“Hello World” è la canzone ufficiale dei Giochi olimpici di Parigi ’24. Ma quasi nessuno lo sa

“Hello World” è la canzone ufficiale dei Giochi olimpici di Parigi ’24. Ma quasi nessuno lo sa

Lo scorso 26 luglio, tra le piume di Lady Gaga, una rappresentazione dell’Ultima cena che ha destato qualche clamore di troppo e l’emozionante ritorno di Celine Dion, sono partite le Olimpiadi di Parigi 2024. E Olimpiadi vuol dire sport, fratellanza dei popoli, unità (nell’antica Grecia si sospendevano addirittura le guerre per far spazio alle competizioni) e… musica.

Sì, perché anche se molto spesso quasi nessuno se ne accorge, ogni edizione dei giochi olimpici ha il suo inno ufficiale.
Ma non solo le Olimpiadi: anche i Mondiali hanno “la loro canzone ufficiale” (addirittura, qui si arriva a distinguere tra “canzone ufficiale” e “inno ufficiale”), così come gli Europei. Insomma, ogni grande evento sportivo che si rispetti prevede da almeno qualche decennio anche un brano che lo accompagni e lo rappresenti. O almeno dovrebbe.

Perché poi quello che accade è che terminati i fasti delle gare di questi “official themes” e “official songs” resti molto, molto poco nella memoria popolare. Per rendersene conto basta fare un tuffo carpiato all’indietro – giusto per stare in tema – e dare un occhio ai brani ufficiali delle passate edizioni delle manifestazioni sportive.

Anche senza andare molto lontano nel tempo, di chi era l’inno degli Europei di calcio disputati proprio quest’anno in Germania?
E nell’ultima edizione dei Mondiali, quella del Qatar 2022, chi cantava l’official theme?
O ancora, se ti dicessi Boom, inno ufficiale del mondiale 2002 in Corea e Giappone, sapresti dire chi ne era l’interprete?

Certo, le eccezioni ci sono: qui in Italia Un’estate italiana – poi passata alla storia come Notti magiche – della coppia Nannini-Bennato, canzone dei Mondiali di Italia ’90, è un pezzo famosissimo, anche se probabilmente il fatto di giocare in casa (in tutti i sensi…) ne ha agevolato la notorietà.
Ricky Martin dovrà essere per sempre grato a La Copa de la Vida, inno dei Mondiali di Francia ’98, per avergli dato una visibilità globale e aver notevolmente aiutato la sua carriera.
E tutti ci ricordiamo anche del tema ufficiale dei Mondiali del Sudafrica, Waka Waka di Shakira, diventato il tormentone dell’estate 2010 anche grazie alle coreografia che ne accompagnava il video.

Ma sono, appunto, eccezioni in un mare di dimenticanze.

Ebbene, anche le Olimpiadi di Parigi hanno la loro canzone ufficiale: trattasi di Hello World, realizzata in associazione con Coca-Cola, scritta e prodotta con Ryan Tedder degli OneRepublic e interpretata da Gwen Stefani e Anderson .Paak.
Ora, i giochi sono iniziati solo da qualche giorno, ma sono pronto a scommettere che anche questo inno farà la fine di molti suoi predecessori: finire dritto dritto nel dimenticatoio. Anche perché, va detto, nonostante i nomi di grande risonanza, non siamo esattamente davanti a qualcosa di epico e destinato all’immortalità.

Il punto però non è tanto sul giudizio del singolo brano, ma è un altro: da appassionato di musica, prima ancora che di sport, non posso non chiedermi che senso ha richiamare star del musicbiz internazionale, se poi nella maggior parte dei casi di queste produzioni non resta nulla.
Perché avere un “inno ufficiale”, se poi il brano non viene valorizzato, spinto, sponsorizzato? Nel periodo delle competizioni, l'”inno ufficiale” mi aspetterei di sentirlo ovunque, in ogni jingle pubblicitaria, in ogni diretta delle gare, in decine di passaggi radiofonici. E invece niente, resta nascosto, rilasciato sulle piattaforme streaming come qualsiasi altro singolo del venerdì.

