BITS-RECE: Pumarosa, The Witch. Una benefica magia elettronica

BITS-RECE: radiografia di un disco in un manciata di bit.
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Se cercate sulla pagina Facebook ufficiale, leggerete che i Pumarosa fanno “industrial spiritual”. Cosa voglia dire esattamente non lo so, soprattutto dopo aver ascoltato le tracce del loro esordio discografico, The Witch, che segue di alcuni mesi l’EP di antipasto.
Certo è che qualcosa di “spirituale” in questo album c’è, qualcosa di mistico, solenne, etereo, creato da un suono che amalgama alla perfezione pop, elettronica e persino qualche elemento di rock. Melodie che oscillano tra nuvole oscure e sprazzi di sole, peccato e redenzione, inquietudine e serenità.
Un incantesimo, quello lanciato dalla strega dei Pumarosa, benefico e salvifico, che nel cantato di Isabel ricorda talvolta gli slanci di Björk, mentre nelle musiche si affianca tranquillamente a gruppi come i Goldfrapp.
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Se sapranno muoversi bene, i Pumarosa hanno tutte le possibilità di diventare un nome di alta risonanza internazionale: tutto dipende da quanti la strega riuscirà ad incantare…

BITS-RECE: Raniss, A due passi dalla fine. Burrasca rock

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Nuvoloni plumbei e vento di burrasca all’orizzonte dei Raniss.
Dopo l’EP Niente di positivo, la band toscana si affaccia al primo album tra le acque turbolente di un indie rock sanguigno e violento, minaccioso già dal titolo, A due passi dalla fine.
Un album che paga un grande ed evidente tributo al grunge, e che potenzia (a volte fin troppo) voci e chitarre per dar vita ad atmosfere claustrofiche e disperate. Un universo in burrasca e tormentato, come testimoniano anche i testi di pezzi come la title track, Mantide, Tempesta, Senza sogni.
Storie di disillusione, amori malati, presentimenti quasi apocalittici, in cui si inserisce, perfettamente coerente con l’animo dell’album, la personale rivisitazione di Something In The Way dei Nirvana.
I riferimenti sonori corrono diretti alla band di Kurt Cobain, a certi momenti degli Smashing Pumpkins e a tanta produzione dei nostrani Verdena.
Raniss - Mantide
Un disco con gambe robuste, ma forse non ancora abbastanza lunghe per correre lontano: quello che manca davvero è un pezzo che dia la spinta decisiva verso l’alto, quel pugno allo stomaco che ci si aspetta da un momento all’altro e che almeno per ora resta sospeso a mezz’aria.

BITS-RECE: The Cranberries, Something Else. Un'altra passeggiata in brughiera

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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Per me i Cranberries sono stati e restano sinonimo di adolescenza. Della prima adolescenza per la precisione, quella degli anni delle medie, quando inizi a prendere coscienza di chi sei e di cosa vuoi, e la curiosità ti porta a spingerti sempre un po’ più in là anche con le scoperte musicali. Tra questi ascolti, ci sono stati anche loro, con pezzi ormai indelebili come Zombie e Dreams.
La gran parte della carriera della band irlandese si è sviluppata lungo tutti gli anni ’90 e proprio quest’anno ricorre il venticinquesimo anniversario dalla pubblicazione del primo album, quel Everybody Else Is Doing It, So Why Can’t We? che li ha portati alla fama mondiale con il loro rock macchiato di toni celtici, cupi e malinconici. Poi, dopo tanta musica e qualche album, con l’arrivo del nuovo millennio le cose hanno iniziato a prendere pieghe diverse, le strade di sono divise, riavvicinate, allontanate ancora e oggi si intrecciano di nuovo.
Per festeggiare le nozze d’argento dell’esordio, Dolores ha infatti richiamato a raccolta i compagni per dar vita a Something Else, un lavoro di vecchi successi riarrangiati e tre nuovi inediti. Un’idea nata a Dolores quasi per caso alcuni anni fa dopo una serata di musica a Limerick insieme alla Irish Chamber Orchestra.
E infatti, nel rimettere mano al vecchio repertorio, i Cranberries hanno optato per l’ausilio di un’orchestra da camera. Ed eccole allora qui le rocce del passato che riaffiorano dalle acque di qualche torrente selvaggio: Linger, Dreams, Zombie, Ode To My Family, Just My Imagination e altre, rinnovate con un animo più folk e meno rock, ma con addosso lo stesso odore di brughiera e di pioggia che avevano tanto colpito il me ragazzino.
La voce di Dolores è ancora tutta lì, pura e vibrante come l’acqua di un stagno in cui venga lanciato un sasso. Non c’è proprio tutto quello che ci si aspetterebbe – mancano purtroppo due pezzi come Promises e Daffodil Lament, autentico diamante nascosto della produzione del gruppo – ma c’è la sorpresa di You & Me.
Buoni gli inediti, tutti carichi dell’autentico spirito della band, a cominciare dal singolo Why, anche se il migliore è The Glory.
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Non sono più gli anni ’90, non lo sono più da un bel pezzo, e guardarsi indietro può destare uno scomodo senso di nostalgia, ma per chi ha conosciuto i Cranberries riascoltarli adesso sarà un po’ come riaprire la porta di una casa accogliente, con il legno che crepita nel camino e qualche vecchia storia da ascoltare. Per chi non li ha mai conosciuti sarà invece un’ottima occasione per farsi una bellissima camminata in brughiera, e sentire com’è bello avere la pioggia sul viso.

