Brasil: il lungo viaggio di Mario Biondi tra samba, bossa nova e funk

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Brasile: samba e bossa nova. Sì, ma non solo. Perché il Brasile ha un cuore grande, e tra le sue latitudini tropicali nasconde molte facce, molti profumi e molti suoni. Mario Biondi doveva saperlo molto bene, e ha raccolto le diverse anime brasiliane in un album che si potrebbe quasi definire tematico: Brasil.

D’altronde l’artista catanese non ha mai nascosto il suo amore per questo Paese, patria di molti artisti che hanno dato l’imprinting alle sue ispirazioni, e negli ultimi anni si è messo al lavoro per dar forma a un progetto che raccontasse il Brasile oltre ai luoghi comuni e alla superficie.
Ciò che ne è venuto fuori è un album di inediti e grandi classici rivisitati, anzi, biondizzati: un lavoro rifinito direttamente in loco, a Rio de Janeiro, e nel quale Biondi è stato affiancato da due fuoriclasse come Mario Caldato e Kassin, che ne hanno curato la produzione.
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Rispetto al soul e al blues con cui eravamo abituati ad ascoltarlo, qui Mario Biondi non si è snaturato, ma ha portato il suo mondo nelle atmosfere della samba, della bossa nova e del funk. Anzi, è tornato indietro e recuperare i ricordi del passato.
In Brasil c’è, naturalmente, Rivederti, il brano presentato all’ultimo Sanremo e riproposto anche nella versione in duetto con Ana Carolina e Daniel Jobim; c’è la solare rivisitazione di Felicitade di Seu Jorge; ci sono gli incontri di elettronica e uptempo di Devotion; c’è il funk di On The Moon, ma anche la reinterpretazione di Jardin d’hiver di Henri Salvador o un superclassicone brasiliano come Luiza di Tom Jobim, registrata in presa diretta. E c’è poi una sorpresa, un brano che nella versione originale ben poco ha a che fare con il Brasile, ma che trova qui la giusta veste per prendervi posto: si tratta di Smooth Operator, uno dei più celebri successi di Sade, che fa mascolare bossa nova e spunti elettronici.
Per Mario Biondi, Brasil rappresenta un incontro con certe nostalgie del passato, un modo per riallacciarsi ad Al Jarreau o Djavan. Un viaggio non solo metaforico e sonoro, dal momento che il progetto dell’album è partito da Parma, per approdare a Rio.
Un disco coloratissimo, fatto soprattutto di uptempo e privo di saudade, cantato in inglese, francese, portoghese e italiano, e che nei prossimi mesi tornerà a viaggiare per il mondo: il 23 marzo infatti, uscirà anche all’estero in diversi paesi, tra cui Inghilterra, Francia, Giappone e, naturalmente, Brasile.

Per il 17 e il 20 maggio sono già fissate le prime due date dal vivo, rispettivamente al PalaLottomatica di Roma e al Mediolanum Forum di Milano: sul palco troveranno spazio numerosi strumenti vintage, mentre anche i brani del passato saranno “rivestiti di Brasile” per adattarsi al nuovo spettacolo.
Il 5 luglio infine, Mario Biondi partirà per una serie di date all’estero, che lo vedranno impegnato a Londra, Manchester, Newcastle, Glasgow ed Edimburgo.

L’elettro-soul di Nakhane tra emancipazione e guerre spirituali

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“Una notte, sognai una voce  che mi diede una data, quella della mia morte. Non ho intenzione di rivelarla, ma all’improvviso, avendo sempre vissuto nella paura della punizione divina, ero certo che non sarei morto il giorno dopo, o anche dieci anni dopo. È stato incredibilmente liberatorio. Ho deciso di recuperare il tempo perduto, di vivere finalmente la mia vita.”
E’ partito così il lavoro del secondo secondo album di Nakhane, You Will Not Die, in uscita il prossimo 16 marzo.

