BITS-CHAT: Partire e sentirsi a casa. Quattro chiacchiere con… Valentina Parisse
Quando incontro Valentina Parisse, lei mi accoglie con un sorriso e una delle più vigorose strette di mano che abbia mai ricevuto. Ha addosso un entusiasmo luminoso, che ti mette subito a tuo agio. “A volte ho paura di sembrare una bambina il giorno di Natale” confessa durante la chiacchierata parlando del suo lavoro, la musica. In realtà, la sensazione che comunica è quella di una ragazza che sta vivendo nella maniera più giusta le enormi occasioni che le stanno capitando, e che ha imparato a tenersi la valigia sempre pronta perché non sai mai quando potrebbe arrivare una chiamata.
Dopo essere volata in Canada nel 2011 per realizzare l’album d’esordio, Vagabond, e aver recentemente scritto per Renato Zero e Michele Zarrillo, il suo ultimo singolo, Tutto cambia, è nato sul suolo americano ed è il frutto dalla collaborazione con Tyrone Wells, Danny Larsh e Timothy Myers, ex bassista dei One Republic. Ma anche tutto il suo nuovo album, in uscita il prossimo anno, pare che respirerà aria internazionale grazie ad altre importanti collaborazioni, in una combinazione tra musica organica e sintetica.
Da dove è partito tutto?
Proprio da Tutto cambia, e dalla collaborazione con Tyrone Wells, che è il co-autore del brano. Ho ricevuto un invito per una collaborazione a Los Angeles: ho messo quattro cose in valigia e sono partita, con un grandissimo entusiasmo, ma anche tanta paura. Quando ti trovi a lavorare con personalità così grandi ti senti sempre un chicco di riso.
Quindi tu e Tyrone vi conoscevate già da prima?
No, c’era solo una conoscenza indiretta. Avevo ascoltato alcuni suoi lavori e lo stimavo molto come cantautore.
Collaborazione internazionale, ma testo in italiano, come mai?
Le canzoni nascono da sé, è difficile prevedere come si svilupperà un processo creativo, non è scientifico. Sentivo semplicemente la necessità di dire quelle cose in quel modo. Italiano e inglese sono semplicemente due possibilità comunicative, sono complementari tra loro. È come suonare la chitarra, piuttosto che il basso o il pianoforte.
Molti tuoi colleghi usano l’inglese perché li fa sentire più protetti, sentono di esporsi meno.
Per me non è del tutto così, non riesco a percepire il velo. Nel momento in scrivo mi sento già esposta e a volte sento proprio il bisogno e la voglia di espormi. Nella mia esperienza posso dire che la differenza tra italiano e inglese la sento nella scelta dei termini, ma come dicevo prima è più un discorso di possibilità che ho a disposizione: quanti tasti e quante corde ho a disposizione? Sono modi diversi di esprimersi.
Cosa significa per te oggi dire che tutto “cambia”?
Tanto. Tutto cambia è una canzone lucida, in cui ho riassunto quello che ho vissuto. Viviamo in un periodo difficile, frenetico, in una rincorsa feroce alla perfezione, in continua guerra con gli altri. Dovremmo invece concederci di sbagliare, siamo umani, e spesso sono gli errori a suggerirci di cambiare direzione.
In genere come vivi i cambiamenti?
Purtroppo non sono zen (ride, ndr). Ci sono cambiamenti che mi spaventano, anche se non ho avuto paura di cambiare casa e di andare dall’altra parte del mondo. Mi terrorizza invece lo scontro con l’altro e sono messa a dura prova dai cambiamenti personali improvvisi, quelli che non puoi prevedere e controllare. Nella canzone ho voluto proprio fotografare quel momento, quando ti ritrovi a pensare “e adesso che faccio?”.
La scelta di girare il video di Tutto cambia nel deserto del Mojave?
È stata un’occasione. Mi trovavo a Los Angeles per le sessioni in studio di registrazione e ho conosciuto Vonjako, un videomaker incredibile, un artista che riesce a mantenere uno sguardo lucido su quello che fa senza perdere un innato velo di poesia. Non mi piacciono molto i video che raccontano troppo, perché una canzone deve essere intellegibile. Il video è una possibilità in più per mostrare qualcosa che magari non emerge dal brano.
Hai la valigia sempre pronta per spostarti da una parte all’altra del mondo: cosa significa per te essere a casa?
Ci sono due luoghi fisici in cui mi sento a casa: Roma, dove sono nata e dove ci sono i miei affetti, e lo studio di registrazione. E poi mi sento a casa quando sto bene con chi ho davanti: sono molto curiosa delle persone che incontro, per me è sempre un’occasione. Ascoltando gli altri ci si ascolta molto dentro.
Oltre a Tutto cambia, in questi giorni è in uscita anche Blindfold, il nuovo singolo del progetto di Rawbach a cui preso parte (link).
Andrea Mariani (tastierista dei Negramaro, ndr) è un musicista pazzesco ed è una gioia quando si ha la possibilità di lavorare con le persone che stimi. Insomma, i Negramaro sono i Negramaro! Andrea ha pensato di coinvolgermi in questo suo progetto e io mi sono buttata: mi piace molto la musica elettronica, ma non è il mio territorio, gliel’ho detto subito, e lui si è fidato.
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
Ribellione è una parola bellissima, non senti che bel suono che ha? È fondamentale la ribellione, senza essere aggressivi: vuol dire non accettare le cose per come è più facile che siano, cimentarsi, mettersi in gioco per cambiare quello che non piace, mettersi in discussione. È una parola strepitosa.