La musica l’ha avuta in casa fin da bambino, visto che è figlio di due ballerini brasiliani, e a lungo l’ha coltivata nel canto e nel ballo. A soli 28 anni, Leonardo Monteiro vanta infatti un curriculum di tutto rispetto, con esperienze Italia e all’estero: tra queste, la formazione alla Scala di Milano, il lavoro con Gheorghe Iancu allo Sferisterio di Macerata, e nel 2008 partecipazione ad Amici, il talent di Maria De Filippi, dove occupava uno dei banchi della classe di ballo.
Dopo essersi aggiudicato la finale di Area Sanremo, tra pochi giorni lo ritroveremo sul palco dell’Ariston, in gara tra le Nuove proposte con Bianca, un pezzo dalla influenze soul che parla della fine di una storia d’amore per un tradimento. Autore della musica è Vladi Tosetto, che nel ’95 aveva messo le mani anche su Come saprei di Giorgia.
Perché la scelta di andare a Sanremo con Bianca?
Lo abbiamo scelto durante i provini, dopo aver ascoltato un po’ di proposte, e Bianca è sembrata la canzone più adatta. Ci tenevo molto a presentarmi con un brano che rappresentasse bene il mio mondo, e le atmosfere soul e gospel di Bianca rispecchiano le mie influenze.
Ti abbiamo conosciuto qualche anno fa ad Amici come ballerino, oggi ti ritroviamo come cantante: cos’è successo in questo periodo?
Ho sempre amato il canto, fin da quando studiavo danza alla Scala: cantavo e facevo il ballerino. Poi sono andato a studiare a New York, e mi sono reso conto che con la danza ero arrivato al massimo di ciò che potevo desiderare e ho iniziato a studiare canto seriamente, avvicinandomi al gospel. Quando sono tornato in Italia ho proseguito con lo studio della musica.
E sei anche arrivato ad insegnare…
Sì, per qualche anno ho insegnato canto alla scuola Cluster di Milano, gestita da Vicky Schaetzinger, che per anni è stata la pianista di Milva. Mi ha dato tantissimo, sia come donna che come insegnante: sono stato prima suo allievo, poi abbiamo suonato insieme tre ani all’Armani Bamboo Bar, dove lei mi accompagnava al pianoforte, e in seguito sono diventato insegnante della scuola. Avevo già insegnato danza, ma insegnare canto è diverso, ed è una soddisfazione vedere che quello che fai arriva agli allievi.
Oggi come vedi il tuo futuro, più vicino al canto o al ballo?
Sicuramente più vicino alla musica. Come dicevo prima, con il ballo ho ottenuto il massimo di quelle che potevano essere le mie ambizioni e le mie soddisfazioni: ho fatto esperienze bellissime, ho lavorato con il Complexion Contemporary Ballet, il Collective Body Dance Lab, ho fatto degli stage a Broadway, ma a un certo punto ho sentito che mi mancava avere davanti un pubblico che mi conoscesse, mi mancavano gli affetti di casa, e ho deciso di tornare.
A un’esperienza nel musical non pensi?
Sono sincero, i musical non mi entusiasmano molto, preferisco vederli da spettatore. Piuttosto, per unire musica e danza, penso a qualche esperienza con i videoclip.
Quali sono gli artisti che ti hanno maggiormente influenzato?
Quando ero più giovane ho ascoltato molto Stevie Wonder, Giorgia, che ha segnato a lungo la mia vita, Michael Jackson.
Hai già un album in preparazione?
Ho scelto alcuni pezzi e sto registrando: il disco uscirà dopo Sanremo. Abbiamo scelto di mantenere la stessa impronta stilistica di Bianca, anche se non mi tirerò assolutamente indietro se ci sarà la possibilità di spaziare.
Pensando a Sanremo, come ti auguri di viverlo e cosa invece vorresti evitare?
Semplicemente, visto che si parla di un palco così importante, vorrei lasciare un bel ricordo, al di là di come andrò la gara, e possibilmente vorrei evitare di steccare!
Imparare ad amarsi: Ornella Vanoni torna a Sanremo con Bungaro e Pacifico
Ornella vanoni non ama le gare, lo ha più volte dichiarato lei stessa, perché le mettono agitazione. E Sanremo, si sa, è una gara.
E’ stata quindi doppiamente grande la sorpresa quando a dicembre è stato annunciato che quest’anno avrebbe calcato di nuovo il palco dell’Ariston tra i 20 artist in gara.
