BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
Da quando abbiamo iniziato a conoscerla, ormai sette anni fa ad Amici, di Annalisa abbiamo visto lo spirito sbarazzino, l’abbiamo apprezzata come elegante e abbiamo ballato quando si buttata nell’elettropop. Mai però la ragazza era apparsa in gran forma e finalmente “a fuoco” come in questo suo ultimo lavoro, Bye Bye, pubblicato all’indomani della sua quarta partecipazione al Festival di Sanremo.
Se le sue doti, e in particolare l’intonazione curatissima, erano da sempre i suoi punti di forza, Annalisa non si era ancora presa la completa libertà di espressione che la porta invece a volare a briglie sciolte nel nuovo album. Bye Bye è infatti un vero manifesto di libertà e di leggerezza, come dichiara già il titolo, un congedo a tutti quei vincoli a cui fino ad oggi Annalisa si era sottomessa per imposizioni morali o autoconvincimenti. Un capitolo discografico che si stacca dai precedenti anche stilisticamente, puntando verso un pop freschissimo e sporcato di spunti urban, come aveva lasciato intuire Direzione la vita, il primo singolo pubblicato lo scorso anno. Se il brano sanremese, Il mondo prima di te, rappresenta forse l’episodio di stampo più tradizionale, che Annalisa sa però vestire perfettamente alleggerendolo dalle banalità, il resto dell’album si snoda scioltissimo tra decorazioni elettroniche, tuffi e capriole nell’R&B, fino ad arrivare al featuring con Mr. Rain in Un domani, che fa incontrare Annalisa e l’hip-hop. Bye Bye è un invito azzardare, il disco del prendersi “tutto e subito” non per avidità, ma perché la vita non aspetta, quel che oggi c’è domani potrebbe non esistere più (“come le storie di Instagram”), perché il presente non torna più. Annalisa mette da parte le noie e le paranoie, le ansie da prestazione del piacere per forza, e in cambio si guadagna una nuova (e forse definitiva?) credibilità di interprete.
Coma_Cose è l’inedito duo formato da Fausto Lama e California. Dopo le date live dei mesi scorsi e la pubblicazione dell’EP Inverno Ticinese, i due musicisti saranno di nuovo in tour tra febbraio e aprile. Uno spettacolo eclettico, una miscela da cantare e ballare tra elettronica, urban e cantautorato grazie anche alla formula MCs + batterista, dove il calore del groove sarà l’elemento chiave per farsi trasportare nel mood crepuscolare del duo milanese. Queste le prossime date confermate: 2 febbraio Urban – Perugia 17 febbraio Tender Club – Firenze 24 febbraio Mi Ami Ora – Milano 9 marzo Retronouveau – Messina 10 marzo I Candelai – Palermo 16 marzo Latteria Molloy – Brescia 17 marzo I’M Lab – Abano Terme (PD) 2 aprile Eremo Club – Molfetta (BA) 14 aprile Vidia – Cesena 27 aprile Arci Pulp – Parma
Il prossimo 2 febbraio uscirà Le cose, il nuovo album di Zibba. Un disco ricchissimo, non solo in termini musicali, ma anche per gli ospiti che sono stati invitati a prendervi parte. Da Marco Masini ad Alex Britti, passando per Erica Mou e Chantal, il parterre è davvero fitto e di provenienza molto diversa. Non ultima, Elodie, che duetta con Zibba sulle note di Quando stiamo bene, un pezzo in cui cantautorato e atmosfere nu soul si legano svelando un’anima profondamente urban sotto la produzione di Mace. Per Zibba ed Elodie si tratta di una collaborazione rinnovata, dopo che lo scorso anno avevano cantato insieme in L’amore basterà, canzone contenuta nel primo album dell’ex allieva della scuola di Amici.
“2600 metros más cerca de las estrellas”, ovvero “2600 metri più vicina alle stelle”. E’ il motto della città di Bogotà e da queste parole prende avvio il viaggio dell’ultimo album di Francesca Michielin. Sono infatti per l’esattezza 2640 i metri di altitudine a cui sorge la metropoli colombiana, e proprio 2640 è il titolo scelto per il disco in uscita il 12 gennaio. Colombia, ma anche Bolivia, sono tanti i riferimenti all’universo tropicale presenti nelle tredici nuove canzoni della giovanissima cantante di Bassano del Grappa. Le anime che si incontrano – anzi, si incastrano – nell’album sono rappresentate visivamente dai tre triangoli visibili sulla copertina: il primo rosso, simbolo del vulcano, ovvero l’urgenza della comunicazione; il secondo azzurro, capovolto, è il mare, ovvero l’ascolto, la percezione; il terzo verde è la montagna, da dove Francesca proviene, ed è simbolo dell’immaginazione, “perché quando arrivi in cima alla montagna vedi il mare, e se non lo vedi lo puoi immaginare”. Comunicare, ascoltare, immaginare, i tre imperativi di Francesca Michielin per questa nuova era discografica.
