’altra collega, questa volta proveniente dalle schiere del pop: Katy Perry. Nessuno scontro diretto tra le due, ma tante allusioni lanciate e distanza su Twitter, infilate nelle interviste o messe di traverso in mezzo ai versi delle canzoni. Il tutto pare essere partito da un “prestito” di tre ballerini chiesto da Taylor a Katy in vista della tournée, salvo poi accusare la collega di voler sabotare i suoi concerti quando quest’ultima ha richiamato i collaboratori tra le sue schiere. Da lì si sarebbe generata una serie infinita di malignità, cattiverie e pettegolezzi reciproci.
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Ed è stato così che l’immagine fino a quel momento immacolata di Taylor (la “regina George”, come l’avrebbe apostrofata la Perry in un tweet, riprendendo il nome di un personaggio di Mean Girls) ha iniziato a macchiarsi di ombre e la cantante si è fatta la reputazione di una viperetta mordace. Per tutta risposta – ed eravamo nel 2014 -, nell’album 1989 lei si è difesa con Bad Blood, in cui prendeva di mira un misterioso avversario. Ad accompagnare il brano, un video corale per il quale Taylor ha chiamato a raccolta uno squadrone di celebri amiche, come a sottolineare che dalla parte della ragione c’era lei, con tutte le sue compagne pronte a difenderla.
Il tutto si è trascinato fino ad oggi, con l’uscita di Look What You Made Me Do, singolo anticipatore dell’album Reputation. Non solo il titolo del disco, il testo del brano e le ultime mosse promozionali, ma anche il nuovo video, tutto pare ruotare attorno agli attacchi degli avversari (mai apertamente nominati) e quindi al bisogno di Taylor di difendersi o almeno contraccambiare. E visto che passare da vittima rischia a volte di rivelarsi un boomerang, ecco che la Swift vira all’elettropop, si sfila la chitarra (già comunque appesa al chiodo da qualche anno), e nel video si mette addosso un po’ di latex, marca i colori del makeup e si circonda di serpenti. “Dite che sono una vipera? Sì, avete ragione, e mo so’ cazzi vostri”, sembra essere il sottotesto dell’operazione.
Una strategia che – lungi dal brillare per originalità – almeno per ora sembra pagare molto bene: lo dicono i 28 milioni di visualizzazioni del video nel primo giorno e i numeri di debutto in classifica del singolo, roba che non si vedeva da anni.
E non importa se dell’artista country degli esordi non resta niente (“La vecchia Taylor è morta”, lo dice lei) e quella di oggi preferisce fare il verso sexy a Madonna, Gaga, Christina e Miley: quello che conta è prendersi la scena e tenersela stretta con le unghie e con i denti, possibilmente buttando polvere addosso agli altri.

È il solito gioco del pop, dopotutto, con la differenza che mentre le altre lo fanno con le loro forze, la Swift calca la mano sulla presunta guerra che le sta muovendo contro il mondo intero.
Non sappiamo ancora cosa ci sarà nel nuovo album, ma mi chiedo esattamente dove voglia andare a parare questo teatrino e quanto potrà durare ancora. Forse sarebbe il caso di ricordare a Taylor che l’universo non è un gigantesco occhio di bue puntato su di lei e non vorrei che a lungo la ragazza si ritrovasse a combattere una battaglia contro un avversario che nel frattempo si è girato dall’altra parte.
Le vere faide tra primedonne sono un’altra cosa, e la storia dello spettacolo, con i suoi esempi celebri, lo testimonia.

Dai Taylor, neanche Madonna e Lady Gaga hanno fatto tanta caciara, perché devi farlo tu? Lo sbadiglio è dietro l’angolo, io te lo dico.

Taylor Swift: il ritorno elettronico e velenoso della “vipera” bionda

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Non c’è dubbio: quello di Taylor Swift è il primo vero grande ritorno discografico della nuova stagione. Lo si poteva immaginare fin da quando è stato annunciato, e così è stato.

Dopo il mezzo buco nell’acqua di pubblico e critica raccolto da P!nk con What About Us, singolo attesissimo, uscito quando eravamo tutti in vacanza e passato pressoché inosservato, è la biondina della Pennsylvania a inaugurare con gran chiasso mediatico il lungo ciclo di comeback che ci attende nei prossimi mesi.
Il nuovo singolo è Look What You Made Me Do e apre una nuova era sotto tutti i punti di vista: non solo anticipa il nuovo album, Reputation, atteso per il 10 novembre, ma ci mostra anche una nuova Taylor.
Messo (definitivamente?) da parte il country – da cui comunque si era già parecchio allontanata con gli ultimi lavori -, la Swift si butta ora in un pezzo elettro-spigoloso quasi più vicino all’urban che al pop, con inserti di I’m Too Sexy dei Right Said Fred, mentre il testo del brano è una velenosa dichiarazione di guerra a un acerrimo nemico, da molti riconosciuto in Kanye West (ricordate i VMA?) o Katy Perry (ricordate Bad Blood?). O forse entrambi, vista l’abilità della Swift nell’aprire faide con i colleghi.

La vecchia Taylor è morta, e a dirlo è proprio lei nella canzone (Mi dispiace, la vecchia Taylor non può venire al telefono in questo momento. / Perché? / Oh, perché è morta!). Per rimarcarlo, con abilissima mossa di marketing, dalle sue pagine social alcuni giorni fa sono spariti tutti i vecchi post, sostituiti dall’immagine di un serpente in assetto d’attacco.
Un chiaro riferimento alla reputazione che negli anni Taylor si è costruita e che lei stessa sembra ora divertirsi ad alimentare: la première del video è stata infatti fissata per domenica 27 agosto durante la cerimonia dei VMA, che quest’anno saranno condotti da Katy Perry.
Pare che toccherà proprio alla padrona di casa dell’evento presentare in diretta mondiale il video e la curiosità di vedere la scena vale più dell’intero show.