Nonostante la sua giovane età, Nakhane ha alle spalle storia fatta di accettazione e autoaccettazione, lotta per l’emancipazione e lotte spirituali. Nato ad Alice da una famiglia  Xhosa (il secondo gruppo etnico per grandezza in Sud Africa, dopo lo Zulu) e cresciuto a Port Elizabeth, ha rinunciato alla fede cristiana per accettare se stesso e il giudizio degli altri: “Quando ero cristiano e pregavo Dio tutti i giorni, provavo solo odio per me stesso. Ogni giorno della mia vita, facevo tutto il possibile per essere come gli altri, per essere eterosessuale. Ero persino convinto che sarei stato in grado di “guarire” la mia omosessualità. Vivevo nella costante paura; controllavo me stesso in ogni momento.”
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Questo bisogno di autoaffermazione si è quindi riversato nel suo secondi disco, in cui Nakhane ha ricercato suoni più audaci, passando dalla chitarra acustica al pianoforte e scrivendo utilizzando computer e sintetizzatori senza perdersi però nelle infinite possibilità offerte dall’elettronica: “Sapevo di volere dei suoni elettronici. A Johannesburg, senti molti artisti suonare in acustico solo per sembrare più “autentici”, ma non funziona. I suoni dei gay club techno sono molto più veri per me.”
Ciò che ne è venuto fuori è un disco elettro-soul sperimentale e sensuale, in cui non mancano le influenze africane: c’è la bellezza quasi liturgica di Violent Measures, con le sue armonie fraterne e i vocals cristallini; c’è l’insistenza elettrizzante in levare di Clairvoyant; il languore sensuale e spirituale di Presbyteria, dove Nakhane descrive la prima chiesa in cui si è recato, ad Alice; o l’atmosfera magica e oppressiva di The Dead con le sue chitarre blues e le sue misteriose armonie, dove Nakhane menziona i suoi antenati Xhosa. In Star Red Nakhane rende anche omaggio a sua nonna (“una ribelle alla sua religione, fu una delle prime persone a dirmi di vivere la mia vita come mi pareva opportuno”).

Sembra quindi naturale che un artista così nomini influenze eclettiche che dai musical americani, spaziano a Marvin Gaye, Nina Simone, Ahnoni, David Bowie, ma anche Busi Mhlongo, Simphiwe Dana, Mbongwana Star, TkZee.

ASPETTANDOSANREMO: Dopo il ballo, il soul. Quattro chiacchiere con… Leonardo Monteiro

La musica l’ha avuta in casa fin da bambino, visto che è figlio di due ballerini brasiliani, e a lungo l’ha coltivata nel canto e nel ballo. A soli 28 anni, Leonardo Monteiro vanta infatti un curriculum di tutto rispetto, con esperienze Italia e all’estero: tra queste, la formazione alla Scala di Milano, il lavoro con Gheorghe Iancu allo Sferisterio di Macerata, e nel 2008 partecipazione ad Amici, il talent di Maria De Filippi, dove occupava uno dei banchi della classe di ballo.
Dopo essersi aggiudicato la finale di Area Sanremo, tra pochi giorni lo ritroveremo sul palco dell’Ariston, in gara tra le Nuove proposte con Bianca, un pezzo dalla influenze soul che parla della fine di una storia d’amore per un tradimento. Autore della musica è Vladi Tosetto, che nel ’95 aveva messo le mani anche su Come saprei di Giorgia. 
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Perché la scelta di andare a Sanremo con Bianca?

