Una voce scura e un’attitudine che crea un ponte tra la tradizione e la contemporaneità.
Viene da Napoli e vive all’ombra del suo vulcano e con la sua aura da femme fatale si fa chiamare semplicemente La Niña. Rappresenta il perfetto anello di congiunzione tra la musica napoletana, le produzioni urban che giocano d’azzardo con l’r’n’b, il soul e l’hip-hop, mischiando il tutto alla sperimentazione, fino a raccogliere spunti e sonorità dal sapore esotico che arrivano dall’Oriente.
Con Croce, La Niña ha dato voce alla verace intensità emotiva di Napoli, sciogliendola in una liturgia di sonorità fatte di tessuti elettronici e fascinazioni iconografiche: la prima stazione di un’immaginaria via Crucis dell’artista, un cammino sofferto e liberatorio in una Napoli selvaggia, la processione in cui sfilano tutti i suoi pensieri, i suoi mostri, i suoi mali.
Poi è stata la volta di Niente cchiù, il racconto tra il bianco e il nero di una storia d’amore malata fatta di ritorni e non ritorni.
Ora La Niña torna con Salomè, un omaggio all’archetipo della femme fatale rielaborato in una personale chiave arabo-napoletana che dà vita a un sincretismo culturale fra le diverse sponde del Mediterraneo. Il video del brano, diretto da KWSK Ninja, vede l’artista nelle vesti della figura-simbolo della vendetta sanguinaria, che riconsegna su un piatto d’oro la proverbiale storia di chi cade vittima di una seduttrice impenitente.
Con la sua personalità potente, La Niña ha recentemente attirato l’attenzione di MYSS KETA, che l’ha ammessa nel circolo delle ragazze di Porta Venezia, coinvolgendola nel video-manifesto che accompagna la nuova versione del brano.
Un’atmosfera urban dal sapore old school venata di blues, con le parole che lasciano scorrere un’agrodolce malinconia. Incubo segna il ritorno di Arashi all’insegna del minimalismo e della riflessione, e anticipa l’EP in arrivo per l’inizio del 2020.
“Ogni giorno ci sono ostacoli, difficoltà che dobbiamo superare e spesso ci sentiamo in difetto con noi stessi quando stiamo giù, quando ci sfoghiamo, quando piangiamo.Questo brano è il nostro modo per esorcizzare le difficoltà di tutti giorni, ripetendoci che nonostante tutto, si deve andare avanti, con la guardia alzata e la mente lucida. Arturo ci ricorda che dobbiamo sempre combattere, anche fuori dal ring, anche quando non ce lo aspettiamo. Riuscire ad andare avanti, spesso, non è facile ma se si riesce a trovare il giusto equilibrio si può fare tutto”.
Arturo Gatti è stato un pugile italo-americano entrato nella leggenda della box, famoso per essere un’atleta che sul ring, anche a fronte di pesanti infortuni, non si è mai tirato indietro. Dopo una carriera ricca di titoli, nel 1992 si è suicidato impiccandosi con una sua cintura: un uomo spregiudicato contro il pericolo, forte, agguerrito, che poteva morire sul ring per mano di altri, si toglie la vita in silenzio, lontano da tutti.
Arturo Gatti rappresenta la dicotomia della vita del pugile in bilico tra la sensazione di poter combattere contro tutti e tutto, di avere il controllo della vita stessa e l’insicurezza interiore, la fragilità della mente.
Con un sound unico e personale THINKABOUTIT riesce a creare una commistione di urban, modern jazz e post-rock.
Il collettivo THINKABOUTIT nasce a Bari nel 2013 manifestando dall’inizio un forte interesse nei confronti della musica black e del modern jazz.
Nel 2014 producono e pubblicano il loro primo EP, Sulle Grate, affrontando un percorso di promozione regionale e nazionale da indipendenti. Nel 2016 pubblicano per l’etichetta discografica Playbrown Group il loro primo disco dal titolo In Secondo Piano. A gennaio 2018 il collettivo inizia un nuovo periodo di ricerca e di sviluppo artistico che lo porterà a comporre il lavoro discografico Marea in lingua inglese, in uscita per TotallyImported/Artist First nell’ottobre 2019.
