BITS-RECE: [lessness], The Night Has Gone To War EP. Dolce, tremenda notte

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
Thenighthasgonetowarep_cover
Vi è mai capitato di trovarvi a camminare soli, di notte? No, non andate subito a pensare a lupi mannari, fantasmi o banditi: pensate piuttosto alla pace che potreste – o forse avete trovato – immersi nel silenzio e nella luce lunare. Solo voi e la luna, forse minacciosa, forse indifferente, forse confidente immobile dei vostri pensieri, che di notte di solito si spogliano di tutte le menzogne e diventano nudi e sinceri.
Ecco, il nuovo progetto di [lessness], The Night Has Gone To War, alla notte deve tutto, perché di notte è stato concepito. Dietro c’è Luigi Segnana, ex membro della Casa del mirto, che per il nuovo progetto ha preso in prestito uno pseudonimo dall’opera di Beckett, scegliendo un termine che tradotto in italiano suonerebbe qualcosa tipo “senza”, a indicare un senso di vuoto e di smarrimento.
Un disco vestito di notte, nato in sette notti dell’inverno trentino e musicalmente figlio di quel synthpop fluido e affascinante che tanta fortuna ha avuto negli anni ’80.
C’è tanta oscurità in queste sette tracce, tanto tormento, tanta tempesta emotiva, perché per [lessness] la notte è proprio questo, il luogo dell’inquieto, il fondo dell’abisso dell’animo, il punto in cui ogni istinto vitale si ferma. Ma nello stesso tempo, è anche l’unico passaggio obbligato per tornare a vedere l’alba.
Se scrivere è per l’artista un atto di catarsi, allora lo è anche affrontare il buio e il freddo di una notte tremenda.
_lsns_06
Quella di [lessness] è una notte che parte per la guerra, ma per quanto la battaglia possa essere lunga e dura la luce tornerà, e anche la notte avrà un volto più amico.
La dichiarazione di speranza arriva subito all’inizio, con Cwtch, pezzo se non proprio rassicurante almeno più luminoso del resto dell’EP: il testo recita “There’s A Fire That Burns In The Deepest Night”.
E non sembra un caso che proprio questo brano sia stato piazzato in apertura, quasi a segnare un promemoria prima di ripiombare in ogni nuovo circolo di oscurità: notti tremende che si fanno annunciare, avvolgono ogni cosa con il loro manto nerissimo, ma devono poi arrendersi a una nuova, immancabile alba.
Mentre la luna resta lassù, ascoltatrice silenziosa, “la notte curerà il nostro dolore”.

La badante: chi è il gruppo che ha portato Aldo Busi in un videoclip?

unnamed (3)
Chi si celi dietro a La badante è al momento un mistero.

Quel che è certo è che per il loro singolo d’esordio, Parole d’amore, sono riusciti a convincere uno come Aldo Busi a prestare volto e movenze per il video, in cui il fumantino scrittore si cimenta addirittura in un convincente lip sync.
Ma Busi non è il solo volto noto che gira attorno al progetto di La badante: all’inizio del video è infatti l’iconica Mara Maionchi a chiarire direttamente al cantante in una telefonata tra il serio e il faceto il motivo che spingerebbe un artista a nascondere la propria immagine.
Parole d’amore farà parte di un album, L’amore è una cosa borghese, in arrivo prossimamente: conterrà otto tracce, con riadattamenti di canzoni dei Fangoria, un duo di synth-pop conosciutissimo in Spagna e attivo dalla fine degli anni Ottanta, ma quasi del tutto sconosciuto qui in Italia.
A questo punto, non resta che aspettare nuovi sviluppi….

#MUSICANUOVA: Osvaldo Supino, Fire

Quando il synth-pop si fa incandescente.
Potrebbe essere questo il sottotitolo di Fire, l’ultimo singolo di Osvaldo Supino, secondo estratto dall’album Resolution.
osvaldosupino_fire4 (1)
Il brano è stato firmato insieme a Charlie Mason, già al lavoro con Miley Cyrus, e conferma il profilo internazionale di Osvaldo Supino, uno degli artisti indipendenti più audaci del panorama italiano.