Per Ornella questa è la ottava volta a Sanremo, dopo l’ultima partecipazione nel 1999 insieme a Enzo Gragnaniello con Alberi (la prima fu nel 1965 con Abbracciami forte).
Non sarà però da sola: con lei ci saranno infatti anche Bungaro e Pacifico, e insieme interpreteranno Imparare ad amarsi.
Inizialmente inviato a Baglioni per Sanremo da Tony Bungaro, il brano è stato proposto a Ornella proprio dal direttore artistico del festival e lei, dopo qualche iniziale titubanza, ha accettato di essere parte del progetto. E’ stato allora che è intervenuto Pacifico, che ha adattato il testo all’immaginario di Ornella, lasciando le parti che l’avevano tanto colpita.
Caso piuttosto raro, durante l’esecuzione sanremese, sul palco saranno presenti tutti gli autori del testo e della musica: oltre a Bungaro e Pacifico infatti, suoneranno anche Cesare Chiodo e Antonio Fresa. Una scelta questa, fortemente voluta da Ornella, da sempre attenta a valorizzare il lavoro di chi i brani li crea.
Nella serata dei duetti, il trio sarà affiancato da Alessandro Preziosi.
Proprio in occasione della partecipazione sanremese, il 9 febbraio uscirà Un pugno di stelle, tripla raccolta di Ornella Vanoni, curata da Mario Lavezzi: nel primo disco troveranno posto i duetti realizzati negli anni dall’artista con altri grandi nomi della musica italiana, oltre al brano sanremese e un secondo inedito, Gira in cerchio la vita, cover di un brano di Idan Raichel. Nel secondo disco ci saranno i successi dagli anni ’90 ad oggi, per finire con il terzo capitolo in cui saranno presenti i classici della sua discografia.
Una nuova uscita discografica attende anche Bungaro, con un’edizione speciale dell’album Maredentro, in cui sarà presente anche una versione di Imparare ad amarsi interamente interpretata da lui e gli inediti Le previsioni della mia felicità e Amore del mio amore. Subito dopo il festival, un tour in Italia e all’estero.
Ancora in corso invece la lavorazione del sesto album di Pacifico, che dovrebbe comunque vedere la luce quest’anno: per lui questo sarà un festival particolarmente intenso. Oltre a parteciparvi in veste di artista infatti, è autore di Il segreto del tempo, portato in gara da Roby Facchinetti e Riccardo Fogli, e co-autore di Il coraggio di ogni giorno per Enzo Avitabile e Peppe Servillo.
Le Vibrazioni ripartono da Sanremo. Galeotto fu Palermo….
Galeotto fu Palermo, insieme a Radio Italia.
Se c’è qualcuno da ringraziare per aver convinto Le Vibrazioni a tornare insieme – a “scongelarsi” – sono proprio loro. E’ stato infatti durante il concerto di Radio Italia Live del 30 giugno scorso nella città siciliana che la band di Francesco Sarcina ha capito che potevano esserci i presupposti per riprendere il discorso, dopo 5 anni di stop. Durante questo periodo, ognuno dei componenti si è dedicato a progetti diversi, chi andando a suonare all’estero (Marco), chi facendo esperienza in varie formazioni (Alessandro), chi prendendo parte alla nascita di nuove realtà (Stefano), chi proseguendo il cammino da solista (Francesco).
“E’ stato l’entusiasmo con cui il pubblico ha cantato a squarciagola Vieni da me a farci capire che forse nel cuore delle persone era rimasto qualcosa delle Vibrazioni”, ricorda Sarcina, “e abbiamo perciò iniziato a pensare a un ritorno. Messa da parte la commozione, ci siamo rimessi a suonare già dal giorno dopo e ci siamo scongelati”.
Un ritorno in grande, segnato non solo da un nuovo album, il quinto, in uscita il 9 febbraio, ma anche dalla partecipazione al prossimo festival di Sanremo con il brano Così sbagliato: “Il titolo del disco, V, è sicuramente un riferimento la fatto che è il nostro quinto lavoro, ma quella v sta anche per vittoria, e per vita, perché dentro c’è tutta la family che ci ha lavorato. E’ un album onesto: potremmo anche dire v per onesto!”
Un ritorno che, nel quindicesimo anniversario dall’esordio di Dedicato a te, si compie anche sotto il segno dell’indipendenza: “Oggi sappiamo come funziona il mondo della discografia, le esperienze fatte in questi anni da alcuni di noi sono servite a capire che all’estero l’indipendenza discografica funziona. Pensiamo di essere partiti con il piede giusto”.
