E’ prevista per il prossimo 6 ottobre l’uscita di Take Me Apart, album di debutto di Kelela. Dopo essersi fatta notare da pubblico e critica con l’EP Hallucinogen, pubblicato lo scorso anno e accolto da elogi praticamente unanimi, e aver preso parte a importanti collaborazioni (compare nei crediti dell’album di Solange ed è presente nel featuring di Submission nell’ultimo lavoro dei Gorillaz, tanto per fare un paio di nomi), Kelela è attesa come una delle più grandi promesse dell’r’n’b.
L’album – di fortissima impronta r’n’b, hip hop ed elettronica e zeppo di celebrazioni di indipendenza e autoaffermazione, talvolta con note politiche – è anticipato dal singolo LMK, un urlo di battaglia per le donne indipendenti, in cui Kelela rovescia il costrutto eteronormativo che prevede che le donne vogliano sistemarsi. Un concetto demolito e trasformato in un’arma da dancefloor di legittimazione del potere, al quale l’artista preferisce orgogliosamente la storia di una notte.
Insomma, è evidente che la ragazza non va assolutamente persa di vista…
Tracklist: 1. Frontline 2. Waitin 3. Take Me Apart 4. Enough 5. Jupiter 6. Better 7. LMK 8. Truth Or Dare 9. S.O.S. 10. Blue Light 11. Onanon 12. Turn To Dust 13. Bluff 14. Altadena
In occasione dell’anniversario dell’indipendenza americana, celebrato il 4 luglio, e aun anno di distanza dalla pubblicazione dell’album Tempo, Olga Bell è tornata a sorpresa con nuovo EP, non a caso intitolato America.
Tra pop e r’n’b e immersa in atmosfere dai suoni liquidi e sperimentali, nel nuovo lavoro l’artista russa (ma cresciuta in Alaska), propone il brano omonimo, presente anche in versione strumentale e nel remix di Grime Kahn, e gli inediti Special Leave e Cab Driver.
Il 16 giugno al Prachtwerk di Berlino, il Music Club gestito da musicisti americani nel cuore di Neukölln, il quartiere più vivace ed internazionale di Berlino, i Daiana Lou hanno presentato il nuovo singolo Say Something. Un brano ricco delle influenze presenti in ogni angolo della metropoli tedesca, centro della musica elettronica europea, ed è un anello di congiunzione tra la street music e l’elettronica dei club berlinesi. Un’esortazione a trovare ciò che fa indignare e trasformarlo in una vera e propria rivoluzione costruttiva.
“Il video di Say Something – raccontano Daiana e Lou – è la metafora della nostra vita nella frenetica società odierna. Viviamo in un contesto storico digitale dove siamo tutti imprigionati dietro uno schermo che stabilisce cosa indossare, cosa pensare, cosa imitare, cosa amare e cosa odiare. Il videoclip rappresenta l’atto di ribellione a questo meccanismo, ed esorta a fare della propria vita una rivoluzione per restare principalmente esseri umani”.
Il progetto Daiana Lou nasce nel 2013 dall’unione e dall’amore tra due musicisti, Daiana e Luca, provenienti da esperienze musicali differenti: Luca cresce come chitarrista blues, mentre Daiana è una cantante di scuola R&B e reggae. Hanno iniziato a suonare con una band completa per circa un anno e mezzo, poi hanno deciso di provare ciò che entrambi più interpretavano come arte: l’attività di artisti di strada. Hanno iniziato a Roma, per poi decidere di testare la piazza tedesca durante una vacanza a Berlino, che in breve tempo è diventata la base della loro attività da buskers. Lo scorso settembre Alvaro Soler li ha selezionati come una delle tre band della decima edizione di X-Factor. Hanno deciso di autoeliminarsi durante la quarta puntata esprimendo la loro difficoltà nell’adeguarsi alle dinamiche televisive.
Lo abbiamo conosciuto l’anno scorso a Sanremo con Dimentica, e recentemente lo abbiamo sentito al fianco di Fabri Fibra in Luna. Ora Mahmood torna con nuovo singolo, Pesos.
Il brano dà il via ai suoi nuovi progetti musicali, dopo un periodo trascorso a perfezionare la scrittura durante un lungo viaggio in Europa e gli incontri avuti con diversi autori, tra cui Alessandro Raina e Davide Simonetta, che hanno firmato il singolo.
“Pesos è nata dopo un weekend passato a Londra su un autobus in direzione Luton/Stansted airport. Credo che a volte, dietro una sigaretta e un bicchiere di gin tonic si nasconda la paura di credere nei propri ideali e combattere fino all’ultimo per vederli realizzare. Spesso ci manca il coraggio di dare un senso alla vita, che a volte ci sembra un videogame dove per uscirne indenni basterebbe premere play”.
BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
Due elementi hanno segnato la nascita di questo disco: la fine di una storia d’amore e il fatto di essere il secondo album della carriera, che, si sa, si dice essere il più difficile per ogni artista. In effetti Lorde arrivava da quella botta di successo mondiale che l’aveva fatto conoscere con Royals e l’album d’esordio Pure Heroine: un successo di una portata forse un po’ inaspettata, anche perché aveva appena 18 anni. Come ripartite quindi? Ci è voluto un po’ di tempo perché la ragazza metabolizzasse tutto e sapesse far fruttare al meglio i due fattori: perché quanti artisti hanno scritto canzoni o interi album sulla fine di una storia? E quanti sono passati dallo scoglio secondo album? Nel primo caso, moltissimi, nel secondo, praticamente tutti. E allora, come venirne fuori? Con un disco come Melodrama. Dentro, ci è finito di tutto, dal pop all’r’n’b, dall’elettronica ai lenti suonati al pianoforte, e nei contenuti si passa dalla gioia al dolore, come la stessa artista ha riconosciuto: un disco pulsante di luci al neon di caotiche feste in discoteca e i lumicini di momenti riservati solo a sé. I primi due due singoli, Green Light e Liability ne sono un esempio: tanto il primo è ipnotico e vorticoso nelle sue atmosfere quasi da house, tanto il secondo – anche nella reprise – è scarno e vulnerabile. È poi c’è Hard Feelings/Loveless, brano dalla doppia faccia, sunto eloquente degli stati d’animo condensati nel disco.
Un album che probabilmente in molti non si aspettavano così, nelle sue diverse anime umorali e sonore, pulsante e sofferente, con le parole sempre cantate da quella voce così trascinata di peso a cui Lorde ci ha abituati fin dall’inizio, e che in certi casi rischia di diventare proprio il suo limite, incatenandola al ruolo un po’ di principessa depressa e un po’ di maestrina del pop, tipo come Lana Del Rey, ma con più ritmo. Tutto questo fa comunque di Melodramaun album intrigante, selvaggio ma non ostile, moderatamente aristocratico: un vero e proprio esempio di melodramma moderno diviso in tutte le sue “arie”, i suoi atti e le sue scene. I racconti di vita, amore e disperazione di una ragazza che si è trovata tra le mani un successo molto più grande di lei e ha dovuto trovare il modo di far confluire tutto nella sua musica con ordine, senza farsi travolgere dal fine della storia e dal fantasma del secondo disco, e soprattutto continuando a vivere.
Piuttosto, ciò a cui Lorde deve prestare attenzione è non diventare un’artista-feticcio della nicchia dei “filosofi del pop”, vale a dire i presunti alternativi fighetti, fanatici di suoni cervellotici e per forza alternativi. Per quello che ha fatto fino a oggi, Lorde sta esattamente sulla linea del crinale, tra il becero mainstream del vasto pubblicoe l’attitudine indie: un equilibrio che probabilmente prima o poi perderà favore di uno o dell’altro, quale sarà il tempo a dirlo. Per quel che mi riguarda, spero solo che non si trasformi nell’ennesima divinità osannata dalla nicchia hipster.
BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
L’r’n’b grida vendetta. Mentre l’hip-hop da ormai qualche anno si è preso il centro della scena in Italia, il suo cugino conterraneo – cioè statunitense – qui da noi si deve accontentare delle briciole dell’underground. Sì, ogni tanto c’è qualche voce che riesce a farsi sentire, qualche brano che riesce a spuntarla su iTunes, ma nel complesso gli artisti dell’rhythm & blues e dell’urban nostrano sono seguiti da pochi, veraci, estimatori. Manca la vera cultura dell’r’n’b, si potrebbe pensare, quella che in America si respira a ogni angolo della strada: può anche essere vero, ma anche l’hip-hop ha le radici oltreoceano, eppure qui si è trapiantato alla grande. All’r’n’b manca ancora qualcosa per fare il grande salto, forse solo l’occasione giusta, e forse un giorno arriverà anche la sua rivincita, ma per ora i suoi esponenti vanno cercati con attenzione. Per fortuna però, ce ne sono in giro alcuni che vale davvero la pena portare allo scoperto.