BITS-RECE: Emmecosta, Velour EP. Velluto scandinavo

BITS-RECE: radiografia emozionale di un fisco in una manciata di bit.
Emmecosta_VelourEP_cover-800x800 (1)
Positano e Göteborg. L’ultimo lavoro degli Emmecosta si muove lungo questa traiettoria a senso unico, in un percorso lungo quattro brani, quelli di Velour, ultimo EP della band italiana ma ormai svedese di base.
Tenui ambientazioni di synth-pop e suggestioni sognanti fanno da padrone in questo lavoro che sembra respirare la tipica quiete di una mattinata nordica, ai confini di una grande foresta o sulle sponde di lago nebbioso.
emmecostaselfieruined (1)

Se i caldi elementi mediterranei emergono come riflessi di malinconia, l’anima del gruppo è nutrita soprattutto dallo spirito del nord, è lì che vive ed è lì che si muove a suo agio.
Il gruppo spiega il significato di Velour come “la sensazione di desiderio incrollabile per un posto dove non siamo mai stati… una voglia di terra lontana o di una profonda sensazione di “nostalgia” per un posto che non abbiamo mai visto… Attraversiamo una strana sensazione di disorientamento, qualcosa di magico visto da lontano.”
Da dizionario invece, il velour è un tessuto felpato, simile al velluto. Ecco, la musica degli Emmecosta è esattamente questo.

BITS-RECE: Arcade Fire, Everything Now. Come se gli ABBA facessero indie

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
album-cover-day-137056851
Se un compito di un artista è quello di sorprendere e cogliere in contropiede, gli Arcade Fire hanno fatto un ottimo lavoro. Parlando dell’ultimo album della band canadese, Everything Now, non c’è infatti recensione che non si soffermi – in maniera più o meno scomposta – sulla virata sonora dei nuovi brani.
Da eroi dell’indie-rock a nuove stelle del dancefloor, questo è il riassunto generale del giudizio della “critica”, dopodiché i pareri si dividono tra quanti inorridiscono come alla vista dell’Anticristo e quanti affermano che non è poi così malaccio. Nessuno o quasi però sembra fare salti di gioia, segno che forse la sterzata è stata un po’ troppo brusca e ardita oltre misura.
In effetti, ciò che colpisce di Everything Now sono le bordate elettroniche che riversa addosso, i tappeti di sintetizzatori, tutta quella valangata di memorie di anni ’70 e ’80 che saltano fuori da ogni accordo senza possibilità di controllo.
Un situazione che si spiega bene se si leggono i crediti del disco, dove alla voce produzione compare anche il nome di Thomas Bagaalter, cioè una delle due metà dei Daft Punk.
Ci sono echi fin troppi spudorati degli ABBA (il paragone lo hanno fatto tutti, ed è in effetti impossibile da ignorare), omaggi alla disco music, melodie ipnotiche di synthpop che sembrano prese in prestito direttamente dall’epoca di Moroder.
Si balla, si canta, e si trova anche il tempo di scherzare un po’ su questa bislacca società tutta concentrata sui social e sull’autopromozione.
afguyaroch
Se poi sia stata una scelta davvero così disgraziata non saprei dire: a me basta ascoltare la titletrack (prima e seconda parte) o Put Your Money On Me (il vero pezzone da salvare in playlist) per sapere che questo album è molto più onesto di tanta altra roba seriosamente indie.

BITS-RECE: Christaux, Ecstasy. Tra inferno e paradiso

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
kdifcanjmeogleaa

Magniloquenza, dramma, desolazione, liturgia. Termini che possono forse suonare un po’ in contrasto e dissociati, ma che sono tutti necessari per descrivere Ecstasy, il primo lavoro di Christaux, ovvero Clod, ovvero una delle due metà degli Iori’s Eyes.
Tra il pop e un’elettronica memore degli anni ’80, il ragazzo propone un lavoro barocco, a tratti allucinato, che descrive con le melodie paesaggi tragici, malinconici, disperati.
Si respira un clima di riflessione solitaria, quasi una meditazione ascetica, una celebrazione profana e solenne.
Non è forse un caso la scelta del nome, così come quell’immagine di copertina in odore di santità e martirio.
jefdhooonopeepbp (2)
Il percorso interiore e sonoro delineato da Christaux parte da un capitolo maestoso come An Ode To The Beast, per poi sviscerarsi tra inni notturni e solitari, esalazioni musicali al benzoino e immersioni in acque torbide. Se Surreal tocca l’apice emozionale del disco, all’ipnotica e sulfurea Spazio HD spettano le uniche, visionarie liriche in lingua madre.
È l’estasi secondo Christaux, la sua via di liberazione.

Se Carla Bruni rifà i Depeche Mode, ovvero la cover che non ti aspetti

Carla Bruni

Nelle vesti di cantante, l’abbiamo conosciuta mentre imbracciava una chitarra e sussurrava melodie poco più che recitate. Dovendola pensare alle prese con delle cover, mai verrebbe in mente un pezzo come Enjoy The Silence.
E invece Carla Bruni fa la mossa che non ti aspetti e rimette mano al classico dei Depeche Mode, una delle colonne del synthpop degli anni ’80, universo musicalmente lontanissimo da quello dell’ex top model.
L’occasione è quella di anticipare French Touch, il suo quinto album, in arrivo il 6 ottobre: una raccolta di cover in lingua inglese prodotta nientemenoche da David Foster.

