“Il depresso” e l’ironia di Alda Merini. Quattro chiacchiere con Giovanni Nuti, Andrea Mirò e Dario Gay

“Il depresso è come un vigile urbano / Sempre fermo sulla sua catastrofe”.

Così recitano due versi centrali de Il depresso, una poesia in cui Alda Merini tratteggia con disarmante sincerità e trasparenza, e con altrettanta ironia, il ritratto del depresso per professione, cioè colui che, lontano dal voler uscire dalla propria condizione di sofferenza, vi resta immerso trascinando con sé anche chi gli è accanto.
Versi che, per ironia del destino, sembrano suonare oggi più chiari che mai a tutti noi, costretti a una reclusione forzata per la diffusione del Coronavirus, con il rischio di cadere in un pessimismo senza uscita.

Come molte altre liriche di Alda Merini, anche Il depresso è stato messo in musica da Giovanni Nuti, che ne ha proposto una vivace rilettura sonora in collaborazione con Andrea MiròDario Gay, contenuta nel cofanetto Accarezzami musica il “Canzoniere” di Alda Merini, pubblicato nel 2017. Il brano è stato presentato dal vivo nella serata del 20 ottobre 2017 al Teatro Dal Verme di Milano, e dell’esibizione è ora disponibile il video ufficiale.

 

Abbiamo raccolto le riflessioni dei tre artisti, cogliendo l’occasione anche per alcune personali riflessioni sul momento che stiamo vivendo.


Quattro chiacchiere con… Giovanni Nuti

 

Uno degli elementi che colpiscono del brano è l’atmosfera ironica, quasi giocosa arriva subito all’ascoltatore.
Fa parte del lavoro che ho sempre fatto con le poesie di Alda Merini. Alda aveva un forte senso dell’ironia, e in questo caso ho pensato che l’atmosfera più adatta fosse quella di un canto popolare, una musica che rimandasse all’atmosfera delle feste di paese.

Un tono che è all’opposto di una tematica tanto seria e impegnativa come quella della depressione, che Alda riesce a descrivere con una trasparenza e una sincerità quasi disarmanti.
Alda Merini aveva un grandissimo rispetto della depressione, quella vera, che aveva conosciuto anche personalmente. Non aveva invece certo una buona impressione dei “depressi di professione”. Il depresso di cui parla è una vittima che diventa carnefice, manipola gli altri, è una larva che succhia le energie delle persone che ha attorno, soprattutto è un individuo che “resta fermo sulla sua catastrofe”, come recita un verso della poesia. Se si resta fermi sulle proprie catastrofi non se ne esce, ma anzi le catastrofi si rafforzano. Il tono scherzoso di Alda serve proprio a togliere tragicità alla situazione: più ci si sofferma sulla drammaticità del momento più la tragedia persiste e non ce ne si allontana.

Sembrerebbe quasi un monito per il difficile periodo che stiamo tutti vivendo.
Non a caso ho scelto di far uscire proprio ora il video dell’esibizione. Un libro, una poesia, una canzone sono fondamentali, danno la possibilità di soffermarsi e riflettere, e sono l’occasione di guardare oltre alla difficoltà del periodo. Questo momento è l’occasione per un cambiamento interiore di tutti, abbiamo la possibilità di capire che siamo oltre la nostra natura materiale: siamo luce, siamo energia, siamo il nostro pensiero. Siamo obbligati ad avere un rapporto con noi stessi, e dobbiamo scendere in profondità in noi per non restare fermi sulle disgrazie quotidiane che i mezzi di informazioni ci presentano tutti i giorni. In un momento come questo non dobbiamo vergognarci di provare gioia: è proprio grazie alla gioia che le nostre vibrazioni si elevano e noi possiamo diventare energia per aiutare gli altri. Abbiamo tutti paura, siamo coperti da una cappa di negatività, e c’è bisogno del contrario, di emozioni che ci portano oltre. L’arte e la bellezza sono cibo spirituale. Dobbiamo diventare consapevoli della nostra spiritualità e della nostra umanità: tutto è spirito, tutto è energia, tutto è dotato di vibrazioni, lo aveva scoperto anche Einstein.

Dalle tue parole traspare una grande fiducia su quello che potrà accadere quando l’emergenza sarà finita.
Per forza, gli artisti sono i nipoti di Dio, come potrei non avere fiducia in quello che succederà?

Cosa pensi che ci possa insegnare questa esperienza?
Apprezzare le cose che contano, e lasciar andare tutto ciò che è momentaneo. Ci sarà un risveglio spirituale, che ovviamente non sarà per tutti, ma per chi lo vorrà accogliere. Stiamo imparando a riscoprirci, stiamo conoscendo il nostro prossimo, a partire dal nostro vicino; stiamo riscoprendo la gentilezza, la bellezza, la non improvvisazione. Eravamo abituati a correre per stare dietro al successo, al nostro ego, perdendo però l’essenziale. Avevamo gli sguardi costantemente rivolti agli schermi dei cellulari, invece abbiamo dovuto iniziare ad alzarli per guardarci in faccia. È un risveglio collettivo che penso possa fare bene anche ai preti, che dovranno tornare a essere amorevoli con tutti e dovranno riscoprire il significato dell’accoglienza. Il nostro fratello è un riflesso di noi stessi.

Pensi che la Chiesa sia riuscita a far sentire la propria presenza?
Papa Francesco è straordinario, è arrivato a dire che i medici e gli operatori sanitari sono i santi della porta accanto. Purtroppo, il papa non è la chiesa, e l’ambizione a volte prende il sopravvento anche tra gli operatori ecclesiastici.

