Qualcosa si muove sul fronte Andrea Nardinocchi: dopo l’uscita di Droga, singolo pubblicato a settembre dopo un periodo di silenzio discografico, il cantautore e produttore bolognese ha da poco pubblicatoQuando ti ho visto, uscito per Iuovo e distribuito da Artist First.
Prodotto come il precedente Droga dal duo Mamakass, il nuovo singolo si presenta con una decisa impronta funk e fotografa il momento in cui Andrea ha conosciuto quella che è la sua compagna da molti anni: “La prima volta che ho visto Alessandra era riflessa in uno specchietto retrovisore, quando ‘ho perso tutto quanto’. In quel momento, nella mia testa, quella serata era diventata una missione. È buffo perché ho sempre alzato gli occhi al cielo nel vedere quei momenti romantici un po’ esagerati nei film ma è andata proprio così. Fortunatamente per me, il sentimento era stato reciproco quella sera, altrimenti non saremmo ancora qui dopo tutti questi anni, ed io sicuramente non avrei mai scritto tutte queste canzoni d’amore”.
Ballare, sognare e andare oltre ogni limite imposto.
Così fa Baby, la protagonista dell’ultimo singolo di Alessandro D’Iuorno. Dopo un percorso da solista iniziato nel 2008 che lo ha portato a conoscere e collaborare anche con Giorgio Canali, il cantautore fiorentino ha scelto di tornare sulle scene con Canzone per Baby, un invito alla libera espressione di sé anche di fronte agli ostacoli di una società troppo spesso poco disposta a uscire dalle rigide rigole autoimposte.
Un messaggio di libertà e resistenza, per continuare a brillare guardando alle stelle.
Chi è Baby, la protagonista del tuo nuovo singolo? L’ispirazione del brano è partita da una storia vera o Baby potrebbe essere chiunque di noi?
Baby è a metà tra un’immagine e la realtà. In parte nel brano racconto di un sentimento che mi ha accompagnato a lungo durante la separazione con la mia ex compagna, dove il lieto fine immaginario si traduce in questo brano. Più in generale, credo che Canzone per Baby sia il mio modo di accogliere chi decide di avere coraggio: penso che alla fine sia questo a fare la differenza nelle persone.
Da dove pensi che arrivino i limiti e i doveri che non lasciano spazio all’espressione? E quale pensi che sia la causa dell’esistenza di questi limiti e di questi dettami?
Credo che questi limiti in primo luogo provengano dalle persone stesse, da come si percepiscono rispetto a ciò che le circonda. Parlando di musica, ci dobbiamo rapportare ai addetti ai lavori che investono soprattutto su modelli vendibili e non sembrano interessate a conoscere veramente l’artista, almeno inizialmente. In senso più ampio, in una società dove sei se hai è chiaro che esprimersi è controcorrente.
Si tratta di limiti e costrizioni che riguardano in particolare qualcuno o tutti li subiamo nello stesso modo?
Beh, il figlio di papà che non si preoccuperà mai di arrivare a fine mese, e sarà tra quelli che rafforzeranno limiti e costrizioni. Diversamente, chi vive credendo nel merito o nella giustizia della dignità umana sa che convivere con tali limiti è una costante.
Ti sei mai sentito personalmente costretto da questi limiti? In che modo? E come hai reagito a queste imposizioni?
In parte credo di aver risposto prima. Parlando di me, posso dire che ci convivo quotidianamente, ma li combatto, è nella mia natura. Tutto il sistema è costruito per farci credere che sia impossibile: la verità è che spesso siamo governati da idioti che vogliono solo sottrarsi al confronto per paura di non essere all’altezza. E come dargli torto…..
Essere “stelle in mezzo ai guai” è un destino segnato?
Se siamo stelle, e lo siamo, lo diceva Margherita Hack, allora siamo anche in mezzo ai guai! Credo che la stelle non abbiano paura di brillare, altrimenti diventano guai.
Concludo con una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di “ribellione”?
Ribellione è amore.
Una voce scura e un’attitudine che crea un ponte tra la tradizione e la contemporaneità.
Viene da Napoli e vive all’ombra del suo vulcano e con la sua aura da femme fatale si fa chiamare semplicemente La Niña. Rappresenta il perfetto anello di congiunzione tra la musica napoletana, le produzioni urban che giocano d’azzardo con l’r’n’b, il soul e l’hip-hop, mischiando il tutto alla sperimentazione, fino a raccogliere spunti e sonorità dal sapore esotico che arrivano dall’Oriente.
Con Croce, La Niña ha dato voce alla verace intensità emotiva di Napoli, sciogliendola in una liturgia di sonorità fatte di tessuti elettronici e fascinazioni iconografiche: la prima stazione di un’immaginaria via Crucis dell’artista, un cammino sofferto e liberatorio in una Napoli selvaggia, la processione in cui sfilano tutti i suoi pensieri, i suoi mostri, i suoi mali.
