Uno scorcio post moderno raccontato attraverso gli stilemi della new wave: si presenta così Visualizzare, il nuovo singolo del progetto Epoca22.
L’arpeggio dell’introduzione, freddo e vacuo, mette in scena la vita “senza senso” del protagonista del brano. A volte monotona; a volte accorata, la voce fa da narratore esterno alla vicenda; senza giudicare la sorte dello sventurato Uomo contemporaneo.
Morbosità patologia e asettica razionalità sono le caratteristiche del protagonista del brano – un uomo qualunque; un signor Nessuno della società contemporanea – e sono il risultato dell’ambiente che lo circonda: un mondo fatto di solitudini e dominato dal caso in cui i desideri sembrano scaturire da riviste pornografiche; droghe e voyeurismo.
Nella descrizione di questo quadro apocalittico, nell’aridità di questa umanità scarnificata, l’emotività di questo “ultimo sguardo sul mondo” riporta al ricordo di una corsa infantile; alla luce che filtra da una porta finestra di una casa materna prima dell’accecante salto verso l’esterno; verso un “balcone abbacinante” che si fa simbolo di potenza vitale nella sua massima espressione: l’attimo prima della sua cessazione.
Quello di Epoca22 è un canto di strada che racconta, per simboli, di città deturpate; di divisioni e disuguaglianze; di violenza e povertà, ma anche di speranza e redenzione. La band è composta da Gianluca Durno (voce e chitarra), da Mario Tovani (chitarra e cori); Dennis Santacroce (basso) e Sebastiano Pucci (batteria).
A 29 anni dalla pubblicazione dell’ultimo album di inediti, The Psychedelic Furs annunciano il grande ritorno sulle scene con un nuovo lavoro. Made of Rain, questo il titolo del nuovo progetto discografico, arriverà il 1 maggio ed è già stato anticipato da due singoli, Don’t Believe e You’ll Be Mine.
Con il suo stile tra psichedelia, punk, pop e glam rock, la band inglese si è fatta notare negli anni ’80 con singoli come Love My Way, Pretty In Pink, Heartbreak Beat e Heaven, influenzando la scena della new wave.
SONIKKU annuncia l’uscita del loro nuovo LP Joyful Death, in uscita il 17 aprile tramite Bella Union. Oggi l’artista rivela il video del primo singolo dell’album Remember to Forget Me, uno spettacolo di lacrime sulla pista da ballo co-scritto con l’amico e collega artista Douglas Dare, e con la voce di Chester Lockhart.
“Remember to Forget Me è la canzone più personale del disco”, spiega l’artista. “Douglas mi ha aiutato a scriverlo trattando la sessione di scrittura come una sessione di terapia. Ho mostrato la canzone a Chester e l’abbiamo registrata a Los Angeles con l’aiuto di HANA. La canzone è dedicata chi viene colpito da una leggera pazzia quando è innamorato. Il ritornello è un ossimoro che ricorda a qualcuno che dovrebbe dimenticarti – che di per sé è completamente narcisistico e qualcosa che solo qualcuno sull’orlo del crepacuore direbbe”.
Il video, realizzato con il collettivo di queer dance londinese Pierre & Baby, esplora i problemi all’interno della comunità queer, l’ipercessualizzazione del fisico maschile, la dipendenza, gli effetti che la tecnologia ha sul nostro benessere mentale e il gioco di potere della dipendenza e intimità nei rapporti.
“Adoro le canzoni che ti fanno venire voglia di piangere e ballare allo stesso tempo”, afferma SONIKKU.
Quel senso di liberazione e liberazione senza limiti guida il suo nuovo album, Joyful Death. Un ibrido fluido di vibrante italo-house e synth-pop liquido: un album che segna l’emergere di SONIKKU. “Questo album sembra una trasformazione nel senso che sto creando la musica che ho sempre desiderato fare. Un disco pop pienamente realizzato e coerente che mette in mostra la mia arte come cantautore e produttore”.