L’arte la cultura come potranno riprendersi da questo momento?
È difficile poterlo dire, perché l’arte e la cultura presuppongono l’aggregazione. Un concerto, una mostra, una manifestazione presuppongono che le persone si raccolgano in un unico luogo, e sarà difficile riportare le persone in un luogo chiuso fino a quando a non si sarà trovato un vaccino e fino a quando non si sarà sicuri che il virus sarà debellato. Forse spetterà agli artisti trovare un modo per non fermarsi e portare la propria arte alla gente. Il nostro futuro è fatto di emozioni, perché sono le emozioni a creare le realtà. Ecco perché è fondamentale creare emozioni di pace, di calma, di tranquillità. Dobbiamo imparare a fare come lo sciamano, che combatte le sciagure e le difficoltà con una danza. Dopo tutto, anche Il depresso finisce con un risata.

 

Quattro chiacchiere con… Andrea Mirò

 

Come hai accolto l’occasione della collaborazione per Il depresso?
Non era la prima volta che lavoravo con Giovanni Nuti ed è stato come ritrovarmi un gruppo di amici. Giovanni è molto bravo a intercettare la musicalità della Merini dandole una bellissima veste sonora, in cui non è stato difficile infilarsi quando abbiamo realizzato Il depresso. La serata al teatro Dal Verme è stata bellissima, Monica Guerritore è anche salita sul palco con noi sul finale del brano presa dall’entusiasmo. Alda Merini poi è stata una donna e una poetessa di uno spessore esagerato: ti affetta il cuore con una sincerità priva di abiti. Ha vissuto in tempi ben più difficili di quelli di oggi, soprattutto per chi era donna e scriveva poesie. Mi piace moltissimo anche la sua vena ironica, sa essere spiazzante e sa usare la leggerezza. Purtroppo, forse ancora oggi non è letta, conosciuta, celebrata e glorificata come si dovrebbe.

Hai parlato di leggerezza: secondo te si acquisisce e si affina o è una dote naturale?
Fa sicuramente parte del nostro carattere e del nostro background: chi è sempre stato affossato dagli eventi e ha sempre vissuto nel fango farà fatica ad alzare la testa per guardare le stelle, ma vale la pena provarci e lavorarci. Vale anche per l’essenzialità, una dote pura, un lavoro di cesello, come quello compiuto da Michelangelo su un pezzo di marmo. Togliere, per arrivare al nocciolo: un lavoro pesantissimo, che solo i grandi artisti riescono a raggiungere.

Un lavoro difficile anche perché è fondamentale sapere fin da subito a cosa si vuole arrivare.
Esattamente. Per questo dico che l’essenzialità, così come la leggerezza, è qualcosa che fa parte di noi, ma che in parte va anche acquisito. È un lavoro di crescita.

Parlando invece di sincerità, un artista ha sempre il dovere di essere sincero?
Dipende da quello che si intende. Sicuramente un artista deve prendersi la responsabilità di tutto quello che sceglie di dire e di fare. Mi riferisco alla messa in scena di una storia, cioè al modo in cui un racconto viene riproposto al pubblico attraverso la musica, il teatro o la scrittura. Il pubblico ne coglierà poi una lettura personale. In questo senso, la sincerità rappresenta il pensiero dell’artista ed è suo dovere metterla nel proprio lavoro, sia quando racconta di sé, sia quando sceglie di toccare tematiche più universali o più distanti, che magari non ha vissuto in prima persona ma che è in grado di trattare grazie alla sensibilità e alla cultura che ha acquisito. Oggi siamo circondati da artisti che raccontano storie da cameretta, che mi annoiano. Il grande artista è chi sa partire da una storia semplice per farne qualcosa di più grande, di universale. Penso a Guccini, Vecchioni, Fossati, Ruggeri, ma anche Brassens, Brel, Dylan. Incontro di Guccini non è solo il racconto di un’esperienza personale, ma parla dell’animo umano, di come si cresce e ci si evolve.

Oggi gli artisti sono ancora disposti a mettersi in gioco e a rischiare come facevano in passato?
Probabilmente no, ma la colpa non la additerei solo a loro. È colpa di una grande trasformazione. Fare l’artista e il cantautore è un altro mestiere rispetto al passato. Si guarda soprattutto ai numeri, che c’erano anche prima, ma andavano a braccetto con tutto il resto. Si poteva rischiare e proporre qualcosa di provocatorio continuando a rivolgersi alle grandi platee. E poi un tempo non c’erano i social, c’era fame di contenuto, di musica, di live. C’era il senso dell’attesa, la fruizione di un’opera durava anni, poteva capitare di scoprire l’esistenza di un disco dopo un anno dall’uscita, era normale, non cambiava nulla. Sarà banale dirlo, ma oggi la musica viene venduta come un prodotto da banco.

Da musicista, come vivi questa situazione?
Sento di appartenere all’underground, che non si può più chiamare indie, visto che nemmeno l’indie oggi è davvero indie. Andare controcorrente si può, la platea è molto più ristretta, ma anche molto più esigente. In generale, il livello medio si è purtroppo abbassato, anche perché perdiamo troppo facilmente la memoria e ci dimentichiamo del passato. A 6 anni mio figlio ascoltava i Joy Division, Buscaglione e i Beach Boys, oggi, che ne ha 15, sente il bisogno di appartenere a un gruppo e subisce i bombardamenti che arrivano dall’esterno. Ma in un momento di crescita ci sta. Personalmente non cambierei la mia adolescenza con quella dei ragazzi di oggi, mi sembra che manchi la capacità di cernita. Crediamo di essere tanto liberi, ma siamo più schiavi che mai.