Lo abbiamo scelto durante i provini, dopo aver ascoltato un po’ di proposte, e Bianca è sembrata la canzone più adatta. Ci tenevo molto a presentarmi con un brano che rappresentasse bene il mio mondo, e le atmosfere soul e gospel di Bianca rispecchiano le mie influenze.
Ti abbiamo conosciuto qualche anno fa ad Amici come ballerino, oggi ti ritroviamo come cantante: cos’è successo in questo periodo?
Ho sempre amato il canto, fin da quando studiavo danza alla Scala: cantavo e facevo il ballerino. Poi sono andato a studiare a New York, e mi sono reso conto che con la danza ero arrivato al massimo di ciò che potevo desiderare e ho iniziato a studiare canto seriamente, avvicinandomi al gospel. Quando sono tornato in Italia ho proseguito con lo studio della musica.
E sei anche arrivato ad insegnare…
Sì, per qualche anno ho insegnato canto alla scuola Cluster di Milano, gestita da Vicky Schaetzinger, che per anni è stata la pianista di Milva. Mi ha dato tantissimo, sia come donna che come insegnante: sono stato prima suo allievo, poi abbiamo suonato insieme tre ani all’Armani Bamboo Bar, dove lei mi accompagnava al pianoforte, e in seguito sono diventato insegnante della scuola. Avevo già insegnato danza, ma insegnare canto è diverso, ed è una soddisfazione vedere che quello che fai arriva agli allievi.
Oggi come vedi il tuo futuro, più vicino al canto o al ballo?
Sicuramente più vicino alla musica. Come dicevo prima, con il ballo ho ottenuto il massimo di quelle che potevano essere le mie ambizioni e le mie soddisfazioni: ho fatto esperienze bellissime, ho lavorato con il Complexion Contemporary Ballet, il Collective Body Dance Lab, ho fatto degli stage a Broadway, ma a un certo punto ho sentito che mi mancava avere davanti un pubblico che mi conoscesse, mi mancavano gli affetti di casa, e ho deciso di tornare.
A un’esperienza nel musical non pensi?
Sono sincero, i musical non mi entusiasmano molto, preferisco vederli da spettatore. Piuttosto, per unire musica e danza, penso a qualche esperienza con i videoclip.
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Quali sono gli artisti che ti hanno maggiormente influenzato?
Quando ero più giovane ho ascoltato molto Stevie Wonder, Giorgia, che ha segnato a lungo la mia vita, Michael Jackson.
Hai già un album in preparazione?
Ho scelto alcuni pezzi e sto registrando: il disco uscirà dopo Sanremo. Abbiamo scelto di mantenere la stessa impronta stilistica di Bianca, anche se non mi tirerò assolutamente indietro se ci sarà la possibilità di spaziare.
Pensando a Sanremo, come ti auguri di viverlo e cosa invece vorresti evitare?
Semplicemente, visto che si parla di un palco così importante, vorrei lasciare un bel ricordo, al di là di come andrò la gara, e possibilmente vorrei evitare di steccare!
 

Deeper, ad aprile il nuovo album di Lisa Stansfield

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Groove, funk, soul.
Con queste tre parole è stato descritto Everything, il singolo che anticipa Deeper, il nuovo album di Lisa Stansfield, l’ottavo della carriera, in arrivo il prossimo 6 aprile, a cui l’artista ha lavorato anche nel ruolo di produttrice esecutiva.
 

Questa la tracklist:
Everything
Twisted
Desire
Billionaire
Coming Up For Air
Love Of My Life
Never Ever
Hercules
Hole In My Heart
Just Can’t Help Myself
Deeper
Butterflies
Ghetto Heaven

BITS-RECE: Paloma Faith, The Architect. Soul e politica

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
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Quello che trovo profondamente affascinante in Paloma Faith è la sua teatralità innata, una componente quasi melodrammatica che esce dalla sua voce, dalle sue immagini, dalla sua recitazione (sì, è anche attrice).
Anche in The Architect, suo ultimo lavoro, la si può osservare: un disco soul maestoso, orchestrale, a tratti barocco e con diversi tratti elettronici, che per la prima volta nella carriera dell’artista acquista anche caratteri politici e sociali.
L'”architetto” del titolo è infatti Madre Natura, e nei suoi nuovi brani la cantante sviluppa tematiche come la guerra, i rifugiati, la Brexit, il futuro, persino la sanità.
Temi con cui Paloma, cittadina britannica e da poco madre, si è trovata a convivere direttamente. Uno dei brani, Lost And Lonely, racconta il mondo addirittura dal punto di vista di uno scheletro, in una prospettiva ben poco rassicurante per il futuro.
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Tante le collaborazioni, da Sia, autrice di Warrior, al duetto con John Legend in I’ll Be Gentle, fino ai due discorsi politici pronunciati da Samuel L. Jackson in Evolution, e Owen Jones in Politics Of Hope.

