Max Pezzali porta gli 883 a San Siro: nessun rimpianto, solo festa e karaoke


Dici Max Pezzali e pensi 883. Dici 883 e pensi agli anni ‘90.
Perché che Max Pezzali – e quindi gli 883 – abbia marchiato musicalmente gli anni ’90 italiani è fuori di dubbio. Basti pensare che è uno di quei casi in cui non è necessario essere “fan” per conoscere gran parte della sua discografia: le sue canzoni sono parte del patrimonio collettivo, sono orgogliosamente e intenzionalmente nazionalpopolari, nate per appartenere a tutti, dal più burbero dei metallari al più ribelle dei “rappofili”, passando per i puristi dell’indie (che negli anni ’90 non sapevamo neanche cosa fosse). In quelle storie di serate in discoteca, goffi approcci amorosi, sogni che scavalcano l’oceano ci siamo trovati tutti almeno una volta.

Il successo di Max Pezzali – e quindi degli 883 – è bello perché è pulito, onesto, è un successo che ha giocato sempre e soltanto con la musica e mai con le chiacchiere, gli scandaletti o le manie da star. Pezzali è riuscito a diventare l’icona di un’epoca senza mai trasformarsi in un personaggio e nessuno si arrabbierà se confesso bonariamente che l’ho sempre trovato il cantante con la peggior presenza scenica della storia. Sul palco sembrava sempre esserci finito per sbaglio, mentre cantava alzava le braccia e sembrava voler dire “e io che ne so?”. È sempre stata la musica a parlare per lui.

Le due serate-evento di “San Siro canta Max” – inizialmente programmate per il 2020, poi rimandate al 2021 e infine al 2022 – sono arrivate come il giusto riconoscimento di 30 anni di una carriera fortunatissima. E se per qualcuno dovevano avere solo il sapore dell’amarcord, nei fatti sono state un’esondazione di festa. Raramente in un concerto ho respirato lo stesso clima di entusiasmo, con 60.000 persone felici di essere lì e pronte far andare le gambe e la voce per due ore e mezza praticamente ininterrotte.
La partenza, alle 21.00 puntualissime, è di quelle che lasciano il segno, con La lunga estate caldissima, Sei un mito e Gli anni servite subito una dopo l’altra. E si fa presto a capire il perché del titolo dato allo show, “San Siro canta Max”: si sarebbe potuto chiamare anche “San Siro urla Max”, e avrebbe ugualmente rispettato le aspettative. Lo spirito dell’evento non è solo sul palco, ma è soprattutto in quello che succede nel prato e sulle tribune, un boato pieno, che non si fa attendere e non si risparmia. Il Meazza come un gigantesco karaoke in cui non servono i microfoni.
Uno dopo l’altro arrivano poi gli altri successi, in scaletta ci sono tutti. Per Hanno ucciso l’uomo ragno un’ovazione accoglie Mauro Repetto, l’altra metà degli 883, che a un certo punto della storia si era fatto da parte un po’ inspiegabilmente: è la reunion che in tanti aspettavano e che non poteva trovare occasione migliore, proprio negli stessi giorni in cui è stato annunciato il divorzio artistico di Pezzali dai due storici produttori, Claudio Cecchetto e Pier Paolo Peroni. E che quella di Repetto non si sia solo una comparsata sembra fin troppo evidente, è lo stesso Max a parlare di “nuove idee” su cui lavorare. D’altra parte, la scritta sui maxischermi parla chiaro, MAX 3.0 si legge a caratteri cubitali in vari momenti della serata.
Altro giro, altra reunion. Questa volta tocca a Paola e Chiara, che proprio con gli 883 hanno iniziato la carriera in veste di coriste nell’album “Nord Sud Ovest Est”: “Non voglio prendermi il merito di aver portato loro fortuna, ma di certo non gli ho portato sfiga!” scherza Max prima di annunciare le sorelle Iezzi sul palco dopo quasi 10 anni dalla fine del progetto in coppia. E anche qui la testa di molti inizia a fantasticare di un loro ritorno, forse per il prossimo Sanremo, chissà.

La scaletta scivola via veloce, l’adrenalina invece resta altissima. Difficile dare un nome all’emozione che si prova: la nostalgia dei ricordi è in perfetto equilibrio con l’euforia del momento.
Pezzali non si perde in troppe parole e sembra sinceramente stupito di quello che sta vivendo. Il finale è affidato alla tripletta d’oro di Con un deca, Il grande incubo e La dura legge del gol, prima di lasciare spazio ai (veri) bis di Come mai e Gli anni, questa volta in versione acustica e con tutti i protagonisti insieme sul palco. A chiudere tutto è Grazie mille, fin troppo facile.

Alle 23.30 esatte le luci di San Siro si spengono, ma la storia di Max Pezzali/883 è destinata a continuare.

