BITS-RECE: IAMX, Alive In New Light. Una nuova luce nel buio

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
IAMX-Alive In New Light cover (hi res)
Alive In New Light, ovvero “Vivo nella nuova luce”.
Il titolo la dice già lunga. Dopo alcuni anni e un paio di dischi passati nel buio della depressione, IAMX – ovvero il progetto di Chris Corner – risale dall’oscurità e va incontro a una drastica metamorfosi personale e musicale. 
Le nove tracce del nuovo lavoro non si collocano certo in paradiso, ma sono sensibilmente lontane dagli abissi oscuri e mortiferi in cui l’artista si era confinato: la sua è una trasformazione ancora in corso, un passaggio ancora in divenire, ma dalle ceneri si osservano già i palpiti di una nuova vita.
Registrato nel deserto della California all’interno di una roulotte, Alive In New Light è il grido di una creatura che vuole manifestare la sua rivincita, e per farlo usa ancora gli abiti fascinosi del synthpop, spogliati però di aura funerea.

IAMX sta riemergendo dalla notte, puntando il suo sguardo su una timida alba fatta di luci sintetiche, peccaminose seduzioni esotiche e richiami quasi circensi.
Ad accompagnarlo nel suo percorso è, in ben 4 brani, Kat Von D, modella, tatuatrice e qui cantante, ma soprattutto perfetta alter ego di Corner.
Chris Corner (Credit-Gretchen Lanham) copia
Mile Deep Hollow, scelta anche come colonna sonora della seria della ABC Le regole del delitto perfetto si svela per essere un imponente inno di gratitudine, mentre la chiusura dell’album è affidata alla liturgica The Power And The Glory, una sorta di preghiera laica (o profana) che lascia intravedere la speranza di un nuovo giorno.

Privo forse della stessa potenza e del fascino di Metanoia del 2015, Alive In New Light regala all’anima dark e teatrale di IAMX i bagliori per imprevedibili evoluzioni future.

BITS-RECE: Maddalena, The Forest. Un respiro sott'acqua

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
28059324_10155517324803195_7286780531882217518_n
Si intitola The Forest, ma le sue atmosfere sembrano scaturire dai fondali marini, o, meglio ancora, dal fondo di un lago.
The Forest è il secondo lavoro di Maddalena Zavatta – in musica solo Maddalena -, e segue di tre anni l’esordio di Electrodream.
Nove tracce sospese tra dreampop ed elettronica che emanano una luce soffusa e subacquea, a tratti densa e opaca.

Synth che ondeggiano sinuosi come steli di alghe, ritmi rarefatti, melodie come raggi di sole filtrati tra rami e superfici vitree.
C’è anche qualche accenno dark, ma più di ogni altra cosa ci sono numerose digressioni malinconiche e sospese che ricordano certe sperimentazioni anni ’80 e ’90 (l’Angelo Badalamenti di Twin Peaks, per fare un esempio), commistioni di ambient e trip hop, da cui spuntano beat incalzanti, mentre le parole cercano di catturare e raccontare il significato della libertà.
Una vera e propria immersione in un ambiente sonoro dai contorni sfumati, riflessi indistinti, luci ed ombre abbracciate e fluttuanti. Ed è come respirare a pieni polmoni sott’acqua.

BITS-RECE: Vertical, Equoreaction. Nel nome del groove

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
Equoreaction Cover
Groove. Incessantemente groove. Instancabilmente groove.
Groove come una religione, una legge non scritta, ma ovviamente suonata.
Nell’universo interspaziale dei Vertical, popolato da afro-alieni, l’aria pulsa di groove in ogni angolo tra beat, giri di basso e squilli di fiati. Un groove che prende ora le forme del funk, ora quelle dell’afrobeat, ora quelle del blues, ora quelle di un pop psichedelico figlio degli anni ’70.
Tutto questo è concentrato e mescolato nelle quattro tracce di Equoreaction, secondo EP di una trilogia della band vicentina, che segue la pubblicazione di Alpha.
Nel nome del groove.

