Come è doveroso che sia per qualsiasi cover che non voglia ridursi a semplice copia, l’originale deve restare come un ricordo sullo sfondo, per lasciare spazio alla nuova veste sonora.
Ed è così che le seduzioni mediterranee di Bella d’estate, indimenticato successo di Mango del 1987, con testo firmato anche da Lucio Dalla, volge decisamente lo sguardo all’elettronica nella nuova versione realizzata da Mika e Michele Bravi e prodotta da Katoo.
L’idea di registrare il brano è arrivata a Mika, mentrw stava preparando una playlist di musica italiana all’inizio dell’estate: “Quasi per caso ho riscoperto Bella d’Estate e spontaneamente, senza pianificazione, mi è venuta l’idea di cantarla. E’ una cover nata per amore della canzone stessa, per amore di Mango, ma anche di Lucio Dalla, che ha scritto il testo e di cui sono un grande ammiratore. Ho incontrato subito l’entusiasmo di Katoo per questo progetto e ci siamo divertiti a creare una rilettura rispettosa, ma in chiave contemporanea. Mentre eravamo in studio, Katoo mi ha proposto di trasformarla in un duetto e abbiamo pensato di coinvolgere Michele Bravi, con cui lui lavora da tempo, e con entusiasmo è arrivata la sua adesione. Sono stato molto felice di ritrovarlo!”
Michele Bravi si è detto “affascinato dall’attenzione che ha avuto Mika nel voler riscoprire e ripresentare al pubblico un gioiello raro della nostra musica. È un onore per me poter condividere insieme alla sua professionalità lo spazio di questa canzone, che insieme celebra l’incontro tra diverse creatività e il patrimonio musicale italiano”.
Buone news per i rettoriani all’ascolto.
Dal 20 luglio sarà infatti disponibile un’edizione speciale di Incantesimi notturni, l’album pubblicato da Rettore nel 1994, al cui interno trova spazio anche la ballad Di notte specialmente, presentata quell’anno al Festival di Sanremo.
.
Tale progetto, allora uscito solo in CD e musicassetta, verrà pubblicato il prossimo in vinyl edition e in 3 versioni: vinile nero, vinile colorato (blu trasparente), in arrivo il 20 luglio, e picture disc, in uscita poche settimane dopo.
Tutte le edizioni saranno a tiratura limitata e numerate sul retro copertina.
L’album sarà acquistabile sul sito www.zamusica.com e nei negozi che lo richiederanno.
“In amore siamo recidivi e bisogna capire quando è il momento di Scivolare via da una relazione tossica e cercare di vedere nella possibilità del cambiamento la propria felicità. Io scrivo che è la paura che ci rende grandi e lo penso davvero, l’ho sperimentato in prima persona. Questo lockdown credo abbia accentuato i difetti di molte coppie che spesso con la scusa della vita frenetica del nostro tempo hanno trascurato le loro fragilità. Spero abbiamo imparato tutti da questo momento drammatico ad osservarci e la mia canzone esorta il coraggio per uscire da finte zone comfort . La vita andrebbe vissuta con serenità e naturalezza sopratutto nella coppia”.
Parola di Maurizio Chi.
Dopo la pubblicazione durante il lockdown dei singoli Niente di più e Da grandi, il cantautore attualmente di base a Sydney lancia il suo singolo per l’estate italiana su tutti gli store digitali.
Il video del nuovo brano è stato realizzato con la collaborazione di Marco Laudani, coreografo di danza contemporanea, che con la sua supervisione ha coordinato 14 giovani ballerini. Il concept del video mostra la libertà creativa e di movimento dei giovani danzatori che attraverso l’utilizzo di una lampadina lanciano un messaggio affinché il settore delle arti non si spenga: “Ho proposto la mia idea semplice durante la quarantena a Marco Laudani amico e talentoso coreografo essendo stato per tanti anni io stesso un preparatore atletico per danzatori che adesso lavorano in tante compagnie importanti in tutto il mondo, volevo dare loro un compito da svolgere per tenere la loro mente attiva e la loro creatività viva. Marco ha colto subito il mio input e da bravo coreografo ha coordinato e sviluppato l’idea insieme alle giovani promesse della danza.”
“Maledetta sono io, maledetta sei tu, maledetti siamo noi ogni volta che portiamo qualcuno al limite, senza superarlo, sapendo chiedere scusa. Maledetta è la voglia che ci incolla l’uno all’altro, anche quando non vorremmo. Maledetta è una risata fragorosa alla fine di una litigata, è tutte le volte che volevo lasciarti ma poi è tutto più bello se ci sei”.