“Chi è Missy?” chiede all’inizio del video di Throw It Back una ragazzina a un’esterrefatta Teyana Taylor. La stessa domanda che probabilmente si farebbero oggi molti altri teenager sentendo parlare di Missy Elliott.
Per i più grandicelli la signora in questione non ha bisogno di alcuna presentazione, ma visto che il suo ultimo album, The Cookbook, risale al 2005 non c’è da stupirsi che le nuove generazioni non sappiano di chi si stia parlando e perché tanto clamore si è creato intorno all’uscita del suo nuovo EP Iconology.
Icona, autorità, maestra, qualsiasi definizione si voglia dare a Missy “Misdemeanor” Elliott non sarà mai esagerata: senza il suo contributo il panorama hip-hop sarebbe probabilmente molto diverso e a molte delle attuali reginette del rap sarebbe mancato un valido punto di riferimento.
L’uscita del nuovo EP è quindi un’ottima notizia, soprattutto perché i nuovi brani arrivano dopo un lunghissimo periodo di silenzio, durante il quale non sono mancati anche problemi di salute: le uniche eccezioni sono state la partecipazione all’Haltime Show del SuperBowl nel 2015 insieme a Katy Perry, la pubblicazione di un paio di singoli nel corso degli ultimi 4 anni e qualche collaborazione. Ma il nome di Missy Elliott mancava stabilmente sulle scene da troppo tempo.
Certo, Iconology non è esattamente quello che forse i fan si aspettavano, visto che si tratta di un minialbum di sole quattro tracce inedite e una versione acapella. Piuttosto improbabile che sia questo il tanto anticipato “ME7” di cui la stessa Elliott aveva in più occasioni parlato nei mesi scorsi, ma un nuovo EP è sempre meglio di un ennesimo singolo tra un periodo di silenzio e l’altro, anche perché il nuovo progetto ci mostra una Missy in gran forma anche grazie alla collaborazione di Timbaland, a cui è stata affidata la produzione.
Si passa dai bassi vibranti del groove di Throw It Back alle ritmiche serrate di Cool Off, mentre sulle sonorità urban votate all’r’n’b di DripDemeanor si inserisce il featuring di Sum1. A chiudere sono le influenze soul di Why I Still Love You, racconto agrodolce di un amore non esattamente corrisposto.
Per lanciare l’EP è stato scelto, non a caso, Throw It Back, una sorta di orgogliosa rivendicazione di meriti e un invito a fare “un salto indietro”, quando il nome di Missy Elliott non suonava sconosciuto a nessuno.
Il prossimo 26 agosto, durante la cerimonia dei VMA, Missy Elliott riceverà il prestigioso Michael Jackson Video Vanguard Award, il riconoscimento assegnato ogni anno per onorare la carriera di un artista che ha fornito un decisivo contributo alla musica.
Insomma, giù il cappello, “This Is A Missy Elliott Exclusive”.
Festeggiamento in arrivo per il 20° anniversario della pubblicazione di The Writing’s on the Wall, l’album che ha fatto delle Destiny’s Child uno dei più importanti gruppi della musica mondiale degli ultimi decenni.
Certified Classics, la divisione di Legacy Recordings dedicata ai grandi artisti Sony Music del Catalogo Hip-Hop ed R&B, ha annunciato la pubblicazione di un vinile colorato in edizione speciale attraverso Urban Outfitters il 1 novembre 2019. Qui il link per il pre-order.
Certified ha inoltre annunciato l’arrivo, via ESSENCE.com, di DC Writings 20: Destiny’s Child – Dating Commandments 2019, una ‘experience’ creata sul modello di ‘Tinder’ ispirata ai comandamenti originali delle Destiny’s Child sui rapporti, uno dei temi centrali dell’album The Writing’s on the Wall. Qui il link.
