BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
Si fa presto a dire Ligabue. Dopo più di 25 anni di canzoni, uno pensa di conoscerlo, almeno per un po’, per il suo modo di usare la voce, la scrittura, la stesura degli accordi. E lui invece ti spiazza pubblicando un disco al di fuori degli schemi, quantomeno i suoi, e lo intitola semplicemente Made In Italy. Roba che prima di ascoltarlo, uno si immaginava un album che raccontava l’Italia nelle sue vette e i suoi abissi, ma pur sempre nello stile “del Liga”. Invece…
Invece Ligabue è arrabbiato, forse come non lo era mai stato prima, neanche con Mondovisione, dove pure una certa rabbia veniva fuori. La sua è però una rabbia mista alla delusione per un paese “che fa finta di cambiare e intanto resta a guardare”, come canta in La vita facile, il pezzo che apre il disco. E poi c’è comunque l’amore per questa terra.
Una foschia di sensazioni che Luciano ha riversato in quello che, per sua stessa dichiarazione, si può considerare un concept album, il primo della sua carriera.
Il collante è proprio quello del racconto delle piccolezze e dei drammi italiani, non però dal punto di vista del cantautore Ligabue, ma di Riko, una sorta di suo alter ego, un uomo pressato dalla vita, quello che lui sarebbe diventato se la sua sorte non gli avesse riservato la vita che ha avuto. Quello arrabbiato che racconta è quindi idealmente questo Riko, è lui a prendersela con la superficialità dilagante, i politici che promettono “più figa e meno tasse”, ed è ancora lui quello che al venerdì intima agli altri di non rompergli i coglioni.
E proprio in questo gioco di specchi viene il bello. Perché in Made In Italy, del Ligabue che eravamo abituati a sentire c’è poco. Non proprio nulla, ma molto, molto meno rispetto al solito. Già G come giungla avrebbe dovuto darci qualche sentore, perché un pezzo con quei suoni il Liga non lo aveva mai fatto.
Ci sono un po’ di suoni muscolari, potenti, molto belli tra l’altro, che avevano riempito la scena con Mondovisione, e ci sono alcuni pezzi classici “alla Ligabue”, come appunto La vita facile, Vittime e carnefici e anche il pezzo che dà il titolo all’album, ma in mezzo ci sono riferimenti molteplici, come The Who e il loro Quadrophenia. Ma non ci sono pezzi d’amore e mancano le rapide pennellate di parole con cui Ligabue era solito descrivere scene di realtà.
La storia di Riko passa attraverso un matrimonio comatoso, un linguaggio duro come mai prima, la frustrazione per la politica e il mondo del lavoro sempre più precario, e poi una brutta avventura con un poliziotto che gli procura qualche punto in testa e qualche minuto di celebrità mediatica, fino al lieto fine di Un’altra realtà, questo sì in perfetto stile Ligabue: “non ho dormito / ma ho visto l’alba / ecco che spunta / un’altra realtà”.
Non so dire se tutta questa impalcatura del concept e di Riko mi ha davvero convinto, forse lo spaesamento è troppo grande e forse Made In Italy non è il lavoro di presa più immediata di Luciano Ligabue, ma suona piuttosto come un disco di passaggio.
Certo è che quando Ligabue “fa Ligabue” la stoffa del fuoriclasse torna fuori.