BITS-RECE: Tinie Tempah, Youth. I suoni della gioventù

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Cover Youth

Non di sola America vive il rap, ovviamente, anche se spesso un po’ ce ne dimentichiamo. Una prova provata ne è, per esempio, Tinie Tempah, che già da qualche anno ha fatto circolare il suo nome nel circuito internazionale e che ora con Youth porta a tre il numero dei suoi lavori.
La “gioventù” di cui si fa menzione nel titolo è naturalmente la sua, quella di un ragazzo cresciuto alla periferia di Londra, che se anche per caso non fosse torbida come quella di Detroit o Chicago, non offre comunque una vita facile. Tinie ha voluto parlare del suo mondo di ragazzo, di come “ce l’ha fatta” a sopravvivervi e soprattutto in questo terzo lavoro ha voluto rendere omaggio alla sua formazione musicale, fatta di ascolti diversissimi che se hanno avuto il rap come punto di partenza arrivano poi a esplorare tanti territori circostanti, dall’r’n’b al grime, dal garage alla house, fino al pop. Mille sfaccettature di un disco che non perde comunque la sua anima fortemente “urbana”.
Dal singolone tropical Mamacita a Text From Your Ex e Girls, Youth annovera tra gli ospiti Wizkid, Tinashe, Zara Larrson, Jess Glynne e tanti, tanti altri, tra rapper e popstar, a colorare il mondo di un ragazzo cresciuto nel sud di Londra con in testa il sogno della musica.

BITS-RECE: Angelo Sava, Miasmi. Disperazione e estasi

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Artwork

I progetti indipendenti – in qualunque modo vogliate considerare questo termine – sono quasi sempre quelli che riservano le sorprese più grandi, perché nella loro immensa libertà hanno la possibilità di spaziare come matti, andando a dissotterrare sensazioni inaspettate.
Prendere Miasmi, ultimo lavoro di Angelo Sava. Sei brani, ognuno con un titolo di una sola parola che già da sola la dice lunga sulla tensione visionaria del suo autore – Merlo, Disagio, Miasmi, Circe, Brusio, Carestia -.
Dentro c’è un magma sonoro fatto di chitarra stirate, distorte, accartocciate, graffiate, al punto che il confine tra suono e rumore sembra sempre sul punto di perdersi. E poi eccola prendere forma poco a poco come un fluido, la melodia, e con lei il canto, disperatissimo e allucinato farsi strada sotto strati di corde di metallo.
Miasmi è un disco soffocante come il più caldo dei tramonti d’estate, è pauroso come la notte più delirante, oscuro come il labirinto più intricato, violento come il più forte dei pugni nello stomaco. Un progetto che non si lascia intrappolare da nessuna catena di genere e – ovviamente – di mercato, ma vaga libero, liberissimo, e quando ti incontra ti si butta addosso senza pietà.
Angelo Sava foto promo
Ci sono dischi fatti per far sentire bene chi li ascolta, e dischi fatti per sconvolgere. Miasmi sembra meravigliosamente fatto per quest’ultimo scopo.
D’altronde, l’estasi non deriva forse dal caos?

BITS-RECE: Drive Like Maria, Creator Preserver Destroyer. Muscoli rock

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Per realizzare il loro ultimo lavoro, Creator Preserver Destroyer, i Drive Like Maria sono venuti in Italia, in terra fiorentina per la precisione, dove si sono presi lo studio di registrazione, e si sono affidati a un inedito processo di scrittura collettiva dei pezzi.
Quello che ne è venuto fuori è un rock’n’roll che tira fuori i muscoli, soprattutto quando ci sono da far vibrare le corde delle chitarre. Un rock che non si perde tra chiacchiere e ornamenti, ma dritto spedito al punto, in tutta la sua possanza, non nascondendo il debito con la vecchia scuola americana e persino con il blues e il country.
In questo tripudio di nervosa tensione sonora si colloca poi il concept del progetto, ovvero un ciclo che dalla creazione delle idee passa al loro sviluppo per poi chiudersi inevitabilmente nella loro distruzione, creator, preserver, destroyer, appunto.
In mezzo a tanta carica, c’è spazio anche per un pezzo crepuscolare e riflessivo come When The Lights Go Down. Che poi è anche il migliore.