Poi è stata la volta di Niente cchiù, il racconto tra il bianco e il nero di una storia d’amore malata fatta di ritorni e non ritorni.
Ora La Niña torna con Salomè, un omaggio all’archetipo della femme fatale rielaborato in una personale chiave arabo-napoletana che dà vita a un sincretismo culturale fra le diverse sponde del Mediterraneo. Il video del brano, diretto da KWSK Ninja, vede l’artista nelle vesti della figura-simbolo della vendetta sanguinaria, che riconsegna su un piatto d’oro la proverbiale storia di chi cade vittima di una seduttrice impenitente.
Con la sua personalità potente, La Niña ha recentemente attirato l’attenzione di MYSS KETA, che l’ha ammessa nel circolo delle ragazze di Porta Venezia, coinvolgendola nel video-manifesto che accompagna la nuova versione del brano.
Cosa succederebbe se Sem&Stènn incontrassero CRLN sotto le luci stroboscopiche di un dancefloor in una serata di lacrime?
Per farsene un’idea basta ascoltare Ho pianto in discoteca, il brano nato dalla collaborazione tra lo scintilloso duo elettropop e la cantautrice marchigiana.
Un punto d’incontro trascinante e passionale per i tre artisti che hanno in comune anche l’aver subito episodi di discriminazione durante due delle loro esibizioni nel 2018: CRLN all’Indiegeno Fest (ME) prima del live di Gemitaiz, Sem&Stènn al Wired Next Fest di Milano.
Se vi siete mai ritrovati a versare lacrime sulla pista da ballo, sappiate che non siete stati gli unici…
“Quando ho scritto Non Vuoi Rinascere ero in casa a Milano e mi ricordo che mi era appena successa una cosa molto divertente che però non posso dirvi. Mi ricordo esattamente che presi la chitarra ed il giro di accordi venne da sé come per magia e da lì anche la melodia in un attimo. Ebbi come la sensazione di aver scritto una canzone che era già stata scritta da un’altra persona, infatti me la sono dimenticata per un po’. Dopo del tempo, ho scritto il testo pensando a me, al fatto che non avessi voglia di prendere alcune decisioni molto importanti nella mia vita. Oggi posso confermare che Non Vuoi Rinascere è una canzone autobiografica, anche se scritta al contrario.”
La sincerità è una colonna portante dei testi scritti da Telestar. Non Vuoi Rinascere parla di tutte quelle cose, piccole e grandi, che inevitabilmente cambiano con il trascorrere del tempo e che fanno da sfondo a situazioni più intime che invece non cambieranno mai. Questo netto contrasto è reso ancor più concreto dal timbro profondo del cantautore toscano, accompagnato sul finale dall’ingresso della chitarra di Fabio Brando dei Canova.
Telestar è un progetto nato nel 2008 nel profondo della Toscana, fondendo New Wave e tradizione cantautore italiana. Dopo la pubblicazione di due albumTelestar (2012) e Così Vicini Così Lontani (2015), sulla fine del 2018 la band pubblica i singoli Quanto sei bella, A vita nuova e Qualcosa è cambiato. Il 4 ottobre scorso è uscito invece Molto più semplice, a cui il gruppo ha lavorato in studio assieme al produttore Matteo Cantaluppi, che ha preso parte anche alla realizzazione del terzo disco in uscita.
Carne & Pixel, analogico e digitale, ragione e sentimento, il corpo che si dilata e si altera negli schermi e mette in crisi la ragione.
Il ritorno dei varesini MasCara si appoggia su errori digitali e campionamenti, sul rompere e ricostruire. Imbastardire ciò che era puro, rendere emotivo ciò che appare alieno.
L’identità diventa una domanda fatta ai motori di ricerca “dimmi chi sono” mentre al cuore non resta che tentare di emergere nell’unico modo che conosce: mettendosi a nudo. Nel video, ambientato in un probabile futuro, la protagonista tenta per mezzo di un sistema chiamato Golden Record di riportare in vita il suo amato. Pur giocando un ruolo fondamentale la componente visiva nella piena comprensione del progetto stesso, il testo e il suono si amalgamano perfettamente e permettono l’immersione in un mood fatto di contrasti e metaforiche contraddizioni.
Esperienze e rapporti vengono privati dei sentimenti e visti attraverso i gesti che si compiono con i dispositivi e la musica diventa la rappresentazione perfetta della deflagrazione emotiva.
