Dopo il grande successo al cinema e in televisione di IosonoMia, arriva l’omonimo album con tutte le musiche originali e i brani prodotti da Mattia Donna & la Femme Piège.
Un’impresa difficile, quasi impossibile, quella di ridare luce a una stella della musica italiana come Mia Martini: una sfida artistica che è stata raccolta e vinta brillantemente da Serena Rossi, che sullo schermo ha ridato volto e voce a Mia Martini, cimentandosi con brani come Piccolo uomo, E non finisce mica il cielo e soprattutto Almeno tu nell’universo, la canzone che con cui nel 1989 Mia Martini si è riavvicinata al grande pubblico.
Un brano da molti critici giudicato una delle migliori canzoni del secolo scorso, reso immortale da un’interpretazione senza pari, e proprio per questo una prova molto ardua da superare per tutti gli artisti che negli hanno voluto affrontarla.
Serena Rossi ci si è avvicinata senza la presunzione dell’imitazione, ma senza neppure snaturare il brano e la sua interprete originale, con un risultato che abbiamo ascoltato nei giorni scorsi nel film è sul palco del Festival di Sanremo durante la serata finale.
Così Mattia Donna e Andrea Toso parlano del lavoro svolto per la realizzazione della colonna sonora del film: “Per noi quello che conta è raggiungere un nostro stile, cerchiamo uno spazio che sia artisticamente unico, non condivisibile con altri. Come compositori credo che non sia importante a cosa lavori ma quanto riuscirai ad essere fedele all’idea che hai di te stesso in qualunque situazione tu possa trovarti. Una soluzione per l’originalità si trova sempre, se la cerchi. Questo disco è il risultato di una profonda ricerca guidata dalla passione per una grande artista. Tutto è stato fatto per rispettare l’anima e il suono dei brani di Mia Martini. L’altro lato del disco contiene le musiche originali da noi composte per il film. Quello che Mimì ci lascia è un grande insegnamento ed è quello dei grandi artisti: un dolore orribile può essere trasformato in qualcosa di meraviglioso, in qualcosa di così potente da poter arrivare a toccare e a cambiare la vita delle persone. È dalla mancanza che si crea non dall’abbondanza. Purtroppo per alcuni il prezzo da pagare può diventare terribile”.
Febbraio 1989, Sanremo: Mia Martini si prepara a tornare sulle scena dopo sei anni di esilio. Un allontanamento volontario, ma nei fatti provocato dalle sempre più pressanti maldicenze sul suo conto. “Mia Martini porta sfortuna”, si diceva ormai da tempo nell’ambiente dello spettacolo, al punto che molti altri artisti si rifiutavano di avere a che fare con lei, i suoi dischi non vendevano più e gli impresari non la ingaggiavano più nelle trasmissioni televisive. Addirittura facevano fatica a pronunciare il suo nome. Tutto per alcune sfortunate coincidenze e la voglia di qualcuno di vendicarsi di un’artista dal carattere forse non proprio semplice (“L’unica cosa su cui sono sempre stata d’accordo”).
“E’ stata una vera e propria violenza compiuta su una persona, su una donna, e forse all’epoca tutti quanti non abbiamo fatto abbastanza per fermare questa calunnia. Questo è il mio modo di chiederle scusa”. Sono le parole di Riccardo Donna, il regista di Io sono Mia, il bio-pic dedicato alla storia di Mimì prodotto dalla Eliseo di Luca Barbareschi in collaborazione con Rai Fiction. La pellicola verrà proiettata in quasi 300 sale cinematografiche italiane solo nelle giornate del 14, 15 e 16 gennaio, per approdare sugli schermi di Rai 1 prossimamente. Dopo il successo dello scorso anno con la minifiction Fabrizio De André principe libero, la Rai torna così a dare spazio alla vita di un’altro grande nome della musica italiana. Il film parte proprio da quel festival dell’89, quando ancora nessuno sapeva che per Mia Martini non si sarebbe trattato solo di un grandioso ritorno in scena, ma che in quell’occasione la musica italiana avrebbe anche ricevuto in regalo la preziosissima interpretazione di Almeno tu nell’universo. Mimì quell’anno non vinse il Festival, e non lo vinse in nessuna delle altre sue partecipazioni, ma quello che è stata in capace di lasciare sul palco va oltre ogni vittoria.