Questo periodo di reclusione può insegnarci qualcosa di buono in questo senso?
Spero che sia per tutti l’occasione di far pensare. Quando si è abituati a correre, è difficile doversi specchiare tutti i giorni. Abbiamo un tempo scandito dal giorno e dalla notte, ma le nostre giornate sono in stand by. Molte persone entreranno in crisi, stiamo vivendo una vera rivoluzione, anche se non è portata avanti con i forconi. Ogni giorno leggo di persone quasi entusiaste di essere recluse per avere finalmente il tempo di fare cose che di solito non riescono a fare, io mi sento invece molto frustrata. Non posso fare quello che vorrei, devo occuparmi delle ingerenze familiari, mi vengono mille idee per nuovi progetti da realizzare, e devo appuntarmele anche di notte. Poi ci sono da organizzare i tempi della spesa, gestire i figli che hanno le videolezioni. Per certi aspetti, è tutto piuttosto fantozziano.

Su quali progetti stavi lavorando prima che tutto si fermasse?
Stavo lavorando ad alcune serate che si sarebbero dovute svolgere a Roma e a Milano per un progetto dedicato a John Lennon e Yoko Ono, intitolato La ballata di John e Yoko, con Ezio Guaitamacchi e Omar Pedrini. Era in programma anche l’inizio del lavoro su Far finta di essere sani, una riproposizione di uno spettacolo di Gaber per il teatro Menotti: saremmo dovuti andare in scena a giugno, invece è tutto cancellato. Lo scenario che si prospetta è terrificante, sembra che se ne riparlerà per il 2021. So che Tiziano Ferro è stato massacrato per quello che ha detto alcune settimane fa da Fabio Fazio quando ha chiesto al Governo di avere risposte anche per il settore della musica, ma non è altro che la verità. Per ogni evento ci sono decine, per non dire centinaia, di persone, che lavorano e che vedono il proprio destino ancora incerto. Ma anche gli artisti stessi hanno famiglia e hanno il diritto di sapere cosa succederà. Invece tutto rimanda alla solita mentalità italiana per cui se alla domanda “che lavoro fai?” rispondi l’artista o il musicista, la replica sarà “sì, ok, ma di lavoro cosa fai?”.

Concludo con una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di “ribellione”?
La ribellione è l’affermazione di sé, oggi fortissimamente. Essere ciò che siamo fino in fondo, perseguire i propri obiettivi fino in fondo, quali che siano. Coltivare la propria libertà di scegliere e di essere, tenendo quindi conto anche della libertà altrui. Una volta che hai capito questo, il rispetto per gli altri viene naturale.

 

Quattro chiacchiere con… Dario Gay

 

Come hai accolto l’occasione della collaborazione per Il depresso?
Con grande entusiasmo. Il rapporto di conoscenza e di collaborazione con Giovanni Nuti nasce molto tempo fa, avevamo già lavorato insieme. Nel mio album Ognuno ha tanta storia ci sono tre canzoni che abbiamo scritto insieme e nel corso del tempo ci siamo spesso contaminati a vicenda. Abbiamo scritto insieme anche un brano che vorrei pubblicare non appena questa emergenza sarà rientrata, si intitola L’inno della pettegola. Siamo un po’ folli entrambi. Ecco perché quando Giovanni mi ha proposto la collaborazione non ho neanche voluto scegliere il brano, mi sono fidato ciecamente di lui.

Che rapporto hai con la poesia di Alda Merini?
Un rapporto molto forte. In passato ho lavorato anche con Milva, seguendo da vicino la realizzazione dell’album Milva canta Merini, e ho potuto leggere delle poesie di Alda rimaste ancora oggi inedite. Posso dire che la poesia della Merini la sento molto dentro di me.

In Il depresso c’è anche una lettura molto trasparente e tremendamente sincera di un certo tipo di depressione.
E poi c’è l’ironia. Alda aveva la capacità di affrontare temi di grande gravità con estrema ironia, al limite del comico. Anche questo mi avvicina molto a lei e a Giovanni. Basti pensare che al funerale di mio padre mi sono trovato di fronte a una situazione talmente paradossale che mi ha fatto ridere, nonostante l’estremo dolore di quel momento. Credo che faccia parte del mio essere per natura dissacrante (ride, ndr), anche se capisco che gli altri potrebbero non capire e fraintendere.

Pensi che l’ironia come forma di comunicazione riesca ad arrivare al pubblico?
Sì, se è fatta con intelligenza, La poesia di Alda Merini è fruibile da tutti: è semplice e diretta, e anche il gioco che lei fa sulle tragedie può essere accettato anche dagli altri. Cosa ben diversa è invece la stupidità, oggi purtroppo molto diffusa.

Riesci a trovare un modo per guardare oltre a questo momento difficile?
Ho la fortuna di fare musica e pur non avendo uno studio di registrazione in casa sto continuando a scrivere, e mi escono canzoni solari, di speranza. La musica mi ha aiutato in molte situazioni difficili in passato, per esempio quando ho perso persone care. Ho anche partecipato ad alcune iniziative in video, insieme ad altri artisti sto preparando il video di un mio vecchio pezzo, Domani è primavera, in cui è coinvolto anche Giovanni Nuti. Ognuno dovrebbe spendere il proprio tempo in cose che ama fare. Ma questa esperienza può essere anche l’occasione per passare più tempo con i familiari, riscoprire il vicino di casa. Ho la fortuna di avere un bel rapporto con i vicini, mi mandano i piatti che preparano e io passo a loro le ricette in cui mi diletto. Sto anche riscoprendo rapporti umani inaspettati: per esempio, ho un amico in Marocco che da quando ha saputo della situazione che stiamo vivendo in Italia non lascia passare un giorno senza telefonarmi per sapere come sto. Oppure con mia grande sorpresa ho visto comparire una mia foto in un video realizzato da due cari amici, i Cómplices, un duo molto popolare in Spagna. Hanno voluto raccogliere le immagini dei loro affetti più cari e hanno incluso anche me. C’è del bel bello anche in questo periodo ed è l’occasione di riflettere e fare buoni propositi per il futuro.