Prodotto da Ramiro Levy (voce e chitarra della band brasiliana Selton), Marco Olivi (Ghemon, Ex Otago), e Davide Napoleone (Michele Bravi, Booda, Gaia Gozzi), Maledetta inaugura la nuova fase artistica di Giorgia D’Eraclea, meglio conosciuta come Giorgieness, anima e voce del progetto nato nel 2011.
Una ballad che esplode in un climax di sonorità intense e vibranti in cui trova dimora un testo autobiografico. A farne da base è un tessuto acustico ed elettronico, a tratti ruvido, che trasporta il “verbo al futuro” proiettato “tra presente e per sempre”.
“Era fine estate, sul tappeto dove sono cresciuta a casa di mia madre” spiega Giorgia D’Eraclea. “Non scrivevo da un mese, immagazzinavo vita, paesaggi, salsedine, sorrisi, persone, volti amici, vita. Fuori dalla veranda, il mondo al tramonto. Dentro, alcune delle persone a cui tengo di più. Ho pensato a tutte le volte che ci si delude senza farsi male, ai cambiamenti necessari, a quanto poco ci conosciamo, al falso mito della coerenza che spesso è una scusa per non saltare nel vuoto, a come la vita mi ricordi un treno sul quale qualcuno scende e qualcuno sale, ma senza fermate, anzi, solo una, si spera il più lontano possibile. Sono cambiata tanto in questo lungo silenzio, quanto mi è servito lo capisco solo ora. Ho plasmato la rabbia in determinazione, il rumore in vento leggero, distorto quanto basta. Più di tutto ho trovato la voce che ha il mio viso di oggi e l’ho usata tutta, senza paura di parlare piano”.
Maledetta il primo dei singoli che anticiperanno il terzo album di Giorgieness, in uscita il prossimo autunno per la label Sound To Be.
BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
C’è una cosa che mi è sempre piaciuta particolarmente in quello che fa Andrea Nardinocchi, ed è una forma di gentilezza e un’innocenza che immancabilmente emerge – forse inconsapevolmente – nella sua scrittura e nel suo modo di cantare. Era così in Un posto per me, il singolo che lo ha lanciato nel 2013 ed è così ancora oggi che torna con il terzo album, La stessa emozione, il primo dopo cinque anni di relativo silenzio rotto solo da alcuni singoli.
Nardinocchi sa raccontare l’amore, la felicità, la rabbia e la delusione con incredibile trasparenza, e allo stesso tempo con una leggerezza non comune. Lo ascolti cantare ed è come se ogni volta lui voglia aprire completamente il suo mondo a te, affidandoti pensieri e confidenze come si farebbe con un amico, e lo fa nel suo linguaggio personale che come sempre comprende pop, nu soul, funk, r’n’b ed elettronica.
Prodotto dai Mamakass, La stessa emozione è il risultato di una gestazione lunga, in cui sono racchiusi gli ultimi tre anni “di trip” di Andrea, come ha lui stesso dichiarato.
Ad aprire l’album è Tutto perfetto, un piccolo manifesto di felicità quasi silenziosa, il funk illumina la già raggiante dichiarazione d’amore di Quando ti ho visto, mentre Droga gioca su un’efficace metafora. Ma a caratterizzare l’atmosfera del disco è soprattutto l’introspezione, che torna tra le righe di Ridicolo e di Sanremo amore scusa, racconto agrodolce in cui si incrocia l’esperienza sanremese del 2013 e la fine di una relazione, e poi ancora di Solo pensieri, Sono sicuro, fino ad arrivare alla conclusione di Ti voglio bene, dichiarazione di affetto sincera e senza retorica.
La stesso emozione è un disco dai toni sfumati e dal carattere defilato, che non si vergogna però di mostrare anche un certo lato agrodolce. E proprio per questo il ritorno di Nardinocchi fa ancora più piacere.
“Ogni giorno siamo inseguiti in un certo modo da tutto quello che accade in giro per il mondo. L’umore delle nostre giornate è contaminato dalle notizie che, oggi più di ieri, sono parte integrante dei nostri momenti, gli stessi momenti che prima erano custodi delle nostre personali riflessioni, del nostro modo di vedere il mondo, della nostra vita all’interno di esso. Lo smartphone, con il suo accesso immediato al mondo del web, è un oggetto pregnante e che la dice lunga sulla digitalizzazione della nostra vita, tramite esso comunichiamo e accorciamo le distanze ma allo stesso modo influisce, talvolta negativamente, sulla percezione di ciò che ci circonda. Berci su, anche in modo simpatico, denuncia questo lato opprimente”.