“Per convincere gli organizzatori a far partecipare Mimì quell’anno al Festival, una persona, di cui non posso fare il nome, dovette firmare un contratto come garante per tutto che di spiacevole sarebbe potuto succedere: durante l’esibizione si sarebbe dovuta sedere in prima fila all’Ariston, così se fosse crollato il teatro ci sarebbe rimasta sotto anche lei”: a raccontare l’aneddoto è Loredana Bertè, sorella di Mia, probabilmente colei che più di ogni altro la conosce e la può raccontare, e che per questo film è stata coinvolta in veste di consulente. La persona di cui parla Loredana pare sia Renato Zero, anche se sulla veridicità dell’evento non c’è molta chiarezza, dal momento che Adriano Aragozzini, organizzatore della manifestazione nell’89, ha chiaramente smentito l’intera vicenda in una recente intervista al Fatto quotidiano. Comunque siano andate le cose, è certo che per Mimì si trattò di un autentico riscatto, che la riportò al grande pubblico dopo che per anni si era accontentata di cantare alle sagre di paese.
A dare corpo, voce e (tanta) anima a Mia Martini è Serena Rossi, che regala un’interpretazione che non si fatica troppo a definire eccezionale: “Ho letto molto su di lei, ho guardato molte sue interviste e ho ascoltato tanto la sua musica, come continuo a fare ancora adesso. Fin dal primo giorno di riprese sapevo che non avrei dovuto cercare di imitarla per non rischiare di scimmiottarla. Ero sicura che da tutte le persone coinvolte nel lavoro avrei ricevuto tantissimo amore, e così è stato. Io non posso che ringraziare e ritenermi fortunata per l’opportunità che mi è stata offerta”. Pur lontana dall’imitazione, l’attrice riporta con impressionante fedeltà e intensità le espressioni di Mimì, i gesti viscerali delle sue mani e i movimenti delle sue labbra durante le esibizioni, fino a far rivivere la luce tragica che i suoi occhi emanavano. Sfruttando l’espediente di un’intervista rilasciata a poche ore dall’esibizione sanremese a Sandra, una giornalista arrivata in realtà per incontrare Ray Charles, nel film Mia Martini ripercorre la sua vita, dalle interpretazioni dei brani di Ella Fitzgerald davanti allo specchio della cameretta, al travagliato rapporto con il padre, fino alla delicata operazione alle corde vocali. E poi l’incontro con il manager Alberigo Crocetta e quelli con Califano e Lauzi, che scriveranno per lei pagine importantissime della sua discografia, il rapporto con la sorella Loredana, interpretata da Dajana Roncione, e la storia d’amore con Andrea, un fotografo, personaggio dietro al quale non è difficile riconoscere Ivano Fossati. E’ ancora Loredana a spiegare: “Ci sono due persone che hanno espressamente richiesto di non essere nominate in questo film, Ivano Fossati e Renato Zero”. Quest’ultimo viene portato sullo schermo nella figura di Anthony, un eccentrico amico conosciuto per caso fuori da un locale.
Alla fine, dopo aver ripercorso tra i suoi ricordi buona parte della sua vita, viene quasi spontaneo anche a noi porci la stessa domanda che Sandra rivolge a Mia: “Come sei riuscita a sopportare tutto questo?” E nella risposta di Mimì non potremo che ritrovarci tutti d’accordo.