Nessuna nostalgia del passato però, nessuna ruggine da togliere dagli ingranaggi, “al contrario, ci sentiamo più sodi e tonici di prima, proprio per il rinnovato entusiasmo. Abbiamo messo a fuoco i suoni, perché suonando con persone nuove ci siamo dovuti adattare a contesti diversi, mentre prima eravamo abituati solo alle nostre dinamiche”, continua Sarcina. Nel 2012, dopo anni in cui la band ha riportato in auge il rock coniugandolo al pop, la decisione di fermarsi: “Alcuni di noi suonano insieme da quasi 30 anni, ma crescendo ci si ritrova distanti; magari ci si ama ancora, ma passa l’innamoramento. Le esperienze di questi ultimi anni sono state a volte difficili, abbiamo dovuto sbattere più volte la testa sul pavimento, e tutti abbiamo dovuto fare due passi indietro per ripartire insieme”. Nel nuovo album – che uscirà in CD, LP e in edizione limitata autografata in preorder su Music First – trovano posto 10 inediti, divisi in due metà, come nei due lati di un vinile: “nella prima parte ci sono le canzoni più tradizionali, nella seconda quelle più coraggiose, con alcune scelte sperimentali”, precisa Marco, il bassista.
In tutto questo come arriva Sanremo? “Direi che cade proprio a fagiolo: abbiamo registrato il disco in due settimane, ma con una pre-produzione già fatta in precedenza. Quando abbiamo presentato il pezzo ci siamo detti che poteva essere una buona occasione, si trattava solo di accelerare i tempi di lavorazione. Sicuramente, non vivremo Sanremo come una gara, perché chi fa musica non fa gare, quelle le lasciamo agli sportivi; per noi la musica è soprattutto condivisione”, continua Francesco.
Quello che porteranno al festival è il primo brano non interamente scritto da loro: “Così sbagliato è una canzone introspettiva, in cui si parla dell’accettazione dei propri errori, riscoprendo il valore dell’affetto e del rispetto. La presenza di Luca Chiaravalli ci ha aiutati a mettere meglio a fuoco l’obiettivo di Sanremo”.
Nella serata dei duetti saranno accompagnati da Skin, cantante degli Skunk Anansie: “Chi la conosce sa che è una persona molto diretta, per cui è stato ancora più bello vedere che ha subito accettato volentieri di partecipare. Anzi, ha addirittura chiesto se poteva personalizzare la canzone, modificando la melodia, ha voluto entrarci dentro e farla sua”.
Se il gruppo torna con un entusiasmo rinnovato, non si può nascondere che il tempo lasci i suoi segni: “In Italia sono spariti i palchi per proporre il rock, e a Milano è stato da poco smantellato il barcone in cui abbiamo girato il video di Dedicato a te“.
Dopo Sanremo, al via il tour: “Le canzoni sono fatte soprattutto per essere poi suonate dal vivo, le abbiamo sempre vissute così. Faremo un primo giro nei club, a partire da marzo. Sarà come un abbraccio”.
Queste le date confermate:
16 marzo – New Age Club – Roncade (TV)
23 marzo – Vox Club – Nonantola (MO)
3 – 4 aprile – Teatro Quirinetta – Roma
5 aprile – Casa della Musica – Napoli
6 aprile – Demodè Club – Bari
12 aprile – Teatro Mandanici – Barcellona Pozzo di Gotto (ME)
13 aprile – Teatro Golden – Palermo
14 aprile – Land – Catania
19 aprile – Auditorium Flog – Firenze
20 aprile – Phenomenon – Novara
24 aprile – Live Club – Trezzo sull’Adda (MI)
Biglietti già in vendita nel circuito TicketOne e nei punti vendita autorizzati.
Il ritorno di Noemi sotto il segno… della luna
Fin dalla notte dei tempi la luna esercita il suo potere e le sue suggestioni su poeti, scrittori, pittori e, naturalmente, musicisti. Con il suo volto continuamente mutabile, la luna si è fatta silenziosa ascoltatrice di preghiere, desideri, confidenze, maledizioni.
Proprio a lei Noemi dedica il suo ultimo lavoro, La luna appunto, in uscita il 9 febbraio, nei giorni in cui l’artista romana sarà in gara a Sanremo con il brano Non smettere mai di cercarmi, una delle 13 canzoni (di cui 12 inedite) presenti nel disco.