“Visivamente, il mio concetto è una mutata interpretazione futuristica dell’estetica degli anni ’80. Mi è venuta questa idea quando ho visto un’immagine di Alien che falsificava un’iconica posa di Grace Jones. Questo tema è presente nella mia copertina dell’album: appaio come un body builder vestito di lattice con muscoli anatomicamente esagerati. Riprenderò questa estetica nel video di Sweat, che mostrerà LIZ mutare in una pulsante macchia di sudore mentre esegue la canzone in un distopico stabilimento balneare ispirato a Blade Runner. ”
Questa la tracklist:
1. Let The Light In (feat. Douglas Dare)
2. WKND (feat LIZ)
3. Don’t Wanna dance With You (feat Aisha Zoe)
4. Sweat (feat LIZ)
5. X Hopeless Romantic (Feat Little Boots)
6. Remember To Forget Me (feat Chester Lockhart)
7. Joyful Death (feat Tyler Mather Oyer)
8. Remember 2 Forget Me (Piano Version) (feat Douglas Dare)
Il controllo totale della sua arte SONIKKU la mostra fin dall’inizio in Let the Light In, in cui le influenze della disco e dei Pet Shop Boys si fondono sotto la voce di Douglas Dare. Il ritmo accelera in WKND, un brano al punto di convergenza tra Madonna, Daft Punk e Indeep con il featuring del losangelino LIZ. L’intento indipendente di SONIKKU è fermamente affermato nel film ispirato al freestyle Don’t Wanna dance With You, a cui partecipa Aisha Zoe.
LIZ ritorna in Sweat, un vero e proprio manifesto di devozione al dancefloor. In X Hopeless Romantic si fanno invece sentire le influenza malinconiche di Robyn.
I sintetizzatori segnalano un cambiamento di ritmo nella linea quasi elettro-darkwave di Remember to Forget Me. Il performer Tyler Matthew Oyer prende la voce per la title-track ispirata alla italo-disco, un manifesto dell’album che trova ispirazione nel concetto di “corpo senza organi” espresso negli anni ’80 dal filosofo francese Gilles Deleuze, e dall’anime The End of Evangelion.
Chiude l’album una ripresa dolorosamente spogliata di Remember to Forget Me.
Dopo essersi trasferito da Derby a Londra all’età di 18 anni, Tony Donson – vero nome di SONIKKU – ha fatto esperienza come stagista in MTV, Dazed & Confused, SHOWstudio, per poi dedicarsi all’attività di DJ tra Londra, Tokyo, Parigi e Berlino. Sebbene continui a fare regolarmente DJ al LGBTQ di Adonis del Tottenham, ha in mente ambizioni extra: “Adoro il DJ ma non vedo l’ora di sviluppare uno spettacolo dal vivo”.
“Non ho mai avuto alcuna formazione musicale, non so nemmeno leggere la musica, ma ho iniziato a produrre sul mio laptop quando avevo 14 anni, ricreando i suoni usati da Madonna. Voglio essere in grado di mostrare ai bambini che non provengono da un ricco background o che non possono permettersi lezioni di musica che è comunque possibile seguire la musica”.
I Siberia tornano con Ian Curtis, brano che anticipa il terzo album della band, Tutti amiamo senza fine, prodotto da Federico Nardelli e in uscita il 29 novembre per Sugar in collaborazione con Maciste Dischi.
Il brano racconta in maniera inedita la figura iconica della new wave musicale Ian Curtis: lontano dall’oscurità e dalla cupezza a cui di solito viene accostato, modello vivo e romantico nella vita di un adolescente che inizia a scoprirsi, identificarsi ed innamorarsi.
“È un brano autobiografico.” racconta Eugenio Sournia, autore e voce della band, “Ho capito che avrei voluto suonare quando ho ascoltato per la prima volta i Joy Division. Ian Curtis è una figura talmente forte che spinge a dire: voglio scrivere la mia storia. L’ho scoperto in adolescenza, nello stesso periodo delle prime cotte. Per questo ho deciso di accostare Ian Curtis alla scoperta dell’amore. La musica è uno degli elementi che, soprattutto in adolescenza, spinge a invaghirsi dell’altro, perché esiste una concreta inscindibilità tra musica ed esperienza amorosa, che va naturalmente a influire nella vita di ciascuno, sulle scelte amorose e sulle prime infatuazioni”.
I Siberia sono: Eugenio Sournia (voce), Cristiano Sbolci Tortoli (basso), Luca Pascual Mele (batteria) e Matteo D’Angelo (chitarra). I Siberia nascono a Livorno e prendono il nome dall’immaginario evocato da Educazione siberiana di Nicolai Lilin.