BITS-RECE: Rosemary & Garlic, Rosemary & Garlic. Un incanto (quasi) perfetto

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
RosemaryAndGarlic_RosemaryAndGarlic_3600px
Benvenuti nella città incantata. 
Potrebbe aprirsi così il nuovo e omonimo album di Rosemary & Garlic. Dieci brani leggerissimi, diafani, pitturati con colori tenui e diluiti, come in un quadro impressionista – e non a caso l’Ottocento è un periodo artistico e letterario molto amato da Anne Van Den Hoogen, cantante e musicista del duo di base olandese. Non esistono contorni reali, ma le tinte si fondono una nell’altra. (A proposito: la copertina è opera di Gregory Euclide, già apprezzato da musicisti come Bon Iver).
L’universo che si apre alle orecchie dell’ascoltatore è quello di un dream-pop fatato e pacifico, illuminato da rarefatta quiete paradisiaca.  
Una superficie sonora appena increspata da arpeggi acustici, trilli, echi e tessiture di percussioni così impalpabili da assomigliare allo sbattere d’ali di una farfalla; e anche quando le acque sembrano volersi agitare un po’ di più, non spira davvero mai aria minacciosa di tempesta. Semmai, ad alternarsi all’incanto è una certa malinconia.
Tutto sempre accompagnato dai voli eterei del canto.
Rosemary & Garlic promotiefoto's. Photo by Melissa Scharroo, Capribee.
Proprio nel suo eccessivo candore risiede però anche la debolezza di questo disco, a lungo andare troppo statico nella sua tensione alla perfezione. E le emozioni si diluiscono un po’ troppo.

BITS-RECE: Paletti, Super. Una buona filosofia pop

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
Paletti_Super album cover_web
La prima volta che ho ascoltato Paletti – ormai quattro o cinque anni fa – mi ha subito colpito la sua capacità di analizzare la realtà con sguardo sempre lucidissimo e con tono disincantato e scanzonato, salvo poi rifilarti momenti di incontaminata e delicatissima emozione con testi di intimità preziosa. Mai però ho notato in lui atteggiamento di chi “la sa lunga” ed è arrivato a spiegartela: piuttosto, quella di Paletti sembrava la voce di un amico, uno di quelli saggi, che non sprecano mai il fiato in ovvietà o egocentrismi, ma sanno darti un loro personale e acuto punto di vista sui piccoli dettagli quotidiani.
Da quel primo momento di scoperta di tempo ne è passato, e nel frattempo il buon Paletti è cambiato, come era naturale e giusto che fosse, guadagnandosi uno spazio sempre un po’ più grande sulle scene del cantautorato di casa nostra.
Paletti 6 @GiuliaBersani_web
Oggi, a tre anni dal precedente Qui e ora, lo ritrovo con il suo terzo album, Super. Un titolo che è un invito a vivere sempre al massimo delle nostre possibilità, prima di tutto per noi stessi.

Quello che appare nelle nuove tracce è un Paletti forse un po’ meno disposto a usare l’ironia e con uno sguardo – sempre a fuoco, beninteso – indirizzato meno sul mondo “degli altri” e più sulle brevi distanze del cuore.
Sì, perché nel nuovo album Paletti parla tanto d’amore. Non quello che va a braccetto con il sole e il cuore, ovviamente, ma quello silenzioso dei gesti di coppia, fino ad arrivare a un pezzo di emozione delicata come Eneide, dedicato al figlio Enea (“ora lo sai quanto è difficile per noi restare in equilibrio e poi chiamarlo vita”).
Paletti canta l’amore 2.0, quello “moderno”, quello dei tempi dei social, dove tutti sembrano così connessi ma sono invece così isolati, dove tutti si dicono liberi e aperti di testa, ricadendo poi nelle ansie e nelle paure ataviche dell’abbandono e del tradimento. Ma anche l’amore crudele, quello per cui siamo disposti ad annullarci, fino alla follia (Pazzo), o quello del brivido portato dal ritorno di un fantasma del passato (Accidenti a te).
Anche in questa nuova prospettiva, l’ironia palettiana emerge comunque con tutta la sua forza in Chat ti amo, in cui la lente dissacrante dell’artista bresciano prende a sfilettate le manie della società social-dipendente, o in La notte è giovane, dove analizza il punto di vista di un trentenne medio al bivio cruciale, e talvolta drammatico, tra giovinezza e maturità, tra le ore piccole dello svago e il più accogliente richiamo di un divano.
Quelli contenuti in Super sono una manciata di estratti di buona filosofia di un cantautore dei giorni nostri, declinati sui linguaggi leggeri dell’elettropop.
Si può cantare di vita e d’amore senza cadere in tragedie, pietismi e banalità. Si può fare per esempio come fa “il Paletti”, che trasforma il pop in piacevole filosofia. Ciò che noi possiamo imparare è che i supereroi non sono di questo mondo, e che dobbiamo accontentarci delle fragilità e delle nostre contraddizioni di uomini.
Proprio come quel Socrates trionfante sulla copertina: lui sì, che nonostante tutto, ha vissuto da “super”.