Nero è il nome d’arte di Francesco Gambino, nato a Palermo il 26 dicembre 1984. Cresciuto a Uditore, quartiere della periferia di Palermo si avvicina alla musica per la prima volta all’età di 14 anni suonando in varie band rock. Nel 2009 decide di trasferirsi a Londra, nel quartiere jamaicano di Brixton, dove vive per dieci anni prima del suo ritorno in Sicilia, nel 2019. Nel 2018 inizia la collaborazione con Fabrizio Fortunato e Pasquale Prinzivalli in arte FrilloBass che si occupano delle produzioni e degli arrangiamenti dei brani scritti da Nero.
Il primo anno è molto difficile vista la distanza tra i tre e la necessità di portare avanti un progetto diviso tra Londra e Palermo. Tra i tre nasce una vera e profonda amicizia e un grande feeling artistico, negli anni trascorsi in studio, che li porta tra il 2019 e il 2020 ad arrangiare e registrare al Ruderec, studio di produzione musicale in provincia di Palermo di Fabrizio Fortunato, il singolo Berci Su, per il quale realizzano anche un videoclip con regia e montaggio della Nero Crew e le riprese a cura di Ilaria Lo Mauro e Laura Pintus.
“Ci sono giorni in cui un raggio di sole sembra non riuscire a farsi breccia tra le nuvole. Ma ci sono anche giorni in cui i mali diventano pesci che schizzano fuori dall’acqua al tramonto. È una certezza quella secondo cui la bellezza in tutte le sue forme, malinconia inclusa, deve guidarci sempre… come lei che se n’è accorta ed è venuta a parlarti, poi ti ha soffiato sul cuore e ti ha fatto capire dov’era la tua parte migliore.”
Due anni dopo l’album Rive, volume 1, Fabio Curto ritorna con La tua parte migliore, brano con cui prosegue il sodalizio con l’etichetta Fonoprint.
Il “dark blues” con cui l’artista si è fatto conoscere al grande pubblico lo porta ora a mescolare influenze cantautorali con un approccio intimo, ma carico di pathos. Attraverso un flusso di immagini essenziali, il brano manifesta una potente celebrazione della vita, alla ricerca della parte migliore di ognuno, nascosta ma pronta a germogliare con tutta la propria energia.
“Il depresso è come un vigile urbano / Sempre fermo sulla sua catastrofe”.
Così recitano due versi centrali de Il depresso, una poesia in cui Alda Merini tratteggia con disarmante sincerità e trasparenza, e con altrettanta ironia, il ritratto del depresso per professione, cioè colui che, lontano dal voler uscire dalla propria condizione di sofferenza, vi resta immerso trascinando con sé anche chi gli è accanto.
Versi che, per ironia del destino, sembrano suonare oggi più chiari che mai a tutti noi, costretti a una reclusione forzata per la diffusione del Coronavirus, con il rischio di cadere in un pessimismo senza uscita.
Come molte altre liriche di Alda Merini, anche Il depresso è stato messo in musica da Giovanni Nuti, che ne ha proposto una vivace rilettura sonora in collaborazione con Andrea Mirò e Dario Gay, contenuta nel cofanetto Accarezzami musica il “Canzoniere” di Alda Merini, pubblicato nel 2017. Il brano è stato presentato dal vivo nella serata del 20 ottobre 2017 al Teatro Dal Verme di Milano, e dell’esibizione è ora disponibile il video ufficiale.
Abbiamo raccolto le riflessioni dei tre artisti, cogliendo l’occasione anche per alcune personali riflessioni sul momento che stiamo vivendo.
Quattro chiacchiere con… Giovanni Nuti
Uno degli elementi che colpiscono del brano è l’atmosfera ironica, quasi giocosa arriva subito all’ascoltatore.
Fa parte del lavoro che ho sempre fatto con le poesie di Alda Merini. Alda aveva un forte senso dell’ironia, e in questo caso ho pensato che l’atmosfera più adatta fosse quella di un canto popolare, una musica che rimandasse all’atmosfera delle feste di paese.
Un tono che è all’opposto di una tematica tanto seria e impegnativa come quella della depressione, che Alda riesce a descrivere con una trasparenza e una sincerità quasi disarmanti.
Alda Merini aveva un grandissimo rispetto della depressione, quella vera, che aveva conosciuto anche personalmente. Non aveva invece certo una buona impressione dei “depressi di professione”. Il depresso di cui parla è una vittima che diventa carnefice, manipola gli altri, è una larva che succhia le energie delle persone che ha attorno, soprattutto è un individuo che “resta fermo sulla sua catastrofe”, come recita un verso della poesia. Se si resta fermi sulle proprie catastrofi non se ne esce, ma anzi le catastrofi si rafforzano. Il tono scherzoso di Alda serve proprio a togliere tragicità alla situazione: più ci si sofferma sulla drammaticità del momento più la tragedia persiste e non ce ne si allontana.