Siamo abituati a sentirle cantare di grandi amori, struggersi nel dolore o regalarci momenti di folgorante teatralità. Ma le grandi dive italiane sanno anche divertirsi e tra le pieghe della loro discografia hanno infilato almeno una perla di leggerezza. C’è chi come Mina ha dato vita a un inno al colore grigio tra ghirigori vocali e citazioni, chi, come Patty Pravo, ha usato l’ironia per demolire il mito del maschio che non deve chiedere mai, o chi è andata fino in Brasile a prendersi un concentrato di brio, come la Vanoni. Sempre senza perdere la classe, s’intende! Tra pezzi più o meno noti, una piccola selezione – in ordine allegramente sparso – di momenti di buonumore cantati da dieci autentiche signore della musica. Mina, Grigio Difficile trovare un genere o un’atmosfera con cui l’immensa personalità di Mina non si sia confrontata, anche solo per puro diletto. Un esempio è Grigio, autentica dimostrazione di creatività e virtuosismo, un piccolo tesoro nascosto nell’album Leggera del 1997. Un irresistibile divertissement in cui Dante e Modugno si ritrovano citati uno accanto all’altro.
Loretta Goggi, Cibù Cibà Tra gli episodi più spassosi del repertorio della Goggi va inserita anche questa Cibù Cibà, canzoncina del 1970: la versione originale è opera dei croati Krajac e Kalogjera, mentre il testo italiano porta la firma illustrissima di Paolo Limiti. L’arrangiamento è invece a cura di Paki Canzi, leader dei Nuovi angeli. Nel video, aguzzando bene la vista, si intravedono Mina e Lucio Dalla, seduti alle spalle di Loretta.
Mimì Bertè (Mia Martini), Ed ora che abbiamo litigato Il testo di questa canzone parla di un litigio, ma l’atmosfera è quanto di più brioso si possa immaginare. Erano infatti i pieni anni ’60 e nelle radio imperava la moda dello yè-yè: un’irriconoscibile Mia Martini muoveva i primissimi passi sulle scene con il nome di Mimì Bertè, facendo sfoggio di un vocino che ben poco ha in comune con il timbro drammatico che l’avrebbe consacrata tra le più indimenticabili interpreti italiane.
Giuni Russo, Illusione Voce tra le più atipiche e affascinanti, Giuni Russo non ha mai avuto paura di sperimentare, passando da canzoni d’autore, parentesi pop e divagazioni inaspettate. Tra queste non può non essere ricordata Illusione, tragicomico racconto di una serata romantica andata a rotoli, narrato con i toni del melodramma.
Patty Pravo, Seduttori sedati Anche la diva più enigmatica della canzone italiana ogni tanto sa usare brillantemente l’arma dell’ironia. Una prova tagliante è Seduttori sedati, episodio sornione che tra fumose atmosfere anni ’70 gioca a demolire il mito del maschio conquistatore. La canzone trova spazio tra la sofisticatezza pop-rock dell’album Una donna da sognare del 2000.
Rettore, Donatella Irriverente e provocatoria, Rettore è stata tra le prime artiste italiane a portare lo ska in classifica. Lo ha fatto con Donatella, giustamente diventato un classicone del suo repertorio: una surreale e caustica richiesta a non chiamarla stramaledettamente Donatella, perché ormai lo sappiamo, Donatella… si è impiccata sul bidet.
Loredana Bertè, Prendi fra le mani la testa Sarà anche una delle grandi signore del rock nostrano, ma Loredana Bertè sa trovare spazio folleggiare un po’. Lo fa, per esempio, riprendendo un pezzo di Battisti, rivisitandolo in chiave reggae, e infilandoci dentro tutta la sua solita grinta. Con il sorriso. Il risultato è un’interpretazione sprint di Prendi fra le mani la testa.
Dalida, Itsy Bitsy Petit Bikini Famosa per le sue performance struggenti e teatrali, Dalida con la musica ha saputo anche giocarci, concedendosi a episodi “da ombrellone”. Nel 1960 ha ripreso un pezzo di Brian Hyland e ne ha fatto una spassosissima versione in francese.
Ornella Vanoni, La gente e me Ornella Vanoni non ha mai tenuto nascosto il suo lato più fanciullesco, così come l’amore per l’universo sonoro brasiliano. Non stupisce quindi che nella sua sterminata discografia ci sia posto anche per una briosa rivisitazione di un pezzo di Caetano Veloso, condita da un testo piccantino.