Rimettere mano agli anni ’80. Già, ma come? Più facile a dirsi che a farsi.
Un’operazione che se da un lato rischia di cadere in una sterile nostalgia dei bei tempi che furono (per chi c’era già), se giocata bene può rivelare risvolti molto interessanti. Come ha saputo fare Trevor Horn, che agli anni ’80 ha interamente dedicato il suo ultimo lavoro. Il titolo parla già da sé: Trevor Horn Reimagines The 80’s. E se uno come Trevor Horn, che negli anni ’80 ci è stato dentro fino al collo come artista e produttore, decide di spendersi in un progetto del genere significa che ha in testa una personale, lucida visione sonora da proporre.
Una dozzina di classiconi di quel decennio rivisitati e corretti con l’accompagnamento della Sarm Orchestra – filo conduttore dell’intero progetto – e la partecipazione di nomi del panorama internazionale degli anni ’90 e ’00, da Robbie Williams alle All Saints, e poi ancora Gabrielle, Seal e Tony Hadley, tanto per nominare solo alcuni degli ospiti che danno ancora più lustro a un album già di per sé notevole.
Ne è venuto fuori un disco sorprendente e di gran classe, che regala a ogni singolo brano una vera seconda vita: la celebrazione degli anni ’80 non passa infatti attraverso la riesumazione di fantasmi del passato, ma assume sontuosi toni orchestrali, talvolta piuttosto lontani dalla forma con cui quelle stesse canzoni hanno scritto la storia del synth-pop, del rock o della new wave. Everybody Wants To Rule The World, Dancing In The Dark, Ashes To Ashes, The Power Of Love, Slave To The Rhythm, What’s Love Got To Do With It e Blue Monday sono tra le pietre miliari degli anni ’80 rielaborate nella visione di Horn, che tiene per sé la reinterpretazione di Owner Of A Lonely Heart e Take On Me.
Un lavoro epico, di impronta quasi cinematografica,e a tutti gli effetti inedito.
Dopo aver segnato gli anni ’80 con la loro commistione di reggae, synthpop e new wave con singoli come Karma Chameleon, Do You Really Want To Hurt Me e Victims, e a 20 anni di distanza dall’ultima pubblicazione inedita, Boy George e i suoi The Culture Club pubblicano un nuovo singolo, Let Somebody Love You, prima anticipazione di un nuovo album, Life, in uscita il 26 ottobre per BMG.
Il nuovo singolo, che mantiene intatto il DNA della band, è stato scritto da Boy George con Roy Hay, Michael Craig, Jon Moss e Ritchie Stevens e vede la produzione di Future Cuts
Band multirazziale, capitanata dall’iconico Boy George, leader carismatico dichiaratamente gay e dall’immagine androgina, i Culture Club sono stati uno dei gruppi simbolo degli anni ’80, arrivando a rompere le regole e i luoghi comuni del costume e del musicbiz, non senza destare scandalo. Tra gli anni ’80 e oggi Boy George ha proseguito la carriera come solista, mentre la band si è più volte riunita per nuovi tour: l’arrivo di un nuovo disco era stato annunciato già alcuni anni fa, ma si faceva ancora attendere.
Oltre alla pubblicazione di Life, Boy George e Culture Club partiranno per un tour mondiale durante l’estate, prima di portare il The Life Tour nel Regno Unito dal 9 al 23 novembre, durante il quale ospiteranno Belinda Carlisle e Tom Bailey, membro fondatore dei Thompson Twins, band new wave inglese.
Questa la tracklist di Life: God & Love Bad Blood Human Zoo Let Somebody Love You What Does Sorry Mean Runaway Train Resting Bitch Face Different Man Oil & Water More Than Silence Life
Anticipato dal singolo Magazine, il nuovo album degli Editors si intitolerà Violencee uscirà il prossimo 9 marzo. Magazine segna un cambio di stile per la band inglese: si tratta infatti di un inno pop “puntato contro coloro che sono al potere… politici e imprenditori corrotti”, come ha dichiarato il cantante Tom Smith. A marcare il pezzo, oltre alla voce del frontman, la carica di new wave e indie rock che ha reso inconfondibile il sound della band.
Il video che accompagna il brano è stato girato ad Amsterdam dal fotografo, direttore e collaboratore degli Editors, Rahi Rezvani.