Sembrerebbe quasi un monito per il difficile periodo che stiamo tutti vivendo.
Non a caso ho scelto di far uscire proprio ora il video dell’esibizione. Un libro, una poesia, una canzone sono fondamentali, danno la possibilità di soffermarsi e riflettere, e sono l’occasione di guardare oltre alla difficoltà del periodo. Questo momento è l’occasione per un cambiamento interiore di tutti, abbiamo la possibilità di capire che siamo oltre la nostra natura materiale: siamo luce, siamo energia, siamo il nostro pensiero. Siamo obbligati ad avere un rapporto con noi stessi, e dobbiamo scendere in profondità in noi per non restare fermi sulle disgrazie quotidiane che i mezzi di informazioni ci presentano tutti i giorni. In un momento come questo non dobbiamo vergognarci di provare gioia: è proprio grazie alla gioia che le nostre vibrazioni si elevano e noi possiamo diventare energia per aiutare gli altri. Abbiamo tutti paura, siamo coperti da una cappa di negatività, e c’è bisogno del contrario, di emozioni che ci portano oltre. L’arte e la bellezza sono cibo spirituale. Dobbiamo diventare consapevoli della nostra spiritualità e della nostra umanità: tutto è spirito, tutto è energia, tutto è dotato di vibrazioni, lo aveva scoperto anche Einstein.
Dalle tue parole traspare una grande fiducia su quello che potrà accadere quando l’emergenza sarà finita.
Per forza, gli artisti sono i nipoti di Dio, come potrei non avere fiducia in quello che succederà?
Cosa pensi che ci possa insegnare questa esperienza?
Apprezzare le cose che contano, e lasciar andare tutto ciò che è momentaneo. Ci sarà un risveglio spirituale, che ovviamente non sarà per tutti, ma per chi lo vorrà accogliere. Stiamo imparando a riscoprirci, stiamo conoscendo il nostro prossimo, a partire dal nostro vicino; stiamo riscoprendo la gentilezza, la bellezza, la non improvvisazione. Eravamo abituati a correre per stare dietro al successo, al nostro ego, perdendo però l’essenziale. Avevamo gli sguardi costantemente rivolti agli schermi dei cellulari, invece abbiamo dovuto iniziare ad alzarli per guardarci in faccia. È un risveglio collettivo che penso possa fare bene anche ai preti, che dovranno tornare a essere amorevoli con tutti e dovranno riscoprire il significato dell’accoglienza. Il nostro fratello è un riflesso di noi stessi.
Pensi che la Chiesa sia riuscita a far sentire la propria presenza?
Papa Francesco è straordinario, è arrivato a dire che i medici e gli operatori sanitari sono i santi della porta accanto. Purtroppo, il papa non è la chiesa, e l’ambizione a volte prende il sopravvento anche tra gli operatori ecclesiastici.
L’arte la cultura come potranno riprendersi da questo momento?
È difficile poterlo dire, perché l’arte e la cultura presuppongono l’aggregazione. Un concerto, una mostra, una manifestazione presuppongono che le persone si raccolgano in un unico luogo, e sarà difficile riportare le persone in un luogo chiuso fino a quando a non si sarà trovato un vaccino e fino a quando non si sarà sicuri che il virus sarà debellato. Forse spetterà agli artisti trovare un modo per non fermarsi e portare la propria arte alla gente. Il nostro futuro è fatto di emozioni, perché sono le emozioni a creare le realtà. Ecco perché è fondamentale creare emozioni di pace, di calma, di tranquillità. Dobbiamo imparare a fare come lo sciamano, che combatte le sciagure e le difficoltà con una danza. Dopo tutto, anche Il depresso finisce con un risata.
Quattro chiacchiere con… Andrea Mirò
Come hai accolto l’occasione della collaborazione per Il depresso?
Non era la prima volta che lavoravo con Giovanni Nuti ed è stato come ritrovarmi un gruppo di amici. Giovanni è molto bravo a intercettare la musicalità della Merini dandole una bellissima veste sonora, in cui non è stato difficile infilarsi quando abbiamo realizzato Il depresso. La serata al teatro Dal Verme è stata bellissima, Monica Guerritore è anche salita sul palco con noi sul finale del brano presa dall’entusiasmo. Alda Merini poi è stata una donna e una poetessa di uno spessore esagerato: ti affetta il cuore con una sincerità priva di abiti. Ha vissuto in tempi ben più difficili di quelli di oggi, soprattutto per chi era donna e scriveva poesie. Mi piace moltissimo anche la sua vena ironica, sa essere spiazzante e sa usare la leggerezza. Purtroppo, forse ancora oggi non è letta, conosciuta, celebrata e glorificata come si dovrebbe.