DC Writings 20: Destiny’s Child – 2019 Dating Commandments invita i fan ad approfondire i ‘comandamenti’ in materia di appuntamenti ai nostri giorni: questa sperienza virtuale interattiva riformula gli iconici comandamenti contenuti in The Writing’s on the Wall (ad esempio “Tu devi pagare le bollette/ Thou shall pay bills” diventa oggi “Devi divedere le spese in casa/ Thou shall split the fare home”). Una volta che i fan avranno dichiarato il proprio assenso o dissenso verso i 14 comandamenti, potranno creare la propria lista di comandamenti da condividere insieme alla playlist delle Destiny’s Child.
Pubblicato originariamente dalla Columbia Records il 27 luglio 1999, The Writing’s on the Wall è il secondo album in studio delle Destiny’s Child, lavoro che supera le formidabili aspettative stabilite dal loro disco di debutto dell’anno precedente, affermando la straordinaria stargenia di Beyoncé ed assicurando alle DC lo status di uno dei gruppi vocali femminili di maggior successo della storia della musica. All’epoca dell’uscita del disco il gruppo non era ancora nella definitiva formazione a tre con cui ha conosciuto la consacrazione: ne facevano parte infatti Beyoncé Knowles, Kelly Rowland, LaTavia Roberson e LeToya Luckett. Queste ultime due ne sarebbero uscite pochi anni dopo, rimpiazzate da Michelle Williams e Farrah Franklin, che abbandonò però presto la band.
Prodotto da Mathew Knowles, The Writing’s on the Wall contiene brani prodotti da Missy Elliott, Kevin “She’kspere” Briggs, Rodney Jerkins, Eric Nealante Phillips e Beyoncé.
Ben 4 furono i singoli ad entrare nella Top 40: il #1 negli USA Bills, Bills, Bills e Say My Name, ma anche Jumpin’ Jumpin’ (#3) e Bug a Boo (#33).
Bills, Bills, Bills, il primo singolo, fu accompagnato da un elettrizzante video musicale diretto da Darren Grant, girato in un iconico salone di bellezza (come tributo alla mamma di Beyoncé, Tina Knowles). Rimase al #1 della Hot R&B/Hip-Hop Singles & Tracks per nove settimane consecutive.
Il terzo singolo, Say My Name, diventò una delle tracce fondamentali delle Destiny’s Child, grazie alla quale la band si aggiudicò due Grammy Awards nel 2001 come migliore performance R&B di un gruppo e miglior canzone R&B. Il video del brano ottenne anche un MTV Video Music Award 2000 come miglior canzone R&B. Billboard classificò Say My Name al 7° posto della lista dei 100 brani delle miglior Girl Group di tutti i tempi.
Jumpin, Jumpin, il quarto singolo estratto, è stato scritto e co-prodotto da Beyoncé con Chad Elliott e rimase al #1 della Hot 100 Airplay per sette settimane consecutive.
Ad oggi, l’album ha venduto oltre 6 milioni e 300 mila copie nei soli Stati Uniti e 2 milioni in Europa.
Se frequentate il mondo del web, forse il nome di Santa Manu non vi sarà completamente nuovo. Potreste già esservi imbattuti in Baby Boy, il suo singolo d’esordio, oppure in Paris, o negli ultimi giorni potrebbe esservi capitato di ascoltare Coca Cola. E se vi è capitato, molto probabilmente sarete rimasti colpiti dal songwriting e dall’uso che questa ragazza fa della sua immagine.
Non per niente Santa Manu è il progetto su cui in molti sono pronti a scommettere per i prossimi anni.
Ma di chi stiamo parlando esattamente?
Dietro a questo nome si nasconde un DNA fatto di contrasti: se da una parte la sua scrittura deve molto al repertorio della canzone italiana, le sue sonorità guardano invece alla scena urban contemporanee, mentre lei si presenta come una donna rinchiusa in un corpo da lolita, pronta a sfidare con strafottente candore le regole del musicbiz
Nata in un piccolo paese delle Marche, Santa Manu è cresciuta con sua nonna, anche lei donna di contrasti, divisa tra un’attitudine rock’n’roll alla vita e una solida fede religiosa.