Sarà che non sono molto dentro a certe dinamiche, ma “sprecare” così un’occasione mi sembra da sciocchi.

Ah, a proposito: le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026 hanno già il loro inno. Si intitola Fino all’alba, e lo canta Arisa. L’annuncio è stato dato durante l’ultimo Festival di Sanremo. A sceglierlo è stato il pubblico attraverso un sondaggio.

Apriamo già le scommesse su quale sarà il suo destino?

Cinque canzoni (più una) per ricordare Sinéad O’Connor a un anno dalla morte

Cinque canzoni (più una) per ricordare Sinéad O’Connor a un anno dalla morte

Il 26 luglio2023 ci lasciava improvvisamente Sinéad O’Connor.

Interprete, autrice, musicista, nonostante difficili vicende personali e una carriera non sempre fortunatissima, la sua indole ribelle e la sua voce chiarissima l’hanno resa una delle icone degli anni ’90. La sua fama è legata soprattutto a Nothing Compares 2 U, ma la sua discografia è colma di episodi non meno preziosi, che meritano di essere riscoperti.

Sfogliando tra i suoi album, ne proponiamo cinque (+1 bonus):

1 – Troy, dall’album “The Lion and the Cobra”. Il suo primo singolo. Epico, drammatico, incandescente. Si parla della fine di un amore, una preghiera che volge in dichiarazione di guerra. 6 minuti e mezzo attraversati da una tensione compatta. La voce di O’Connor splende, il suo canto è limpidissimo e violento allo stesso tempo.

2 – The Emperor’s New Clothes, dall’album “I Do Not Want What I Haven’t Got”. Siamo al secondo album, quello che ha dato a O’Connor la grande notorietà. Nel brano manifesta insofferenza verso le pressioni da parte del pubblico e non nasconde i timori per come potrebbe cambiare la sua vita. A posteriori, una profezia.

3 – Why Don’t You Do Right?, dall’album “Am I Not Your Girl?”. Ormai interprete pop-rock affermata, al terzo disco O’Connor compie una virata e propone una raccolta di cover in chiave jazz, tra cui questa. Il disco è tra i meno conosciuti della sua discografia, ma resta la testimonianza di un’artista che non ha mai avuto paura di lasciare la strada già tracciata.

4 – No Man’s Woman, dall’album “Faith & Courage”. È il singolo di lancio del quinto album, pubblicato dopo alcuni anni di silenzio. O’Connor si presenta come una combattente fiera e indipendente, e il rock è la sua arma.

5 – Take Me to Church, dall’album “I’m not Bossy, I’m the Boss”. Arriviamo all’ultimo disco, pubblicato nel 2014. Il brano è un flusso di coscienza ininterrotto e impetuoso, un fiume di parole che sembrano voler cancellare il passato, alla ricerca di redenzione e perdono. Da qualche anno la sua voce è più increspata di un tempo, ma le sue corde emotive sono sempre tesissime.

Bonus: Special Cases. Un brano dei Massive Attack a cui Sinéad ha prestato la voce. Anno 2003; il gruppo inglese pubbica l’album “100th Window” e sceglie questo brano come singolo di punta. Ci troviamo nei territori del trip-hop e la voce di O’Connor è il velluto perfetto per rivestire quelle atmosfere oscure.

Mare RLTD: il 26 ottobre a Milano una performance multimodale tra racconti, suoni, musica e immagini

Un visual designer, un sound designer e un compositore: tre professionisti che uniscono le proprie competenze e le proprie passioni al servizio di un progetto condiviso che prende forma: Mare RLTD (Mare Related).