Raffaella Carrà, Satana Spensieratezza è da sempre una parola d’ordine nell’universo della Carrà, ma anche la Raffa Nazionale sa sorprendere. Per esempio con una canzone come Satana: se il titolo appare ben poco rassicurante ed è addirittura valso a Raffaella un’accusa di satanismo, il pezzo altro non è se non un episodio allegrotto dedicato a un misterioso uomo dagli occhi blu. Il tutto in salsa latina.
ASPETTANDOSANREMO: “Mi tremano le gambe, ma sono una donna forte”. Quattro chiacchiere con… Elodie
Elodie ha due occhi bellissimi. Grandi, profondi e bellissimi, di un colore indefinibile, accompagnati da un sorriso larghissimo.
Sì, lo so che per chi si interessa di musica questi non dovrebbero essere dettagli importanti, ma io sono tra quelli che di un artista non solo ascoltano le canzoni, ma ne osservano anche i gesti, i colori, ne ascoltano il tono della voce quando parlano.
Ed Elodie ha due occhi bellissimi che sembrano parlare più della sua voce nel dire quanto lei sia sicura di quello che fa. Una donna forte, proprio così, lo dice anche lei, “Voglio che il pubblico mi veda come una donna forte”.
Pur con solo 26 anni alle spalle e neanche due di notorietà, la ragazza appare seriamente sicura di ciò che sta cercando e di ciò che vuole. In primavera si è conquistata il secondo posto ad Amici ed ora entra a Sanremo dalla porta principale, quella dei big, portando in gara Tutta colpa mia, un brano su una storia d’amore andata in frantumi firmato tra gli altri da Emma (e ascoltandolo non si potrebbe in effetti pensare altrimenti).
Il 17 febbraio sarà poi la volta dell’album dal titolo omonimo, mentre il 26 aprile Elodie è attesa a Milano per il suo primo vero appuntamento live.
Chissà se per quel giorno la gamba avrà smesso di tremare… Nella canzone sembra di avvertire un senso di imperfezione da parte della protagonista, che quasi si rimprovera la fine di una storia: ti ritrovi in questa situazione,pur non essendo tu l’autrice del brano? La canzone non è mia ma parte da una storia d’amore importante che ho vissuto qualche anno fa, una storia in cui avevo messo tanto coraggio, ma dall’altra parte non ho trovato lo stesso spirito. Non sono perfetta, nel brano va letta anche una certa ironia: posso dire comunque di essere felice di quello che sono oggi e che cerco di migliorarmi ogni giorno. I momenti d’ombra ci sono e vanno accettati, senza paura di toccare il fondo. Senti qualche responsabilità nei confronti di Emma, tua coach ad Amici e ora autrice del pezzo? Interpretare una canzone altrui è sempre un impegno, però il regalo più importante che mi ha fatto Emma è stata la possibilità di condividere il suo team: a Sanremo devo dimostrare che valgo e che tutta questa fiducia me la merito. Non sono più un’allieva della scuola di Amici, adesso devo diventare una professionista. Emma ti ha dato qualche consiglio per Sanremo? Per Sanremo in particolare no. Mi ha sempre detto di respirare, sorridere e di mettere tutte le mie energie, indipendentemente dal palco su cui mi trovo. Perché la scelta di Quando finisce un amore per la serata delle cover? Cocciante, insieme a Mia Martini e Loredana Bertè, è uno degli artisti che ho più nel cuore, perché ha messo tutto se stesso nella musica. Non so se avrò un’altra possibilità come questa, quindi ho scelto di reinterpretare un brano che mi mettesse alla prova, e questo lo sento sotto pelle.
