Raccogliere un anno in 30 canzoni non è facile, per niente, ma è tanto divertente, anche solo per il gusto di giocare a fare il piccolo musicologo. Ho scelto quindi di riassumere il 2016 – il mio 2016 – in 30 brani perché in 20 mi sarebbe stato ancora più difficile: troppi i ricordi legati a queste canzoni per lasciarne fuori alcune. E anzi, avrei fatto una classifica da 40 o 50 posti, se non fossi sicuro che a chi avrebbe letto sarebbe cresciuta una barba più lunga di quella di Gandalf.
In questa personalissima lista costruita in ordine crescente ci sono le canzoni che più di tutte hanno riempito le mie giornate in questi ultimi 12 mesi: canzoni su cui ho pianto, riso, riflettuto, goduto, amato, odiato, letteralmente e metaforicamente, sono le canzoni che mi hanno lasciato qualcosa in più delle altre, e proprio questo è stato uno dei criteri con cui ho scelto di tenerle dentro escludendone altre: queste mi hanno dato qualcosa che è andato oltre il semplice piacere dell’ascolto. L’altra regola che ho seguito è stata quella di includere solo brani usciti per la prima volta quest’anno: per il resto, non ho guardato al genere, al successo che hanno ottenuto o alla fama dell’artista.
Ho cercato di restare – pur nella soggettività della classifica – più obiettivo possibile, ma con buona probabilità, se dovessi stendere quest’elenco domani, l’ordine sarebbe diverso, soprattutto per le ultime posizioni.
In fondo, è un gioco…
Stay Rebel, Forever!
30. Brooke Candy, Changes
29. Daphne Guinness, The Long Now
28. L’Orso, Chiudi gli occhi siamo nello spazio
27. Giorgia, Oronero
26. Ghost feat. Ornella Vanoni, Hai una vita ancora
25. Emis Killa feat. Jake La Furia, Non è facile
24. Stadio, Un giorno mi dirai
23. Elisa, No Hero
22. Alessandra Amoroso, Vivere a colori
21. Boosta, 1993
20. Ligabue, Made in Italy
19. Noemi, Fammi respirare da tuoi occhi
18. Alessandra Amoroso, Comunque andare
17. Loredana Errore, Luce infinita
16. Honor, You And My Nightmares
15. Lady Gaga, Grigio Girls
14. Loredana Errore, Bugiardo destino
13. Paola Iezzi, LoveNight
12. Annalisa, Se avessi un cuore
11. Patty Pravo, Cieli immensi
10. Francesco Guasti, Universo
L’anno scorso Guasti si è visto sfumare la partecipazione a Sanremo a due passi dal traguardo, e pare si sia arrabbiato tantissimo. Quest’anno ci ha riprovato e ce l’ha fatta con questa canzone intensa e “scalcitante”. Inutile dire che tiferò per lui.
9. Elodie, Un’altra vita
Un brano ruvido, che se la vede con il più grande rimpianto che almeno una volta ha attraversato la mente di ognuno di noi.
8. Patty Pravo, Se
Samuel Romano dei Subsonica ha regalato a Patty Pravo la gemma più preziosa e splendente di Eccomi, il suo ultimo album. Una dichiarazione d’amore potente e fragile nello stesso tempo, pura come un ghiacciaio in una mattina di marzo.
7. Loredana Bertè, È andata così
Ligabue ha firmato il brano del gran ritorno in scena della Bertè: pur mostrando chiarissima l’impronta del suo autore, la canzone veste alla perfezione l’anima di Loredana, al punto che può essere considerata il sincero testamento artistico di un’interprete che non si è mai risparmiata, salendo ogni volta “a cuore nudo” sul palco.
6. Raphael Gualazzi, L’estate di John Wayne
In genere Gualazzi non rientra tra i miei ascolti, ma questa sua parentesi da ombrellone venata di vintage quest’estate mi ha fatto innamorare.