Mare RLTD è una performance multimodale che trae origine da diverse idee di persone comuni. Queste espressioni individuali si concretizzano in un racconto costituito da un livello sonico concreto, musicale evocativo, visivo sinestetico e narrativo simbolico.
Il mare, da una visione soggettiva utopico-fanciullesca, attraverso una progressiva immersione – che è presa di coscienza – diventa un ambiente reale e distopico che traccia i limiti di una possibile rappresentazione della contemporaneità, nella dialettica eterogeneità-omologazione, individuazione-massa, indifferenza-partecipazione.
Abbandonarsi al mare permette di rimettersi in contatto con la propria natura, accogliendo, anche, gli aspetti terrificanti ed incontrollabili che siamo portati a vedere solo da lontano.

Mare RLTD andrà in scena presso il Mare Culturale Urbano di Milano (via Gabetti 15) il prossimo 26 ottobre.

Lorenzo Ciapponi, visual design
: laureato in Disegno Industriale al Politecnico di Milano lavora come graphic designer e video-maker. Appassionato di arte generativa, studia le possibilità di interazione tra i diversi media con una particolare attenzione alle performance live tramite l’impiego di linguaggi quali processing (http://dojoofideas.space)

Stefano Cucchi, sound design: diplomato in pianoforte e laureato in musica elettronica si occupa di sound design, di sonorizzazioni e di produzioni di musica elettronica e synth-pop.
I suoni interessi di ricerca vanno nella direzione dell’ascolto immersivo, del 3d Audio e della musica binaurale (http://www.questionidiarmonia.com)

Omar Dodaro, composition: laureato in composizione, musica elettronica e psicologia, la sua musica è stata selezionata in festival e concorsi tra l’Europa, il Messico, gli Stati Uniti e l’Indonesia. Ha vinto il premio «Sergio Dragoni» (Società del Quartetto di Milano, 2014) ed è risultato unico classificato al «Pierre Shaffer» (Accademia musicale pescarese, 2006). I suoi lavori sono pubblicati da Da Vinci edition (Osaka) e da Babelscores (Parigi) (http://www.dodaro.net)

Collaboratori: Carlo Gerla (consulente informatico), Lorenzo Pierobon (overtones singing) e Francesca Verga (voce recitante)

Testi: Giovanni Doro, Erika, Isabella Piazza, Silvia, Marta Orlando, Stefania Altiero, Gianni Giolo, Chantal V., Elisabetta, Luisella Bellei, Wania Bianchi, Marco Colombo

Mare RLTD: 26 ottobre, ore 21 @ Mare Culturale Urbano di Milano (via Gabetti 15)
Ingresso: 5 euro
Durata: 60 minuti
NB: Per assistere alla performance è necessario essere muniti di cellulare o tablet carico con powerbank.

Info: info@maremilano.org
http://www.marerltd.com

A Milano aprono le musicROOMS: 600 mq tra suono e innovazione. Inaugurazione il 20 giugno


Milano ha un nuovo propulsore per la produzione musicale: le musicROOMS, ulteriore tassello nel progetto di riconversione industriale di BASE, in via Bergognone 34, il più importante acceleratore per le industrie culturali a Milano.

Alla base delle musicROOMS c’è l’idea di aggregare un mix di competenze e un insieme di imprese musicali selezionate per essere complementari tra loro, in modo da dar forma a un ecosistema produttivo integrato. Sullo sfondo, il resto del progetto BASE insieme a Cariplo Factory assicurano le connessioni con altri settori limitrofi della produzione culturale e delle arti industriali: arti grafiche e tipografiche, design industriale, IT e tecnologie digitali, visual and communication design, arti tessili e fashion design, industria audiovisiva, fotografia, ecc.


Con i loro 600 mq, tra spazi aperti e sale chiuse, le musicROOMS sono dotate al proprio interno di un’iconica Capsula, attrezzata con avanguardistico sistema di diffusione sonora immersiva e per riprese a 360°, pronta ad ospitare live di dimensioni raccolte, showcase, anteprime.
Le musicROOMS sono un progetto di Music Innovation Hub, think tank e società di produzione musicale di orizzonti internazionali, realtà non-profit frutto della collaborazione fra tre soggetti: OXA (la società che gestisce BASE), Fondazione Social Venture Giordano dell’Amore, key investor di Music Innovation Hub, e Music Management Club SRL, con il supporto di Cariplo Factory, Fondazione Milano, Musicraiser e Fondazione Cariplo.