Santa Manu ha iniziato a cantare a quattro anni e a scrivere canzoni a dodici. Le sue giornate si dividevano tra gli studi di pianoforte al Conservatorio e i garage del paese da lei trasformati in sale prove. Poi sono arrivati gli studi in canto e soprattutto è arrivato il trasferimento a Milano, dove la ragazza si è “contaminata” e ha fatto i primi e decisivi incontri con beatmaker e produttori del mondo hip hop e urban.
Alla base della sua produzione, di cui è autrice sia per la parte sonora che per quella visuale, vi è una convinta fiducia nella figura della donna come essere umano, nella donna come Santa, ovvero – etimologicamente – “ciò che è inviolabile, considerato degno di rispetto”.
Ne è prova Paris, che con il suo testo crudo diventa un inno all’inviolabilità della donna in quanto contemporaneamente essere santo e umano, “più sacrosanta di Marilyn”, come recita un verso. Un inno all’indipendenza e alla libertà personale, nell’essere e affermare se stessi senza cedere alla volontà di controllo e potere di chi in cambio chiederà indietro sicuramente qualcosa di grande, come la tua libertà e la tua forza.
Nel testo di Coca ColaSantaManu rende invece omaggio ai “poeti” che l’hanno ispirata, da Lou Reed a William Blake e Peggy Guggenheim.
“Vedo le mie canzoni come delle confessioni. Racconto quello che succede nella mia vita in modo sincero. Alla fine, in modo sempre diverso, quello che dico nei miei pezzi è: abbraccia la tua potenza e vai. Avanza. Fino alla fine. E fai quello che vuoi. Questo si ricollega al nome che porto: Santa significa inviolabile, degna di rispetto e priva di limitazioni”.
Non è da tutti avere il singolo di debutto prodotto da un colosso garantito dell’urban italiano come Big Fish e pubblicato da Sony Music.
Ma a Noemi Cappello, in arte solo NOE, è successo davvero grazie alla vittoria del contest AW LAB IS ME Music Edition. La canzone si intitola Incancellabile ed è stata realizzata in featuring con il giovane rapper Jeik e la collaborazione dei producer Exynos.
“Due artisti si immedesimano in una storia divisa tra il loro amore e i loro sogni. Ci sono scelte che potrebbero dividere le loro strade. Si racconta la speranza di qualcosa che è difficile da dimenticare , un continuo ed altalenante scontro d’amore. Un ricordo che resta incancellabile.”
NOE nasce l’8 settembre 1999 sul Lago Maggiore, dove vive e lavora. Grazie al contest AW LAB IS ME Music Edition ha avuto l’occasione di far vedere quello che sapeva fare con la musica, convincendo giurati come Big Fish, Jake La Furia, Anastasio e Chadia Rodriguez.
Incancellabile è disponibile sulle principali piattaforme digitali; il videoclip prodotto da Go Lab Agency. Il brano sarà anche on air in tutto il network di store AW LAB.
I fan l’hanno conosciuta con Anna e il grande pubblico si è fatto incuriosire dal suo linguaggio originale in Sciccherie. Con i suoi 17 anni, Madame segna ora – con il terzo singolo 17 – un passo in avanti nel conquistarsi uno spazio personale sulla urban italiana, dimostrando una versatilità e una consapevolezza decisamente inconsuete per una ragazza della sua età.
“Fai il cazzo che ti pare, lady”, è la sintesi perfetta di un inno da battaglia per le donne e per tutti coloro che non vogliono farsi relegare negli schemi. Un messaggio che spinge a mostrarsi senza filtri, a mostrarsi per come si vuole essere. Una decisa presa di posizione contro gli stereotipi riferiti al mondo femminile e un personale contributo al body shaming.