“Ho scritto Carne & Pixel per metà sulle ultime pagine de L’orizzonte della scomparsa di Giuliana Altamura, che parla proprio di questa perdita dell’identità. Ho letteralmente portato via dal profilo di una mia ex le parole che danno il titolo alla canzone. Non mi parla più da allora anche per questo. Avrei potuto raccontarlo. Usare le mie vicissitudini. Però non avrei fatto emergere cosa provo, come mi fa stare essere a pezzi in questi anni di costante connessione, di immagini da nascondere, da follow/unfollow. Quanti sono gli atti da compiere per allontanare la visione dell’altro sullo schermo, dai nostri hard disk, sui nostri social? Come cazzo stiamo emotivamente nel fare tutto questo? Mi interessavano le emozioni, analizzarle e farle suonare così come le sento. Mi sembra più sincero. A conti fatti è la descrizione di una crisi. Il suono di un tracollo.”
I MasCara sono una band nata in provincia di Varese. Dopo l’esordio con l’EP L’amore e la filosofia approdano nel 2012 al battesimo discografico, Tutti Usciamo di Casa, un disco dalle grandi aperture pop e orchestrali prodotto da Matteo Cantaluppi. Quasi in antitesi a questo approccio, due anni dopo nasce Lupi, un disco scuro e nervoso, figlio della rabbia e della volontà di mostrare un lato più dinamico, mentre nel suono si fa più evidente un ulteriore senso di alienazione di cui la band si fa portavoce. Quattro anni più tardi ecco la band nello studio di registrazione del cantante Lucantonio e dal chitarrista Claudio Piperissa, “Il Faro” alle prese con il nuovo lavoro.
Un’atmosfera urban dal sapore old school venata di blues, con le parole che lasciano scorrere un’agrodolce malinconia. Incubo segna il ritorno di Arashi all’insegna del minimalismo e della riflessione, e anticipa l’EP in arrivo per l’inizio del 2020.
Mina Fossati, un titolo che dice tutto quello che serve sapere. D’altronde, quando si parla di due giganti della musica italiana come Mina e Ivano Fossati cos’altro servirebbe mai sapere?
Basta solo il fatto che i due abbiano messo la propria arte al servizio di un progetto condiviso, uno di quei progetti che non si vedono – anzi non si ascoltano – esattamente tutti i giorni: 11 brani nuovissimi, scritti appositamente per questa occasione dal cantautore genovese e interpretati (quasi tutti) a due voci insieme a colei che più di tutte rappresenta il simbolo della voce italiana. Mina Fossati sarebbe dovuto uscire negli anni ’90, poi le cose sono andate diversamente e non se n’è più fatto nulla, ma nella testa di Mina l’idea è sempre rimasta viva, tanto che l’artista l’ha riproposta al collega, pur sapendo che ormai da otto anni aveva abbandonato le scene per dedicarsi all'”ozio” privato. Ma come si fa a dire di no a Mina? “Se dici di no a Mina chiedo il divorzio”, pare che Fossati si sia sentito minacciare dalla moglie. Insomma, quell’album si doveva fare, e infatti eccolo qui, dopo due anni di lavoro, in tutta la sua magistrale presenza.
Quando si ha a che fare con Mina non si sa davvero mai fino in fondo che cosa aspettarsi, perché “la tigre” sa essere camaleontica e spiazzante, costantemente curiosa di novità e in grado di interpretare praticamente ogni cosa con la stessa, sbalorditiva capacità. La scelta di affidarsi a Fossati era però fin dall’inizio un buon indizio su quello che sarebbe stato questo disco: un album di scrittura altissima e poetica, in cui tutto, ma proprio tutto, è stato calcolato al dettaglio, con gli arrangiamenti come sempre curati da Massimiliano Pani.
Se i due album realizzati da Mina con Celentano avevano dato vita anche a episodi divertenti e talvolta spassosi, qui a prevalere è la superbia e l’imponenza di certe interpretazioni. Non ci sono – volutamente – sfoggi di virtuosismi, e chi è alla ricerca dei celebri “acuti” della Signora rimarrà probabilmente un po’ deluso, ma dall’altra parte ci sono l’eleganza e la profondità di brani come L’infinito di stelle o Luna diamante, uno dei momenti destinati a restare nel tempo.
Ogni brano, ogni parola e ogni nota sono stati scritti da Fossati con la consapevolezza che sarebbero stati cantati da e insieme a Mina: “Ognuna di queste 11 interpretazioni potrebbe essere oggetto di una lectio magistralis“, ha dichiarato il cantautore. “Mina non ascolta la musica, la scannerizza, e dietro a ogni sua nota c’è sempre il pensiero, in questo mi ricorda John Coltrane. Di Mina si dice sempre che è una grande interprete, ma lei è anche una grande musicista”.
Se il cantautorato elegante e sofisticato è il grande protagonista dell’album, ciò non significato che non ci sia spazio anche per altro: Ladro è per esempio un episodio che si avvicina molto all’r&b, così come il singolo Tex Mex è uno svago del gusto fossatiano per le chitarre blues e le solari atmosfere latine, mentre in L’uomo perfetto sono finte perfino percussioni africane. Il momento più gustoso del disco lo regala però Farfalle, una perla giocosa che rende omaggio all’estate e alla stagione della consapevolezza, senza cadere nei luoghi comuni.