5. Tricarico feat. Arisa, Una cantante di musica leggera
Due mondi, ognuno a suo modo folle, si sono incontrati dando vita a una bomba elettropop: prendi un testo semplicissimo e brillante, mettilo su una melodia appiccicosa come marmellata e chiama a duettare una delle voci più limpide che ci siamo in Italia. Un dialogo ideale tra un ascoltatore e la sua diva.
4. Anna Oxa, L’America non c’è
È la canzone-outsider. Dopo anni di silenzio, la Oxa è tornata con un brano di grande modernità e sperimentazione: mi è bastato un ascolto per capire che non me lo sarei tolto dalle orecchie. Al momento in cui scrivo, il brano non è ancora stato ufficialmente pubblicato: l’unica traccia che se ne ha risale a questa primavera, durante una puntata di Amici.
(Piccola nota fuoricampo: provate ad ascoltare il testo alla luce dell’elezione di Trump…)
3. Soltanto, Tutta la vita davanti
È il brano di apertura di Skye, secondo album del busker milanese Soltanto. Una toccante canzone-manifesto di un’esistenza, riassunto di una filosofia di vita, che lascia traspirare libertà da ogni singola nota.
2. Thegiornalisti, Completamente
Una musica leggerissima per un testo di parole pesanti come macigni. Un pezzo di puro pop che odora di umano, amore e lenzuola ancora calde; un’ammissione di sconfitta da parte di un uomo che non teme di mettersi a nudo mostrando tutta la sua vulnerabilità.
1. Noemi, Amen
La perfetta incarnazione di ciò che di solito chiedo alla musica, e probabilmente il più bel pezzo della discografia di Noemi fino a oggi: melodia da brivido alla schiena e testo che ti gratta l’anima. Una solenne preghiera laica in cui si parla di un cuore sanguinante, preso a calci, un’anima rotolata nel fango, stanca di camminare, si chiede scusa all’amore e al Signore e si chiede finalmente pace. Meraviglia.
La playlist dei brani è disponibile a questo link.
Samuel: il primo album solista è Il codice della bellezza e arriva il 24 febbraio
In attesa vederlo (e soprattutto sentirlo) in gara alla 67° edizione del Festival di Sanremo con il brano Vedrai, arrivano le prime notizie sul primo progetto solista di Samuel.
L’album arriverà il il 24 febbraio e si intitolerà Il codice della bellezza.
“Ho sempre pensato che la bellezza non fosse un concetto solamente estetico.
Il dono dell’eleganza, della sensibilità, dell’ironia fanno parte di un istinto interiore
che rappresenta il bello degli essere umani.
Ho provato ad immaginare la bellezza come ad un codice scritto dentro le persone speciali, quelle persone che sono fonte d’ispirazione per chiunque gli stia vicino”.
Questa la tracklist:
La risposta
Vedrai
Rabbia
Il treno
Più di tutto
La statua della mia libertà
Qualcosa
Come una cenerentola
Voleva un’anima (feat. Lorenzo Jovanotti Cherubini)
La luna piena
Passaggio ad un’amica
Il codice della bellezza.
Con la prenotazione del disco saranno immediatamente disponibili la title track e i primi due singoli, La Risposta e Rabbia.
Sanremo 2017: tra rose, gigli e qualche fiore "avvizzito", ecco il mazzo dei 22 artisti in gara
Ed eccoli qua, li abbiamo attesi a lungo e sono arrivati, i 22 nomi dei Big che prenderanno parte al Festival di Sanremo 2017.Dopo il “mosaico” e la “macedonia”, per descrivere il cast della prossima edizione, Carlo Conti ha usato la metafora del mazzo di fiori, tanto per restare in terra sanremese.
E mantenendo la metafora, il primo commento che mi viene da fare è che tra rose, gigli e garofani, dentro a questo bouquet sia finito qualche ramo artisticamente un po’ avvizzito e qualche erbaccia che si poteva tranquillamente mettere da parte.