Nel videoclip che accompagna il brano, la ragazza si racconta in prima persona attraverso il linguaggio del corpo: si muove in un box vetrato, in cui è costretta a stare spinta da qualcuno che la vuole confinare e definire, fino a quando riesce a liberarsi.
Love Anthem è il nuovo progetto discografico di Venerus (al secolo Andrea Venerus, milanese, classe 1992).
La pubblicazione di Love Anthem – uscito per Asian Fake – è stata divisa in due parti, rilasciate separatamente: la prima – pubblicata lo scorso 10 marzo – conteneva i brani Love Anthem No.1 (prod by Mace) e Al buio un po’ mi perdo (prod by Venerus & Mace), mentre la seconda parte – pubblicata venerdì 21 giugno – completava il progetto con Fulmini / Il fu Venerus e Forse ancora dormire.
Un totale di quattro brani che definiscono il racconto sognante ed etereo dell’artista, sfiorando i tasti di quella romantica psichedelia intrinseca nelle canzoni di Venerus.
Ed è lo stesso cantautore a presentare le tracce dell’EP:
“Love Anthem No. 1 è più un vibe che una canzone. Vibe stellato. Per assurdo tutta la canzone è partita dalla frase “come se volessi essere stronzo…” un po’ a difesa della mia sociopatia, ma si è subito intenerita quando ho osservato che quando ti trovi bene con una persona non ti importa più nulla del resto o degli altri. Un po’ hip hop un po’ George Benson, è un inno alla spensieratezza. Io e la mia baby contro il mondo”
“Al buio un po’ mi perdo è il pianoforte che si immerge in un oceano urbano, sfiorato da un leggero vento trap. Nel brano i due protagonisti, il piano e la corrente hip hop, si intrecciano, spogliandosi e regalandosi momenti a vicenda”.
“Fulmini/ Il fu Venerusè un viaggio sonoro che mischia arpeggi e autotune a una non-struttura. Il superamento della tradizionale forma-canzone passa attraverso immagini torbide che confondono i confini tra sogno e ricordo: “Nominare tutti i generi musicali che hanno ispirato il brano richiederebbe una pagina a parte, il risultato è inatteso e del tutto originale: compongo la musica che mi piace, a prescindere da tutto il resto”.
“Forse Ancora Dorme era un pensiero che mi pulsava in testa tra le 4 e le 5 di una notte poco più di un mese fa. Un pensiero dolce ma inspiegabilmente preoccupato. La batteria quasi techno che cerca di ricalcare l’inquietudine e il battere accentuato del cuore, e il piano e la melodia invece soul e malinconiche che cercano di riportare pace al pensiero della mia ragazza che dorme senza conoscere le mie preoccupazioni. Questo brano è la contrapposizione di emozioni contrastanti in una notte confusa”.
Entrambe le parti dell’EP sono state accompagnate da un cortometraggio realizzato in collaborazione con Andrea Cleopatria e prodotto da Asian Fake e Nike.
Uniti uno all’altro, i due video formano un vero e proprio mediometraggio di circa mezz’ora.
Andrea Venerus, originario di San Siro, Milano, a 18 anni si trasferisce a Londra dove per 5 anni approfondisce le sue conoscenze musicali e comincia a lavorare a progetti personali, venendo a contatto con le scene musicali di Brixton e di Notting Hill. Terminato il periodo in terra inglese l’artista registra un disco a Roma e, rimasto affascinato dalle atmosfere della città, vi si trasferisce. Oggi vive a Milano, città dalla quale lo scorso 16 novembre ha lanciato il suo primo progetto discografico, l’EP A che punto è la notte pubblicato da Asian Fake. La successiva collaborazione con il rapper Gemitaiz nel brano Senza di me (feat. Venerus& Franco126), presente all’interno del mixtape QVC8 e a cui il giovane artista presta penna e voce, è stato certificato singolo di platino.