Al centro di tutto c’è il ovviamente il vulcano, con le sue esplosioni, la sua forza, il suo fascino misterioso: non è un caso che proprio Vulcano sia stato il pezzo scelto per inaugurare la nuova era. L’ispirazione è arrivata lo scorso anno, quando Francesca ha terminato il tour del disco precedente e si è ritrovata ai piedi dei colli Euganei per curare un raffreddore. Quei vulcani estinti l’hanno incantata, si è ritrovata a osservarli quasi in ipnotisi, provando a immaginare come dovevano essere quando al loro interno ribolliva la lava. Lava, come il titolo di un altro brano, il più violento, in inglese, dichiarazione di indipendenza femminile nel segno di un ribaltamento dell’immaginario comune che vorrebbe la donna soggiogata e relegata tra le pareti di casa. L’ispirazione questa volta è arrivata dall’ascolto di Tahiti della cantautrice Bat For Lashes, di certo non uno dei nomi che ci si aspetterebbe di sentire citati come modelli. Ma nonostante la giovane età (22 anni), Francesca Michielin non sembra una che abbia bisogno di essere imboccata.
A scuola, nelle ore di geologia ci hanno poi insegnato che dove oggi c’è una montagna una volta c’era il mare. Ecco allora gli spunti tropicali seminati qua e là e mischiati all’elettronica o all’urban. In Tropicale la spiaggia diventa il luogo del ritrovo, della festa, mentre il mare è la possibilità di evadere, di scappare. Esala gusti esotici anche in Tapioca, che su un tappeto sonoro che raramente si ascolta nelle produzioni italiane, inserisce nel testo anche versi in ghanese tratti da un canto liturgico di ringraziamento “dal basso verso l’alto”.
Non può infine sfuggire la componente sportiva, lampante in Serie B, pezzo ispirato alla retrocessione del Vicenza, prima vera delusione nella memoria della cantante, e nel conclusivo Alonso: in entrambi i casi, lo spunto serve per sviluppare efficaci metafore su chi si ritrova confinato nelle retrovie pur meritandosi il primo posto e su chi nonostante le sconfitte tira dritto con la stessa passione sanguigna. A firmare quasi tutti i pezzi è la stessa Michielin, con il decisivo apporto di Calcutta, Cosmo, Dario Faini e Tommaso Paradiso. 2640 si assaggia 2640 si piange 2640 si incazza 2640 si dice all’orecchio 2640 si viaggia 2640 si noleggia 2640 si tifa allo stadio 2640 non sta zitto. Mai
Ma 2640 è prima di tutto un viaggio, “ma non uno qualsiasi, un viaggio per comunicare quello che si vuole dire anche senza le parole. Oggi è facile fraintendersi: la mia generazione può andare ovunque in un attimo, comunicare con tutti subito, eppure c’è qualcosa che abbiamo perso, e mi sono chiesta cosa”.
Un disco cosmopolita, profumato di tapioca, felafel e bar indiani, dove la famiglia prende il senso di comunità. “Io sono di qui, ma non sono di qui, ho il cuore sopra una montagna, il mare nella testa e un vulcano pronto a esplodere”.