Ah, che viperetta questa Taylor…..

Pietà per Britney Spears

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La bionda con le extension più famose del pianeta è da pochi giorni tornata con l’ennesimo album, Glory, e se dovessimo basarci sulla sua rilevanza musicale il discorso potrebbe chiudersi qui. A partire dal primo singolo, Make Me, fino al l’esibizione ai VMA, quello che ci resta di Britney è un ricordo, un ricordo di quello che è stata. Parliamoci chiaramente, l’ultima cosa musicalmente interessante che la ragazza è riuscita regalarci risale forse ai tempi di Blackout, e di anni ne sono passati un po’. Per non parlare del fatto che i fasti di …. Baby One More Time o della tutina rossa in latex di Oops! I Did It Again sembrano appartenere a un’altra era geologica.

Da troppi anni ormai Britney si trascina dietro il personaggio che è stata negli anni ’90, quando irruppe sulle scene probabilmente come la prima vera erede di Madonna: d’altronde, tra la prima comparsa pubblica della Ciccone e i primi ancheggiamenti di Britney vestita di scolaretta nel suo video d’esordio erano trascorsi più di 15 anni, un intervallo fisiologico per permettere a Madonna di guadagnarsi lo status di maestra del pop.

Era la fine degli anni ’90 e la giovanissima Spears macinava milioni e milioni di copie, come la prima vera icona pop dell’epoca post-Madonna. C’erano solo lei e l’Aguilera. La storia ci avrebbe poi insegnato che l’epoca delle puttan pop non era che all’inizio. A sancire il riconoscimento ufficiale di questa “adozione”, l’esibizione ai VMA del 2003, entrata di diritto negli annali, con lo sposalizio profano tra Madonna e le due virginali fanciulle, collaudato dalla doppia slinguata in salsa lesbo.
A quel tempo Britney era ancora Britney e nulla pareva fermarla.

Poi sono arrivati i problemi, le crisi private prima che professionali, e anche la sua carriera ha iniziato a risentirne. Quante volte ci siamo sentiti dire che “Britney sta tornando alla grande”, che il colpo di testa di quella rasatura dei capelli immortalata dai giornali e di quell’ombrello scagliato sul fotografo non erano altro che ricordi?

La verità è che da quel momento Britney è sembrata sempre meno interessata alla sua musica, i dischi che faceva uscire avevano il sapore di prodotti arraffati in qualche modo per giustificare la sua presenza nello showbiz, ma della ragazzina rivoluzionaria degli inizi non c’era più nulla, nessuna spinta, nessuna passione. Ha smesso lei per prima di crederci. Il mondo della musica andava avanti, Britney pareva abitare in una bolla a parte, da cui ogni tanto usciva a prendere aria. Sull’imbarazzante questione dei playback non voglio nemmeno infierire: la Spears non è mai stata una grande voce, non ne ha mai fatto mistero e i suoi archetti indossati solo per scena erano quasi diventati un marchio di fabbrica. Certo però che veniva un po’ da ridere a guardarla.

Ma arriviamo a Glory, alla sua copertina visibilmente (ma non volutamente?) plasticosa, e alle sue canzoncine -ine -ine. Meglio di Britney Jean, ha sentenziato la parte autorevole della critica, e ci mancherebbe, aggiungo io!!
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Il nuovo album non aggiunge e non toglie niente a quanto già non sapevamo di Britney, è un disco che può essere tranquillamente lasciato sugli scaffali dei negozi, tanto il mese prossimo nessuno se ne ricorderà. Tranne i fan.

Ecco, i fan di Britney: se c’è una cosa che in questi anni mi ha sempre colpito, è stato il loro amore incondizionato, la loro presenza assidua, quasi come un manipolo di missionari impegnati nel proprio compito di portare salvezza alla loro beniamina. Non importava se e cosa Britney facesse, se lei c’era loro erano con lei, pronti al suo fianco a sostenerla. E così è stato per l’uscita di Glory e per la performance ai VMA, in total playback, con scossoni di chioma e glutei alzati. E chissenefrega se Beyoncé se l’è mangiata con un mini show di un quarto d’ora, così come Rihanna: i brittini hanno speso lacrime e preghiere per lei, Britney.

E in fondo, nonostante la consapevolezza che la Spears sia oggi l’emblema del vuoto cosmico in musica, non riesco a detestarla quanto Kim Kardashan: c’è qualcosa in lei che me la fa amare, o almeno mi fa provare uno strano affetto, quasi a proteggerla per i momenti bui del passato, al di là del fatto che pubblichi nuova musica o no.
Se oggi si vuole bene a Britney lo si fa per quello che ci ha dato in passato e forse perché lei è un po’ il nostro specchio, il riflesso di chi ha conosciuto la gloria – quella vera -, è caduto, si è rialzato, ma con il disincanto che di superumani a questo mondo non ce ne sono. Si tira a campare fra un frappucino take away, i figli da accompagnare a scuola e, ogni tanto, un disco da far uscire.
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Quindi vi prego, se il vostro istinto è quello di scagliarvi sul suo playback, sulle sue canzoni usa e getta, sui suoi atteggiamenti svogliati e da ma-che-ci-faccio-qui agli eventi, pensateci un momento, e abbiate pietà di lei.

Che lo vogliate o no, Britney Spears siamo un po’ tutti noi.