Come ti senti in questo momento? Felice, molto felice e nello stesso tempo tutto mi sembra irreale. Non avrei ma pensato di poter arrivare a questo punto, Sanremo è il sogno di chiunque voglia fare questo lavoro, ma non ho aspettative tanto verso il Festival in sé, perché Sanremo è un colosso, sta fermo lì, quanto piuttosto su di me. Spero di fare bella figura e di rispettare quel palco, la sua tradizione. Voglio esibirmi con dignità nei confronti della musica italiana, restando ben a fuoco e dominando l’emotività. Le prime volte che mi esibivo in pubblico tremavo tutta, non potevo togliere il microfono dall’asta, e pochi giorni fa alle prime prove con l’orchestra ho cantato per tutto il tempo senza smettere di muovere la gamba. C’è qualcosa che il pubblico magari non sa ancora di te e che vorresti venisse fuori n questa occasione? Vorrei si capisca che sono una donna forte, non presuntuosa, ma forte. Qualunque cosa si faccia nella vita va portato avanti con determinazione e puntando a farlo al meglio. E sbaglia chi pensa che il talent sia una scorciatoia: ho passato periodi in cui non avevo un obiettivo, mi sentivo persa, e Amici è stato un aiuto. Non ci sono tante possibilità per noi giovani artisti, e chi le offre non va discriminato. Tra i tuoi punti di riferimento citi Nina Simone, un’artista che ha avuto un vissuto piuttosto pesante: in cosa la senti vicina? Nina Simone, così come Sarah Vaughan, Ella Fitzgerald e tutte le cantanti di colore di quegli anni, è stata una donna forte: sentirla vicina è come una pacca sulla spalla. Io stessa vengo da una famiglia di origini africane, mia nonna è delle Antille Francesi, per cui ho respirato un certo clima culturale. E’ bello quando le minoranze diventano di polso, è segno che se ci sono passione e spinta a reagire chiunque può farcela.
Il 26 aprile è in programma un appuntamento live all’Alcatraz a Milano: come ti stai preparando? Per ora mi concentro sul Festival, altrimenti impazzisco… Inizierò a lavorarci seriamente dal giorno dopo. Sarà un’altra novità, perché per la prima volta il pubblico sarà lì apposta per me, e questo non aiuterà a gestire la tremarella. Hai un’immagine che racchiude il significato del Festival per te? Penso a Loredana Bertè e Mia Martini: in questo momento ho in mente Amici non ne ho di Loredana. Penso ci voglia tantissimo coraggio a spiattellare quelle cose in faccia al pubblico. Loredana è una donna che stimo tantissimo. Prima di salire sul palco cosa farai? Non ho riti scaramantici né portafortuna. Semplicemente penso che farò un bel respiro, gesticolerò un po’, farò un inchino, sorriderò e poi via, quando il maestro sarà pronto, canterò.
Quale piega può prendere la vita dopo un evento traumatico come un incidente stradale a cui si è sopravvissuti per quello che si è soliti chiamare miracolo? E soprattutto, come sarebbe stata la vita se quell’evento non si fosse mai verificato? Domande con risposte impossibili, ovviamente.
Quello che si può fare è scrollarsi la polvere di dosso, asciugarsi le ferite e ricominciare a camminare seguendo il percorso che sembra più giusto.
Così deve aver fatto Loredana Errore, che nel settembre del 2013 si è trovata coinvolta in un tragico incidente automobilistico. Un evento che ha lasciato i suoi segni, oggi forse più sull’anima che nel corpo, e che ha richiesto di attraversare il periodo buio della ripresa, con i suoi dubbi e le sue domande.
Ma, come spesso fortunatamente succede, al buio più fosco segue la luce, che in questo caso è una Luca infinita. E proprio questo è il titolo del nuovo disco di Loredana, uscito a quattro anni dal precedente Pioggia di comete, ma soprattutto arrivato dopo il timore di aver visto la fine.
Il primo elemento che colpisce di questo album è la copertina: cosa hai voluto rappresentare con il diverso trucco degli occhi? In quell’immagine ho rappresentato il bene e il male, due elementi in contrapposizione ma che convivono in noi e che insieme portano ordine. La scelta di una copertina come questa è arrivata dopo l’esperienza dell’incidente: da quel periodo di buio io sono tornata alla luce, una luce infinita appunto. Questo album è la mia dichiarazione di speranza.
All’epoca dell’incidente stavi già lavorando al nuovo album o è nato tutto dopo? Quando è successo l’incidente ero ancora impegnata con il tour di Pioggia di comete, non stavo ancora pensando a quello che sarebbe successo dopo. Il progetto di questo album è nato tutto in seguito ed è partito proprio da quel tragico evento.