Ma visto che senza aver ascoltato i brani ogni parola è superflua, e considerando che mancano due mesi per scaldare bene i motori, mi limito a esprimere soddisfazione per ritrovare Elodie, Samuel, Nesli, Giusy Ferreri, Ermal Meta e Francesco Gabbani.
La grande sorpresa sarà però vedere sul palco dell’Ariston Fiorella Mannoia, forse il nome più gettonato nei pronostici e poi confermato, che dopo un lungo periodo di lontananza dal Festival si ributta nella mischia da concorrente.
Nessuna band pervenuta, qualche duetto inedito ancora da mettere a fuoco.
Questa la lista dei magnifici 22, con i titoli dei brani in gara:
Di rose e di spine Al Bano
Tutta colpa mia Elodie
Fatti bella per te Paola Turci
Vedrai Samuel
Che sia benedetta Fiorella Mannoia
Do retta a te Nesli e Alice Paba
Il diario degli errori Michele Bravi
Portami via Fabrizio Moro
Fatalmente male Giusy Ferreri
La prima stella Gigi D’Alessio
Togliamoci la voglia Raige e Giulia Luzi
L’ottava meraviglia Ron
Vietato morire Ermal Meta
Mani nelle mani Michele Zarrillo
Il cielo non mi basta Lodovica Comello
Con te Sergio Sylvestre
Ragazzi fuori Clementino
Nel mezzo di un applauso Alessio Bernabei
Nessun posto è casa mia Chiara
Occidentali’s Karma Francesco Gabbani
Ora esisti solo tu Bianca Atzei
Spostato di un secondo Marco Masini
Piccola domanda profana da ascoltatore: per quale logica del regolamento Sylvestre ed Elodie sono tra i Big, mentre La Rua, Lele e Chiara Grispo erano in corsa tra i Giovani, pur avendo tutti partecipato alla stessa edizione di Amici?
20 anni di Placebo
Quando una band taglia il traguardo dei 20 anni di carriera (dove per carriera si intende l’essere artisticamente viva e vegeta, e non tirare a campare tra tristi amarcord) vuol dire che qualcosa da dire ce l’aveva davvero e che piccolo o grande il suo segno nella storia della musica e nella memoria del pubblico l’ha lasciato.
In questo 2016, tra chi arriva a questa tappa ci sono i Placebo: era infatti il giugno del 1996 quando uscì il loro primo, omonimo album. Potevano essere una delle tante band per giovincelli rabbiosi e pieni di voglia di rivalsa, e scomparire nel giro di qualche mese (a quanti è capitato di fare questa fine?) e invece no. Il progetto di Brian Molko è andato avanti diffondendosi in tutta Europa e raccogliendo consensi anche Oltreoceano.
Quello dei Placebo è sempre stato un rock acido, abrasivo, a volte provocatorio (ve la ricordate la chitarra spaccata in diretta TV a Sanremo nel 2001, sotto gli occhi increduli della Carrà?), guidato dal carisma androgino e ribelle del leader della band, che con la sua voce spigolosa ha fatto delle canzoni del gruppo un tratto di forte riconoscimento.
20 anni di musica trascorsi tra melodie agrodolci, nostalgiche, arrabbiate, ma anche bellissimi episodi struggenti e sensuali, brani sbattuti da venti freddissimi e colate di amore crudele; ma anche 20 anni passati senza dimenticarsi che dopotutto il musicbiz non si accontenta solo della musica, ma pretende ed esige pure un’attenzione alla presentazione, alla “copertina”, insomma, all’immagine. E i Placebo la loro immagine l’hanno dipinta con tonalità ombrose, con le tinte dei grigi e dei neri, mettendo in primo piano il volto da ambiguo angelo peccatore (ma mai davvero da demonio) di Molko, il suo colore pallido, le sue unghie nere. Emblema dei Placebo resterà forse per sempre il fortissimo video di Pure Morning, il pezzo che ha dato alla band la vera notorietà, con Brian sul ciglio di un cornicione, pronto a buttarsi nel vuoto.