Il Natale malinconico e felice di Sergio Sylvestre

Il Natale di Sergio Sylvestre sa prima di tutto di famiglia. E quello di quest’anno sarà in qualche modo diverso dagli altri perché sarà il primo senza suo padre.
Inevitabile quindi pensare che il clima delle feste porti con sé anche un velo di malinconia, come del resto accade a molti di noi, riscaldato però dall’impegno a essere felice.
Proprio quest’anno Sergio celebra il Natale con un album in tema, e trattandosi del “Big Boy” non poteva che essere un Big Christmas.
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Un disco che si muove nel solco della tradizione senza effetti speciali, con i classici natalizi e qualche sorpresina infilata qua e là, con un’intensa versione di Hallelujah e una delle più convincenti interpretazioni di I Will Follow Him, brano reso celeberrimo da Sister Act, che si siano sentite in giro ultimamente. O ancora Over The Rainbow, che con il Natale non ci ha molto a che vedere, ma che si prende posto molto agevolmente tra le tonalità avvolgenti del resto dell’album.
Immaginate tre fratellini scalmanati
che non vedono l’ora di scartare i loro regali.
Immaginate un papà haitiano entusiasta,
coloratissimo tutto l’anno, che a Natale
manifesta il massimo della sua euforia.
Immaginate una mamma messicana
fortemente legata alle tradizioni religiose.
Questo è il Natale della mia famiglia: un ’esperienza
così intensa da andare oltre ogni immaginazione.
Il Natale è sempre stato per me una buona occasione
per star bene, per essere felice e per rendere
felice chi amo davvero.
Questo è il mio modo per rendere speciale
il Natale anche quest’anno.
Il primo Natale senza mio padre ma anche
il primo Natale in cui farò tesoro
del suo consiglio più importante: essere felice!
Sergio
 

Back To The Future: i Soul System presentano la loro libera repubblica dei whiteniggas

I Soul System tornano al futuro, Back To The Future, come dichiara apertamente il titolo del loro primo album omaggiando la pellicola di Robert Zemeckis. Il riferimento è nella musica che riempie le 11 tracce del disco: soul, funk, dance, reggaeton, pop, tutto miscelato con echi del passato e rivisitato con i suoni di oggi.
Un album coloratissimo, una festa in musica dalla prima all’ultima nota che fa delle differenze e della varietà un punto di forza, proprio come hanno deciso di fare i cinque ragazzi.
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Tutti di origine ghanese, ad accezione dell’italiano Alberto, e cresciuti tra Verona e Brescia, i Soul System parlano di sé come di una grande democrazia, in cui ognuno svolge un ruolo ben definito e il contributo di tutti serve per la buona riuscita del progetto.
Dopo essersi fatti le ossa con un po’ di date dal vivo e dopo la vittoria all’ultima edizione di X Factor, hanno iniziato a mettere mano al progetto del disco, arrivando ad avere tra le mani più di 20 tracce, per poi scremare eliminando tutto ciò che poteva apparire troppo azzardato a livello di contaminazione: “Non abbiamo potuto fare tutto quello che avremmo voluto, certe cose erano davvero troppo avanti e troppo alternative, per cui ci siamo affidati al nostro produttore, Antonio Filippelli, che ci seguiva già a X Factor, e che è in grado di far stare il nostro suono nel bacino commerciale senza però toglierci l’identità. Ci stiamo costruendo poco per volta e adesso era essenziale proporre al pubblico qualcosa di immediato e che facesse venir voglia di ballare. I conti con mercato discografico vanno fatti”, confessa Leslie, l’anima rap della compagnia.
I riferimenti al passato si colgono immediatamente nel singolo Liquido, che riprende il nome della band tedesca che nel 1999 è arrivata al successo internazionale con Narcotic, di cui la canzone riprende la melodia; ma echi leggendari si ascoltano anche in Single Lady, che va invece ancora più indietro nel tempo fino a What Is Love, successone dance di Haddaway dei primi anni ’90.
È infatti soprattutto dal bacino sonoro degli anni ’80 e ’90 che hanno pescato i Soul System, dalla musica che ascoltavano sui vinili i loro genitori e dalla musica che hanno ascoltato loro sulle cassette quando erano piccoli, fino a Michael Jackson, James Browne, Earth, Wind & Fire, il gospel. Un salto nel tempo di almeno un ventennio, che oltre a marcare una profonda differenza stilistica mostra anche un diverso approccio alla musica: “Prima si stava in studio di registrazione per delle ore prima di arrivare ad avere la base di un brano, si provavano e riprovavano le sequenze di percussioni, oggi la tecnologia permette di accelerare i tempi”, dice Joel. “Oggi poi è tutto molto più contaminato, basta pensare che Drake ha fatto un album intero con i campionamenti. Bisogna star dietro a questi cambiamenti per non risultare vecchi”, gli fa eco David.
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Back To The Future è un omaggio al glorioso passato, ma nello stesso tempo è un manifesto di ciò che è il gruppo oggi. Anche per questo non sono stati coinvolti ospiti, per lasciare alla band tutto lo spazio di agire in libertà e fare in modo che al centro dell’album ci fossero solo i Soul System.
Tra le parole d’ordine pronunciate con più frequenza dai membri della band ci sono naturalmente beat, groove, flow, funky. E swagga, ormai slogan abituale del gruppo. E poi c’è un titolo, Whiteniggas, ovvero “negri bianchi”: un manifesto della filosofia del gruppo, un messaggio di uguaglianza e nello stesso tempo un invito a sfruttare le differenze. Se la musica è bella, lo è dappertutto e lo è senza distinzione di colori, pur essendo pienissima di colori. E chi potrebbe spiegarlo meglio di loro, quasi tutti africani che sono cresciuti in Italia e che cantano in inglese? Ecco perché siamo tutti whiteniggas.
Ma c’è ancora qualche frangente musicale su cui i Soul System non hanno ancora messo le mani? E’ Don Jiggy a parlare: “Già in questo primo album abbiamo toccato parecchi generi, ma forse non ci siamo addentrati molto nel reggae: lo abbiamo sempre fatto dal vivo, ma nei brani ne abbiamo messo poco, anche perché oggi il reggae si è evoluto nel reggaeton e nell’afrobeat”.
Evoluzione, varietà, fusione: è questa la democrazia dei Soul System.