Come Luana, ad esempio. Dopo un esordio alcuni anni fa con lo pseudonimo di La Miss e due album all’attivo (in cui ha ospitato anche Baby K per una collaborazione, tanto per dire), è ripartita con il suo nome di battesimo e ha da poco sfornato il suo primo EP, M.W.A. vol. 1, dove M.W.A. sta per “Mama With Attitudine” e vol. 1 è l’augurio di poter in futuro pubblicare anche il seguito. Luana, dicevo, è un personaggio interessante nel panorama r’n’b italiano, perché è una a cui piace osare, buttarsi, rischiare, e sporcarsi le mani. Lo dimostra subito Lucille, prima traccia dell’EP, nonché primo singolo estratto: un brano tosto, tostissimo, duro come l’acciaio e ruvido come l’asfalto. Si parla di violenza sulle donne, ma senza retorica o pietismo: anzi, facendo a pezzi ogni velo di ipocrisia, il testo ha come protagonista una lei che, arrivata al culmine dell’esasperazione per le violenze di lui, si trasforma nella sua assassina. Una dichiarazione di innocenza e vendetta di “un’anima massacrata”, una collisione di sentimenti che si accompagna a uno scontro di generi musicali, con il pop portato da Romina Falconi, spietata interprete del pop elettronico italiano, anche lei allergica a ipocrisie e cotonature buoniste. Di tutt’altro tenore Queen B, che se nel titolo rende ovviamente omaggio alla signora Carter, nel testo e nella musica rimanda all’universo degli anni ’90, con riferimenti che spaziano dalle TLC a Missy Elliott, a Run DMC. Un pezzo d’amore solare e disimpegnato, in cui Jay-Z e Beyoncé diventano l’esatto corrispettivo dei più tradizionali Romeo e Giulietta o Al Bano e Romina (“fai lo scemo davanti allo specchio imitando Jay-Z / io sono la tua Queen B”).
Dichiarazione d’orgoglio e rivalsa, soprattutto musicale, è Fuori dal coro, che vede la partecipazione di Giovane Feddini e Shine, in un incontro tra R&B e rap nella più fedele tradizione, mentre a Tappandomi gli occhi sono affidate le riflessioni più personali sui dubbi e le paure. In chiusura, Lampioni di Giovane Feddini, proposta in una cover remixata e già resa nota alcuni mesi fa.
M.W.A. vol. 1 è un manifesto di coraggio e indipendenza musicali e personali, un prodotto in sincero spirito r’n’b, ma orgogliosamente Made in Italy. Tra soul, trap, hip-hop e pop, Luana attraversa umori molto diversi, dai sorrisi spensierati fino a scendere negli angoli più bui dell’anima.
D’altronde, cos’è questa se non vera attitudine?
Durante le sessioni di scrittura di Fenomeno, Fibra ha scritto e prodotto oltre 40 brani. Fin dal momento in cui la tracklist definitiva del disco prendeva forma, alcuni brani, esclusi sono rimasti lì in evidenza, con un ruolo ben definito: avrebbero visto luce prima o poi, questa l’intenzione e la promessa. Dopo Tony Hawk, dedicato al celebre skater, regalato in aprile nella settimana che precedeva l’uscita dell’album, tocca a Luna e alla sua storia.
Chiamare ospiti in un disco di rap credibile, oggi, in Italia, non è cosa semplice. L’esigenza di avere una voce fuori dalla media italiana, talentuosa, anche impossibile da riconoscere, che definisse da sola il carattere di una canzone, superava ogni tipo di obiettivo commerciale. Fibra ha invitato in studio Mahmood, incrociato solo in un passaggio tv a Sanremo l’anno precedente, per provare, senza pressione di classifica alcuna, un pezzo scritto a 4 mani.
E’ nato Luna, un pezzo dalla struttura non convenzionale: non una canzone normale, non un singolo, ma la fotografia dell’incontro spontaneo tra due artisti.
BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
Ci sono state tre occasioni in cui mi sono davvero esaltato per una canzone di Shakira: la prima è stata per Whenever Wherever, che poi è stato quando l’hanno conosciuta più o meno tutti gli altri, la seconda è stata per Don’t Bother, l’altra è stata per She Wolf, che al momento rappresenta una delle sue più grandi delusioni discografiche. Per il resto, la (finta) biondona colombiana non mi ha mai entusiasmato più di tanto, nemmeno quando il mondo intero è andato in giuggiole per il tormentone di Waka Waka. Ogni suo album è sempre stato una grande incognita, un dubbio diviso tra le sonorità latine (più o meno inevitabili, viste le sue origini) e quelle pop internazionali, e ammetto che alcuni capitoli della sua discografia me li sono proprio persi, eccezione fatta per i singoli passati in radio.