Per celebrare e riassumere questo importante anniversario, escono in contemporanea due lavori. Da una parte l’EP Life What You Make It, che include 6 tracce tra cui il nuovo singolo Jesus’ Son, due recenti versioni live di Twenty Years e tre cover, dall’altra parte la maxi raccolta A Place For Us To Dream, che in due CD racchiude in 36 brani tutta la storia del gruppo, dal primissimo singolo Bruise Pristine fino all’ultimo inedito.
Curioso che, tra le poche canzoni rimaste escluse, ci sia proprio Twenty Years, l’inedito pubblicato in occasione del decennale e che proprio in questa occasione sarebbe stato il perfetto coronamento.
BITS-CHAT: Sognare, sognare, sognare. Quattro chiacchiere con… Gerardina Trovato
BITS-CHAT: Sognare, sognare, sognare. Quattro chiacchiere con… Gerardina Trovato
La prima volta che l’Italia ha conosciuto Gerardina Trovato era il 1993: saliva sul palco di Sanremo tra le Nuove Proposte e cantava Ma non ho più la mia città. Una canzone di sogni e illusioni infrante, di una ragazza costretta ad ammettere alla sua città, Catania, si starle stretta, e che quindi saliva su un treno verso Roma, l’America, ma prima di tutto verso la musica. Parole interpretate con una forza viscerale che poche altre volte capita di ascoltare. Una forza viscerale che avremmo imparato a riconoscere in tutte le sue canzoni.
Il brano si piazzò secondo, dietro solo alla Pausini e il suo Marco che “se n’è andato e non ritorna più”.
Nel 1994 Gerardina Trovato è tornata a Sanremo con Non è un film, un brano di denuncia sugli orrori della guerra in Bosnia, e poi ci è tornata ancora nel 2000 con Gechi e vampiri. Tra un festival e l’altro, collaborazioni importanti (Vivere, incisa con Andrea Bocelli, ed E già insieme a Renato Zero), poi la partecipazione a Music Farm nel 2005, l’EP I sogni nel 2008 e nel 2011 una partecipazione nel brano I nuovi Mille del rapper napoletano Lucariello.
Poi il silenzio. Un silenzio quasi forzato per una malattia di cui solo recentemente ha scelto di parlare: una brutta depressione che le impediva di uscire di casa, comunicare con la gente, ma non di dedicarsi alla sua musica.
In questi anni infatti Gerardina ha scritto tanto e oggi ha voglia di tornare a farsi ascoltare.
Il brano che rompe questo silenzio e segna il suo ritorno si intitola Energia diretta ed è l’apripista di un progetto discografico più ampio.
Cosa ti ha ispirato a scrivere questo nuovo singolo?
Quando scrivi una canzone non ci deve essere per forza qualcosa che ti ispira: semplicemente, le canzoni vengono e basta, e così è stato per Energia diretta. Ho scritto tanti nuovi brani: ho scelto questo perché è piuttosto radiofonico, e parla d’amore. In passato ho mai scritto d’amore, lo sto facendo adesso.
Nel difficile periodo che hai vissuto in questi ultimi anni, c’è stato un momento in cui hai avuto paura di non riuscire più a tornare alla musica?
Sì, c’è stato questo momento: ero spaventata all’idea di non poter più scrivere e cantare. Per me fare musica vuol dire vivere.
Hai mai pensato a come sarebbe stata la tua vita senza musica?
No, mai, mai! Ho incontrato la musica già da bambina.
Quali sono stati i tuoi primi passi nel mondo della musica?
Con mia mamma: mi ha presentato alle selezioni per lo Zecchino d’oro, mi faceva cantare le canzoncine. Però non ho partecipato al concorso perché sono sempre arrivata solo in semifinale.
E di Sanremo invece che ricordo hai?
Un ricordo molto bello, soprattutto dell’ultimo, quando ho cantato Gechi e vampiri: ero me stessa, mi sentivo bene, era la terza volta che partecipavo per cui ero abituata a quella situazione. Avevo una canzone diretta, semplice ma non banale. Ho vissuto tutto come una passeggiata.