Per Noemi è la quinta volta sul palco dell’Ariston: quest’anno al festival porterà un brano che unisce elettronica e canzone d’autore, “uno slogan da cantare a pieni polmoni”, di cui lei stessa è co-autrice.
L’ispirazione per il titolo dell’album è invece arrivata da Vasco: “Tra i tanti motivi per cui ho scelto questo titolo è perché, come dice Vasco Rossi in Dillo alla luna, mi piace l’idea di poter parlare alla luna, sperando che porti fortuna. E poi anche perché la luna è un po’ diva, proprio come voglio vivere anch’io questo album.”
La luna esce a due anni da Cuore d’artista, disco pubblicato a ridosso della precedente partecipazione sanremese di Noemi (con La borsa di una donna), ed è un lavoro che mette in luce alcuni suoi aspetti finora poco conosciuti: tra i brani infatti non manca una buona dose di pop elettronico, come già avevano fatto sentire i due singoli pubblicati nei mesi scorsi, Autunno e I miei rimedi (quest’ultima inizialmente destinata a Sanremo nel 2016), ma si scopre anche l’amore dell’artista romana per il country in My Good, Bad And Ugly, pezzo scritto da Matthew Weedon ed Penny Elizabeth Forter e tenuto al segreto fin dai tempi di Made In London. Particolarmente impegnativa dal punto di vista tecnico, per diretta dichiarazione dell’artista, è Love Goodbye, mentre Porcellana cerca di raccontare in musica gli attacchi di panico.
Presente anche una cover di Lucio Dalla, Domani, brano non tra i più noti del cantautore, ma scelto per l’efficacia delle sue immagini (“saremo ancora così lontani, ci annuseremo da lontano come i cani”).
Spazio dato ovviamente anche al blues e al cantautorato, territori su cui Noemi è ormai piuttosto abituata a muoversi: ne sono esempi L’attrazione, firmata da Giuseppe Anastasi e La luna storta, che porta la firma di Tricarico.
Per presentare il nuovo album sono inoltre stati annunciati due speciali appuntamenti live in programma il 27 maggio a Roma (Auditorium Parco della Musica) e il 29 maggio a Milano (Teatro degli Arcimboldi).
I biglietti saranno disponibili online sul sito di TicketOne (www.ticketone.it) dalle ore 11.00 di lunedì 29 gennaio e in tutti i punti vendita autorizzati dal 1 febbraio.
I miei rimedi: Noemi torna tra elettropop e crinoline
Per chi ancora non lo sapesse, l’ultimo singolo di Noemi, I miei rimedi, è una cover. Per la precisione, una cover di un brano dei La Rua, uscito nel 2016.
Un brano che è pero passato tanto inosservato che forse solo i fedelissimi della band sapevano della sua esistenza: era stato proposto a Noemi per Sanremo, ma poi lei ha optato per La borsa di una donna. A posteriori, possiamo dire che forse non ha fatto la mossa giusta. Ma tant’è.
Resta il fatto che più di un anno dopo ci ha ripensato, ha fatto qualche modifica al testo e ne ha fatto il secondo singolo – dopo Autunno – del suo prossimo album, in arrivo nel 2018.
Non c’è che dire, messa a confronto con la versione dei La Rua, quella di Noemi vince a mani basse per la veste elettronica e l’intensità dell’interpretazione, dote che alla “rossa” non manca di certo.
Ad accompagnare il brano è uno dei video più deliziosi degli ultimi anni, girato alla Reggia di Caserta e diretto da Fabrizio Cestari, con chiara ispirazione a Marie Antoinette di Sophia Coppola, tra tinte pastello, crinoline e pasticcini.
Dopo il blues degli inizi e il pop d’autore, l’elettropop sembra essere la nuova via imboccata dall’artista. Per ora, non c’è male.
BITS-CHAT: Sguazzare nei propri limiti. Quattro chiacchiere con… Francesco Gabbani
27 novembre 2015.
È questa la data che ha dato inizio al periodo mirabilis di Francesco Gabbani. Quella sera infatti, durante lo speciale in diretta su Rai 1 la sua Amen si è guadagnata l’accesso tra le Nuove Proposte di Sanremo 2016 e soprattutto portava il suo nome davanti al grande pubblico.
Da lì in avanti è stato un susseguirsi di successi, impegni, concerti: la partecipazione al Festival e la vittoria, i primi dischi di platino, il ritorno a Sanremo nel 2017 con Occidentali’s Karma e la nuova vittoria, questa volta nella categoria principale, i cinque dischi di platino del singolo e le oltre 160 milioni di visualizzazioni del video, l’album Magellano certificato platino e il lungo tour estivo.