“Per l’industria musicale siamo all’inizio dell’era post digitale. Dopo due decenni di declino, la musica ha ricominciato a crescere, in una forma totalmente diversa rispetto al passato, con nuovi player, nuove tecnologie, nuove formule. Le musicROOMS sono qui per accogliere tutti i soggetti che vogliono esplorare con noi strade non battute” dichiara Dino Lupelli, Direttore Generale di Music Innovation Hub.

Giovanni Fosti, Presidente di Fondazione Cariplo afferma: “La musica costituisce uno straordinario strumento educativo e comunicativo, per la sua naturale capacità di generare innovazione,connessioni e talenti, indirizzandoli verso pubblici ampi ed eterogenei. Per questo motivo, Fondazione Social Venture Giordano Dell’Amore, braccio strategico e operativo di Fondazione Cariplo nell’ambito degli investimenti a impatto sociale, ambientale e culturale, ha sostenuto sia la nascita di Music Innovation Hub sia lo sviluppo delle attività di BASE Milano che lo ospita, investendo nella loro capacità di generare intenzionalmente impatto sociale e culturale, in linea con l’approccio “impact investing” di Fondazione Social Venture Giordano Dell’Amore”.

Per l’inaugurazione delle musicROOMS, il 20 giugno è in programma l’Housewarming Day a ingresso gratuito su registrazione (www.pogoproductions.it/).
Una giornata non-stop di visioni, sperimentazioni, concerti e djset, in un percorso a tappe tra gli spazi industriali di BASE Milano dalle 4 del pomeriggio fino all’alba: le porte delle musicROOMS si apriranno alla città per scoprire i nuovi spazi e le diverse attività che MIH sta portando avanti in questi mesi.

Progettate dallo studio architettonico Geza, le musicROOMS sono composte da quattro principali aree funzionali:
– Project House, un’area di lavoro con circa 40 postazioni – assegnate a freelance e neo-imprese ad alto potenziale di innovazione con lo scopo di dar vita a nuovi progetti, stimolare la creatività e favorire la contaminazione tra i residenti, con annessa una piccola biblioteca. Cucina e area pranzo in comune con altri residenti della comunità di BASE Milano
– La Capsula: elemento iconico delle musicROOMS: un box con parte delle pareti trasparenti, attrezzato per riprese e streaming a 360° con 60 mq di auditorium e suono immersivo 3D di ultima generazione per showcase, audizioni, sessioni di ascolto e di registrazione, eventi ad inviti, workshop, fruibili in streaming. La struttura è stata progettata in collaborazione con B-beng che ha disegnato e prodotto La Capsula applicando il sistema costruttivo modulare BOXY, mentre la tecnologia audio 3D è di Intorno Labs, che ha concepito e realizzato ad-hoc il sistema immersivo. Lo sviluppo del modello tecnologico è a cura di Cariplo Factory
– greenROOM: uno spazio più raccolto per momenti informali di backstage, mini live, workshop, talk, chiacchiere, ma anche per riprese e shooting fotografici. Letteralmente sala verde, la green room rimanda ai teatri shakespeariani, area adibita a zona relax pre e post spettacolo, dove gli attori erano soliti ritrovarsi prima e dopo lo spettacolo in una sala piena di piante la cui umidità si pensava favorisse la voce degli attori
– The Office: la sede degli uffici di Music Innovation Hub e dei suoi programmi, dove tutto lo staff potrà essere sempre in contatto diretto e sviluppare più sinergie possibili con i residenti della project house.