BITS-RECE: Bonnie Li, Plane Crash. Elettronica per nottambuli

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
23130843_10154984419891787_8108742227596533767_n
L’ahabit naturale di Bonnie Li è quello oscuro e freddo di un’elettronica dai contorni ipnotici e distorti.
Le cinque tracce – quattro inediti e un remix – di Plane Crash, ultimo lavoro del duo, mostrano infatti un’anima piuttosto dark, tra pianoforti stregati, sintetizzatori spettrali e linee vocali lamentose, in un genere che fluttua tra un trip hop gotico e un synthpop dal passo lento e sofferente.
Il remix di Escape, firmato dal francese Al’Tarba, aggiunge un senso di claustrofobia e stordimento a un brano già di per sé poco rassicurante, mentre il momento topico del disco arriva con i due pezzi di chiusura, il singolo dal titolo eloquente We Should Go To Sleep As The Birds Are Singing e I Want To Run With The Wolves, litanie ossessive e disturbanti dai battiti sintetici. 

BITS-RECE: Paloma Faith, The Architect. Soul e politica

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
PALOMA_THE ARCHITECT
Quello che trovo profondamente affascinante in Paloma Faith è la sua teatralità innata, una componente quasi melodrammatica che esce dalla sua voce, dalle sue immagini, dalla sua recitazione (sì, è anche attrice).
Anche in The Architect, suo ultimo lavoro, la si può osservare: un disco soul maestoso, orchestrale, a tratti barocco e con diversi tratti elettronici, che per la prima volta nella carriera dell’artista acquista anche caratteri politici e sociali.
L'”architetto” del titolo è infatti Madre Natura, e nei suoi nuovi brani la cantante sviluppa tematiche come la guerra, i rifugiati, la Brexit, il futuro, persino la sanità.
Temi con cui Paloma, cittadina britannica e da poco madre, si è trovata a convivere direttamente. Uno dei brani, Lost And Lonely, racconta il mondo addirittura dal punto di vista di uno scheletro, in una prospettiva ben poco rassicurante per il futuro.
170828_Paloma_Shot_01_218-147121875
Tante le collaborazioni, da Sia, autrice di Warrior, al duetto con John Legend in I’ll Be Gentle, fino ai due discorsi politici pronunciati da Samuel L. Jackson in Evolution, e Owen Jones in Politics Of Hope.

BITS-RECE: Enrico Ruggeri, As If. Umano inumano

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
21558544_1647115715362016_5379695313039395428_n
Sei tracce, tutte senza titolo, indicate solo dal numero progressivo di una tacchetta. Così si presenta il contenuto di As If, ultimo lavoro di Enrico Ruggeri, musicista sperimentale bergamasco che – vale la pena sottolinearlo – nulla ha a che fare con il più celebre cantautore milanese.
Attivo già da diversi anni, Ruggeri è sempre andato alla ricerca di sperimentazioni sonore nel vasto e fluido territorio dell’ambient per trarne creazioni in grado di suggestionare l’ascoltatore. E dell’ambient ha in genere scelto le declinazioni più oscure, dark, disturbanti, talvolta noise.
As If si pone proprio su questa linea e rappresenta la sintesi di un progetto, mai portato a termine, intitolato “30 dischi in 30 giorni”, che prevedeva la pubblicazione di 30 diversi album in altrettante giornate: un’operazione provocatoria e quasi parodistica della smania di pubblicazione della discografia odierna, soprattutto mainstream.
A fare da apripista al disco è una traccia in cui una voce – elemento inedito per i lavori di Ruggeri, di solito estranei alla dimensione umana – recita una poesia anonima yugoslava tradotta in inglese che inizia proprio con le parole “As If”, da cui il titolo del lavoro.
Seguono quindi altre cinque tracce fatte di synth analogici e manipolazioni digitali, tempi dilatati, talvolta dilatatissimi, orizzonti inquieti e inquietanti, onde sonore distorte.
Suoni che confluiscono in rumori e rumori tramutati in suoni, echi lontani, evanescenze, increspature. 
Un disco che arriva anche a suggello di tutto quanto è stato fatto negli anni precedenti, e in cui l’artista ha voluto inserire a modo suo la speranza.
Parte integrante del lavoro è l’immagine di copertina, realizzata da Giordana Parizzi, con un corpo e un viso deformati dall’esposizione allo scanner. L’esatta convergenza di umano e inumano, natura e manipolazione.
http://mhfs.bandcamp.com/album/as-if-2