Tanto per cominciare, per novembre sono fissati due live nei palazzetti a Milano e Roma, poi altri appuntamenti da marzo 2023. In mezzo c’è un intervallo che sembra fatto apposta per far rotta verso l’Ariston di Sanremo. Vedremo…
In ogni caso, di anni da scrivere ce ne saranno altri, possiamo scommetterci.

Foto di Luca Marenda.
Qui la gallery completa.

E Ligabue è sempre lui. Cronaca e immagini da San Siro


San Siro è vuoto o San Siro è pieno?

Parafrasando il titolo di uno dei suoi vecchi brani, questa era forse la domanda che in molti si sono fatti ieri prima di arrivare allo stadio Meazza per la tappa milanese dello Start tour di Ligabue: dopotutto, nei giorni scorsi le voci di stadi “mezzi vuoti” – e sto citando – si sono rincorse a rimbalzo sul web con tanto di testimonianze fotografiche degli stadi di Bari a Firenze, tanto che il diretto interessato si è sentito in dovere di ammettere che sì, i numeri non sono esattamente quelli delle previsioni. Fatto sta che, per rispondere alla domanda iniziale, San Siro era pieno, decisamente pieno, dal prato alle tribune. Forse non proprio fino all’ultimo seggiolino, ma pieno, col oltre 56 mila presenti.
Su quelle che sono poi le ragioni del mancato obiettivo di questo tour – e si parla solo in termini di pubblico – io non lo so onestamente dire e ognuno dice la sua: “Ligabue è un artista che rischia e si rinnova”, “No, Ligabue è sempre uguale a se stesso”, e come sempre tutto è vero e tutto è discutibile. Sicuramente, chi di dovere farà le sue dovute riflessioni e calibrerà le mosse future.
Veniamo però al dunque. Il live a Milano coincideva per Luciano con una ricorrenza importante, visto che esattamente 22 anni fa, cioè il 28 giugno 1997, Ligabue metteva piede per la prima volta sul palco di San Siro: “Di quella sera non ricordo molto, ero troppo giovane e avevo troppe cose in testa, ma mi hanno detto che San Siro è stato ribaltato. Stasera tocca a voi fare il bis”, ha detto Luciano al suo pubblico, in uno dei pochi interventi con cui spezza la successione delle canzoni. E il suo pubblico ha risposto in boato, come ha fatto per l’intera serata.
L’impianto dello Start Tour è di quelli imponenti, da numeri uno insomma, con megaschermi da svariati metri quadri di ampiezza e due passerelle e un livello di decibel che non ha scherza, ma anche se Luciano non ha mai avuto l’atteggiamento borioso della star, lì sopra sembra trovarsi a proprio agio: compare in scena con il passo calmo che lo contraddistingue e attacca subito Polvere di stelle. Da lì procede filato con una scaletta che in quasi una trentina di brani condensa una carriera che l’anno prossimo taglierà il traguardo del trentesimo anniversario: i pezzi forti ci sono tutti, da Si viene e si va a Balliamo sul mondo, Bambolina e barracuda, ovviamente Certe notti, Tra palco e realtà, Urlando contro il cieloNon è tempo per noi diventa anche l’occasione per lanciare dagli schermi un messaggio sui rischi dei danni che l’uomo sta provocando al pianeta. Due i medley: il primo raggruppa pezzi acustici con chitarra e voce e comprende anche la doverosa Una vita da mediano, il secondo pezzi da “club rock”, decisamente più pestati. Buona la quota di pezzi dell’ultimo album, tra cui spiccano la già citata Polvere di stelle, la “antemica” Ancora noiLuci d’America, nata già per essere intonata a gran voce dalla folla dello stadio, Mai dire mai e Certe donne brillano.

Parafrasando un’altra canzone, si può dire che sul palco Ligabue “fa il suo dovere”, e lo fa bene: da (quasi) trent’anni a questa parte, chi lo conosce sa che il Liga è uno di quelli che non usano effetti speciali da spettacolone pop, non introduce cambi d’abito, non spettacolarizza lo show oltre il necessario. Anche su un palco dalle dimensioni mastodontiche illuminato a giorno, il centro della scena resta lui con la sua band e le sue canzoni. D’altronde il rock&roll questo chiede, nulla di più, e così è stato anche stavolta. Una formula essenziale e collaudata, che sembra funzionare ancora, nonostante la prima volta sia stata più di 20 anni fa.
Sono passati anni, sono passati dischi, sono passati tanti concerti in ogni tipo di location immaginabile, dai club agli aeroporti, ma Ligabue è sempre lui. Sempre lì, “sulla sua strada”.
E penso che basti.

La gallery della serata è visibile a questo link.
Foto di Luca Marenda.