Il soul e l’hip-hop portano a Roma. Quattro chiacchiere con… Ainé


Si scrive Arnaldo Santoro, si legge Ainé, e il suo nome appartiene a buon diritto alla nuova generazione del soul italiano.
Nonostante non abbia ancora tagliato il traguardo dei 30 anni, tra le sue esperienze può vantare un periodo di studio alla Venice Voice Accademy di Los Angeles e una borsa di studio della Berklee College of Music di Boston.
La predisposizione all’eclettismo lo porta nel 2016 anche verso il jazz e alla collaborazione con Sergio Cammariere in Dopo la pioggia, poi è la volta del primo album, Generation One, a cui segue l’anno successivo l’EP UNI-VERSO.

Pop, soul, blues, hip-hop: sono queste le lingue del mondo sonoro di Ainé. Lingue che si incontrano, si scambiano e si fondono, fino a non distinguersi più, mantenendo ferma la lezione del passato, ma aprendo gli occhi sul presente e sul futuro.
Di questo talento si accorge anche Giorgia, una che con il soul ci ha giocato da sempre, e che nel 2018 coinvolge il ragazzo nel duetto di Stay, da inserire nel suo primo album di cover, Pop Heart.
Un riconoscimento importante, ma anche l’ultimo grande atto che ha anticipato l’uscita del nuovo album, Niente di me, pubblicato lo scorso 18 gennaio.
A sancire la nascita del nuovo astro del soul nostrano è anche la benedizione di Mecna, che nel disco collabora in Mostri, e Willie Peyote, ospite in Parlo piano.

Il tuo nuovo album si intitola Niente di me, anche se ascoltandolo sembrerebbe che tu ci sia dentro fino in fondo. Una contraddizione voluta?
E’ un po’ una provocazione, volevo lasciare al pubblico la possibilità di interpretare il titolo a seconda di come lo percepiva, vedendoci dentro tutto o niente di me stesso. La realtà è che in questo disco c’è molto di me.

Ti sei posto degli obiettivi prima di realizzarlo?
Crescendo si cambia sempre, umanamente e musicalmente. Anzi, più che in continuo cambiamento, preferisco vedermi in continua evoluzione: oggi non sono più quello che ero 6 mesi fa, e fra 6 mesi non sarò più quello che sono oggi. Con questo album ho voluto segnare il punto di partenza per un percorso nuovo del mio progetto. In tutti i miei lavori ho voluto sperimentare, perché è più divertente cimentarsi in cose nuove. Anche se i brani sono molto diversi tra loro, li accomuna il suono che ho voluto dare insieme alla mia band: volevo che ci fosse un suono “vecchio stile”, realizzato con una settimana in studio per stabilire gli arrangiamenti e poi registrato in presa diretta. La magia di questo disco sta proprio qui.

Rispetto al passato in cosa credi che sia davvero diverso questo album? Hai lavorato più in autonomia? 
No, c’è sempre stato un equilibrio tra il mio lavoro e quello delle persone che lavorano con me, e la mia firma nei brani c’è sempre stata. Prima però con la band era sempre un lavoro di ricerca, adesso credo che siamo riusciti ad arrivare a un punto fermo.

Con quali artisti ti sei formato?
Tra gli italiani soprattutto molti cantautori, Pino Daniele, Lucio Battisti, Lucio Dalla. Tra gli stranieri invece spazio veramente tanto tra Michael Jackson, Stevie Wonder, John Mayer, Justin Timberlake, Jamiroquai, Marvin Gaye, Chet Baker, Miles Davis, e poi l’hip-hop. Ascolto tantissima musica diversa.

Direi che dall’album questa varietà di influenze esce molto bene. Forse però in Italia la cultura soul e r’n’b non ha ancora un terreno molto solido, non pensi?