Se ti guardi indietro, pensi che sia cambiato il tuo modo di scrivere?
Sono un po’ discontinuo purtroppo, ma non credo che lo stile sia cambiato, Ho un approccio diverso, oggi osservo le cose con occhi diversi e colgo umori che un tempo non riuscivo a cogliere. Non ho mai avuto una scrittura immediata, ma sicuramente oggi è più matura. Non scriverò mai di politica, non lo so fare, mentre continuerò a parlare dell’animo umano, di amore, ma anche rabbia, denuncia, sempre accarezzando i sentimenti senza mai esplicitarli troppo. In passato mi sono esposto prima di tutti gli altri sul tema dell’omosessualità. Ho fatto coming out nel 2001, quando ho scritto la sigla dei Gay Pride, Domani è primavera, poi nel 2005 ho scritto Ti sposerò, un brano dedicato a un altro uomo, ed erano i tempi dei Pacs, non si parlava ancora di unioni civili. Per protesta abbiamo anche organizzato un finto Pacs a Roma, al quale ho partecipato come testimonial. Il brano era stato inizialmente proposto a Rai Trade, ma non è stato pubblicato perché era considerato politico, non sociale, ed è stato pubblicato in seguito dalla Edel. Già nel 1991, a Sanremo, avevo suscitato scandalo con Sorelle d’Italia parlando di transessuali e per poco non sono stato denunciato. Oggi fortunatamente si sono fatti passi da gigante e su certe tematiche è caduto il tabù.

Pensi che gli artisti siano sempre disposti a rischiare?
Ci sono occasioni in cui gli artisti si mettono al servizio di cause sociali, come è successo per il concerto-evento previsto a settembre a Reggio Emilia contro la violenza sulle donne, che vede coinvolte sette artiste italiane. Speriamo che in qualche modo l’evento possa avere luogo. Per il resto, mi sembra che oggi ci sia molta voglia di trasgredire, con il risultato però di omologare tutto. Ognuno vuole emergere, e alla fine non emerge nessuno: penso alle polemiche che hanno coinvolto Junior Cally prima di Sanremo, o ai video di Bello Figo. La vera trasgressione era quella di Renato Zero, Ivan Cattaneo o Loredana Bertè, oggi è solo un espediente per far parlare di sé, tutto ha una durata effimera.

Chi ti piace oggi?
Diodato. Mi ha fatto molto piacere la sua vittoria a Sanremo, anche se ho preferito cose che ha fatto in precedenza, come il pezzo per la colonna sonora di La dea Fortuna, Che vita meravigliosa. Mi piacciono anche Calcutta e Tommaso Paradiso, e mi diverte tantissimo MYSS KETA.

A suo modo dissacrante anche lei.
Decisamente. I suoi testi sono scritti benissimo e credo che ci sia un grande pensiero dietro al suo personaggio. Mi piacciono anche le performance di Achille Lauro, anche se musicalmente lo trovo meno interessante. Al di là di tutto, resto un “ruggeriano” convinto. Sono cresciuto con Enrico Ruggeri, ho lavorato e continuo a collaborare molto con lui e ho imparato tanto stando in tour con lui. Tra gli stranieri amo Lady Gaga. È una delle più grandi artiste della sua generazione, una grande musicista, cantante e attrice. Ho capito veramente chi fosse quando ho visto il primo video che ha fatto con Tony Bennett, e l’ho seguita in American Horror Story.

Concludo con una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di “ribellione”?
Sono sempre stato un ribelle, non ho mai subito le regole: le ho accettate solo quando le condividevo. Ribellione è non omologarsi al pensiero comune: anche se sei l’unico a pensarla diversamente dalla massa devi alzarti in piedi e far sentire la tua voce. Negli anni ’90 sono andato a convivere con un ragazzo, una scelta non così facile all’epoca, ma io volevo vivere la vita come l’avevo scelta. La mia è stata una ribellione anche verso la società, perché non ho mai fatto finta di essere il cugino del mio convivente, e devo dire che ho trovato intorno a me persone migliori di quello che potevo immaginare. Ma dipende anche da noi, dobbiamo porci per quello che siamo davvero, senza vergogna.

 

Accarezzami musica – il “Canzoniere” di Alda Merini (Nar International/Sagapò) è un cofanetto con tutta la produzione in musica della poetessa milanese, frutto della esclusiva collaborazione, durata 16 anni, con il musicista e interprete Giovanni Nuti.
L’opera è disponibile in edizione speciale con 6 CD, 1 DVD, 114 canzoni di cui 13 inedite, 21 brani con la voce recitante di Alda Merini, duetti di Giovanni Nuti con 29 artisti ospiti.
Nel cofanetto anche un volume di 96 pagine con tutti i testi, 4 poesie inedite e 2 disegni autografi di Alda Merini, foto della poetessa dell’archivio fotografico di Giuliano Grittini e scritti di Vincenzo Mollica, Massimo Cotto, Sua Eminenza il Card. Gianfranco Ravasi, Lucia Bosè, Roberto Cardia, Giovanni Nuti.
Il progetto è stato realizzato con il sostegno della Fondazione Gianmaria Buccellati.

Il cofanetto è in vendita nelle librerie.

Per Vincenzo Incenzo è arrivato “Il primo giorno dell’estate”


Per Renato Zero, che ne è il produttore, Il primo giorno dell’estate è un brano destinato a diventare un classico della musica italiana.
Dopo Je suis e Del Paese realeVincenzo Incenzo sceglie come terzo estratto dal suo primo album Credo un brano romantico, che si allinea ai successi scritti nel corso degli anni per numerosi colleghi e diventati parte di un repertorio classico.