Nessuna preoccupazione per la gara?
No, assolutamente no! La paura l’ho sentita davvero nel secondo Sanremo che ho fatto, quando ho cantato Non è un film, perché era la prima volta che cantavo tra i big, e allora c’era lo stress, sentivo la competizione.
E che sensazione hai avuto invece quando ti sei presentata tra le Nuove proposte?
Di essere su un palco così importante non mi importava niente: io aspettavo solo il mio turno per cantare e quando stava per arrivare il verdetto per scoprire se ero passata non vedevo l’ora di andare a cena perché avevo fame. Ero giovane, era l’incoscienza che mi faceva vivere tutto così.
In alcune tue canzoni del passato – Sognare sognare, I sogni, ma anche Ma non ho più la mia città – si parla di sogni: oggi ai sogni ci credi ancora?
Si, certo che ci credo ancora! In questo momento sono concentrata solo sulla mia musica, e spero tanto che questo nuovo singolo vada bene, e che la gente abbia voglia di ascoltarlo.
Secondo te perché per un personaggio pubblico è difficile parlare delle proprie difficoltà? Da parte del pubblico c’è paura?
No, non penso sia per quello. Semplicemente, si tratta di questioni personali, che non devono per forza essere rivelate al pubblico. Chi affronta un momento di difficoltà vuole stare da solo. Oggi sui social tutti tendono a raccontare ogni aspetto della propria vita, ma io non sono d’accordo. Sono molto riservata su ciò che riguarda il mio privato.
Per il futuro cosa stai preparando?
Uscirà probabilmente un disco con alcuni inediti e dei vecchi successi riarrangiati, ma non so ancora quando. Per ora mi concentro sul singolo.
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: cosa significa per te il termine “ribellione”?
La ribellione è la ribellione, come faccio a spiegartela?
Ma tu ti senti una ribelle?
Io sì, lo sono sempre stata.
BITS-CHAT: La mia semplice complessità. Quattro chiacchiere con… Nesli
BITS-CHAT: La mia semplice complessità. Quattro chiacchiere con… Nesli
“Ma se io mi ricopro di tatuaggi e mi faccio fotografare in copertina mezzo nudo, voi la mia musica la ascoltate?”
Nesli questa domanda l’ha buttata lì così, nel bel mezzo della chiacchierata. Una domanda che ha posto direttamente lui e che non può non lasciare stupiti, sorpresi, interdetti per la sua schiettezza. In effetti che i tatuaggi sul corpo di Nesli siano prolificati a dismisura negli ultimi due anni non è certo un dettaglio, lo si era già visto l’anno scorso a Sanremo, e lo si vede oggi sulla copertina del nuovo album, Kill Karma, dove Francesco Tarducci si è fatto ritrarre sfacciatamente a torso nudo, con il torace completamente ricoperto di inchiostro e i due medi alzati con le mani che tengono ben aperta la giacca rossa.
Ma come – direte – non era lui il rapper buono, quello che “il bene genera bene”? E adesso ci si presenta così spudorato? Sì, è lui, e che il bene genera bene lo crede ancora, oggi come ieri. E allora perché questa copertina? Narcisismo? Mah, forse un po’, dopotutto a Nesli si possono muovere tutte le critiche di questo mondo, tranne quella di non essere un brutto figliolo e di non potersi permettere di fare bella mostra del proprio corpo. Ma il gioco sta proprio qui, nel voler fare quasi mercificazione del “contenitore” per far arrivare la musica. Una verità che governa le regole del pop da sempre – quasi alla pari tra uomini e donne – ma che molto raramente viene rivelata con tanta limpidezza.