BITS-RECE: Tiziano Ferro,Il mestiere della vita. Vivi, ama, balla

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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Da qualche tempo la musica di Tiziano Ferro aveva preso una strada che mi lasciava non poche perplessità: dopo i primi album ridondanti di influenze r’n’b e soul, il ragazzone di Latina si era sempre più lasciato andare a ballatone melense, spesso tendenti a umori in minore. Grande sfoggio vocale, non c’è che dire, e grandissimo apprezzamento da parte del pubblico, ma a me mancavano i tempi Xverso e Stop! Dimentica, quando Tiziano sapeva mostrare cosa significa prendere dei generi stranieri e portarli nella musica italiana senza cadere in banalità e provincialismi.

E se devo essere sincero, anche quando è uscito Potremmo ritornare, il singolo che ha anticipato il nuovo album, mi ero già immaginato un nuovo capitolo discografico fatto lacrime, downtempo e struggimenti del cuore. Che per un po’ può anche andare bene, perché Ferro le ballate e i lenti li sa fare con tutti i crismi, ma dalla sua musica io voglio sentire più mordente. Cerco, insomma, un po’ meno zucchero filato e un po’ più di croccantezza.
Fortunatamente, Il mestiere della vita, questo il titolo del disco, è stata in questo – se mai fosse possibile – una rivelazione, fin dall’intro di Epic: un album che finalmente tira fuori i denti e ricomincia a mordere con i suoi ritmi decisi, molto diversi da brano a brano, a tratti taglienti; ecco ritornare in primo piano il sound d’Oltreoceano, recuperato senza l’inutile pretesa di adattarlo alla melodia e al bel canto italiano. In questo Tiziano Ferro è sempre stato coraggioso, o meglio un innovatore, non ha cercato di mettere a tutti i costi lo spirito italiano dove non poteva starci, e si è adattato lui (e i suoi produttori, Canova su tutti) all’anima di quei suoni creandosi un ambiente musicale personale.
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In Il mestiere della vita il ragazzo spazia con invidiabile disinvoltura tra r’n’b, soul, hip hop e pop, fino alle lande dell’elettronica e, come in passato ha dimostrato di saper fare, ci unisce l’immensa componente umana dei testi, che ti fa venire il brividino per quelle due o tre parole messe in fila nel punto giusto; Tiziano la vita la sa guardare in faccia e sa raccontarla con trasparenza e sensibilità pura, e quando non è lui a scrivere i testi, sa scegliersi con acume gli autori giusti (vedi, per esempio, alla voce Emanuele Dabbono, che non a caso Tiziano ha legato a sé con contratto in esclusiva).
Questo suo sesto capitolo discografico è quindi in un certo senso un ritorno alle origini, a quelle atmosfere internazionali che ce lo avevano fatto conoscere giovanissimo, ma è anche un disco che sa stupire, soprattutto se si ascolta il duetto con Carmen Consoli in Il conforto, forse il brano più atipico in cui la cantantessa si sia cimentata. O, ancora, è un disco che fa strabuzzare gli occhi quando si scopre che dentro ci è finito anche My Steelo, in duetto con Tormento: chi non è proprio teenager forse ricorderà che costui è stato una delle due colonne portanti dei Sottotono, uno dei primi progetti di area rap italiani tra anni ’90 e primi ’00, e forse si ricorderà anche che prima di esordire con la sua musica il buon Tiziano era stato ingaggiato come corista proprio in un tour dei Sottotono. Scambio di favori? Boh. A me piace più vederlo come un ritorno alle origini.

Melodia, tanta melodia quindi, e soprattutto piena libertà data ai ritmi, declinati sotto una gran varietà di luci, e una presenza nei giusti termini di momenti “sentimentaloni”.
Assurto ormai a tutti gli effetti al rango di “grandissimo” del nostro patrimonio musicale, con questo disco Tiziano fa vedere come si possa fare un album di electro-r’n’b che oltre a far muovere i piedi riesce anche a spiegare come si maneggia questo complicato arnese chiamato vita. O almeno ne offre un lucido punto di vista.