Hai parlato di leggerezza: secondo te si acquisisce e si affina o è una dote naturale?
Fa sicuramente parte del nostro carattere e del nostro background: chi è sempre stato affossato dagli eventi e ha sempre vissuto nel fango farà fatica ad alzare la testa per guardare le stelle, ma vale la pena provarci e lavorarci. Vale anche per l’essenzialità, una dote pura, un lavoro di cesello, come quello compiuto da Michelangelo su un pezzo di marmo. Togliere, per arrivare al nocciolo: un lavoro pesantissimo, che solo i grandi artisti riescono a raggiungere.
Un lavoro difficile anche perché è fondamentale sapere fin da subito a cosa si vuole arrivare.
Esattamente. Per questo dico che l’essenzialità, così come la leggerezza, è qualcosa che fa parte di noi, ma che in parte va anche acquisito. È un lavoro di crescita.
Parlando invece di sincerità, un artista ha sempre il dovere di essere sincero?
Dipende da quello che si intende. Sicuramente un artista deve prendersi la responsabilità di tutto quello che sceglie di dire e di fare. Mi riferisco alla messa in scena di una storia, cioè al modo in cui un racconto viene riproposto al pubblico attraverso la musica, il teatro o la scrittura. Il pubblico ne coglierà poi una lettura personale. In questo senso, la sincerità rappresenta il pensiero dell’artista ed è suo dovere metterla nel proprio lavoro, sia quando racconta di sé, sia quando sceglie di toccare tematiche più universali o più distanti, che magari non ha vissuto in prima persona ma che è in grado di trattare grazie alla sensibilità e alla cultura che ha acquisito. Oggi siamo circondati da artisti che raccontano storie da cameretta, che mi annoiano. Il grande artista è chi sa partire da una storia semplice per farne qualcosa di più grande, di universale. Penso a Guccini, Vecchioni, Fossati, Ruggeri, ma anche Brassens, Brel, Dylan. Incontro di Guccini non è solo il racconto di un’esperienza personale, ma parla dell’animo umano, di come si cresce e ci si evolve.
Oggi gli artisti sono ancora disposti a mettersi in gioco e a rischiare come facevano in passato?
Probabilmente no, ma la colpa non la additerei solo a loro. È colpa di una grande trasformazione. Fare l’artista e il cantautore è un altro mestiere rispetto al passato. Si guarda soprattutto ai numeri, che c’erano anche prima, ma andavano a braccetto con tutto il resto. Si poteva rischiare e proporre qualcosa di provocatorio continuando a rivolgersi alle grandi platee. E poi un tempo non c’erano i social, c’era fame di contenuto, di musica, di live. C’era il senso dell’attesa, la fruizione di un’opera durava anni, poteva capitare di scoprire l’esistenza di un disco dopo un anno dall’uscita, era normale, non cambiava nulla. Sarà banale dirlo, ma oggi la musica viene venduta come un prodotto da banco.
Da musicista, come vivi questa situazione?
Sento di appartenere all’underground, che non si può più chiamare indie, visto che nemmeno l’indie oggi è davvero indie. Andare controcorrente si può, la platea è molto più ristretta, ma anche molto più esigente. In generale, il livello medio si è purtroppo abbassato, anche perché perdiamo troppo facilmente la memoria e ci dimentichiamo del passato. A 6 anni mio figlio ascoltava i Joy Division, Buscaglione e i Beach Boys, oggi, che ne ha 15, sente il bisogno di appartenere a un gruppo e subisce i bombardamenti che arrivano dall’esterno. Ma in un momento di crescita ci sta. Personalmente non cambierei la mia adolescenza con quella dei ragazzi di oggi, mi sembra che manchi la capacità di cernita. Crediamo di essere tanto liberi, ma siamo più schiavi che mai.
Questo periodo di reclusione può insegnarci qualcosa di buono in questo senso?
Spero che sia per tutti l’occasione di far pensare. Quando si è abituati a correre, è difficile doversi specchiare tutti i giorni. Abbiamo un tempo scandito dal giorno e dalla notte, ma le nostre giornate sono in stand by. Molte persone entreranno in crisi, stiamo vivendo una vera rivoluzione, anche se non è portata avanti con i forconi. Ogni giorno leggo di persone quasi entusiaste di essere recluse per avere finalmente il tempo di fare cose che di solito non riescono a fare, io mi sento invece molto frustrata. Non posso fare quello che vorrei, devo occuparmi delle ingerenze familiari, mi vengono mille idee per nuovi progetti da realizzare, e devo appuntarmele anche di notte. Poi ci sono da organizzare i tempi della spesa, gestire i figli che hanno le videolezioni. Per certi aspetti, è tutto piuttosto fantozziano.