Se già la notizia che Carla Bruni rifà Dave Gahan è sorprendente, ancora di più lo è sapere che il suo tentativo è riuscito bene. Perché Enjoy The Silence è una di quelle canzoni talmente immortali che pensare di riproporle è un azzardo, un po’ per il confronto con l’originale, un po’ per la difficoltà di trovarne una nuova chiave personale convincente.
Carla Bruni opta per un approccio minimale, fatto solo di voce e chitarra, trasformando il brano in un’intima confidenza, merito forse di quel “french touch” che dà il titolo all’intero progetto. E funziona.

Oltre ai Depeche Mode, nel nuovo album sembra che ci sarà posto anche per rivisitazioni di ABBA (The Winner Takes It All), Rolling Stones (Miss You) e Clash (Jimmy Jazz).

BITS-RECE: Udde, The Familiar Stranger. Una notte bellissima

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
17626380_1335501209844050_6520965824148320215_n

Non lasciatevi ingannare dalle atmosfere nerissime dei suoi suoni. The Familiar Stranger è un disco dall’anima pop. E a dirlo è il suo creatore, Udde.
Dopo la pubblicazione dell’EP Fog nel 2012, lui il disco ce l’aveva già pronto un paio di anni fa, ma ha deciso di buttare via tutto quello che aveva fatto fino a quel momento e ricominciare con qualcosa che lo soddisfacesse veramente. Questo qualcosa è proprio a The Familiar Stranger.
Un disco pop, si diceva, anche se nei suoni sembrerebbe più rimandare a quell’universo peccaminoso e affascinante che è il synth/dark, o come volete chiamarlo, degli anni ’80, dove i sintetizzatori trionfano come veri oscuri signori dai nerissimi mantelli. E in effetti, tutto questo in The Familiar Stranger c’è, bellissimo e imperiale. Poi se andiamo a guardare i testi ecco che si sentono storie di vita di provincia, vicini di casa, bar, emigrati in Germania.
Racconti tra il pop e il cantautorato, arricchiti da qualche nota di sarcasmo. D’altronde, come dice sempre Udde, il grande vantaggio del pop è proprio quello di lasciare piena libertà ai suoi autori.
Una panoramica notturna di 11 brani per certi aspetti inedita, in cui le tenebre concedono qualche sorriso.
Su tutto, la voce di Udde è cupa, cavernosa, seducente, insomma, meravigliosa.

Vök: ad aprile il nuovo album tra elettronica notturna e downtempo

Dopo gli EP Tension (2013) e Circle (2015), gli islandesi Vök preparano l’arrivo della prima full release. La band fondata a  Reykjavík dalla cantante Margrét Rán e dal sassofonista Andri Már rilascerà infatti l’album Figure il 28 aprile: un disco in cui dove il pop elettronico si mescola a frequenze distorte, melodie quasi sussurrate e una voce raffinata ed elegante.
41FHRyVekxL._SY300_QL70_

Figure è una parola il cui significato muta in base ai diversi contesti di utilizzo: può significare “comprendere qualcosa”, ma anche far riferimento ad una figura nel buio, un corpo, una forma. Molti gli elementi che hanno ispirato la scrittura dell’album, dalla discografia di band come The Weekend e Little Dragon al cinema sci-fi, coprendo così un intero spettro di suoni e sensazioni.

“Rabbia, ossessione, negligenza, morte, amore, felicità e speranza: la parola figure può rappresentare tante cose diverse. Così è per l’album”, afferma Margrét.
Ad anticiparlo, il singolo Show Me, il cui video è stato girato alla fine del 2016, uno dei periodi più bui dell’inverno islandese.

Depeche Mode: sono arrivati i remix di Where's The Revolution

E’ stato pubblicato il cd maxi-single con 4 versioni remixate di Where’s The Revolution, ultimo singolo dei  Depeche Mode.
A rimescolare i suoni sintetici della band sono Ewan Pearson, Algiers, Terence Fixmer Autolux, che ne hanno tirato fuori 4 versioni da club grondanti di beat e sintetizzatori tra avanguardia, french techno e i richiami ’80, alcuni delle quali piuttosto oscure.
Il 28 aprile uscirà inoltre una speciale edizione in doppio LP con 9 tracce .
Spirit, il nuovo album, è atteso per il 17 marzo.