Violence è il sesto album degli Editors ed è prodotto da Leo Abrahams, Benjamin John Power e dagli stessi Editors. Questa la tracklist: Cold Hallelujah (So Low) Violence Darkness At The Door Nothingness Magazine No Sound But the Wind Counting Spooks Belong Oltre alla versione standard in CD e download, dell’album saranno disponibili: – edizione limitata del cofanetto contenente il CD, due bonus track, 2 calamite, 12 inserti e un poster – edizione standard del vinile 180g. Include anche un codice per il download – edizione limitata del vinile 180g, di colore rosso. Include un codice per il download e due bonus track. Il vinile è contenuto in una custodia pieghevole, contenente 12 inserti A marzo la band partirà inoltre per un tour europeo che la porterà anche in Italia: l’appuntamento è per il 22 aprile al Forum di Assago. Qui tutte le date e le info.
“Questa musica non contiene groove di batteria preconfezionati e strumenti virtuali.” È scritto proprio così nella pagina dei crediti dell’album. Un monito come quello – oggi sempre di più frequente – delle confezioni di alimenti per avvertire della possibile presenza di glutine, olio di palma o frutta con guscio. Per i Decibel l’equivalente dell’olio di palma è l’omologazione, l’appiattimento, il luogo comune, tutti termini attorno ai quali girerà gran parte di questa intervista, rilasciata in occasione dell’uscita di Noblesse Oblige, il loro terzo album. Il nucleo del gruppo nacque esattamente quarant’anni fa tra i banchi del liceo Berchet di Milano e si fece portatore del punk e della new wave in Italia. Nei pochi anni di attività, anche una partecipazione a Sanremo, con Contessa, sufficiente a lasciare traccia nel grande pubblico. Dopo un lungo periodo di attività separate, lo scorso anno Enrico Ruggeri, Silvio Capeccia e Fulvio Muzio si sono ritrovati a Londra e lì ha preso corpo l’idea di far risorgere il gruppo. Niente nostalgia però, solo musica, con lo stesso orgoglio di essere una band di nicchia. Ecco allora il nuovo album: 11 inediti e due cover nell’edizione standard e un’edizione limitata e numerata con altri tre brani, vinili e memorabilia vari. Perché il rock di oggi è come la musica classica, parola di Ruggeri.
A distanza di quarant’anni, che ambiente musicale vi ritrovate intorno? Enrico: Non vorrei dire lo stesso, ma quasi. Quarant’anni fa, quando i Decibel pubblicavano l’album Punk, gli Homo Sapiens vincevano Sanremo con Bella da morire. Due anni dopo i Decibel andavano a Sanremo con Contessa e si trovavano di fianco Toto Cutugno, Pupo e i Collage. Erano i tempi dei capelli cotonati, le camicie con lo sbuffo, le voci in falsetto, e noi eravamo come marziani. Prendevamo ispirazione dai viaggi a Londra, ogni volta tornavamo con una giacca diversa, un paio di occhiali, i capelli ossigenati: era facile fare i diversi. A noi oggi tornare sembrava più difficile, con Internet tutto viaggia velocissimo, ma l’impressione è la stessa di allora. Se accendi la radio senti sempre lo stesso pezzo, i groove, i pad. Siamo ancora mosche bianche, e questo ci riempie di orgoglio. Come è maturata l’idea di tornare alla musica? Silvio: In questi anni non ci siamo mai persi di vista, anche perché l’esperienza della band non si è chiusa per nostra volontà, ma per cause tra discografici. Ultimamente abbiamo suonato spesso insieme in eventi privati e poi ci siamo trovati a Londra in occasione delle celebrazioni per i quarant’anni di Kimono My House degli Sparks e abbiamo pensato a qualcosa di più di qualche singolo concerto. E: Quest’anno poi io festeggio 60 anni, sono 40 anni dal primo album dei Decibel, 30 da Quello che le donne non dicono e Si può dare di più. Tante ricorrenze che valeva la pena festeggiare. Di sicuro, sapevo che volevo evitare come la peste il disco di duetti, poi ho pensato ai Decibel: Silvio e Fulvio mi hanno passato dei pezzi e abbiamo iniziato a lavorarci, ma nell’ottica di fare qualcosa per pochi intimi. Un giorno li ho fatti sentire in macchina ad Andrea Rosi, presidente della Sony, ma prima di tutto amico: al terzo pezzo ha stoppato e ha detto “Nicchia un cazzo! Se non andate avanti vi ammazzo!”