Su quali progetti stavi lavorando prima che tutto si fermasse?
Stavo lavorando ad alcune serate che si sarebbero dovute svolgere a Roma e a Milano per un progetto dedicato a John Lennon e Yoko Ono, intitolato La ballata di John e Yoko, con Ezio Guaitamacchi e Omar Pedrini. Era in programma anche l’inizio del lavoro su Far finta di essere sani, una riproposizione di uno spettacolo di Gaber per il teatro Menotti: saremmo dovuti andare in scena a giugno, invece è tutto cancellato. Lo scenario che si prospetta è terrificante, sembra che se ne riparlerà per il 2021. So che Tiziano Ferro è stato massacrato per quello che ha detto alcune settimane fa da Fabio Fazio quando ha chiesto al Governo di avere risposte anche per il settore della musica, ma non è altro che la verità. Per ogni evento ci sono decine, per non dire centinaia, di persone, che lavorano e che vedono il proprio destino ancora incerto. Ma anche gli artisti stessi hanno famiglia e hanno il diritto di sapere cosa succederà. Invece tutto rimanda alla solita mentalità italiana per cui se alla domanda “che lavoro fai?” rispondi l’artista o il musicista, la replica sarà “sì, ok, ma di lavoro cosa fai?”.
Concludo con una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di “ribellione”?
La ribellione è l’affermazione di sé, oggi fortissimamente. Essere ciò che siamo fino in fondo, perseguire i propri obiettivi fino in fondo, quali che siano. Coltivare la propria libertà di scegliere e di essere, tenendo quindi conto anche della libertà altrui. Una volta che hai capito questo, il rispetto per gli altri viene naturale.
Quattro chiacchiere con… Dario Gay
Come hai accolto l’occasione della collaborazione per Il depresso?
Con grande entusiasmo. Il rapporto di conoscenza e di collaborazione con Giovanni Nuti nasce molto tempo fa, avevamo già lavorato insieme. Nel mio album Ognuno ha tanta storia ci sono tre canzoni che abbiamo scritto insieme e nel corso del tempo ci siamo spesso contaminati a vicenda. Abbiamo scritto insieme anche un brano che vorrei pubblicare non appena questa emergenza sarà rientrata, si intitola L’inno della pettegola. Siamo un po’ folli entrambi. Ecco perché quando Giovanni mi ha proposto la collaborazione non ho neanche voluto scegliere il brano, mi sono fidato ciecamente di lui.
Che rapporto hai con la poesia di Alda Merini?
Un rapporto molto forte. In passato ho lavorato anche con Milva, seguendo da vicino la realizzazione dell’album Milva canta Merini, e ho potuto leggere delle poesie di Alda rimaste ancora oggi inedite. Posso dire che la poesia della Merini la sento molto dentro di me.
In Il depresso c’è anche una lettura molto trasparente e tremendamente sincera di un certo tipo di depressione.
E poi c’è l’ironia. Alda aveva la capacità di affrontare temi di grande gravità con estrema ironia, al limite del comico. Anche questo mi avvicina molto a lei e a Giovanni. Basti pensare che al funerale di mio padre mi sono trovato di fronte a una situazione talmente paradossale che mi ha fatto ridere, nonostante l’estremo dolore di quel momento. Credo che faccia parte del mio essere per natura dissacrante (ride, ndr), anche se capisco che gli altri potrebbero non capire e fraintendere.
Pensi che l’ironia come forma di comunicazione riesca ad arrivare al pubblico?
Sì, se è fatta con intelligenza, La poesia di Alda Merini è fruibile da tutti: è semplice e diretta, e anche il gioco che lei fa sulle tragedie può essere accettato anche dagli altri. Cosa ben diversa è invece la stupidità, oggi purtroppo molto diffusa.
Riesci a trovare un modo per guardare oltre a questo momento difficile?