Secondo me ormai i confini geografici dei generi sono stati abbattuti, come era giusto che accadesse già tempo fa. Artisti come Kendrick Lamar, Anderson Paak, Marcus Miller, Tyler, the Creator possono avere successo in America come qui in Italia, è musica che si sente tutti i giorni, non suona più estranea. Credo anche che non sia corretto parlare di r’n’b, è un termine sbagliato: bisognerebbe parlare di hip-hop e soul. Prima esisteva il rhythm & blues, che però è una cosa completamente diversa, più old school. La definizione di r’n’b viene usata soprattutto quando si vuole dare un nome diverso all’hip-hop e al soul, ma le basi sono sempre quelle. Senza contare che oggi sono entrate anche contaminazioni dal rock, dal pop o dal jazz. Sono stato tra i primi a portare in Italia questo genere e a dargli credibilità quando non lo faceva ancora nessuno, mentre oggi vedo che ci sono altri giovani artisti italiani che hanno iniziato a proporlo.

A proposito di pop e di soul, ti abbiamo sentito duettare con Giorgia in Stay.
Ci eravamo già incontrati per il video di Non mi ami, a cui compaio mentre suono il piano, ma in questa occasione abbiamo lavorato davvero insieme. Tutto è nato con la massima naturalezza: lei mi ha scritto su Instagram proponendomi il brano e io sono subito andato a Milano per inciderlo.

Dopo le tue esperienze in America hai mai pensato di fermarti all’estero per fare musica o sei sempre stato convinto di voler tornare in Italia?
Ho sempre saputo di voler tornare: amo il mio Paese, la mia città, qui ho i parenti, gli amici, la fidanzata, e come si vive in Italia non si vive da nessuna parte. Sono stato tanto all’estero e sicuramente tornerò ancora in giro a suonare, ma la mia stabilità l’ho trovata qui. Ho da poco preso casa da solo vicino alla campagna di Roma.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
Per me è sinonimo di libertà: libertà di espressione, di parola, di pensiero. Più che ribelli, dovremmo essere liberi. Sani e liberi.

Baby K torna con Icona: urban pop ai tempi dei social

“Il titolo non è autoreferenziale”, tiene a specificare, “ma si riferisce al fatto che nell’epoca dei social tutti si sentono protagonisti, tutti si sentono costantemente su un palcoscenico per mostrare qualcosa al loro pubblico, anche se questo pubblico a volte non c’è. Raccogliere i like è diventato il metro per valutare la qualità e rischiamo di creare continuamente nuove icone, spesso false”.
Icona è il terzo album di Baby K, in uscita il 16 novembre a tre anni di distanza da Kiss Kiss Bang Bang, l’album che conteneva Roma-Bangkok, il pezzo dei record, quello che ha aperto le porte le reggaeton anche per gli artisti italiani.
“Penso di non esagerare se dico che sono stata un’innovatrice e ho portato in Italia la moda del reggaeton, unito all’elettronica: sono i fatti a dirlo, prima di quel brano non si era mai sentito niente del genere qui da noi, e se oggi molti artisti italiani seguono il filone latino è anche merito di Roma-Bangkok“.
Claudia Nahum, nata a Singapore e con un’adolescenza trascorsa nella periferia londinese, si porta dietro lo spirito cosmopolita con cui è cresciuta e negli anni è riuscita a crearsi uno stile personale, che dal rap si è spostato nel territorio dell’urban pop, di cui è oggi la più importante esponente in Italia. “In Italia fa ancora scalpore che una donna faccia rap, perché è un genere troppo legato all’universo maschile e le persone hanno bisogno di scindere l’ambito maschile da quello femminile, mentre la mia natura è quella di unire. Ho sempre cercato di portare elementi nuovi nella mia musica e credo che in questo album ogni brano abbia un pezzetto del mio percorso”. Basta pensare, per esempio, all’ultimo singolo, Come no,con le sue sonorità orientali unite all’urban, evidenziate anche nel video: “Non avevo mai sentito niente del genere, è una base veramente originale. Sono cresciuta in Occidente, a Singapore sono rimasta solo fino a quando ero bambina e non ricordo molto, ma credo di essere legata all’Oriente per una condizione mentale”. Confessa anche di aver pensato di coinvolgere qualche idolo del K-pop, genere nato in Oriente ma sempre più in auge anche in America e in Europa, ma l’idea non si è poi concretizzata.