Se Sister Act ti fa capire che stai invecchiando

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Se c’è un potere che il cinema possiede da sempre incontrastato è quello di bloccare il tempo, congelare l’orologio in un preciso momento: capita allora che certi attori, che magari non vediamo spessissimo in giro, conquistano fama imperitura per un solo ruolo e i loro volti e i loro corpi restano nell’immaginario collettivo di noi spettatori gli stessi di quell’esatto istante, proprio con quelle voci e quei vestiti addosso.

L’incantesimo è talmente efficace che siamo convinti che, magari a distanza di 20 o 30 anni dalla pellicola che li ha trasformati in “vips”, potremo ritrovarceli davanti ancora così, proprio come li ricordavamo nei panni di quel personaggio che tanto ci era piaciuto. Salvo poi rivederli in TV o su qualche giornale inevitabilmente invecchiati. E allora sì, ti rendi conto che il tempo è inserorabile e non risparmia nessuno.
Non è che invecchiare sia una colpa, ben inteso, è solo che se a invecchiare sei tu o il tuo vicino di pianerottolo è normale e quasi non te ne accorgi, se succede alle stelle del piccolo e grande schermo la cosa un po’ ci deprime, non neghiamolo.

Tutto questo per arrivare al punto: qualche sera fa stavo girovagando per il web e, non so come e perché, mi sono ritrovato a spulciare su Wikipedia il cast di Sister Act.
Il film l’abbiamo, credo, visto tutti: Deloris Van Cartier, cantante di incerta carriera a Las Vegas, è testimone involontaria di un delitto compiuto dall’amante gangster Vince La Rocca ed è perciò costretta a rifugiarsi sotto copertura in un convento di suore. Qui inizia a sovvertire le regole e crea scompiglio tra le consorelle, soprattutto dopo essere stata nominata direttrice del coro, trasformando i canti liturgici in performance rock/blues. Il boss mafioso riesce però a scovarla, proprio alla vigila della visita del papa in parrocchia, ma grazie all’aiuto delle altre suore – ormai solidali compagne di avventure – tutto si risolve per il meglio e Deloris/suor Maria Claretta può tornare alla sua vita.

Commedia spassosissima, successo garantito a ogni replica televisiva, con una colonna sonora favolosa e ormai diventata un classicone.
Bene, il film è datato 1992, che nella mia mente di trentenne è come dire la scorsa settimana, ma sul calendario sono ben… 24 anni. Ventiquattro anni. VENTIQUATTRO.
Cioè, per intenderci, nel ’92 Justin Bieber non era ancora nato, Lady Gaga stava imparando a scrivere, la Pausini era ancora una semplice interprete di piano bar a Solarolo, il Grande Fratello era conosciuto ancora solo per 1984 di Orwell e il termine “smartphone” non era probabilmente ancora stato pronunciato.

Quello che però mi ha colpito e rattristato davvero (molto…) è stato scoprire che molte delle attrici del film non ci sono più. Al di là di Whoopi Goldberg, Maggie Smith (la Madre superiora), Kathy Ann Najimy (la prosperosa suor Maria Patrizia) e Wendy Makkena (la novizia suor Maria Roberta), moltissime delle altre attrici sono morte: Mary Wickes (la fantastica suor Maria Lazzara), Rose Parenti (suor Alma, quella con l’apparecchio acustico che suonava il piano), Ellen Albertini Dow, Carmen Margarita Zapata, Susan Johnson, Ruth Kobart, Susan Brown Browning, Edith Diaz.

 

Se oggi, per caso, volessero realizzare un terzo episodio di Sister Act (il secondo è arrivato nel 1994, con il cast praticamente al completo), gli spalti del coro sarebbero semivuoti, o riempiti da altre attrici.