Tutto fino ad arrivare oggi alla riedizione dell’album, chiusura perfetta di un cerchio: Magellano torna infatti in vendita con un secondo disco registrato dal vivo durante i concerti di questa estate, con all’interno anche molti brani di Eternamente ora, l’album pubblicato lo scorso anno.
Gabbani mette così il punto finale a un folgorante capitolo di vita e di carriera.
Si chiude l’era “della scimmia” – che in realtà è stata anche molto, molto di più – tra note di filosofia e un’ironia non sempre compresa.
E se Gabbani vi dicesse che vi ha dedicato una canzone… beh, aspettate ad ascoltarla prima di farvene un vanto!
Siamo arrivati alla conclusione di un ciclo?
Direi di sì. In questi due anni ho avuto tante soddisfazioni, ma adesso mi sento stanco, è stata una corsa continua. Proprio pochi giorni fa ho finito le riprese del video di La mia versione dei ricordi, che arriverà in radio il 24 novembre: l’abbiamo girato in montagna, sulle Dolomiti, dove c’erano 7 gradi sotto zero. Anche questa esperienza ha contribuito a provarmi un po’.
Qual è la soddisfazione più grande che ti sei tolto dal successo di Amen ad oggi?
Al di là dei messaggi poetici, devo dire che la soddisfazione più grande è stata essere riuscito a vivere di musica. Dopotutto, la vita è fatta di lavoro: solo così si guadagna un posto nella società, e io da quest’anno ho ottenuto l’indipendenza facendo quello che mi piace.
Un aspetto negativo in tutto quello che ti è successo riesci a trovarlo?
Il non poter stare per conto mio, tra me e me. È un prezzo che devi pagare con la notorietà, e ne ero consapevole.
Il CD live che accompagna la nuova edizione di Magellano si intitola Sudore, fiato e cuore, tre parole simbolo degli ultimi mesi?
Fanno parte del ritornello di Magellano, e descrivono bene lo stato d’animo che ha accompagnato il tour, e più in generale tutto il percorso che mi ha fatto arrivare qui: sudore, perché ce n’è stato tanto, fiato, perché è servita parecchia resistenza, e cuore, perché è stato tutto pieno di emozioni.
È un successo che ti ha colto di sorpresa?
Sì, soprattutto perché un caso come il mio non si vedeva da parecchio in Italia: ho sempre creduto in quello che ho fatto, ma quando il pubblico mi ha conosciuto con Amen, a Sanremo, non avevo alle spalle una grande esposizione mediatica o televisiva, non faccio parte del mondo dei talent e non sono più giovanissimo. Era da diversi anni che non succedeva qualcosa di simile.
Dopo il successo di Occidentali’s Karma, all’Eurovision si è creata una pressione fortissima su di te, e in molti ti davano per favorito. Sei rimasto deluso per come è andata?
Proprio per come è andata sono sicuro di aver vissuto quell’esperienza con lo spirito giusto, e cioè non essendo per nulla convinto di poter vincere. A me il successo è arrivato quando nessuno ci avrebbe scommesso, per cui immaginavo che il destino avrebbe riservato la stessa sorte a qualcun altro, e così è stato. Al di là di tutto però, l’Eurovision ha permesso a Occidentali’s Karma di prendere un respiro internazionale, e sono molto contento dell’accoglienza che ho ricevuto. Inoltre, se avessi vinto non mi sarei potuto concentrare sul pubblico italiano.
C’è un mercato straniero in cui ti piacerebbe lasciare un segno?
D’istinto ti direi l’America, perché è un po’ la grande ambizione, ma so che è quasi impossibile. Non ci ho mai pensato molto, anche perché per poter lasciare davvero un segno all’estero serve l’inglese, ma io non lo padroneggio ancora abbastanza bene nella scrittura per poterne fare una licenza poetica.
Non temi un po’ di essere ricordato solo come “quello della scimmia”?
Per strada mi capita ancora di sentire “Gabbani, dove hai lasciato la scimmia?”, ma fortunatamente sono sempre meno, e ci sono invece quelli che apprezzano il fatto di aver citato Desmond Morris. Sapevo che poteva succedere, me ne prendo la responsabilità, e mi rendo anche conto che la presenza della scimmia è stato forse l’elemento che ha permesso alla canzone di restare più impressa. Devo anche dire che mi dispiace un po’ che Tra le granite e le granate non sia stata compresa da tutti fino in fondo, e che molti si siano fermati al divertimento del gioco di parole e delle sonorità orecchiabili. È una riflessione che ho fatto, e con cui però ho fatto pace, perché in fondo mi ha fatto capire che le mie canzoni hanno due tipi di pubblico: quello che le capisce e quello a cui sono dedicate.
