“Prima di scrivere anche solo una riga, vi prego, ascoltate queste canzoni. Magari non tutte, ma qualcuna sì, quelle che vi potrebbero interessare di più, altrimenti non riuscite a farvi un’idea di questo lavoro”.
E’ con questa raccomandazione che Antonella Ruggiero congeda la stampa convocata alla presentazione di Quando facevo la cantante, in uscita il 20 novembre.
Un’opera “di alto artigianato” a dir poco titanica, come poche altre se ne vedono di questi tempi di “magra”, discograficamente parlando: 6 CD per un totale di 115 brani tra registrazioni live e in studio, e un corposo booklet di 180 pagine ad accompagnare una confezione che è molto più di un cofanetto.
Con l’aiuto di Roberto Colombo, che ha avuto l’idea del progetto e per giorni interi ha riascoltato tutte le registrazioni meticolosamente conservate per arrivare infine alle selezione, la Ruggiero ha raccolto 115 estratti del repertorio realizzato tra il 1996 e i giorni nostri, da quando cioè ha lasciato i Matia Bazar per dedicarsi alla carriera solista, allontanandosi dal sistema delle logiche discografiche e dagli “inutili doveri imposti agli artisti” per trovare una dimensione più adatta alle sue esigenze e soprattutto per guadagnarsi una libertà totale. L’opera è suddivisa in sei categorie: canzoni dialettali e popolari, i successi più conosciuti dal grande pubblico, i brani d’autore della tradizione italiana, le canzoni dal mondo, le registrazioni classiche e sacre e un ultimo CD intitolato “Stranezze”.
Si passa così da O mia bela Madunina a Ma se ghe penso, Crapa pelada, Amara terra mia, Vola colomba, ai successi di Di un amore, Vacanze romane, Amore lontanissimo, Ti sento. Tra le canzoni d’autore fanno la loro comparsa Impressioni di settembre della PFM, Mi sono innamorata di te di Tenco, ma anche Auschwitz e Parlami d’amore Mariù. Dal mondo arrivano Summertime, Tumbalalaika e Balada do sino, mentre appartengono al repertorio classico e sacro il Kyrie, Ombra mai fu dal Serse di Handel, Tre madri di De Andrè e anche un brano dalla Medea teatrale di Guarnieri. Infine, lo spazio per le “stranezze” è riservato a episodi come Crescono fagiolini del progetto elettronico Conciorto o ancora Niente di noi – il canto dei Catari.
Registrazioni lontanissime tra loro nel tempo e nella forma, ma che si ritrovano riunite in un’unica opera grazie alla versatilità, alla curiosità e alla coerenza di un’artista che non ha mai perso di vista il proprio obiettivo, quello di fare musica per cercare la bellezza: “Non ho mai avuto l’idea di riempire uno stadio, ma preferisco fare come i musicisti antichi, che viaggiavano portando la loro musica da un luogo all’altro, nelle strade. Si può fare musica anche restando scollegati dal sistema delle major e del businness. Io vivo di rapporti, è tutto più vero, sincero, dinamico, e anche per questo prediligo la dimensione live. La competizione la lascio agli sportivi, io preferisco lavorare a margine”.
Un lavoro di ricerca portato avanti negli anni, aperto soprattutto a chi fosse davvero interessato alla scoperta, la cosiddetta “nicchia”, insomma: “La bellezza va ricercata. All’interno della nicchia accadono delle cose straordinarie e c’è lavoro per tutti. Ho conosciuto musicisti bravissimi, ma che non sono dentro al sistema della discografia e sono perciò poco conosciuti. Oggi scelgo di interpretare solo quello che mi piace davvero e che mi commuove, come è accaduto quando mi sono trovata a cantare con un gruppo mandolinisti. Ci deve essere verità in quello che canto, mi piace entrare nell’animo di chi non c’è più, raccontare le storie del passato per far capire per esempio cos’era la guerra attraverso le canzoni popolari dell’epoca. Mi arrivano tante proposte da autori diversi per brani inediti, ma se non provo emozione preferisco lasciar perdere e soprattutto non torno mai su quello che ho già fatto: fatta una cosa si passa ad altro, guardo sempre avanti”.
Le fa eco Colombo: “Molti dei brani contenuti in questa raccolta sono registrazioni realizzate una sola volta, perché Antonella è così, se qualcosa le piace davvero la memorizza subito, e anche a distanza di tempo riesce a ricordarla. Ci siamo fermati a 115 brani, ma già ripensandoci adesso ci sarebbero un paio di cose che mi sarebbe piaciuto aggiungere, perché il repertorio è davvero sterminato”.
Nessuna intenzione di sconfessare il passato pop comunque, ma la cantante ha un consiglio per i giovani musicisti: “Quelli che vogliono fare musica si dividono in due categorie, chi vuole la fama subito e chi è disposto e fare un percorso diverso, più lungo e più difficile. Se si vuole durare bisogna seguire la seconda strada”.
Infine, una rassicurazione riguardo la titolo della nuova raccolta: “Il verbo la passato vuole solo riassumere un periodo, ma non h intenzione di smettere di cantare: andrò avanti finché ne avrò la possibilità”.