Per questo El Dorado un po’ di curiosità mi è venuta, vuoi per l’attesa che lo ha circondato, vuoi per il buon responso raccolto dai singoli usciti nei mesi scorsi. Il rischio di incappare in un tripudio di varie latinerie e stucchevoli ballate in spagnolo c’era, e lo sapevo, ma ho voluto rischiare almeno un ascolto. Ecco, a giro di brani ultimato, posso dire che le cose sono andate meno peggio di come pensavo: il latin pop la fa da padrone alla grande (con un titolo come quello era ovvio…), ma senza portarsi dietro quelle atmosfere da spiaggia che di solito lo accompagnano come insopportabili cliché. El Dorado è un disco che difficilmente ricorderò come tra i più entusiasmanti in cui mi sia imbattuto, ma alcuni episodi – anzi, forse anche più di alcuni – sono sicuramente da salvare, soprattutto quelli in cui Shakira concede spazio al ritmo, primo fra tutti il reggaeton, meglio ancora se lo irrobustisce con un po’ di elettronica (Me Enamoré, Chantaje, When A Woman), e poi l’r’n’b (Trap), che già tante volte ha fatto capolino nella sua produzione.
Un disco che in qualche modo cerca di far convivere anima latina e anima internazionale senza che una prenda a botte l’altra: come a dire, il mondo latino è il padrone di casa, ma i suoni internazionale sono ospiti più che graditi. A conti fatti, non cambio idea, e continuo a preferire Shakira quando sceglie di uscire di casa e dedicarsi al pop di matrice statunitense, per cui resto in attesa di un nuovo album che ricordi i tempi in cui “c’era una lupa che ululava nell’armadio”, ma mi terrò El Dorado per quando, nelle sere d’estate, sentirò salire una voglia selvaggia di reggaeton.
Le TLC hanno segnato il corso dell’r’n’b e dell’hip-hop femminile degli ’90, diventando uno dei gruppi di maggior successo di tutti i tempi. La loro storia venne tremendamente funestata nel 2002, quando Lisa “Left Eye”, morì in un incidente durante le registrazioni del quarto album, 3D, che vide comunque la luce. Da allora, le pubblicazioni del gruppo si sono limitate a un paio di raccolte e a qualche sporadica apparizione in pubblico, fino a quando non sono iniziate a circolare le voci di di un ritorno. Oggi quel ritorno trova conferma in Way Back, nuovissimo singolo che vede T-Box e Chilli collaborare con un altro asso dell’hip-hop mondiale, Snoop Dogg. Il brano non tradisce la storia delle TLC ed è l’inizio di un nuovo capitolo che si concretizzerà il prossimo 30 giugno con il nuovo album. “It’s Been A Long, Long Time Coming”, recitano le primissime parole di Way Back: abbiamo aspettato davvero a lungo, ma l’attesa è finita, e di colpo sono di nuovo gli anni ’90…
Essere donne e essere nere non era facile negli anni’60. In certi contesti non lo è neanche oggi, a dire il vero, ma negli anni ’60 era praticamente la norma. Anche se lavoravi alla NASA al più importante progetto spaziale mai realizzato prima. Katherine Johnson fu una delle menti che presero parte alla missione che nel 1962 portò nello spazio John Glenn, il primo uomo lanciato in orbita, e poi alla missione Apollo 11, che nel 1969 fece approdare il genere umano sulla luna. Eppure il nome della Johnson è sconosciuto ai più e quasi del tutto assente nei libri di storia, anche se il suo apporto si dimostro fondamentale, insieme a quello delle colleghe Dorothy Vaughan e Mary Jackson. A ridare un po’ di giustizia alle tre scienziate statunitensi arriva Hidden Figures, pellicola cinematografica che in Italia esce proprio l’8 marzo con il titolo di Il diritto di contare. Al centro, le vicende di queste tre donne, impegnate nel dare il loro contributo alla buona riuscita dell’impresa. Diretta da Theodore Melfi, e con Taraji Henson, Octavia Spencer e Janelle Monae nei ruoli delle protagoniste, la pellicola si arrichisce delle musiche di Pharrell, con la produzione di un gigante come Hans Zimmer e di Benjamin Wallfisch. Un trionfo di funky e r’n’b in cui, al fianco del genietto della musica Pharrell, sguazzano interpreti come Mary J Blige, Kim Burrell, Lalah Hathaway e la stessa Janelle Monae. Una colonna sonora orgogliosamente black, zeppa di ritmi e di voci nerissimi. Un entusiastico omaggio al girl power… prima del girl power.