Hai già nuovi pezzi pronti?
No, in questi mesi non sono riuscito a scrivere niente. Però sul telefono ho qualche centinaio di note vocali che mi sono registrato quando mi veniva in mente qualcosa da utilizzare in futuro.
Le celebrazioni degli ultimi successi si concluderanno il 20 gennaio al Mandela Forum di Firenze: cosa hai in mente?
Posso ancora dire poco su quello che succederà sul palco. Di sicuro però, so già che quel concerto rappresenterà una sorta di upgrade di quanto ho fatto sinora. Ci saranno più musicisti e porterò in scena una sorpresa a cui tengo molto, da tempo, e che finalmente si concretizzerà. Per me sarà anche l’esordio nei palazzetti, visto che sarà la prima volta che suonerò in una location simile.
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
Si prende una lunga pausa per pensare, poi mi guarda e scandendo le parole dichiara: La ribellione è il coraggio di rinunciare alla libertà dei propri limiti. Sì, lo so che detta così non vuole dire niente, ma adesso ti spiego. Normalmente ci viene detto che bisogna fare di tutto per superare i propri limiti, invece io credo che uno degli errori che si possano fare è diventare qualcosa che non si è, soprattutto perché ci sono dei limiti che non dipendono da noi, ci vengono imposti. La consapevolezza dei limiti non deve servire a infrangerli, ma deve spingerti a sguazzarci dentro, a tirare fuori il massimo da quello spazio in cui il tuo territorio è delimitato. Prendiamo la mia voce ad esempio: io so che oltre a una certa nota non posso andare, e se ci provassi sarei ridicolo, non ci riuscirei. Quello che devo fare è capire come sfruttarla al meglio per dare emozioni restando dentro ai miei limiti. Un po’ come la scimmia, che è stata il mio limite ma anche la mia libertà.
#MUSICANUOVA: Mahmood, Pesos
Lo abbiamo conosciuto l’anno scorso a Sanremo con Dimentica, e recentemente lo abbiamo sentito al fianco di Fabri Fibra in Luna.
Ora Mahmood torna con nuovo singolo, Pesos.
Il brano dà il via ai suoi nuovi progetti musicali, dopo un periodo trascorso a perfezionare la scrittura durante un lungo viaggio in Europa e gli incontri avuti con diversi autori, tra cui Alessandro Raina e Davide Simonetta, che hanno firmato il singolo.
“Pesos è nata dopo un weekend passato a Londra su un autobus in direzione Luton/Stansted airport. Credo che a volte, dietro una sigaretta e un bicchiere di gin tonic si nasconda la paura di credere nei propri ideali e combattere fino all’ultimo per vederli realizzare. Spesso ci manca il coraggio di dare un senso alla vita, che a volte ci sembra un videogame dove per uscirne indenni basterebbe premere play”.
Magellano: non solo scimmie nel viaggio del "mascalzone" Gabbani
Magellano è il disco dell’anno dell’uomo dell’anno.
Lo è almeno da febbraio, da quando, cioè, Francesco Gabbani ha sconvolto (davvero inaspettatamente??) ogni pronostico degli “esperti”, che sulla sola fiducia del nome davano per vincitrice sanremese la Mannoia. Se posso dirla tutta, fin dal primo ascolto mi sembrava abbastanza ovvio che Occidentali’s Karma fosse destinata come minimo al podio, ma forse tra i corridoi della BMG non erano altrettanto ottimisti, visto che all’epoca del Festival l’album non era ancora pronto ed esce solo adesso, a ridosso di maggio, a una manciata di giorni dall’Eurovision Song Contest, dove – guarda caso – Gabbani è dato come super-strafavorito. Ma visto che notoriamente chi entra papa poi esce cardinale, lascio da parte tutte le chiacchiere future e vado a concentrarmi su di lui, Magellano, l’ultima creatura gabbanesca.