Al via a marzo il tour nei palazzetti: 16 marzo – Parma (anteprima) 17 marzo – Milano
23 marzo – Torino 24 marzo – Brescia 25 marzo – Bologna 27 marzo – Trento 28 marzo – Roncade (TV) 31 marzo – Catania 5 aprile – Perugia 7 aprile – Maglie (LE) 8 aprile – Modugno (BA) 12 aprile – Roma 14 aprile – Napoli 15 aprile – Firenze
BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
11 anni. Tanto ci ha messo Fergie a tornare in pista. Cioè, a dir la verità non sono stati proprio 11 anni di silenzio questi, perché in mezzo ci sono stati due album con i Black Eyed Peas e qualche brano inedito snocciolato durante il percorso. Però insomma, il secondo capitolo della sua carriera solista si apre adesso, con Double Dutchess, un discone di 17 tracce a cui va ad aggiungersi anche il pacchetto di tutti i video (tranne You Already Know) nella Visual Experience, riuniti nel film Seeing Double. Un po’ insomma come aveva fatto Beyoncé con il Visual Album di qualche anno fa. Ampiamente anticipato da L.A. Love, M.I.L.F. $ e Life Goes On, Double Dutchess restituisce una Fergie in pienissima forma, anche se forse un po’ appannata dal punto di vista mediatico, ma desiderosa di buttarsi ancora al centro della mischia con un album generosissimo di spunti e poderoso nei suoni. Quello che colpisce da subito è l’atmosfera decisamente urban in cui è immerso Double Dutchess, capace di passare attraverso momenti molto diversi, con poco spazio riservato al puro pop: l’apertura, grandiosa e sorprendente, è affidata ad Hungry, con le sue note oscure e quasi goticheggianti di trap (dentro ci è finito addirittura il campionamento di Dawn Of The Iconoclaste, successo dei Dead Can Dance) e il featuring di Rick Ross, mentre le tracce successive sono una raffica di variazioni che dal più classico R&B toccano l’hip-hop, il reggae, l’elettronica, per arrivare a chiudere in bellezza con i fuochi d’artificio grazie il rock ardente e affilato di Love Is Pain, in cui si intravede – neanche troppo velata – l’anima di Purple Rain di Prince in un omaggio non ufficialmente dichiarato. Assolutamente spassosissimi i toni tropicali di Enchanté (Carine), insieme ad Axl Jack, il figlio di Fergie, così come il potente giro di funk di Tension, che sembra – a dirla tutta – rubata dagli archivi di Kylie Minogue.
Insomma, un album sfaccettato e studiatissimo per il ritorno di una protagonista di prima linea degli anni Duemila, che si trova oggi circondata dall’affamata schiera della nuova generazione e che sapeva quindi di doversi giocare il tutto per tutto per dimostrare che oggi c’è ancora posto lei. Almeno sulla carta, il risultato non manca di ispirazione e parrebbe darle ragione: dopo tanti anni Fergie è tornata, c’è, e tiene perfettamente il passo con i tempi.
Sul versante video invece c’è da segnalare qualche punto di domanda rimasto in sospeso, dal momento che in più di un episodio l'”esperienza visuale” si rivela essere non molto di più che un semplice contenuto bonus aggiunto alla versione audio. Portando il confronto sull’analoga operazione di Beyoncé, la signora Carter – tra l’altro citata tra le fonti d’ispirazione – si porta a casa la vittoria a mani basse. Tra i momenti da salvare, sicuramente l’intensità immaginifica di Love Is Pain.
Due anni fa cantava di frasi e fumo, oggi inaugura l’era dell’urbanesimo. Proprio così, “urbanesimo”, nel senso che dal soul e dalle sonorità vintage con cui l’avevamo lasciata, Nina Zilli si è spostata sul versante dell’urban, quello cioè che ingloba in un insieme pullulante r’n’b, hip hop e reggae, mettendoci anche una discreta quantità di elettronica e pop ad alto tasso di beat. L’altro termine che lei stessa associa al suo nuovo capitolo discografico è tropicale, perché zeppo di colori (a partire dalla copertina e dal booklet, in cui i testi sono ripresi dalle pagine di un diario di Nina). Questo nuovo capitolo discografico ha un titolo eloquente, Modern Art, a indicare qualcosa di nuovo, “moderno” per l’appunto, come i suoni che lo riempiono, profondamente versatile e con i piedi ben piantati sulla strada. Se prima c’erano le nuvole, oggi c’è il sole, che precisamente è quello dello Giamaica, dove il disco ha preso forma, insieme a Milano.
Dodici brani in tutto, di cui undici inediti e una rivisitazione urbana, “moderna” e piuttosto ben riuscita di Il mio posto qual è di Ornella Vanoni. Unico ospite, J-Ax in Butti giù. Si parla di amore, inteso nella sua più ampia accezione di sentimento universale e condiviso, perché, anzi, quello privato rischia di riservare le più grandi delusioni: proprio oggi in cui tutto viene condiviso virtualmente, Nina lancia dei brani-manifesto richiamando l’attenzione sull’importanza di una condivisione reale di intenti e di amore, l’unico modo davvero efficace per annullare il desiderio di guerra e di violenza. Pacifismo. Una condivisione autentica, come quella che si realizzava prima che Facebook ingurgitasse il nostro stile di vita.
