“Give Me More Of You”, “Dammi più di te stesso”.
Pare che Madonna lo dicesse spesso ai suoi ballerini durante il tour. Voleva che da loro emergesse qualcosa che andasse al di là dell’aspetto tecnico e della bravura, voleva il lato umano, o meglio, l’espressione della personalità. “Express Yourself”, “Esprimi te stesso”, come recita un altro celeberrimo mantra che gira attorno all’universo della Ciccone. Un comandamento che pronunciato oggi, nell’anno del Signore 2016, ha un forte significato, ma che nel 1990 era ben più difficile da mettere in pratica, soprattutto se eri gay. Già, perché Madonna i suoi ballerini li sceglieva volontariamente gay, pescandoli tra i migliori in circolazione, certo, ma dovevano essere omosessuali. Tutti, tranne uno.
Proprio attorno alle storie dei sette ballerini si muove Strike A Pose, il documentario di Ester Gould e Reijer Zwaan che racconta con gli occhi di questi ragazzi il tour e i suoi retroscena, e soprattutto quello che è successo negli anni successivi.
Un tour che non era semplicemente una qualsiasi serie di concerti, bensì il Blond Ambition Tour di Madonna, vale a dire la tournée che più di tutte ha imposto un modo diverso di fare concerti alle star del pop, e quei sette ragazzi sono stati forse i ballerini più famosi al seguito di una popstar.
Il titolo, Strike A Pose, anche questo entrato nell’enciclopedia delle epigrafi “cicconiche”, è ripreso da Vogue, il singolo del 1990 accompagnato dal video forse più iconico di Madonna, ricco di citazioni cinematografiche e soprattutto zeppo di voguing, il particolare ballo di moda nell’underground omosessuale di New York in quel periodo, che tanto piacque alla cantante al punto che due dei ballerini furono assoldati proprio per la loro abilità nell’eseguirne le mosse.
Programmato dopo pochi mesi dall’uscita di Vogue, il tour fece molto discutere per i toni accesi, tra molteplici riferimenti al sesso e alla religione (tanto per dire, a Toronto Madonna rischiò addirittura l’arresto per la performance di Like A Virgin in cui simulava una scena di masturbazione). Ma il Blond Ambition non fu solo il tour più rivoluzionario di Madonna, ma anche l’occasione per schiaffare sulla faccia dell’America puritana (e del resto del globo) tematiche all’epoca off limits come l’omosessualità, l’HIV e l’uso del preservativo.
Legato al tour fu poi Truth Or Dare, arrivato in Italia con il titolo di A letto con Madonna, il documentario che raccontava i retroscena dei mesi vissuti in lungo e in largo per i concerti: protagonisti, Madonna e loro, i suoi sette ballerini, i suoi “figli”, come la Ciccone li chiamava. Con loro parlava, con loro mangiava, con loro passava del tempo tra giochi e frivolezze (la scena del bacio gay è forse la più nota e chiacchierata), raccontava se stessa e faceva raccontare a loro la favola di chi era arrivato sulla vetta del mondo pur essendo gay, in un mondo che in quegli anni non era ancora tanto disposto ad ascoltare. Ha fatto scuola quel documentario, uno dei più visti di sempre, e proprio da qui Gould e Zwaan sono partiti per narrare un’altra storia, molto meno frivola e patinata.
Perché va bene la musica, vanno bene le provocazioni, ma poi la vita “si mette in mezzo”, anche quando non è invitata e ci si devono fare i conti assieme.
Sia chiaro però: in Strike A Pose non c’è – se non in minima parte – quello scontato senso di nostalgia del passato che ci si potrebbe attendere. 26 anni dopo l’esperienza unica del Blond Ambition, i ballerini di Madonna sono diventati uomini e hanno messo in fila anni e consapevolezze. Sono cresciuti e sono andati oltre, sono sopravvissuti, tutti tranne uno, Gabriel Sue, portato via dall’HIV nel 1995 a 26 anni.
Già, l’AIDS, la grande bestia nera di chi era giovane tra gli anni ’80 e ’90 e che in questo documentario diventa uno dei grandi protagonisti. “I miei amici cadevano come mosche”, dice uno dei ballerini.
E mentre nelle strade la comunità gay iniziava a scendere in piazza a far sentire la propria voce, Madonna dal palco invitava il suo pubblico al sesso sicuro e a non nascondere nulla, HIV compreso. Ma poi, si diceva, la vita si è voluta mettere in mezzo, a volte a caro prezzo.
Oggi i leggendari ballerini del Blond Ambition sono uomini che si sono costruiti la propria vita, chi continuando con la danza, chi facendo serenamente tutt’altro, ma tutti hanno di quel periodo un ricordo sereno. Nel film entriamo nelle case e nelle vite di Luis, Oliver, Salim, Jose, Kevin e Carlton, conosciamo la madre di Gabriel, e ascoltiamo il racconto di sette vite lontane da ogni possibile immaginazione.
26 anni fa erano ballerini, oggi sono prima di tutto persone, che dopo l’incontro con Madonna hanno visto passarsi davanti molto altro. Nessun bisogno di rivalsa, pochissima nostalgia dei riflettori, ma tanta, tantissima vita da portarsi addosso.
Una vita che forse – o probabilmente – non sarebbe stata così, nelle sue gioie e tragedie, se un giorno di 26 anni fa Madonna non li avesse scelti tra le decine di aspiranti per dar vita a uno dei più grandi spettacoli che la storia del pop possa elencare.
Quello che ormai tutti hanno capito è che il Blond Ambition non sarebbe stato possibile senza l’anima di Madonna.
Quello che invece dovremmo provare a chiederci è come sarebbe stato il tour se sul palco con lei non ci fossero stati quei sette ragazzi.
Strike A Pose sarà al cinema solo per due giorni, il 5 e 6 dicembre (elenco delle sale su www.nexodigital.it)