Nesli però è così, ti spiazza: tu credi di avere davanti un qualsiasi cantante piacione e ti ritrovi invece a parlare con un sorta di un animaletto selvatico. Come quando ti dice che il suo album precedente (Andrà tutto bene) era un disco che aveva quasi “dovuto” fare, perfettamente consapevole che non lo rappresentasse fino in fondo, perché nella sua testa c’era già l’idea di Kill Karma, il secondo capitolo di una trilogia che si concluderà verosimilmente l’anno prossimo: in Kill Karma Nesli ha voluto uccidere se stesso (il suo karma), togliere ti mezzo definitivamente il rapper per far posto al cantautore. Ma per arrivare a questo punto ha dovuto passare per la strettoia di Andrà tutto bene, con la partecipazione a Sanremo.
Cosa è successo tra Andrà tutto bene e Kill Karma? Il cambiamento è evidente…
In passato ho sempre scritto con gli occhi degli altri, in questo caso invece ho scritto con i miei occhi, tutto è riconducibile a un fatto, un giorno, un nome. Mi piace far credere di fare tutto a caso, ma in realtà niente è lasciato al caso: ho voluto che questo album arrivasse dopo il libro perché già nel libro mi ero raccontato attraverso la scrittura, ora lo faccio attraverso la musica. Ho anche già pensato al prossimo disco, quello che chiuderà la trilogia: sarà molto visivo, fumettistico, ho già pensato alla grafica e alla copertina, e ci sono almeno sei o sette pezzi pronti. Lo lancerò in maniera particolare: mi sono inventato un alter ego che ucciderà definitivamente Francesco Nesli Tarducci, che da quel momento non esisterà più. Ho una visione molto dark e maledetta di questo progetto, e ho dovuto renderla pop il più possibile.
In un’epoca in cui si ragiona per singoli, tu pensi a una trilogia?
Io sono nato in un periodo in cui si pensava per trilogie, basta pensare al cinema. Oltre alla musica non ho altri impegni o altri passatempi, per cui passo il mio tempo a immaginarmi tutti i dettagli dei dischi, penso alla pubblicazione. Oggi invece mi sembra che tutti siano interessati alle visualizzazioni su YouTube, come se quello fosse il metro per capire se sei un artista di successo: ma se un giorno YouTube si spegnesse, cosa resterà di questi giovani artisti illusi di fare successo in questo modo? Io scrivo tutto su carta e registro subito dopo con un giro di piano. Di tutto quello che faccio resta traccia, non dipendo dai server: vivo nell’era digitale, ma sono passato dall’analogico.
Nel 2013 avevi già portato un cambiamento forte: mentre tutti andavano verso il rap, tu con Un bacio a te e poi con l’album Nesliving vol. 3 facevi il percorso opposto. Perché allora hai sentito il bisogno di cambiare ancora?
Il karma del titolo indica un cambiamento fisico: non si tratta di un cambiamento musicale, ma di un cambiamento di materia e di materiale, perché il cambiamento musicale c’era già stato.
Ultimamente sul tuo corpo sono comparsi numerosi tatuaggi: anche questo fa parte del cambiamento?
È una provocazione: sapevo che avrei fatto questo disco con questa copertina. Non mi sono tatuato perché mi piacessero i tatuaggi, sono rimasto della stessa idea che ne avevo prima. Di solito chi si tatua lo fa per abbellirsi: io invece mi sono ricoperto di nero in maniera quasi indecente, mi sono rovinato. L’ho fatto a 35 come follia: per avere attenzione serve un bel contenitore. E allora se io mi tatuo tutto e mi metto mezzo nudo, mi ascoltate? Vi accorgete di me? Dentro di me la risposta è stata sì, la nostra società vuole questo. Volete questo da me per ascoltare il mio contenuto? Benissimo, lo faccio.
Una considerazione un po’ amara…
Amarissima.
E se tra 10 anni ti guardi allo specchio e ti penti di questa scelta?