. Da lì tutto ha preso contorni sempre più grandi. S: Nessuna idea di fare un’operazione discografica comunque, altrimenti avremmo potuto ripiegare su un album di cover. Fulvio: Alla base di tutto, c’è un’identità di gusti e di intenti che abbiamo ritrovato intatta. Ritrovarvi in studio insieme com’è stato? F: Molto divertente, perché non avevamo l’ansia dell’operazione commerciale, mentre oggi fare un giro negli studi di registrazione vuol dire spesso assistere a una veglia funebre. E: In studio abbiamo suonato davvero, senza computer. Le nuove tracce sono nate nell’ultimo periodo o avevate cose già pronte? F: C’erano già nuclei di ispirazione originaria, parti di brani precedenti che abbiamo ripreso e amalgamato. Molti dei nuovi pezzi sono nati proprio da fusioni di strofe e ritornelli di canzoni diverse, come si faceva una volta del resto, e ci sono tracce arrivate di recente, come Triste storia di un cantante. S: Il fatto però che canzoni mie si amalgamassero bene con quelle di Fulvio non era per nulla scontato ed è sintomo di quell’unità di gusti di cui si parlava prima. My My Generation ha un riferimento piuttosto chiaro al brano degli Who. Loro cantavano la voglia di esprimersi, voi come vedete la vostra generazione? E: Gli Who parlavano della loro generazione, quella di cinquant’anni fa, che non aveva riferimenti a cinquant’anni prima. Noi oggi facciamo rock come si faceva in quel periodo, con la differenza che oggi il rock è la nuova musica classica, un genere di nicchia, ma sono in pochi ad ascoltarlo. Ed è per questo che fin dall’inizio ho chiesto a Sony di trattare questo album come un progetto di musica classica a tutti gli effetti: ecco allora la limited edition, il tour nei teatri a prezzi alti. In questo rientra anche il titolo dell’album. Premesso che avete voluto evitare l’album di duetti, non c’era nessun ospite che avreste voluto avere nel disco? E: Volendo sognare, ti direi Elvis Costello, John Cale o Jean-Jacques Burnel. S: In un tuo disco ha suonato Andy Mackay dei Roxy Music, vero?
E: Ecco, potrebbe essere un’idea per il futuro… Tra gli italiani, l’unico che avrebbe avuto motivi artistici per entrare nell’album sarebbe stato Faust’O (pseudonimo di Fausto Rossi, ndr). Soprattutto sotto Natale i cantanti passano il tempo a visitarsi in studio uno con l’altro, magari detestandosi, e nei loro pezzi si sente una disperata ricerca di attenzione da parte delle radio e del pubblico. Non si salva nemmeno la scena indipendente? E: Non siamo informatissimi, ma l’impressione generale è che in giro manchino le grandi canzoni. Lou Reed ha fatto anche album pieni di rumore, ma prima aveva scritto Perfect Day. Se chiedevi a Picasso di disegnarti una Madonna, la faceva bellissima, poi ha inventato il Cubismo. Si può anche scegliere di fare i matti, gli indie, ma prima bisogna dimostrare di saper scrivere belle canzoni. C’è stato un momento o un fattore che ha portato all’appiattimento della musica di oggi? E: La crisi discografica. Negli anni ’80 c’era più pazienza, le case discografiche ti mettevano sotto contratto per cinque album e tu avevi il tempo di crescere. Se guardiamo i grandi, quelli venuti fuori quarant’anni fa, è tutta gente che non ha sfondato al primo album. Oggi non sarebbe possibile, serve arrivare al successo subito. Il Fabrizio De Andrè del 2021 esiste, ma ha già smesso di suonare perché Linus non gli passava il pezzo in radio. Gli artisti capaci di scrivere le grandi canzoni ci sono, ma quelle canzoni non andrebbero in radio. In tutto questo, i talent non sono che una conseguenza, un patto scellerato tra le case discografiche e la televisione, ma tra Battiato, De Gregori, Vasco Rossi, Dalla, Paolo Conte quanti