BITS-RECE: Kesha, Rainbow. Il suono di una nuova libertà

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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C’era una volta Ke$ha, quella che scriveva il suo nome mettendo il simbolo del dollaro al posto della S, quella che si copriva di glitter e vernici colorate sul corpo, quella che scalava le classifiche mondiali a suon di elettropop scanzonato e pestifero. Poi a un tratto tutto questo non c’è più stato: basta riflettori, basta luccichio, basta musica. Kesha è scomparsa, fagocitata nel silenzio da una brutta storia di violenze fisiche e psicologiche subite dal produttore Dr. Luke, a cui è seguita una crisi depressiva, un ricovero in rehab per disturbi alimentari e una lunga trafila legale per svincolarsi dagli obblighi che la tenevano legata al suo persecutore.

Sono serviti anni, ma oggi Kesha è tornata.
Il simbolo del dollaro nel nome non c’è più, i glitter neppure, i suoni elettronici molto meno, ma i colori sì, quelli ci sono tutti. Anzi, ce ne sono se possibile più di prima, perché dopo la brutta tempesta è comparso un arcobaleno. Rainbow, appunto, come il titolo di questo terzo album.
Il disco del ritorno, professionale certo, ma soprattutto umano.
Dal pop sporco e disubbidiente, Kesha si è spostata sul country, sul soul, sul funky, recidendo quasi del tutto ciò che è stato. I testi dei nuovi brani grondano di autoaffermazione, amore di sé (Praying, Hymn), guerra ai fantasmi e ai bastardi di ieri (Bastards), orgoglio femminile (Woman), e la speranza non è più un mezzo per sopravvivere in apnea, ma viene celebrata essa stessa come un traguardo, perché già arrivare a sperare è la prima vittoria.
La miglior manifestazione di questo messaggio è nell’intro del video di Praying, il primo, intensissimo singolo, la canzone della rinascita. Un moderno mito della Fenice, una dichiarazione di orgoglio sotto tutti i punti di vista.
Spiazzanti poi le collaborazioni, che vedono schierati i rockettari Eagles Of Dead Metal, i campioni del funky Dap-Kings Horns e Dolly Parton, la signora del country.
Un disco sorprendente per la sterzata stilistica e generoso nelle tinte sonore, che potrebbe lasciare parecchio interdetti i fan della Kesha di tempi di Tik Tok e Die Young. Un album pieno di potenziali inni e manifesti di libertà, ma privo di pezzi spaccaclassifica.

Poche volte una storia personale si riversa in musica in maniera tanto limpida e sincera come in questo album, senza sovrastrutture retoriche e sensazionalismi mediatici, e almeno per una volta senza tirare in ballo lacrimevoli amori frantumati.