“… e com’è bello dopo tante nevicate il primo giorno dell’estate…”

Il singolo è stato scelto come colonna sonora del cortometraggio Luce oltre il silenzio di Giuseppe Racioppi, in gara nei maggiori festival cinematografici internazionali.
Il video rielabora in una chiave immaginifica i ciak del corto, grazie alla genialità del regista Luca Bizzi.

Io sono Mia: al cinema il bio-pic dedicato a Mia Martini

Febbraio 1989, Sanremo: Mia Martini si prepara a tornare sulle scena dopo sei anni di esilio. Un allontanamento volontario, ma nei fatti provocato dalle sempre più pressanti maldicenze sul suo conto. “Mia Martini porta sfortuna”, si diceva ormai da tempo nell’ambiente dello spettacolo, al punto che molti altri artisti si rifiutavano di avere a che fare con lei, i suoi dischi non vendevano più e gli impresari non la ingaggiavano più nelle trasmissioni televisive. Addirittura facevano fatica a pronunciare il suo nome. Tutto per alcune sfortunate coincidenze e la voglia di qualcuno di vendicarsi di un’artista dal carattere forse non proprio semplice (“L’unica cosa su cui sono sempre stata d’accordo”).

“E’ stata una vera e propria violenza compiuta su una persona, su una donna, e forse all’epoca tutti quanti non abbiamo fatto abbastanza per fermare questa calunnia. Questo è il mio modo di chiederle scusa”. Sono le parole di Riccardo Donna, il regista di Io sono Mia, il bio-pic dedicato alla storia di Mimì prodotto dalla Eliseo di Luca Barbareschi in collaborazione con Rai Fiction. La pellicola verrà proiettata in quasi 300 sale cinematografiche italiane solo nelle giornate del 14, 15 e 16 gennaio, per approdare sugli schermi di Rai 1 prossimamente.
Dopo il successo dello scorso anno con la minifiction Fabrizio De André principe libero, la Rai torna così a dare spazio alla vita di un’altro grande nome della musica italiana.
Il film parte proprio da quel festival dell’89, quando ancora nessuno sapeva che per Mia Martini non si sarebbe trattato solo di un grandioso ritorno in scena, ma che in quell’occasione la musica italiana avrebbe anche ricevuto in regalo la preziosissima interpretazione di Almeno tu nell’universo.
Mimì quell’anno non vinse il Festival, e non lo vinse in nessuna delle altre sue partecipazioni, ma quello che è stata in capace di lasciare sul palco va oltre ogni vittoria.

“Per convincere gli organizzatori a far partecipare Mimì quell’anno al Festival, una persona, di cui non posso fare il nome, dovette firmare un contratto come garante per tutto che di spiacevole sarebbe potuto succedere: durante l’esibizione si sarebbe dovuta sedere in prima fila all’Ariston, così se fosse crollato il teatro ci sarebbe rimasta sotto anche lei”: a raccontare l’aneddoto è Loredana Bertè, sorella di Mia, probabilmente colei che più di ogni altro la conosce e la può raccontare, e che per questo film è stata coinvolta in veste di consulente. La persona di cui parla Loredana pare sia Renato Zero, anche se sulla veridicità dell’evento non c’è molta chiarezza, dal momento che Adriano Aragozzini, organizzatore della manifestazione nell’89, ha chiaramente smentito l’intera vicenda in una recente intervista al Fatto quotidiano.
Comunque siano andate le cose, è certo che per Mimì si trattò di un autentico riscatto, che la riportò al grande pubblico dopo che per anni si era accontentata di cantare alle sagre di paese.

A dare corpo, voce e (tanta) anima a Mia Martini è Serena Rossi, che regala un’interpretazione che non si fatica troppo a definire eccezionale: “Ho letto molto su di lei, ho guardato molte sue interviste e ho ascoltato tanto la sua musica, come continuo a fare ancora adesso. Fin dal primo giorno di riprese sapevo che non avrei dovuto cercare di imitarla per non rischiare di scimmiottarla. Ero sicura che da tutte le persone coinvolte nel lavoro avrei ricevuto tantissimo amore, e così è stato. Io non posso che ringraziare e ritenermi fortunata per l’opportunità che mi è stata offerta”.
Pur lontana dall’imitazione, l’attrice riporta con impressionante fedeltà e intensità le espressioni di Mimì, i gesti viscerali delle sue mani e i movimenti delle sue labbra durante le esibizioni, fino a far rivivere la luce tragica che i suoi occhi emanavano.
Sfruttando l’espediente di un’intervista rilasciata a poche ore dall’esibizione sanremese a Sandra, una giornalista arrivata in realtà per incontrare Ray Charles, nel film Mia Martini ripercorre la sua vita, dalle interpretazioni dei brani di Ella Fitzgerald davanti allo specchio della cameretta, al travagliato rapporto con il padre, fino alla delicata operazione alle corde vocali. E poi l’incontro con il manager Alberigo Crocetta e quelli con Califano e Lauzi, che scriveranno per lei pagine importantissime della sua discografia, il rapporto con la sorella Loredana, interpretata da Dajana Roncione, e la storia d’amore con Andrea, un fotografo, personaggio dietro al quale non è difficile riconoscere Ivano Fossati.
E’ ancora Loredana a spiegare: “Ci sono due persone che hanno espressamente richiesto di non essere nominate in questo film, Ivano Fossati e Renato Zero”. Quest’ultimo viene portato sullo schermo nella figura di Anthony, un eccentrico amico conosciuto per caso fuori da un locale.

Alla fine, dopo aver ripercorso tra i suoi ricordi buona parte della sua vita, viene quasi spontaneo anche a noi porci la stessa domanda che Sandra rivolge a Mia: “Come sei riuscita a sopportare tutto questo?”
E nella risposta di Mimì non potremo che ritrovarci tutti d’accordo.