Diciamolo, Gabbani è un vero mascalzone, di quelli buoni e simpatici, uno che – almeno in apparenza – sa prendere la musica per quello che è, un gran divertimento, qualcosa che deve far piacere sia a chi la ascolta sia a chi la fa. Il che non significa fare le cose con leggerezza e qualunquismo, ma farle sapendo che non si sta salvando il mondo e darsi arie intellettualoidi e seriose non serve poi a granché. È forse per questo che il suo nome è stato più volte associato a quello di Celentano, un campionissimo della musica italiana che da mezzo secolo sembra non aver smesso un minuto di guardare la musica con aria sorniona e un mezzo sorriso costantemente stampato in faccia.
Avrebbe potuto giocarsela facile Gabbani con questo album: con il singolo sanremese ancora altissimo in classifica e tutta l’attenzione di pubblico e stampa puntata addosso, il mascalzone di Ferrara avrebbe potuto buttar lì una manciata di pezzi facili facili, di quelli elettropop che tanto piacciono adesso alle radio, con un paio di bombe da sganciare tra primavera ed estate per far colpo un’altra volta, e tutto sarebbe probabilmente filato liscio.
E invece no. Perché l’impressione è che a Gabbani fare musica piaccia terribilmente, con immenso divertimento, e che quindi abbia voluto dare tagli e forme ben precise al suo nuovo album.
Il titolo, Magellano, è ovviamente un omaggio al grande esploratore, e vuole essere un richiamo al viaggio, inteso in ogni sua forma, fisica e interiore. Dentro al disco, nove tracce (8 inediti e la cover di Susanna, Susanna di Celentano) che hanno come comune denominatore un certo brio, una vitalità costante che passa attraverso tutti gli umori dei brani, dal divertimento di Tra le granite e le granate all’ironia (tanta, tantissima) di Pachidermi e pappagalli al disincanto di A Moment Of Silence, fino alle riflessioni solitarie di Stelle al gelo e Spogliarmi.
Magellano non è musicalmente il disco che molti si aspettavano, è qualcosa di molto più ampio, qualcosa che va oltre Occidentali’s Karma, pur essendo l’habitat perfetto per Occidentali’s Karma. Perché Gabbani è anche quello “della scimmia”, ma non è solo quello. È un cantautore con una propria visione delle cose e con la capacità di passare da un livello emozionale all’altro, e insieme a lui lo sono i suoi fidi compagni di musica, Fabio Ilacqua, Filippo Gabbani e Luca Chiaravalli.
E Magellano è album intelligente e pop, di un artista abbastanza cresciuto e lucido da non farsi travolgere dal vuoto cicaleccio dello showbiz e che sembra non cercare a tutti i costi plausi e lusinghe, ma si fa la sua strada sorridendo sotto i baffetti.
Tanto lui lo sa, pianta rei. E ha ragione, oh, come ha ragione!
Sanremo incontra il jazz nel nuovo lavoro di Bruno Santori
Jazz&Remo Il Festival è il titolo del nuovo progetto discografico del Maestro e direttore d’orchestra Bruno Santori, ed è nato dalla volontà di accorciare le distanze tra due generi musicali – jazz e pop. L’album vuole essere un omaggio alla grande tradizione musicale sanremese, rielaborando in chiave jazz i più grandi successi della kermesse.
Il disco vede la partecipazione di Fabio Crespiatico (basso elettrico), docente di basso elettrico ad indirizzo pop presso il conservatorio di Parma, Stefano Bertoli (batteria), che ha suonato tra gli altri con Gianluigi Trovesi e Gianni Coscia ed è docente di batteria jazz presso il conservatorio di Brescia, e Giulia Pugliese (voce) giovane scoperta che nel 2015 ha partecipato a The Voice of Italy.
«I primi quattro mesi di lavoro li ho passati modificando le strutture armoniche e ritmiche dei brani cercando di non perdere l’originalità della canzone stessa, rispettandone la linea melodica e la riconoscibilità. Questo ha permesso che amanti di generi diversi potessero apprezzare la commistione che è il fondamento di questo progetto e del mio modo di essere musicista».
Questa la tracklist:
E non finisce mica il cielo
Quello che le donne non dicono
E poi
Cambiare
Ancora
Adesso tu
Luce
Vacanze Romane
Il cuore è uno zingaro
Volare
Le mille bolle blu
Santori presenterà l’album dal vivo nel corso del Kaz Jazz Fest 2017 che si terrà tra il 7 e il 17 settembre a Bodrum (Turchia) e il 14 ottobre durante il Candle Festival di Birgu a Malta.