Un album che punta uno scalino più in su del precedente mostrando forza, consapevolezza e assoluta libertà di movimento, e che rappresenta – se non proprio un’evoluzione – una svolta stilistica nel percorso di un’artista che eravamo abituati a vedere incasellata nella pur elegante cornice del soul, ma che ha sempre avuto anche una certa familiarità con il reggae, tornando ora a calpestarlo. Forse un po’ spiazzante a un primo impatto (il singolo Mi hai fatto fare tardi non è in effetti tra i momenti più incisivi), Modern Art ha dei grandi punti di forza in brani come 1xunattimo, nel pop uptempo di Notte di luglio e nella cover Il mio posto qual è, e riesce a stare in piedi senza cadere in una riduttiva imitazione dei modelli d’oltreoceano, dove l’urban è effettivamente di casa.
Taylor Swift deve soffrire di una qualche crisi d’identità: dopo aver spiazzato tutti con l’r’n’b elettronico e tagliente di Look What Me Made Me Do, ha rilasciato a sorpresa … Ready For It?, un altro inedito tratto dal nuovo album Reputation. E se possibile, qui l’avanzata di Taylor nel territorio dell’universo urban si è fatta ancora più decisa, arrivando a sfiorare il rap.
… Ready For It? è un brano che troverebbe tranquillamente posto in un album di Beyoncé o di Rihanna, ma non sfigurerebbe nemmeno come una delle innumerevoli opere sfornate dalla prolifica Nicki Minaj, sempre in equilibrio tra hip hop, pop ed elettronica. Sarà un caso che dopo aver sentito l’inizio del pezzo la memoria mi è corsa subito a Hey Mama?
Insomma, la vecchia Taylor Swift è morta, lo abbiamo capito: al suo posto sembra essere arrivata … Tayloncé, o Taylor Minaj, fate voi!
Bonzai è una ventenne britannica nata e cresciuta a Dublino e poi trasferitasi a Londra, dove alcuni anni fa ha iniziato a dare vita ai suoi sogni musicali anche grazie all’occhio lungo del DJ e produttore Mura Masa.
Il suo nuovo singolo, I Feel Alright, racchiude tutto il suo mondo musicale, molto vicino all’universo urban, ma difficile da descrivere in una sola definizione di genere (a questo link il video di I Did). Quel che è certo è che il risultato è efficace e contagioso.
Un altro nome su cui puntare gli occhi nei prossimi mesi.
Ah, a proposito di nomi: provate a dare un’occhiata al significato del termine “bonzai” nello slang urban…………
Modern Art. Un nuovo progetto discografico moderno, proprio come traspare dal titolo, scritto tra Milano e la Giamaica, tra sonorità urbane e tropicali: saranno queste le caratteristiche del nuovo album di Nina Zilli, in uscita il 1 settembre, e già anticipato dal singolo Mi hai fatto fare tardi, nato dalla collaborazione con Calcutta, Dario Faini e Tommaso Paradiso.
Un album con tanta energia, tra reggae, rap, atmosfere urban e, ovviamente, la voce della Zilli a fare il resto. Un disco pieno d’amore, inteso come condivisione universale, contro ogni sentimento di paura. 11 canzoni inedite scritte da Nina in collaborazione con altri giovani autori e Michele Canova alla produzione. Nel booklet tutti i testi delle canzoni sono tratti da un taccuino manoscritto e illustrato da Nina, una vera “chicca” che l’artista ha voluto dedicare al suo pubblico.
Questa la tracklist: Domani arriverà (modern art) Ti amo mi uccidi 1XUnattimo Mi hai fatto fare tardi Il punto in cui tornare Notte di luglio Butti giù feat. J-AX Il mio posto qual’è IGPF Sei nell’aria Per un niente Come un miracolo
Libero è un ragazzo di Genova cresciuto con le canzoni dei grandi cantautori italiani, a cui ha poi affiancato l’amore per il linguaggio dell’hip-hop e il flow della urban music.
Con questa eredità ha iniziato a scrivere le sue prime canzoni, e ora rilascia il suo primo, vero singolo, Love Me Do, un brano che coniuga urban e pop e fa da apripista a un album di prossima pubblicazione.