ALT in Tour: un cofanetto per rivivere lo spettacolo dell’ultimo Tour di Renato Zero

Un cofanetto con doppio CD, DVD e BLURAY per rivivere il live che il 7 gennaio 2017 ha fermato il tempo al Forum di Assago.

ALT in Tour è il regalo che Renato Zero ha voluto fare ai suoi fan, con la sintesi perfetta di una tournée che tra il 2016 e il 2017 ha portato l’artista nei palasport di tutta Italia per oltre 30 date.

Il cofanetto racchiude in più di tre di spettacolo il racconto in suoni e immagini di una delle tappe più rappresentative diun tour che ha coinvolto oltre 230.000 spettatori e che ha visto sul palco insieme a Renato gli 8 componenti della sua band, i 63 elementi dell’Orchestra Filarmonica della Franciacorta diretta dal Maestro Renato Serio e i Neri Per Caso.

«Voi, mio inseparabile pubblico, voi vi siete fatti conoscere fra tutti, come il popolo fedele di un’idea. Un principio affermato anche nella vita. Diligenti e pensanti al punto di esservi imposti come “Modello” di costanza e coerenza. Fedeli? Certamente! Cosa anche questa rara. Negli involontari tradimenti e scappatelle, che in ogni famiglia musicale talvolta accadono.

Ma voi no! Voi vi siete assunti l’onere di essere Zerofolli a oltranza. Come non amarvi? Come non desiderare il vostro bene. La vostra salute. Un luminoso futuro? ALT vi dico! E non lo sussurro, ma lo grido a squarciagola. Fermatevi di fronte alla gioia appagante. Alla vostra commozione. Mentre scandite quei canti come fossero inni propiziatori o scaramantici. Il tempo è volato. Ma pure quella timida ruga si mostra fiera di apparire, testimoniando che il tempo è prima approfondimento e poi saggezza. Prima conferma e poi serenità. In questo “documento” ci sono tutte le nostre aspettative nella speranza che non avremmo mai e poi mai rinunciato ad essere quello che siamo: “Frammenti di cielo”».

Questa la tracklist:

Ouverture

Niente trucco stasera

Felici e Perdenti

In questo misero show

Il maestro

La lista

Voyeur

Cercami

A braccia aperte

Inventi

Più su

Spiagge

Magari

I nuovi santi

Qualcuno mi renda l’anima

Un uomo da bruciare

Gesù

I figli della topa

Rivoluzione

Amico

Gli anni miei raccontano

L’intesa perfetta

Il cielo

Fammi sognare almeno tu

ALT in Tour: Renato Zero annuncia l’uscita di uno speciale cofanetto live il 30 novembre

“Voi, mio inseparabile pubblico, voi vi siete fatti conoscere fra tutti, come il popolo fedele di un’idea.
Un principio affermato anche nella vita. Diligenti e pensanti al punto di esservi imposti come “Modello” di costanza e coerenza. Fedeli? Certamente! Cosa anche questa rara. Negli involontari tradimenti e scappatelle ,che in ogni famiglia musicale talvolta accadono. Ma voi no! Voi vi siete assunti l’onere di essere Zerofolli a oltranza. Come non amarvi?
Come non desiderare il vostro bene. La vostra salute. Un luminoso futuro?
ALT vi dico! E non lo sussurro, ma lo grido a squarcia gola. Fermatevi di fronte alla gioia appagante.
Alla vostra commozione. Mentre scandite quei canti come fossero inni propiziatori o scaramantici.
Il tempo è volato. Ma pure quella timida ruga si mostra fiera di apparire, testimoniando che il tempo è prima approfondimento e poi saggezza. Prima conferma e poi serenità. In questo “documento” ci sono tutte le nostre aspettative nella speranza che non avremmo mai e poi mai rinunciato ad essere quello che siamo: “Frammenti di cielo”. Buona visione a tutti! E mi raccomando… applauditevi!!!!!!!!!”
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Con un post su Facebook Renato Zero annuncia l’uscita di ALT in Tour, uno speciale cofanetto con 2CD + DVD + BLURAY, contenente la registrazione del live del 7 gennaio 2017 al Forum di Assago, “quando il tempo si fermò…”.

Il cofanetto sarà disponibile dal prossimo 30 novembre.

Credo: Vincenzo Incenzo e quell’atto di fede nella musica

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“Scrivo per provare ingenuamente a volare, per ristabilire un equilibrio con il mondo in cui viviamo. Credo ancora che le canzoni possano avere un compito, parlare alla gente, sollecitare coscienze. Mi piace raccontare il battito d’ali di una farfalla come il terremoto sociale. Le canzoni possono fare cultura, pensiero, opinione. Possono, come è stato in altre stagioni”.

A parlare così è Vincenzo Incenzo, autore di numerose pagine diventate parte fondamentale della musica italiana: dalla sua penna sono infatti usciti brani come Cinque Giorni, L’elefante e la farfalla, L’acrobataL’alfabeto degli amanti per Michele ZarrilloIl passo silenzioso della neve per Valentina Giovagnini, Un altro amore no per Lorella Cuccarini. Ma tanti sono gli artisti che annoverano nel loro repertorio almeno una collaborazione realizzata insieme a Incenzo: da Lucio Dalla ad Antonello Venditti, passando per Sergio Endrigo, Premiata Forneria Marconi, Franco Califano, Ornella Vanoni, Patty Pravo, Al Bano, Tosca, e Renato Zero. E poi ancora musiche per il teatro e la televisione. 