Mi sono pentito di tante cose che ho fatto. Questa è stata una scelta drastica, ma in fondo ogni scelta lo è: in questo caso è molto visibile perché mi sono deturpato il corpo, ma ogni scelta implica un cambiamento, un non poter tornare indietro. Potrei pentirmi di questi tatuaggi, così come potrei pentirmi di molte altre decisioni che ho preso, si tratta sempre di un sentimento, una sensazione. Per me i tatuaggi sono come le uniformi militari: chi sta in esercito ha una divisa, chi sta in marina ne ha un’altra. Anch’io ho cambiato guerra: nel 2013 dovevo portare un cambio a livello musicale, oggi cambio rotta in un altro senso. Sono un artista, un folle, e come tale faccio delle scelte folli, radicali.
Una forma di follia che io stesso non avevo colto molto bene ascoltando le tue canzoni, ma che emerge ora dalle tue parole….
Ho sempre dovuto e voluto tenerla a bada, non potevo propormi così fin dall’inizio. Dentro di me vive una schizofrenia che mi fa avere davvero tante personalità: per me essere bipolare è una specie di antipasto, io di personalità ne ho molte più di due, tutte distorte, diverse, e nel tempo non ho voluto fare niente per aiutarmi. Anche nella musica mi vedo come un prisma con tante facce, e non mi sono mai venduto per qualcosa di diverso da ciò che sono. Cantante, cantautore, rapper: sono tutto, e forse non sono niente, ma questo per me è un dono del cielo.
In questa schizofrenia sta anche la scelta di aver messo come prima traccia dell’album una canzone come Anima nera? Tu eri quello che fino all’anno scorso cantava che “andrà tutto bene”, che “il bene genera bene”. Spiazzante, direi!
In realtà sono due aspetti complementari, non possono esistere uno senza l’altro. Il mio “bene genera bene” passa attraverso le tenebre: in questo sono abbastanza un darkettone ottimista. I miei amici dicono che sono il principe delle tenebre e quando c’è troppo sole scherzano e mi chiedono di concentrarmi per far venire il brutto tempo. Sono un po’ come Carletto, il personaggio del cartone animato. Ma non potevo presentarmi da subito in questa veste “diabolica”, doveva esserci un percorso. Sono partito dal rap senza avere neanche un tatuaggio, adesso faccio pop e mi sono tatuato come uno che fa punk: un percorso affascinante direi. Sono io, nella mia semplice complessità.
Prima parlavi del terzo album della trilogia come di un progetto molto grafico: a livello fisico invece ti spingerai ancora oltre?
Il cambiamento radicale dei tatuaggi c’è già stato, ormai restano poche parti del mio corpo che potrei riempire, e vorrei evitare di tatuarmi le mani, il collo e la faccia: sarebbe davvero troppo e darebbe fastidio anche a me. Al di là dei tatuaggi però, il prossimo album sarà il mio paradiso dantesco, con una libertà espressiva che non mi sono mai preso finora. Ho anche un pezzo da presentare a Sanremo: ditelo a Conti!
In Kill Karma quanta libertà ti sei preso rispetto ad Andrà tutto bene?
Nel disco precedente mi sono auto inflitto una non-libertà: era una tappa obbligata che dovevo attraversare. Per me cantare è una passione, ma è anche un lavoro che implica delle dinamiche. Sapevo dove volevo arrivare, ma per farlo sapevo anche di dover passare per gradi, e non aggirare gli ostacoli come è mio solito: una di queste tappe è stato Sanremo, dove ho mostrato il primo cambiamento, mi sono staccato definitivamente dal pubblico di prima e dalla scena rap. Arrivavo da Carosello, un’etichetta indipendente, Universal mi aveva ripreso dopo avermi licenziato nel 2008, per cui per la major era come ammettere un errore e tornare sui propri passi. La pressione che avevo addosso era altissima. Con Sanremo dovevo limitare il Nesli maledetto: Andrà tutto bene è stato realizzato in otto mesi con una squadra che non conoscevo e al cui interno c’erano delle incomprensioni, sentivo che una parte dei collaboratori non credeva in me. Dalla mia parte avevo il mio produttore, Brando, che mi spronava a continuare il lavoro perché avevamo tempi strettissimi prima di Sanremo: avrei voluto sparire, morire. Sentivo gli occhi di tutti addosso, sapevo che molti aspettavano il mio fallimento. Inoltre, Buona fortuna amore l’ho provata pochissimo prima del festival, in studio non avevamo tempo e a casa non riuscivo: la prima prova sul palco è andata malissimo perché a Sanremo si usano gli ear monitor e io non ero abituato, poi in qualche modo mi sono arrangiato e l’ho cantata, non bene come avrei potuto, ma è andata. Per Kill Karma è stato tutto diverso, non avevo i fucili puntati, non c’era Sanremo come tassello obbligato e il disco è stato fatto come volevo io.