Nell’insieme, Mina Fossati è un disco che solo due nomi così grandi della musica avrebbero potuto realizzare, un album che è in realtà il risultato di due carriere e due esperienze intoccabili.
Un disco che potrebbe aprirsi a una serie infinita di domande: almeno una però merita una risposta, la carrettera citata in Tex-Mex è la stessa di Non sono una signora? “Prima di inserirla nel testo, devo dire la verità, ci ho pensato”, confessa ancora Fossati, “Nella mia testa non è la stessa, è solo una parola. L’avevo già usata, è vero, ma era anche il 1982!”
Si intitola – in modo particolarmente suggestivo – Materiale domestico, la nuova raccolta di Nada.
Un doppio disco, disponibile anche in vinile, in cui l’artista ha personalmente selezionato e raccolto 24 tracce, per lo più provini di brani e quattro inediti, il tutto registrato tra il 1986 e il 2019.
Del progetto fa parte anche un’autobiografia dal medesimo nome, edita da edizioni Atlantide e pubblicata lo scorso il 21 ottobre: un racconto di vita schietto, crudo e lucido, così com’è l’arte di Nada.
Nada descrive così la genesi della raccolta: “Questo materiale domestico in LoFi o bassa fedeltà, con qualche distorsione e alcuni ‘lievi’ rumori di fondo, l’ho registrato nel corso degli anni su musicassetta mono, poi cassetta stereo, Revox 2 tracce, successivamente Teac 4 tracce a cassetta, per passare al minidisc Sony, Fostex 8 tracce a bobina, Alesis 8 tracce, fino ad approdare, sul tardi, nell’era del computer, a Garage Band. Quasi sempre coadiuvata dalla mia vecchia batteria elettronica Oberheim dmx e con l’aggiunta di suoni alquanto sintetici dati da alcune macchinette digitali senza nome, mischiati con l’analogico delle mie fidate chitarre elettriche Viper Ovation, Gretsch, una B.C. Rich acustica e una Giannini classica. Di rado un vecchio pianoforte Petrof verticale male accordato, posizionato nel sottoscala della mia vecchia casa di Roma. E non posso dimenticare per qualche session un vecchio basso Fender Jazz del 1966.
Quelli che ho scelto, tra i tanti che mi sono capitati tra le mani, sono ‘provini’ nati dalla cucina alla sala, a volte in corridoio, e che vogliono essere solo una sincera testimonianza del mestiere che faccio. Dalla ricerca iniziale quando l’idea è ancora nell’aria, fino al miracolo della sua cattura, il mio Materiale domestico vuole documentare proprio il risultato dell’unione di suoni e parole nel momento in cui vengono fissati su un aggeggio fisico. Alcune di queste canzoni sono rimaste strutturalmente pressoché uguali, mentre altre hanno stesure, parole, parti di melodia e accordi differenti da quelli poi andati a finire su un disco. Altre non le ho mai registrate su disco perché non mi sembravano adatte a quel progetto, o a quel momento.
Per ascoltare bene questo Materiale domestico bisogna sorvolare sulla parte tecnica e percepire quella che è la vera anima delle composizioni. Purtroppo a volte, in studio di registrazione, per far rendere al meglio le belle macchine, non ci si accorge di farsi sopraffare dai loro sofisticati trucchi, e così spesso capita di perdere la vera essenza di quello che si era raccolto nell’aria, e che alcuni chiamano ispirazione, e io chiamo anche lavoro.”
2019/2007 Dove sono i tuoi occhi Due giorni al mare Una pioggia di sale Alzati all’alba L’estate sul mare L’ultima festa Sonia Il tuo dio La mia anima Chiodi Distese Luna in piena
2004/1986 Senza un perché Asciuga le mie lacrime Tutto l’amore che mi manca Giulia La musica antica Ho perso la testa (inedito)
Come una roccia (inedito) La gallina Guarda quante stelle My Love Berlino (inedito) Fuga di gas (inedito)
“Esco nuda è un brano che rimanda ad un universo onirico, un sogno ricorrente dove la nudità rappresenta il bisogno di mostrare la propria essenza. Ho immaginato che nella confusione di una stanza, tra desideri, veli e la paura di essere fuori posto, emerga il coraggio di essere se stessi. Perché la vita è un’avventura che vale la pena affrontare senza compromessi”.
Sospeso tra un canto etereo ed elettronica, il nuovo singolo di Cecilia Quadrenni è una limpida e gentile rivendicazione del bisogno e del diritto di mostrarsi senza sovrastrutture, sfidando giudizi e sguardi del mondo esterno.