vincerebbero un talent? Forse Gianni Morandi. Quindi è cambiato il gusto del pubblico? S: E’ un loop: alla gente piace un genere perché può ascoltare solo quello. Noi vogliamo portare qualcosa di nuovo. Forse siamo più all’avanguardia oggi di quanto non lo fossimo quarant’anni fa. Viviamo davvero nella società dell’apparire? E: Ne parliamo in molte canzoni dell’album, da La bella e la bestia a Fashion. Oggi la gente crede di poter decidere, ma non ha capito che ormai viviamo sotto la dittatura delle televisione. Tutto è indotto dall’esterno, anche nella politica. Lo dicevamo già in Lavaggio del cervello, un brano che ha precorso i tempi, proprio come in Superstar parlavamo del rapporto malato tra l’artista e i fan pochi anni prima che Chapman uccidesse Lennon. Oggi c’è qualcuno con le potenzialità di essere aggiunto all’elenco dei grandi nomi che fate in My My Generation? S: Se avessimo potuto aggiungere una strofa avremmo inserito altri nomi, ma sempre di quel periodo e di quelle latitudini. E: Oggi mancano i grandi progetti, le grandi linee musicali: una volta mettevi su una canzone e capivi subito di chi era, oggi è impossibile. Forse oggi solo i Red Hot Chili Peppers hanno ancora questa capacità di distinguersi, soprattutto per il basso. Quel cervello sulla copertina che significato ha? E: E’ un appello… S: Eravamo incerti se mettere il cervello o l’orecchio, e abbiamo optato per entrambi, due cose che oggi mancano. E poi ci sono rimandi ad altri altre band, come i Kraftwek. E: L’idea è un po’ anche quella di incuriosire chi in un futuro lontano, fatto di umanità bionica, guarderà il disco e davanti a un cranio sezionato scoprirà che dentro c’era spazio per un cervello. Per il tour cosa avete preparato? S: Semplicemente saliamo sul palco e suoniamo, con strumenti veri. Niente maxi-schermi, niente effetti speciali, niente esplosioni. Ovviamente senza computer, neanche nascosti, ed è raro, lo ribadiamo. E: Anche nell’indie. E io non volerò sul pubblico!
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato date al concetto di ribellione? F: Nel nostro lavoro è la scelta di aver fatto una musica diversa, senza l’uso delle tecnologia e senza aver chiamato i soliti produttori. E: Il nemico di oggi è il luogo comune: non ci vedrete spaccare le vetrine, quello lo fanno i giovani, noi ci ribelliamo in un altro modo. Ma davvero il luogo comune un tempo non era così imperante come oggi? E: Almeno ce n’erano tanti! Quando eravamo ragazzi noi in giro c’erano i fricchettoni, quelli che ascoltavano gli Inti-Illimani, chi ascoltava il rock, e poi la musica era molto più connotata politicamente. F: Le forme di conformismo appartenevano ai genitori, oggi è tutto molto omologato. Queste le prossime date confermate del tour: 17 marzo a Castelleone – Cr (Teatro del Viale); 18 marzo a Pomezia – Rm (Club Duepuntozero); 25 marzo a Perugia (Teatro Morlacchi); 28 marzoa Torino (Club Le Roi); 29 marzo a Asti (Teatro Palco 19); 8 aprilea Genova (Teatro della Tosse); 10 aprile a Milano (Teatro della Luna); 26 aprile a Bologna (Teatro Il Celebrazioni); 18 maggio a Bergamo (Teatro Creberg); 19 maggio a Nova Gorica (Casinò Perla).
Muri di synth, una spessa coltre di matrice dark e atmosfere di una gelida notte d’inverno: con questi elementi Udde torna sulle scene con un nuovo album, The Familiar Stranger, in arrivo il 31 marzo. Ad anticiparlo è la cupa e tagliente Same Old Song. Nato a Sassari, Udde è un polistrumentista appassionato di baroque pop, scena di Canterbury, e black metal. Dopo un’esperienza di 10 anni con la band psychedelic-prog wave Soyland Green, nel 2012 ha pubblicato un primo EP autoprodotto, Fog. Tra il 2013 ed il 2015 ha registrato quello che sarebbe dovuto diventare il suo primo LP, ma insoddisfatto del risultato, ha buttato tutto nel cestino, producendo un altro lavoro, The Familiar Stranger, un album di 11 brani a cui ha lavorato in completa solitudine.