Ma al di là del rock, dell’R&B, del country e del funky, dentro a Rainbow c’è qualcosa di molto più potente: il suono di una ritrovata libertà.

Aba: arriva Oxygen, il nuovo album tra rock, soul e blues

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“Dopo la mia esperienza ad X Factor, un frullatore di emozioni dal quale ho tratto solo cose belle, non volevo gettarmi immediatamente in un progetto discografico per cavalcare l’onda della notorietà – dichiara Aba – ho preferito lasciar sedimentare le emozioni per produrre un disco pensato, cucito su di me, che parlasse di me e con il quale poter parlare”.
Finalista ad X Factor nel 2013 sotto la guida di Elio, Aba sta per tornare con un nuovo album, Oxygen, in arrivo il 14 luglio.

Tredici brani tra rock, funk, soul e blues.
L’uscita del disco è stata anticipata da Never Done Before che, in continuità con Get Me High del 2016, riprende il filone del funk rock anni Settanta, “un inno all’amore libero”, che implora l’accettazione totale dell’altro, come ben mostra il video che accompagna la canzone.
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Oxygen raccoglie tanta vita di Aba, ci sono “traumi, sofferenze e dolori, gioie, sentimenti di stomaco, filosofia di vita, ma anche qualcosa di più leggero e orecchiabile, un bel ritmo, e meno pensieri. Sguardi sulla vita di una ragazza determinata, sensibile, forte quando neanche sa di esserlo, passionale, complicata, ma semplice nella ricerca delle emozioni quotidiane. In un ambiente che pensa prima all’immagine e poi alla musica, questo disco rappresenta per me la mia vera espressione, una boccata d’ossigeno”.

L’album è stato finanziato attraverso Musicraiser, la piattaforma di crowdfunding per i musicisti, dove Aba ha attivato la campagna che, in pochi mesi, ha raggiunto il 170% dell’obiettivo.

Aba presenterà al pubblico il nuovo lavoro in alcuni appuntamenti live.
Questi i primi appuntamenti:
21 luglioPadova (Firmacopie e mini-live presso il Mondadori Store, ore 18.00)
10 agostoSpinone al Lago ( Aba & band al festival “Notte sotto le Stelle”, ore 21.00)
17 agostoJesolo (Aba & band al Terrazza Mare, ore 21.00)
18 agostoCamponogara (Aba & band in Piazza Mazzini, ore 21.00)

Praying: Kesha è finalmente, davvero tornata!

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Brillare, sprofondare, quasi morire per poi risorgere. È stata questa la storia di Kesha.

Le sue vicende legali e personali sono finite sulle pagine di tutti i giornali, oltre che in tribunale: per anni l’artista non ha potuto pubblicare nuova musica a causa di vincoli burocratici che la legavano all’ex produttore Dr. Luke, da cui l’artista voleva allontanarsi dopo aver subito violenze sessuali e psicologiche.
Dopo lunghe traversie legali e periodi trascorsi in cliniche di rehab a causa della depressione, la vicenda si è finalmente risolta e Kesha ha potuto far ritorno alla musica.
Il come back ufficiale lo fa ora Praying. Messo (momentaneamente?) da parte l’elettropop glitterato che l’aveva fatta conoscere al pubblico, Kesha si ripresenta con un brano dalle influenze orchestrali e quasi soul, che vede anche la firma di Ryan Lewis.
Ad accompagnare il singolo, un video diretto da Jonas Akerlund che riassume il significato di questo brano e di questo ritorno dopo il lungo periodo buio.
Kesha ha inoltre spiegato il senso profondo del nuovo singolo e del suo messaggio in una lettera pubblicata sul sito Lenny Letter.

L’11 agosto è invece prevista l’uscita in digitale di Rainbow, il nuovo album, a cinque dal precedente Warrior. Trai nomi coinvolti, i Dap-Kings, che suoneranno i fiati nella title track, gli Eagles Of Death Metal e Dolly Parton, che rilegge assieme a Kesha Old Flames Can’t Hold A Candle To You, successo country degli anni ’80 alla cui scrittura aveva preso parte anche la madre di Kesha.

Insomma, al di là di tutto, questo è sicuramente uno di quei casi in cui il ritorno di un artista fa particolarmente piacere.
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