Pensi che in qualche modo l’incidente ti abbia cambiata? Sicuramente da allora vivo tutto più intensamente, ogni istante, ogni dettaglio. Devo dire però che in questo mi ha aiutato molto anche la fede: già prima dell’incidente avevo sviluppato un forte rapporto con Dio, ho sempre avuto una fede abbastanza solida. Certo, ci sono momenti nella vita in cui dubitare diventa facile, ma in fondo non ho mai smesso di credere. C’è una frase in Nuovi giorni da vivere che riassume bene il significato di questo disco, “Ci vuole coraggio per riprendersi il cielo”: ecco lo spirito con cui sono tornata è proprio questo. Penso anche però che un incidente non può cambiare quello che sei: certe cose devi già averle nel cuore.
A differenza dell’album precedente, qui non ci sono brani scritti da te: è stata una certa precisa? Esattamente: quando ho incontrato Carlo Avarello e sono entrata a far parte dell’Isola degli artisti, mi sono messa completamente nelle mani della squadra che ha lavorato con me. Devo dire che non è stato difficile assimilare questi brani: sono stati per me un dono, ho visto in loro la luce infinita che cercavo e che ha poi dato il titolo a tutto il lavoro. In questa logica è stato inserito, per esempio, un brano come Convincimi, firmato da Avarello, Pago e Franco Califano.
E la scelta di reinterpretare Per amarti di Mia Martini? Quella canzone è stata il primo punto di contatto tra me e Carlo Avarello, che poi ha prodotto l’album: mi è stata affidata in occasione di un evento dedicato a Mia Martini, Buon compleanno Mimí. Non la conoscevo e mi sono resa conto che è un brano difficilissimo, riuscire a portarlo a termine è stato un po’ come scavalcare l’Everest. Per questo poi, quando con Carlo abbiamo iniziato a lavorare al disco, mi è sembrato giusto riproporlo.
Durante il periodo buio dell’incidente, hai mai avuto paura che tutto potesse finire? Sì, ho più volte avuto questo timore. Non sapevo come ne sarei uscita, cosa sarei ancora stata in grado di fare, sentivo che la mia voce non poteva fare più di tanto e mi chiedevo se sarei stata ancora capace di tornare a cantare come volevo io.
E se fosse successo? Se la musica fosse dovuta uscire dalla tua vita, come l’avresti sostituita? Già prima che iniziassi a cantare, nella mia vita c’era Dio. Se non avessi più potuto fare musica, se non fossi più riuscita a esprimere le mie emozioni con il canto, avrei probabilmente trovato la soluzione nella fede. Nella vita c’è davvero rimedio a tutto, tranne che alla morte.
Il tuo modo di interpretare i brani è particolare, molto viscerale: non hai mai paura di scoprirti troppo davanti al pubblico? In effetti me lo sono sentita dire molte volte e sopratutto in quest’ultimo periodo anch’io mi sono chiesta se fosse giusto continuare ad avere questo approccio nelle canzoni: ma la mia attitudine verso la musica è così, non sarei mai in grado di proporre qualcosa di sola tecnica. Ci devo mettere l’anima, il cuore, altrimenti per me cantare non avrebbe senso.
Sei riuscita a seguire l’insegnamento di “non aver paura della vita, colpirla più forte, colpirla più volte”, come canti in Lo sguardo stupendo? Io credo proprio di sì: è una bellissima frase di un brano dedicato a mia madre. Per me la figura materna ha un contorno particolare: da piccolissima ho vissuto esperienze pesanti come possono essere l’abbandono e l’adozione, esperienze che indubbiamente ti segnano per sempre e che mi hanno fatta diventare quella che sono oggi. Sì, io della vita non ho paura, anzi, voglio continuare a sorriderle con entusiasmo.
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di “ribellione”? Per me la ribellione va intesa prima di tutto nel suo significato sano, non sono certo per la violenza. La ribellione è una forza di giustizia, un elemento che ripristina la giusta realtà: nella mia vita, ho fatto della ribellione un punto di forza, sia in famiglia che all’esterno.