Quando una band taglia il traguardo dei 20 anni di carriera (dove per carriera si intende l’essere artisticamente viva e vegeta, e non tirare a campare tra tristi amarcord) vuol dire che qualcosa da dire ce l’aveva davvero e che piccolo o grande il suo segno nella storia della musica e nella memoria del pubblico l’ha lasciato.
In questo 2016, tra chi arriva a questa tappa ci sono i Placebo: era infatti il giugno del 1996 quando uscì il loro primo, omonimo album. Potevano essere una delle tante band per giovincelli rabbiosi e pieni di voglia di rivalsa, e scomparire nel giro di qualche mese (a quanti è capitato di fare questa fine?) e invece no. Il progetto di Brian Molko è andato avanti diffondendosi in tutta Europa e raccogliendo consensi anche Oltreoceano.
Quello dei Placebo è sempre stato un rock acido, abrasivo, a volte provocatorio (ve la ricordate la chitarra spaccata in diretta TV a Sanremo nel 2001, sotto gli occhi increduli della Carrà?), guidato dal carisma androgino e ribelle del leader della band, che con la sua voce spigolosa ha fatto delle canzoni del gruppo un tratto di forte riconoscimento.
20 anni di musica trascorsi tra melodie agrodolci, nostalgiche, arrabbiate, ma anche bellissimi episodi struggenti e sensuali, brani sbattuti da venti freddissimi e colate di amore crudele; ma anche 20 anni passati senza dimenticarsi che dopotutto il musicbiz non si accontenta solo della musica, ma pretende ed esige pure un’attenzione alla presentazione, alla “copertina”, insomma, all’immagine. E i Placebo la loro immagine l’hanno dipinta con tonalità ombrose, con le tinte dei grigi e dei neri, mettendo in primo piano il volto da ambiguo angelo peccatore (ma mai davvero da demonio) di Molko, il suo colore pallido, le sue unghie nere. Emblema dei Placebo resterà forse per sempre il fortissimo video di Pure Morning, il pezzo che ha dato alla band la vera notorietà, con Brian sul ciglio di un cornicione, pronto a buttarsi nel vuoto.
Per celebrare e riassumere questo importante anniversario, escono in contemporanea due lavori. Da una parte l’EP Life What You Make It, che include 6 tracce tra cui il nuovo singolo Jesus’ Son, due recenti versioni live di Twenty Years e tre cover, dall’altra parte la maxi raccolta A Place For Us To Dream, che in due CD racchiude in 36 brani tutta la storia del gruppo, dal primissimo singolo Bruise Pristine fino all’ultimo inedito.
Curioso che, tra le poche canzoni rimaste escluse, ci sia proprio Twenty Years, l’inedito pubblicato in occasione del decennale e che proprio in questa occasione sarebbe stato il perfetto coronamento.