Di Icona parla come di un album positivo: “La femmina alpha di qualche anno fa non è scomparsa, ma si è evoluta, è meno agguerrita e più divertita di un tempo. Ma il rap non l’ho abbandonato, nel disco c’è, ed è molto quadrato”.
Sarebbe infatti un errore pensare che l’identità di Baby K sia solo quella rappresentata dai singoli estivi (che hanno comunque raccolto numeri di tutto rispetto): a dimostrarlo c’è un brano come Certe cose, in featuring con J-Ax, dove il rap è il grande protagonista e i versi diventano piccantini, o ancora Vibe, che vede la collaborazione di Vegas Jones e Gemitaiz, o ancora Sogni d’oro e di platino, quello a cui Baby K si sente più legata, “perché è un invito a sognare, e sognare è importante, soprattutto con tutte le difficoltà che la vita mette davanti ai giovani oggi”.
Dammi un buon motivo è invece dedicato alle donne: “Spesso la donna viene rappresentata come un vittima, ma è sbagliato, perché le donne di oggi sono molto forti. Lavorano, hanno una vita indipendente, spesso fanno anche molto di più degli uomini, ed era questo che volevo comunicare”.

Ma se i social creano falsi miti, quali sono le vere icone? E come si possono riconoscere? “Le icone sono quegli artisti che si sono sacrificati e hanno dimostrato completa dedizione all’arte. Hanno dovuto sudare e sacrificarsi per la loro causa, ma sono stati ricompensati da una fama eterna, che li rende riconoscibili anche solo da un dettaglio. Penso per esempio a Madonna o a Michael Jackson: basta vedere un guanto ricoperto di brillantini per capire che si tratta di lui”.

Per marzo sono inoltre stati annunciati due appuntamenti live, il 28 al Fabrique di Milano e il 29 a Largo Venue di Roma. Si tratta dei primi due concerti di Baby K: “In questi anni penso di essermi costruita un repertorio forte, e voglio che i concerti mi rappresentino totalmente. Mi viene riconosciuta una grande energia sul palco, che voglio alternare a momenti più intimi”. Prevendite aperte dalle ore 11 di venerdì 16 novembre su Ticketone.

BITS-CHAT: “Solitudine? No, libertà”. Quattro chiacchiere con… Luana Corino

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Gli inizi come LaMiss, poi un periodo di pausa e l’anno scorso il ritorno con il suo nome, Luana Corino, e l’EP M.W.A vol. 1, anticipato da un brano agguerritissimo di riscatto femminile come Lucille.
Adesso per Luana è la volta di Gita al mare, un singolo dall’atmosfera serena e all’insegna dell’indipendenza: la storia è quella di un amore finito, un lui fuggito senza troppe spiegazioni e una lei rimasta sola, ma ancora abbastanza forte da trasformare la solitudine in orgogliosa manifestazione di amore per se stessa.
La storia di una donna libera, con le idee molto chiare anche quando si parla di un ambito maschilista come l’r’n’b italiano.
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Ascoltando il tuo ultimo singolo, Gita al mare, si ha subito l’impressione di percepire un mood diverso rispetto a quello che avevamo trovato lo scorso anno nell’EP M.W.A. vol. 1: è così? Si è aperta per te una nuova fase?

Diciamo che un progetto ufficiale rispetto a un mixtape parte già con altri presupposti. Nutro aspettative diverse verso me stessa e quello che voglio raccontare. Quando si tratta di lavorare a degli inediti diventa un vero e proprio lavoro di squadra, un insieme di energie che inevitabilmente danno alla luce qualcosa di molto più intenso. L’approccio a un mixtape è molto più easy e disinteressato… nell’EP, che uscirà dopo l’estate, e in Gita al mare, sto cercando di dare il massimo sotto ogni aspetto creativo.

Come hai sviluppato l’idea del pezzo e del video, dove sei l’assoluta protagonista?
Come spesso accade alle idee migliori, vengono e basta, come un fulmine a ciel sereno. Sentivo la necessità di parlare di questa storia, sotto alcuni punti di vista, autobiografica. Ce l’avevo sulla punta della lingua e della penna, e ho aspettato di stare abbastanza male per ricordarmene. L’ho scritta in un giorno e il video era già nella mia testa. Da quando lavoro nel campo dei videoclip, è difficile per me scrivere un pezzo e non visualizzarlo, ormai per me il video non è altro che il completamente di una canzone.