Se pensi alla tua vita fino ad oggi, qual è stato il più grande errore che hai compiuto?
Ne ho fatti davvero tanti: quando c’era da scegliere, io sceglievo puntualmente di fare una cazzata, non saprei dirti perché. Non so neanche se non li rifarei, forse semplicemente li affronterei in maniera meno istintiva. Una cosa che dico sempre ai ragazzi è quella di portare avanti le proprie idee, mi piacciono le persone con le idee chiare, anche a costo di intestardirsi su un unico pensiero. Non penso che per forza si debbano fare mille esperienze: non è facile trovare persone che sanno quello che vogliono senza sentire il bisogno di aver provato tutto.
Che opinione hai dei ragazzi di oggi?
Quasi tutti i giovani se ne vogliono andare all’estero, e a me viene da dire “ma dove andate tutti? Perché ve ne andate? E qui chi resta? Solo i disillusi, quelli che non votano?”. Se mi dicono di andare all’estero, io dico no, resto qua: se andare via significa evoluzione, io preferisco l’involuzione. Non ho nemmeno il passaporto! Ho viaggiato pochissimo, e mi sembra che i ragazzini di 14 anni abbiano viaggiato più di me, eppure del mondo non sanno nulla, non conoscono più di quanto non potrebbero conoscere attraverso le foto di Instagram. Nelle situazioni, il segreto non è esserci, ma starci. Mi piacerebbe vedere giovani che imparano i veri mestieri, a fare gli artigiani, a restare legati alla vita vera.
Ti riferisci anche all’ambito musicale?
Non dobbiamo pensare di avere tutti il sacro fuoco dell’arte che ci brucia dentro. Tutti vogliono fare i cantanti, gli attori, le modelle, i broker, mentre nessuno vuole più fare il macellaio o il panettiere: e come mangiamo? In questo sono molto estremo, non si può instillare nei giovani l’idea che tutti possono fare gli artisti. Stiamo costruendo un mondo finto: tra cinque anni i social saranno modificati profondamente, tutto si sarà trasformato unicamente in business. E i ragazzi non lo sanno, nessuno glielo dice.
Se nella tua vita non ci fosse stata la musica, come l’avresti riempita?
Sarei stato un viaggiatore.
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: cosa significa per te il termine “ribellione”?
Ribellione è stare fermi e riuscire a cambiare ciò che sta intorno. Ribellione è qualcosa di solido, silenzioso, fermo in una piazza, capace però di creare una manifestazione esterna.
#NUOVAMUSICA: Cecile feat. Kuerty Uyop, AfroFunky
Dopo le barre arrabbiatissime, di N.E.G.R.A. con cui l’avevamo conosciuta a Sanremo, Cecile torna con un pezzo decisamente più solare.
Il nuovo singolo, lanciato proprio per l’estate, si intitola AfroFunky (Musica per l’Africa) ed è una commistione di leggerezza e impegno sociale: con questo brano Cecile sostiene infatti Amref, società no-profit che si occupa da 60 anni dell’Africa e che celebrerà nel 2017 una campagna dal nome “Musica per l’Africa”, mentre musicalmente si sposta su territori dancehall.
AfroFunky vede la partecipazione del duo i DJ Kuerty Uyop, mentre il video, firmato da Cosimo Alemà, è stato girato tra Piazza Vittorio a Roma (una vera kasbah multirazziale), una farmacia, la spiaggia… e una location segreta.