E proprio grazie a un’intuizione di Renato Zero, che si occupato anche della produzione, Vincenzo Incenzo ha deciso di presentarsi ora con il suo primo album nelle vesti di interprete, oltre che di autore.
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Il suo primo disco si intitola Credo, e così ne parla l’artista romano: “Arrivo a questo progetto dopo un viaggio infinito: tanti successi per grandi artisti, teatro e musical importanti, saggi e romanzi; ho scritto senza sosta, sin da bambino, il mondo volava fuori dalla finestra come un pallone su un prato e io non riuscivo a lasciare la mia stanza, inchiodato lì, a cercare di rappresentarlo, di aumentarlo, anche a costo di non viverlo. Una malattia, un bisogno. Niente è cambiato crescendo, se non gli interlocutori e gli strumenti. Sono rimasto sempre in quinta, in silenzio, ma ho sempre sognato di cantare quanto scrivevo. Sin dal primo giorno che misi piede al Folkstudio, a 17 anni. In quel locale storico, che aveva cullato i più grandi e che stava per chiudere i suoi battenti, tutti vedevano per me un futuro da cantautore. Ora è come tornare al punto di partenza, a quel piccolo palco di Trastevere dove ho iniziato a cantare le mie canzoni. Mi sembra in qualche modo di recuperare il mio primo Credo, l’essenza più profonda di me stesso. Quell’essenza che non si è mai spenta ma alla quale credevo ormai di dover rinunciare. Lo devo a Renato, che si è accorto del mio grido mentre stavo in silenzio. Lavoravamo insieme al suo disco, e per caso è saltato fuori un mio provino. ‘Che aspetti?’ mi ha detto. Qualcosa da quel momento si è acceso e non si è più spento. Scrivevo una canzone al giorno e gliela inviavo per avere il suo immediato parere. Avere un confronto del genere accende tutti gli special del cervello e del cuore. Il lavoro è nato e cresciuto al suo fianco, ed ora è qui, per arrivare più lontano possibile. Vi assicuro che c’è tutto il mio cuore, la mia rabbia e le mie lacrime; e tutto quello che ancora non ero riuscito a dire“.

Ad anticipare l’album è stato il singolo Je suis, un atto di accusa verso l’ipocrisia e la falsa morale che che si nascondono nei social network e dietro allo schermo di un computer, dove è più comodo manifestare una finta partecipazione o un’empatia di circostanza solo per dimostrare di esserci, sempre e comunque.

Nel disco Incenzo interpreta anche alcuni dei brani da lui firmati e portati al successo da altri artisti: fra questi, Cinque giorni, che vede la prtecipazione di Renato Zero.
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Questa la tracklist dell’album:
Je suis
La mia canzone per te
L’elefante e la farfalla
Prima di qualunque amore
Pensiero unico
Il primo giorno dell’estate
La canzone che sta passando
Cinque giorni 
(guest Renato Zero)

I nemici dell’amore
L’acrobata
Dal paese reale
Salutami l’amore – intro
Salutami l’amore

Je suis: l’esordio da cantautore di Vincenzo Incenzo contro l’ipocrisia social

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Da autore a interprete.
Dopo aver messo la firma sui numerosi successi della musica italiana, Vincenzo Incenzo ci mette per la prima volta e si presenta in verte di cantautore con la produzione di Renato Zero e lo fa con Je suis, brano che anticipa il suo primo album, Credo, in uscita il 19 ottobre.

“È ora di riconsiderare il grande apporto dei cantautori alla musica italiana. Ed è perciò che ho accettato di condividere la sfida di Vincenzo Incenzo che finalmente dopo anni di militanza tra partiture musicali, rappresentazioni teatrali di vario genere e pubblicazioni letterarie, oggi affronterà il giudizio dei critici e del pubblico con un primo singolo da lui composto e interpretato: Je suis“. Così Renato Zero parla della decisione di aver appoggiato il primo progetto dell’amico e collega.
Je suis, “Io sono”. Un’espressione che nel tempo si è trasformata in uno slogan, un manifesto all’esserci, alla partecipazione, sull’onda di una tragedia o di un’ingiustizia; slogan che però troppo spesso finisce per diventare solo il riflesso di uno sterile narcisismo fatto di like, di hashtag e di selfie, piuttosto che di reale e sincero interesse verso la causa. Così, mentre ci illudiamo di metterci in pace con il mondo, ci allontaniamo anni luce dalla realtà in cui viviamo, perché si muore di dolore anche dentro un condominio / ma l’immagine virale è il salvataggio del pinguino.
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“Vicinanza, empatia, solidarietà, adesione, difesa della libertà d’espressione, indignazione, resistenza… Je suis è diventato lo slogan abusato della ‘partecipazione’; una partecipazione troppo spesso passiva, simulata, illusoria, ipocrita. Il grido per la tragedia del momento, le alzate di scudi per gli scandali sotto qualunque latitudine, lo schierarsi accanto agli ultimi come ai primi, adesivi, hashtag, like, pollice verso, pollice contro, tutto si riduce troppo spesso a queste due paroline magiche, che ci mettono in pace la coscienza ma che intellettualmente pesano quanto il claim di Catherine Deneuve per quella famosa automobile. La piazza non è un gruppo social e i nostri cellulari non sono bandiere e baionette. Siamo in realtà in un bel cocktail: i 15 minuti di celebrità di Warhol shakerati con i 2 minuti d’odio di Orwell; per un attimo crediamo di emergere dal gregge e di proiettarci pugni al cielo al centro dell’arena; siamo invece sganciati, catapultati nel silenzio e nel narcisismo, come nei nostri selfie; abbiamo ormai girato la fotocamera verso noi stessi; e il mondo è scomparso».