Ho la fortuna di fare musica e pur non avendo uno studio di registrazione in casa sto continuando a scrivere, e mi escono canzoni solari, di speranza. La musica mi ha aiutato in molte situazioni difficili in passato, per esempio quando ho perso persone care. Ho anche partecipato ad alcune iniziative in video, insieme ad altri artisti sto preparando il video di un mio vecchio pezzo, Domani è primavera, in cui è coinvolto anche Giovanni Nuti. Ognuno dovrebbe spendere il proprio tempo in cose che ama fare. Ma questa esperienza può essere anche l’occasione per passare più tempo con i familiari, riscoprire il vicino di casa. Ho la fortuna di avere un bel rapporto con i vicini, mi mandano i piatti che preparano e io passo a loro le ricette in cui mi diletto. Sto anche riscoprendo rapporti umani inaspettati: per esempio, ho un amico in Marocco che da quando ha saputo della situazione che stiamo vivendo in Italia non lascia passare un giorno senza telefonarmi per sapere come sto. Oppure con mia grande sorpresa ho visto comparire una mia foto in un video realizzato da due cari amici, i Cómplices, un duo molto popolare in Spagna. Hanno voluto raccogliere le immagini dei loro affetti più cari e hanno incluso anche me. C’è del bel bello anche in questo periodo ed è l’occasione di riflettere e fare buoni propositi per il futuro.
Se ti guardi indietro, pensi che sia cambiato il tuo modo di scrivere?
Sono un po’ discontinuo purtroppo, ma non credo che lo stile sia cambiato, Ho un approccio diverso, oggi osservo le cose con occhi diversi e colgo umori che un tempo non riuscivo a cogliere. Non ho mai avuto una scrittura immediata, ma sicuramente oggi è più matura. Non scriverò mai di politica, non lo so fare, mentre continuerò a parlare dell’animo umano, di amore, ma anche rabbia, denuncia, sempre accarezzando i sentimenti senza mai esplicitarli troppo. In passato mi sono esposto prima di tutti gli altri sul tema dell’omosessualità. Ho fatto coming out nel 2001, quando ho scritto la sigla dei Gay Pride, Domani è primavera, poi nel 2005 ho scritto Ti sposerò, un brano dedicato a un altro uomo, ed erano i tempi dei Pacs, non si parlava ancora di unioni civili. Per protesta abbiamo anche organizzato un finto Pacs a Roma, al quale ho partecipato come testimonial. Il brano era stato inizialmente proposto a Rai Trade, ma non è stato pubblicato perché era considerato politico, non sociale, ed è stato pubblicato in seguito dalla Edel. Già nel 1991, a Sanremo, avevo suscitato scandalo con Sorelle d’Italia parlando di transessuali e per poco non sono stato denunciato. Oggi fortunatamente si sono fatti passi da gigante e su certe tematiche è caduto il tabù.
Pensi che gli artisti siano sempre disposti a rischiare?
Ci sono occasioni in cui gli artisti si mettono al servizio di cause sociali, come è successo per il concerto-evento previsto a settembre a Reggio Emilia contro la violenza sulle donne, che vede coinvolte sette artiste italiane. Speriamo che in qualche modo l’evento possa avere luogo. Per il resto, mi sembra che oggi ci sia molta voglia di trasgredire, con il risultato però di omologare tutto. Ognuno vuole emergere, e alla fine non emerge nessuno: penso alle polemiche che hanno coinvolto Junior Cally prima di Sanremo, o ai video di Bello Figo. La vera trasgressione era quella di Renato Zero, Ivan Cattaneo o Loredana Bertè, oggi è solo un espediente per far parlare di sé, tutto ha una durata effimera.
Chi ti piace oggi?
Diodato. Mi ha fatto molto piacere la sua vittoria a Sanremo, anche se ho preferito cose che ha fatto in precedenza, come il pezzo per la colonna sonora di La dea Fortuna, Che vita meravigliosa. Mi piacciono anche Calcutta e Tommaso Paradiso, e mi diverte tantissimo MYSS KETA.
A suo modo dissacrante anche lei.
Decisamente. I suoi testi sono scritti benissimo e credo che ci sia un grande pensiero dietro al suo personaggio. Mi piacciono anche le performance di Achille Lauro, anche se musicalmente lo trovo meno interessante. Al di là di tutto, resto un “ruggeriano” convinto. Sono cresciuto con Enrico Ruggeri, ho lavorato e continuo a collaborare molto con lui e ho imparato tanto stando in tour con lui. Tra gli stranieri amo Lady Gaga. È una delle più grandi artiste della sua generazione, una grande musicista, cantante e attrice. Ho capito veramente chi fosse quando ho visto il primo video che ha fatto con Tony Bennett, e l’ho seguita in American Horror Story.
Concludo con una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di “ribellione”?