BITS-RECE: Pieralberto Valli, Atlas. Un eterno canto alla luna

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“Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai, / silenziosa luna?” chiedeva disperato alla luna Leopardi nel meraviglioso Canto notturno di un pastore errante dell’Asia.
Non so se nel cuore di Pieralberto Valli alberghi la stessa disperazione e il medesimo bisogno di trovare risposte esistenziali, ma ascoltando le 10 tracce di Atlas ci ho ritrovato dentro una forza meditativa molto vicina a quella del cantore di Recanati, senza contare che a essere chiamata in causa è anche lei, la luna, spettatrice muta.
Ritagliandosi uno spazio personale dai suoi Santo Barbaro, per la prima prova solista Valli sembra essersi voluto fermare per guardarsi dentro, in un lungo viaggio fatto di pensieri, riflessioni e qualche domanda. Qualcosa di molto vicino a un viaggio mistico, ma che poco ha di spirituale e vagheggiante e molto conserva invece di umano e terreno.
Fiumi di parole che galleggiano e rotolano in un flusso di elettronica, ambient e trip hop, in cui non manca anche – pressoché costante – il pianoforte, che insieme alla voce di Valli e l’altra vera anima narrante dell’intero disco.
Pensieri di vita, d’amore, di disperazione, sempre sussurrati da una voce lattea e mai urlati, in un incidere lento e languido.
Poesia dei giorni nostri per un cuore umano che batte tra sollievo e dolore eterni.

BITS-RECE: Sarah Stride, Schianto EP. Magnifico incantesimo

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Tremate, tremare, le streghe sono tornate! Anzi, la strega, visto che qui ce n’è una sola, ma pronta a lanciare un incantesimo potentissimo.
Lei è Sarah Stride, e il nuovo filtro magico è miscelato nei quattro brani che formano Schianto EP. Un’alchimia di suoni che mescola la tradizione italiana con il cemento delle chitarre distorte e di derivazione quasi industrial.
Un incantesimo che non lascia scampo, ti afferra con le sue mille mani tra atmosfere caotiche, ossessive, rumorose, oscure a tratti goticheggianti.
A intonare questo sabbah è Sarah, con la sua voce greve, secca, arsa, che non può non rimandare i ricordi a quella di Nada.
Una danza violenta, paurosa e anche, indiscutibilmente, ammaliatrice.

BITS-RECE: Parov Stelar, The Burning Spider. Elettronica, swing e luccichio

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Il suo nome è sulla scena già da un bel po’, ma qui in Italia il grande pubblico ne ha sentito parlare solo qualche mese fa, quando la sua All Night, targata 2012, è stata scelta dalla TIM per lo spot – vagamente ossessivo – con il ballerino che sgambetta.
E proprio adesso Parov Stelar arriva con un nuovo album, The Burning Spider. Un disco che è una grande gioia per lo spirito e le orecchie, grazie al suo indovinatissimo incontro di echi del passato e influenze presenti, in quello che viene definito electro swing.
Davanti alla sua consolle, il producer austriaco ha preso sintetizzatori e ritmi house e ci ha iniettato dentro lo spirito festoso dello swing e del jazz, con tutta la loro voglia di ballare e improvvisare, tra giri sprintosi di pianoforte e fiammate di fiati e con l’aiuto dei contributi storici di Lightnin Hopkins, Muddy Waters, Anduze, Stuff Smith e Mildred Bailey, ma anche di ospiti del nostro tempo, come Lilja Bloom.
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Un disco freschissimo, pieno di vitamine sonore, che soffia sulla polvere del passato per portarne alla luce la più spensierata leggerezza.
Pronti a muovere le spalle?

BITS-RECE: Lorella Cuccarini, Nemicamatissima. La notte continua a volare

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Il nuovo album di Lorella Cuccarini forse lascerà indifferenti molti, ma per i fan della showgirl – una delle pochissime che in Italia possa avvalersi davvero di questo titolo – è una vera e propria chicca, anche perché erano tanti anni che non ne faceva uno, ben 22.
Lorella, si sa, è stata una delle artiste italiane che a suon di canto e di ballo hanno segnato l’immaginario televisivo degli anni ’80, lasciando sul suo cammino alcune pietre miliari del pop/dance nostrano, primo fra tutti quel La notte vola che tanto ha fatto (e continua a fare) ballare e agitare le mani nell’iconica coreografia.
Lo scorso dicembre Lorella si è ripresa la prima serata in TV per uno show-evento insieme a un’altra icona di quegli anni, Heather Parisi, con la quale i rapporti non erano notoriamente idilliaci. Un’autentica mossa diabolica architettata degli strateghi dei palinsesti, a cui le due prime donne hanno ben volentieri prestato il fianco, con tutti gli strascichi che poi ci sono stati.
Il titolo di quelle due serate era Nemicamatissima, e proprio così Lorella ha intitolato il suo nuovo album. Una manciata di successi rivisitati in chiave ancora più danzereccia di quanto già non fossero (tra gli altri, Liberi liberi, Sugar Sugar e, ça va sans dire, La notte vola), un medley live e tre inediti.
Ad aprire il disco, Tanto tempo ancora, duetto con la Parisi inciso in occasione del programma TV, un tripudio dance che riporta indietro ai fasti degli anni che furono.
A chiudere è invece Cuccarello, a suo modo un altro pezzo iconico del repertorio di Lorella.
Passano gli anni, le mode vanno e vengono, i gusti musicali si alternano, le showgirl si sono perse in televisione almeno un decennio fa, eppure l’adrenalina che ci sale dentro quando in discoteca parte La notte vola non passa mai.
E lasciamola volare alta questa notte!