Riguardo invece al video che accompagna il singolo, così commenta Incenzo: “Siamo passati dal cielo in una stanza a una stanza nel cielo – racconta VINCENZO INCENZO in merito al video – la Rete ci proietta dovunque, ci regala un coraggio inaspettato, ci permette di offrire al mondo l’immagine di noi che desideriamo. Ma la mia sensazione, in questo Duemilaniente, è che più ci sentiremo partecipi, più posteremo i nostri “je suis” e più saremo esclusi. Credo che la canzone possa ancora rappresentare un attentato, capace di far saltare in aria l’ipocrisia e l’appiattimento che ci circondano».

L’album vede la partecipazione di Danilo Madonia per gli arrangiamenti. Paolo Costa e Lele Melotti per le ritmiche. E poi Luciano Ciccaglioni, Gian Luca Littera, Fabrizio Bosso, i Neri per caso, che si aggiungono a gli altri musicisti di Genova.


Questa la tracklist di Credo:
Je suis
La mia canzone per te
L’elefante e la farfalla
Prima di qualunque amore
Pensiero unico
Il primo giorno dell’estate
La canzone che sta passando
Cinque giorni”
 (feat.Renato Zero)

I nemici dell’amore
L’acrobata
Dal paese reale
Salutami l’amore – intro
Salutami l’amore

Renato Zero: il 12 maggio il nuovo doppio album Zerovskij…solo per amore

cover-zerovskij-altaris.jpgRenato Zero torna con Zerovskij…solo per amore, doppio album di inediti in uscita il 12 maggio anticipato dal singolo Ti andrebbe di cambiare il mondo?
L’album è composto da 19 nuovi brani che saranno al centro dell’omonimo progetto live, una sorta di “teatro totale” che vivrà sui palcoscenici più suggestivi del nostro Paese attraverso un eccezionale dispiegamento di forze artistiche, fondendo in un abbraccio appassionato musica alta, prosa e cultura pop. Un’operazione artistica e sociale che intende illuminare tante risorse del nostro Paese sempre più delegittimato nei suoi pilastri fondanti: l’arte e la cultura.
Una stazione improbabile, diretta da un misterioso Zerovskij, vedrà transitare Amore, Odio, Tempo, Morte e Vita non più come astratti concetti ma finalmente umanizzati, pronti al confronto amaro, ironico, tenero e spietato, con i due viaggiatori di sempre, Adamo ed Eva. Realtà? Surrealtà? Iperrealtà?
Una grande orchestra di 61 elementi, 30 coristi e 7 attori per uno spettacolo senza precedenti che consacra 50 anni di carriera del nostro artista più rappresentativo e più illuminato.
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Un progetto arricchito dal prestigio delle location scelte.
Zerovskij…solo per amore partirà infatti da Roma a luglio con 5 appuntamenti dal vivo a Il Centrale Live – Foro Italico.
Queste tutte le date confermate:
1, 2, 4, 5 e 6 luglio a IL CENTRALE LIVE – FORO ITALICO di ROMA;
29 luglio al TEATRO DEL SILENZIO di LAJATICO (PI);
1 e 2 settembre all’ARENA di VERONA;
7 e 9 settembre al TEATRO ANTICO di TAORMINA.
È possibile acquistare i biglietti in prevendita su vivaticket.it, renatozero.com e nei punti vendita Vivaticket.

BITS-RECE: Enzo Avitabile, Lotto infinito. Respiro mediterraneo

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata  bit.
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Per un fatto di puro gusto personale, ho spesso evitato la musica napoletana. Anzi, ho spesso evitato la musica dialettale in generale, pur consapevole dell’immenso valore culturale che racchiude. Pura questione di gusto personale, mettiamola così.
Poi è accaduto che mi sono imbattuto in Lotto infinito, ultimo lavoro di Enzo Avitabile, e i miei pregiudizi hanno dovuto fare di corsa un salto indietro.
Perché Avitabile non fa semplicemente musica dialettale, fa qualcosa che va ben oltre, pur partendo da Napoli e dalle sue suggestioni, prima fra tutte quella della lingua.
E in effetti quello che c’è dentro a Lotto infinito è qualcosa che si immerge nel cuore di Napoli, ma poi prende il largo, fino a lambire le coste dell’Africa e delle porte dell’Oriente (basterebbe anche solo guardare le architettura disegnate in copertina o ascoltare i suoni dell’al ghaita, dello ngoni e del setar).
L’atmosfera che esce da questo disco è magica, come se tutto restasse sospeso, incantato, come se il tempo rallentasse per qualche minuto il suo corso, cristallizzato in una musica che apre il suo ampio mantello, e passando sopra il Mediterraneo si impregna con la sabbia e la salsedine dei suoi fondali, trascinando con sé suggestioni, odori e colori senza confini.
Avitabile racconta Napoli senza infilare nei testi nemmeno un filo di quella retorica che di solito si riversa a barili quando si parla della città: i suoi ritratti presentano Napoli con le sue ferite sanguinanti e le sue cicatrici, le periferie affidate alla protezione di San Ghetto, la Napoli deturpata e dolorosa, come certe statue di Madonne infilzate, delle discariche e dei fuochi. Ma è anche la Napoli carica di vita e di forza per stare in piedi, che si fa coraggio da sola.
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In Lotto infinito però non c’è solo la capitale partenopea, ma un po’ tutta Europa e un po’ di più, con le storie tragiche dei migranti nel Mediterraneo.
Un disco che profuma di umanità e solidarietà fraterna.
C’è poi il discorso degli ospiti, che sono tantissimi e di grande prestigio, da Giorgia, Francesco De Gregori, Mannarino, Renato Zero (alle prese con il napoletano in Bianca, un pezzo dedicato alla memoria di Bianca D’Aponte), Caparezza, Daby Touré, che porta la lingua africana in Comm’ ‘a ‘na, Hindi Zahra, Lello Arena a molti altri: un elemento che sicuramente regala lustro al progetto, ma che in questo caso è solo un accessorio di un progetto già da sé meraviglioso.