Sono sempre stato un ribelle, non ho mai subito le regole: le ho accettate solo quando le condividevo. Ribellione è non omologarsi al pensiero comune: anche se sei l’unico a pensarla diversamente dalla massa devi alzarti in piedi e far sentire la tua voce. Negli anni ’90 sono andato a convivere con un ragazzo, una scelta non così facile all’epoca, ma io volevo vivere la vita come l’avevo scelta. La mia è stata una ribellione anche verso la società, perché non ho mai fatto finta di essere il cugino del mio convivente, e devo dire che ho trovato intorno a me persone migliori di quello che potevo immaginare. Ma dipende anche da noi, dobbiamo porci per quello che siamo davvero, senza vergogna.
Accarezzami musica – il “Canzoniere” di Alda Merini (Nar International/Sagapò) è un cofanetto con tutta la produzione in musica della poetessa milanese, frutto della esclusiva collaborazione, durata 16 anni, con il musicista e interprete Giovanni Nuti. L’opera è disponibile in edizione speciale con 6 CD, 1 DVD, 114 canzoni di cui 13 inedite, 21 brani con la voce recitante di Alda Merini, duetti di Giovanni Nuti con 29 artisti ospiti.
Nel cofanetto anche un volume di 96 pagine con tutti i testi, 4 poesie inedite e 2 disegni autografi di Alda Merini, foto della poetessa dell’archivio fotografico di Giuliano Grittini e scritti di Vincenzo Mollica, Massimo Cotto, Sua Eminenza il Card. Gianfranco Ravasi, Lucia Bosè, Roberto Cardia, Giovanni Nuti.
Il progetto è stato realizzato con il sostegno della Fondazione Gianmaria Buccellati.
Chitarra acustica, tastiere, batteria e delicate sonorità elettroniche, per Davidof l’amore per Milano si trasforma in una luminosa e malinconica ballad indie pop.
Milano è come un giorno di pioggia Milano è il tuo sguardo che parla Ti amo a Milano Milano Milano ha un profumo da donna Milano è nuda sotto la gonna Ti amo a Milano Milano Milano
“Milanoè la città dell’amore per questa coppia. Lì si sono corteggiati, amati, consumati e lasciati. Milano è il ricordo di lei, un giorno di pioggia, una canzone nella metro, un bar in Corso Como. I ricordi fanno male come il suo sguardo dal finestrino di un tram”.
A volte la musica riesce a dare voce a chi non l’ha mai avuta e a chi non sembra aver lasciato alcun segno nella storia e nel mondo.
E’ quello che è riuscita a fare l’illustratrice e songwriter Ottavia Bruno, in arte Ottavia Brown, con il suo nuovo album, Signora nessuno, in uscita il prossimo 10 aprile per UMA Records.
Un progetto sviluppato in dieci tracce tra rock, folk e atmosfere noir dedicate ad altrettante storie che riaccendono i riflettori su momenti chiave del passato che ancora illuminano il presente, anche se spesso pochi ne sanno riconoscere la luce. Ogni brano è inoltre accompagnato da un’illustrazione che ne racchiude il significato, opere della stessa artista.
Quasi un concept album, a cui fa da apripista il primo estratto Le stelle non brillano solo in cielo.
A ispirare il brano è una storia piuttosto triste avvenuta nel 1917, proprio negli anni splendenti della Belle époque: protagoniste, loro malgrado, furono un gruppo di ragazze ricordate come “radio girls”, operaie, spesso minorenni, in un’azienda statunitense produttrice di orologi, la United States Radium Corporation di Orange, nel New Jersey.
Molte di loro sono state avvelenate dalla vernice radioluminescente presente sui pennelli che inumidivano con la saliva per dipingere i quadranti orologi: l’azienda infatti le aveva infatti rassicurate sul fatto che la vernice al radio fosse del tutto innocua.
Il metallo era stato scoperto dai coniugi Curie solo pochi anni prima, nel 1898, e già Pierre Curie ne aveva intuito la pericolosità
Tuttavia, il carattere luminescente della sostanza fece sì che il radio venne utilizzato per produrre vernici, cosmetici, farmaci e addirittura per arricchire alimenti.
Nel giro di pochi anni, l’esposizione costante al metallo radioattivo causò a molte delle ragazze i primi sintomi di avvelenamento, tra cui la perdita dei denti, la disgregazione del tessuto osseo e l’insorgenza di tumori. Inoltre, fatto piuttosto inquietante, sembra che i loro copri iniziarono a brillare al buio.
Le operaie decisero quindi di citare in giudizio i datori di lavoro, segnando così un punto di svolta in tema di sicurezza sul lavoro.
E ancora oggi le ossa delle ragazze brillano.
Tra gli altri protagonisti dei brani di Signora nessuno vi sono Mary Shelley (Mary non c’è), Moby Dick (Capitano riposa) e Modigliani (Maledetto).