Normale, il tempo passa, e le allegre “sorelle” erano già in là con gli anni all’epoca delle riprese, ma – per allacciarmi a quello che dicevo all’inizio – nella mia testa loro si erano fermate lì, pimpanti e sempre pronte a scatenarsi sull’altare.
Ma così non è…

E’ il meraviglioso regalo del cinema, e insieme il suo inganno.
Se il tempo va, l’arte è l’unico mezzo a nostra disposizione per fermarlo.
Sister Act, nel suo piccolo, ne è stata per me la prova.

E allora via questo velo di malinconia e 3… 2… 1… Play!
Haaaa…..lle…..luuuuu…..jaaaa!!!!

Master in Comunicazione Musicale: aperte le iscrizioni

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Sono aperte le iscrizioni al Master in Comunicazione Musicale, il primo corso universitario post-laurea dedicato al mondo dell’industria della musica e dei media.

Arrivato alla XVI edizione, nel 2016 il Master si rinnova con nuovi corsi e nuovi docenti. L’obbiettivo è sempre quello di formare a 360° i professionisti della musica di domani e per farlo quest’anno il Master Musica chiama in cattedra i propri ex allievi, ormai affermati professionisti, che racconteranno le case histories delle aziende in cui lavorano.
Due laboratori verranno affidati ad ex allievi: Luca Di Cataldo, Direttore di produzione e Tour manager presso Ponderosa Music&Art, terrà il corso di “Marketing e management del prodotto musicale: l’evento” ed Elia Stabellini, Social Media Manager del team Magnolia, terrà il laboratorio di “Social Media management per la musica”. Tra i nuovi docenti del Master, anche Gabriele Parisi, manager che in oltre vent’anni di esperienza ha curato gli interessi di artisti come Mannoia, Nek, Pausini, Raf e altri, e che terrà il nuovo corso di “Artist Management”.

«I nostri ex studenti sono professionisti del settore – racconta Gianni Sibilla, direttore didattico del Master – è impossibile lavorare nella musica oggi e non imbattersi in qualcuno che è passato dalle nostre aule: “Anche tu dal Master Musica?” è ormai una domanda di rito. E sono diventati talmente bravi ed esperti che spesso passano dall’altro lato della cattedra, come docenti dei giovani studenti del Master. È la cosa che ci rende più orgogliosi».

Giovedì 23 giugno alle ore 18.00 all’interno dell’Open Evening post-graduate dedicato ai Master dell’Università Cattolica di Milano, presso la  sede di largo Gemelli 1 a Milano, verrà presentata l’edizione 2016/2017 del Master.
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Il termine per la presentazione delle domande di ammissione è il 10 ottobre, i colloqui di selezione si svolgeranno il 20 e 21 ottobre, mentre le lezioni cominceranno il 7 novembre 2016.

Tutte le informazioni sono disponibili a questo link.

Il Master in Comunicazione Musicale, promosso dall’Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo dell’Università Cattolica di Milano, è stato il primo corso universitario in Italia, rivolto a laureati di tutte le facoltà e/o diplomati in Conservatorio, specificatamente dedicato all’industria della musica pop e al suo rapporto con il mondo della comunicazione. Il percorso prevede un periodo di stage finalizzato all’inserimento formativo del corsista nel contesto reale della comunicazione musicale presso aziende convenzionate che hanno maturato una consolidata collaborazione con il Master, oltre ad altre che vengono ricercate ogni anno in base all’andamento del mercato del lavoro.
In 15 anni sono stati selezionati oltre 400 studenti tra le quasi 1500 domande di ammissione ricevute, per un totale di oltre 7000 ore in aula tra incontri con glioperatori del settore, laboratori sulle professioni della musica, lezioni su discografia, media, musica live, marketing, fino alle nuove frontiere della distribuzione digitale e del mobile. La validità del corso ha permesso negli anni di portare le percentuali di placement, tra il 66% e il 90%, a soli sei mesi dal termine delle lezioni, attraverso l’organizzazione di oltre 400 stage tra etichette discografiche, media musicali, uffici stampa e promoter. Le testimonianze di alcuni professionisti del settore provenienti dal Master sono disponibili sul sito ufficiale nella sezione “I nostri studenti”.