BITS-RECE: Saber Système, Nuevo Mundo. Un melting pot di musica

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
unnamed
Ci sono album che smettono di essere semplicemente dei dischi e si rivelano veri e propri universi.
Nuevo Mundo è uno di questi. Si tratta del primo progetto del collettivo Saber Système, sette ragazzi dai 18 ai 20 anni che suonano gli strumenti della tradizione musicale occitana mischiando lingue, suoni e, ovviamente, culture.
Francese, spagnolo, italiano e dioulà (la lingua della Costa d’Avorio) confluiscono in un caleidoscopio di musica che unisce tradizione e innovazione, folklore ed elettronica, world music, dance e sintetizzatori, tanti sintetizzatori.
Percorrendo la starda di Nuevo Mundo ci si trova immersi in un mondo di note e suggestioni, un vero e proprio melting pot sonoro dove le bandiere culturali sventolano allo stesso ritmo, un ritmo che è ovviamente vivacissimo e pensato per la danza: i generi si avvolgono uno addosso all’altro, tra pop, dance, reggaeton, persino trap, fino al coupé decalé ivoriano. Non sono da meno i testi, che affrontano temi come l’amicizia, l’immigrazione e le sue difficoltà.
Lo spirito del progetto viene riassunto nel nome che il giovanissimo collettivo ha scelto di darsi, Saber Système, ovvero il “sistema sapere”, una consapevolezza della contaminazione delle proprie origini con il “sound-system”.
Tra i momenti più interessanti di questo “nuovo mondo”, Il canto dei venti, intenso pezzo corale dalle coloriture africane e con un testo di Gino Giordanengo, poeta di Peveragno, La Libertat, autentico sfogo elettronico di beat, e L’amitiè, quasi sconvolgente nell’unire strumenti tradizionali a una potente anima da dancefloor (ma gli episodi “da cubo” sono numerosi).
Ogni tanto ci sono dischi che riescono realmente a stupire e creare intorno a sé una magia: l’incantesimo di Nuevo Mundo è quello di farci credere che esiste un mondo in cui le differenze culturali non faranno più paura.
No, non è retorica, è bellezza.

BITS-RECE: Opus 3000, Benevolence. Una fusione di suoni

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
OP3000_CD_FINAL_PRINT.indd
Che un libro non vada mai giudicato dalla sua copertina ce lo hanno sempre insegnato, ma a volte una copertina sa dare un’idea piuttosto precisa del suo contenuto.
Come in questo caso. Non stiamo parlando di un libro, ma di un disco, ma il concetto è quello. In particolare, stiamo parlando di Benevolence, primo lavoro del progetto Opus 3000.
Sulla copertina compare un’illustrazione astratta, qualcosa di simile a una distesa marina, deformata come uno stendardo steso al vento.
Ecco, la musica degli Opus 3000 è esattamente questo: astratta e fluida, profondamente fluida. Così fluida che permette a due generi di solito remoti come la classica e l’elettronica, di incontrarsi e fondersi in un’unica anima.
op3k esterna
Dietro al progetto Opus 3000 si nascondono le menti – e soprattutto l’arte – della pianista Gloria Campaner, del produttore e percussionista Francesco Leali e del violoncellista e bassista Alessandro Branca.
Quello che hanno fatto confluire nel loro primo lavoro è qualcosa di contaminato e puro nello stesso tempo: contaminato perché non si riconosce in nessun genere preciso che non sia il crossover, puro perché sembra essere stato generato con il solo scopo di far scaturire emozioni, che sono quanto di più puro si possa conoscere.
Benevolence è un album diafano e nebbioso, a tratti ruvido, che fa della fluidità la sua forza: i suoni degli strumenti classici sembrano sciogliersi in un mare indistinto di sintetizzatori e distorsioni, lasciando venire a galla di tanto in tanto rilievi di violoncello o di pianoforte, come lievi punte di scogli in una distesa infinita e senza tempo.
Dedicato a chi ama perdersi.