Se non vi è mai capitato di imbattervi in Osvaldo Supino, dovreste trovare il modo di farlo: cinque minuti di chiacchierata insieme a lui sono un toccasana per il buonumore. Mescolando con ironia divismo internazionale e veracità pugliese, Osvaldo è animato da un entusiasmo pulito e contagioso che lui stesso non riesce e non vuole nascondere quando parla della sua musica.
Sarà probabilmente per questo che il suo nuovo album – il quarto – si intitola Sparks, “scintille”, come quelle della passione per il suo lavoro, che lo hanno sempre spinto ad andare avanti nel difficile ambiente della discografia indipendente: “Quando sei un artista indipendente non puoi fare altro che continuare a crederci e continuare sulla tua strada, il tuo obiettivo dev’essere quello. Ecco perché non bisogna mai smettere di vedere quelle scintille”. E oggi i fatti sembrano stare dalla sua parte: se infatti in Italia il nome di Osvaldo è conosciuto soprattutto tra i frequentatori della scena underground, all’estero è stato il primo artista italiano a esibirsi al World Pride di Londra nel 2012 e al Miami Beach Pride nel 2015 al fianco di Iggy Azalea e Jordin Sparks. I suoi video sono in rotazione su MTV in Germania, Austria e Svizzera e anche network come NBC, Telemundo e Univision si sono occupati di lui.
Pubblicato dopo la buona accoglienza raccolta dal precedente Resolution, Sparks è un disco “fortemente e volutamente pop”, all’interno del quale Osvaldo è tornato a parlare di sé: “Ho un pessimo rapporto con i social, non li so usare”, racconta, “e per parlare di me uso la musica. Per conoscermi non serve guardare le foto che metto su Instagram o i miei tweet, basta ascoltare la mie canzoni. Per me la musica è una terapia, solo quando canto mi sento davvero sicuro, anche se in apparenza posso sembrare molto estroverso”.
Nel disco c’è spazio per tutto, senza preoccuparsi molto della censura: dagli approcci su Tinder nel singolo Pick Me Up (“siamo la società dei social, tutti usiamo le app di incontri, ma nessuno lo ammette apertamente) a Therapy, che mette invece al centro la sessualità vissuta in completa libertà con il proprio corpo; dalle storie sbagliate di Messed Up (Alessandro) (“è una storia che mi è successa davvero, Alessandro esiste, e mi ha fatto stare malissimo: più io lo cercavo, più lui si allontanava, e io mi ero ridotto a uno straccio. Quasi quasi gli scrivo e glielo dico che l’ho messo in una canzone”, scherza Osvaldo. “Tutti abbiamo avuto il nostro Alessandro nella vita”) a Cold Again, il brano che chiude il disco affrontando un tema delicato come quello della depressione: “Se ne parla sempre poco, ce ne vergogniamo. Invece affrontarlo e parlarne con qualcuno è il primo modo per sentire meno il dolore”.
Come i precedenti di lavori di Osvaldo Supino, anche Sparks è un album che nei suoni guarda molto all’estero, raccogliendo influenze urban, edm e reggaeton. Le registrazioni sono avvenute tra Miami, città a cui Osvaldo è molto legato, e Milano, mentre le collaborazioni portano i nomi di prestigiosi produttori internazionali come Scott Robinson (già al lavoro con Christina Aguilera) e Molly Moore.
Dopo le esperienze in Spagna e in America Latina degli ultimi anni, oltre alla versione inglese, dal 17 aprile l’album sarà disponibile anche in versione spagnola con il titolo Luces: “Per me è una novità. Prima avevo fatto solo degli esperimenti con alcuni brani quando ero all’estero, ed erano stati accolti molto bene. Sono cresciuto ascoltando Alejandro Sanz, cantare in spagnolo è sempre stato un sogno. Ho anche provato a incidere un brano in tedesco: forse lo pubblicherò più avanti, perché mi piacerebbe portare avanti per un po’ il progetto di Sparks. Non penso però di farlo dal vivo perché è stato difficilissimo registrarlo”.