Clementino, l'Uomo vitruviano del rap italiano
Nel sempre più articolato panorama del rap italiano, quello di Clementino è uno stile a sé. Non tanto per l’uso quasi esclusivo del dialetto, che a ben vedere non è una sua prerogativa esclusiva, quanto soprattutto perché il rapper napoletano – o meglio, nolano – segue un percorso tutto suo, lontano nella stessa misura dal machismo esasperato, dai toni torvi e cattivissimi e dal populismo in odore pop dei suoi colleghi.
Non è un caso che per il suo ultimo album, Vulcano, non abbia voluto featuring e non abbia scritto un pezzo per “dissare qualcuno”.
Vulcano è un album di Clementino, e solo di Clementino, e per rendere l’idea il ragazzone di Cimitile usa il paragone dell’Umanesimo e del Rinascimento, in cui al centro di ogni cosa vi era l’uomo. Ecco, qui al centro di tutto c’è lui, l’uomo Clementino, e lui, che dell’ironia fa larghissimo uso, spiega che ci si vede nella posa dell’Uomo vitruviano del rap italiano.
Fin dal titolo, questo è un disco che Clemente Maccaro sente suo, quel vulcano è lui, nessun altro avrebbe potuto pubblicare un album con titolo così, “dovevo essere io il primo”. Dopo la valanga di collaborazioni nel precedente Miracolo!, qui non ci sono featuring: negli ultimi anni Clementino ha dato retta a tanti, troppi, concedendo featuring a chiunque glielo chiedesse, adesso si è voluto tenere spazio solo per sé, lavorando con produttori noti – vedi Shablo e Deleterio – o nuovi – vedi David Ice.
E, si diceva, non ci sono dissing. O meglio, c’è un pezzo, A capa sotto, in cui se la prende un po’ con tanti, ma senza fare nomi. Insomma, featuring con nessuno e dissing con quasi tutti.
Vulcano arriva a più di in mese dalla seconda partecipazione a Sanremo, con Ragazzi fuori. Un bilancio tutto sommato positivo, se non fosse per il rammarico di non aver potuto far ascoltare la cover di Svalutation. Mentre ne parla le sue parole tradiscono però anche una certa insofferenza verso quel contesto, e infatti alla domanda su una terza presenza in gara la sua risponda non lascia posto a dubbi: “Se sarà, sarà tra qualche anno. L’ho fatto per due anni di seguito, ma non ne posso più di essere concorrente, di quelle situazioni abbottonate, in cui devo misurare le parole per non rischiare di essere frainteso, per non rischiare di offendere. In questo sono un rapper”.
Musicalmente parlando, si dice un fiero (e forse il primo) esponente del “black Pulcinella”, uno stile che molto deve a Pino Daniele per la componente “nera” e che altrettanto discende dal “napoletan power”.
Dentro al nuovo disco, accanto a pezzi di pura matrice clementiniana come Keep calm e sientete a Clementino e Joint c’è spazio per momenti più riflessivi come Stamm ccà e Deserto, fino a una canzone d’amore, La cosa più bella che ho. A chiudere, Paolo Sorrentino, un personale tributo al regista di cui Clementino è grande estimatore.
Come la vede oggi la scena rap italiana? “Sta cambiando tutto, si dà sempre più spazio al rap da battaglia, Salmo fa il disco di platino senza singoli in radio. Ci sta avvicinando all’America dove può arrivare al primo posto in classifica uno come Kendrick Lamar”.
Non manca poi l’impegno sociale, portato avanti più con i fatti (tra questi, la IENA Soccer, di cui Clementino è presidente onorario, una squadra di calcio in cui accanto a schemi e tecniche si insegnano i valori e si portano i bambini lontano dalle strade) e le denunce (“Nola è ancora terra dei fuochi, la gente continua a morire di tumore”) che con i freestyle: “Le battaglie di freestyle le ho già fatte, vengo da quel mondo, adesso voglio dire cose intelligenti”.
Intanto il nuovo singolo, Tutti scienziati è accompagnato da un video di spassosa ispirazione cinematografica: “Avevamo pensato a Ritorno al futuro o a Frankenstein Junior, poi è arrivata l’idea di Non ci resta che piangere”. Sul finale, un’improbabile full immersion di uso dei social network impartita a un interdetto Leonardo Da Vinci.
Grandi cose sono attese infine per il tour, che a maggio vedrà Clementino anche in giro per l’Europa (Stoccarda, Amsterdam, Colonia, Londra): “All’estero farò allenamento, poi quest’estate arrivo in Italia, e in inverno mi piacerebbe salire sul palco con una band e suonare. Non dico che porterò in scena un vero vulcano, ma quasi”.