Che valore ha nella tua vita e nel tuo lavoro l’indipendenza?
È il fulcro della mia esistenza. Essere indipendenti per me significa essere liberi. Sarà brutto da dire ma non sopporto di affidare ad altri la responsabilità di decisioni per me importanti. Voglio avere il privilegio di poter scegliere cosa fare, come farlo e quando. La vita è una e i tempi della discografia sono molto lenti. Se decidono che non sei il loro progetto principale, un’etichetta, spesso una major, può parcheggiarti là anche per quattro o cinque anni, rubandoti gli anni migliori. Ho visto tantissimi artisti rinunciarci nonostante il talento e questa cosa mi ha portato a non provane nemmeno mai a proporre un mio progetto a un’etichetta che non fosse indipendente.

Quali sono gli artisti di riferimento e i modelli con cui sei cresciuta?
Michael Jackson in primis, da sempre: la disciplina, la dedizione e il perfezionismo a cui ci ha abituato durante tutta la sua carriera sono stati per me grande fonte di ispirazione. Janet Jackson, per la sua vocalità e gli arrangiamenti vocali, e sicuramente Beyoncè, che soprattutto negli ultimi anni ci sta dimostrando come una donna sta al comando.
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Cosa puoi già anticipare del nuovo EP? Si tratta del seguito di M.W.A. vol 1?
Si chiamerà Vertigini, parla di donne, del loro modo di affrontare l’amore , delle loro fragilità, della loro forza e complessità. Sarà molto intimo, anche molto sfacciato. Non mi sto trattenendo in nulla, sto cercando di scrivere nel miglior modo che conosco.

Nel panorama urban italiano è difficile trovare nomi femminili che si possano contendere la scena con gli uomini: le eccezioni ci sono (vedi Baby K), ma l’impressione è che le donne dell’hip-hop e dell’R&B italiano debbano accontentarsi dell’underground. Secondo te perché succede?
Ci sarebbe un discorso molto lungo da fare, che cercherò di semplificare il più possibile, dando solo degli spunti di riflessione. L’ambiente urban, in generale, e quello hip-hop, nello specifico, sono ancora a prevalenza maschile. Nonostante negli anni i mezzi per autoprodursi siano diventati sempre più accessibili, l’emisfero femminile non si è ancora abituato all’idea di poter creare dei prodotti indipendenti senza doversi avvalere per forza del supporto maschile. Sulla base di questi presupposti si somma anche la difficoltà di fare gioco di squadra. Ci hanno sempre abituato all’idea che ci sia posto per una sola donna alla volta, questo inevitabilmente mette tutte in estrema competizione. Cambiare la nostra mentalità e imparare a fare più gioco di squadra potrebbe migliorare le cose. Ma, per ora, ho l’impressione che siamo ancora molto lontane da fare questo passo. La carriera artistica di una donna è meno longeva: dopo i 25 anni subentrano le responsabilità di cui spesso una donna, per natura, se ne fa più carico rispetto a un uomo. In alcuni casi subentra la maternità e, nel caso di un artista indipendente, soprattutto se la musica non diventa anche il tuo lavoro entro i 30 anni, spesso è motivo di abbandono o rallentamento creativo. Poi, per quanto riguarda l’R&B nello specifico, beh, è un genere che va studiato e approfondito, senza contare che in Italia non ha ancora una rilevanza discografica, probabilmente proprio per la scarsità di artisti che lo fanno). Oltre a me e a Martina May non conosco altre ragazze con un background solido che hanno contribuito o stanno contribuendo a sfamare il pubblico con prodotti di un certo livello, ma posso permettermi di parlare per noi due e dire che vige stima, amicizia e supporto, proprio perché desideriamo un cambiamento e vediamo le cose sotto un altro punto di vista.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
Non aver paura di essere coerenti con se stessi e i propri gusti, rispettarsi senza temere di andare contro corrente. A volte fare cose che vanno contro le necessità o le richieste popolari è molto difficile, la tendenza è quella di omologarsi facendo i “ribelli” per finta. Per me ribellione significa guardare in faccio i propri sentimenti e raccontarli apertamente senza aver paura di sembrare deboli.