Cantautore, polistrumentista, attore, eterno bambino.
Quella di Lucio Dalla è stata – e forse continua a essere – una delle personalità più eclettiche e inafferrabili della musica italiana. In cinquant’anni di attività, Dalla è stato interprete e autore, poeta e cantante, viaggiando sempre lungo una traiettoria tutta sua: si è guadagnato una fama nazionalpopolare, ha piazzato più di qualche brano nella storia della canzone nostrana, ma la sensazione è che sia sempre stato impossibile comprenderlo fino in fondo. Per esempio, quanti saprebbero cogliere tutti i riferimenti leggibili in filigrana in un brano apparentemente semplice come Le rondini? O quanti conoscono tutte le pieghe della storia che si nasconde dietro a Caruso? O ancora, siamo sicuri di aver ben compreso il dramma travestito di leggerezza di un pezzo dall’atmosfera balneare come Ciao?
A 11 anni dalla scomparsa del cantautore bolognese, sono ancora tanti i dettagli della sua opera che attendono di essere rivelati ai più e tanti i tratti della sua personalità che molto spesso sono rimasti invisibili, e che meriterebbero attenzione. In questo, un validissimo e sorprendente contributo arriva da un piccolo ma poderoso saggio edito da Interlinea, “Lucio Dalla. Le più belle canzoni commentate da Paolo Jachia”.
Come rivela il titolo, in queste pagine l’autore seleziona alcuni momenti della discografia di Dalla, in particolare del Dalla cantautore, ritenuti significativi per rivelare tratti fondamentali del “luciodallapensiero”, e ai quali viene dedicata in queste pagine una vera e propria esegesi, condotta con rigore filologico e precisione chirurgica.
Partendo dai versi delle canzoni scelte, Jachia mette in luce, per esempio, i riferimenti alle Sacre Scritture, i richiami alla biografia del cantautore o gli agganci al contesto in cui i brani hanno preso forma, scandagliando anche interviste e dichiarazioni rilasciate negli anni da Dalla e di chi ha collaborato con lui.
Viene fuori così che i versi di Le rondini non disegnano solo un quadro magnifico e commovente (il fatto che il testo sia stato letto da Marco Alemanno durante i funerali di Dalla ha certamente contribuito a dare al brano una lettura diversa e inaspettata), ma volano altissimi sospinti sulle ali dei richiami mistici. O cosa dire di Piazza Grande? Si tratta di uno degli episodi che hanno marchiato maggiormente il ricordo di Dalla nel grande pubblico, ma paradossalmente ne viene messa in luce la debolezza.
Non mancano poi, giustamente, anche riferimenti al Dalla interprete, come l’importante collaborazione con il poeta concittadino Roberto Roversi.
Quella offerta da Jachia, musicologo e – non dimentichiamolo – maestro di Semiotica, è un’indagine approfondita e sempre documentata, talmente lineare da far pensare talvolta che le sue conclusioni arrivino forse un po’ più in là delle reali intenzioni del cantautore. Poi però viene anche da pensare che la forza della leggerezza, forse il vestito che Dalla ha saputo indossare meglio, è proprio questa: far passare le densità e le seriosità del proprio pensiero attraverso la forma ingenua e amabile di una canzone.
Chi conosce bene Dalla troverà in queste pagine l’occasione per rispolverare qualche spunto di riflessione, mentre chi lo ha sempre solo canticchiato durante i passaggi radiofonici avrà l’occasione per aprire uno spiraglio su un artista che da Bologna ha saputo alzare lo sguardo al cielo, e ci ha visto 12000 lune.