BITS-CHAT: Ci piace (ancora tanto) Chopin. Quattro chiacchiere con… Gazebo

GAZEBO Homestory in Rom (I)

Diciamoci la verità, gli anni ’80 non se ne sono mai del tutto andati.
Nella musica come nella moda, non si contano i riferimenti più o meno latenti ancora oggi legati a un decennio che ha sconvolto le regole esistenti imponendone di nuove. Erano anni di sperimentazioni, ma soprattutto di elettronica; gli anni della italo disco, quel glorioso fenomeno musicale che ha scosso le classifiche europee, e anche oltre, partendo direttamente dall’Italia: Easy Lady, Self Control, Tarzan Boy...
Tra i protagonisti, anche Paul Mazzolini, conosciuto dal pubblico come Gazebo: nato a Beirut da padre friulano e madre statunitense, negli anni ’80 ha lasciato il segno con singoli come Masterpiece e I Like Chopin, per proseguire poi la carriera durante i decenni successivi.
Oggi rende Gazebo rende omaggio alla italo disco con Italo By numbers, una raccolta di successi, suoi e dei colleghi, tutti rigorosamente italiani. Tranne uno.
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Italo By Numbers
. Perché?

Italo è un diretto riferimento alla italo disco, quel genere che negli anni ’80 ha avuto un successo enorme, facendo vendere a noi che ne facevamo parte qualche milione di copie. I numbers sono invece da una parte i numeri delle classifiche che hanno segnato il successo di queste canzoni, e dall’altra sono i numeri che compongono i disegni delle Settimana Enigmistica. In America li chiamano “drawings by numbers”, ed è per questo che ho voluto riportarli anche sulla copertina del disco: unendo i numeri si scopre Trinità dei monti, che simboleggia un po’ tutta l’Italia. Anche la Lambretta è un rimando a quegli anni.

A proposito di copertina, è molto interessante anche quella sul retro, e che fa da cover all’edizione in vinile.
Abbiamo voluto giocare sullo stile di Arcimboldo, ricostruendo il mio volto non con la frutta e la verdura, ma con i pezzi della strumentazione dell’epoca. Rappresenta un po’ l’altra faccia della italo disco, cioè l’elettronica. A differenza della disco music, che ha caratterizzato gli anni ’70, la italo disco è infatti figlia della new wave ed era tutta basata sull’elettronica e i sintetizzatori. Masterpiece, il mio primo singolo, era di fatto un brano new wave. L’approccio era piuttosto semplicistico, con la batteria programmata dalla drum machine: si creava musica adatta per ballare. In un certo senso, la italo disco è stata un’antesignana della house, intesa come musica creata in piccoli studi e con pochi mezzi a disposizione.

Da quella montagna di eredità, come sei arrivato alla selezione dei brani?
Penso di aver toccato solo la punta dell’iceberg: ho scelto i primi che mi sono venuti in mente, quelli a cui ero più legato per vari motivi. Self Control di Raf è un brano poderoso, mentre Survivor l’ho scelta per l’affetto che mi legava a Francesco (Puccioni, nome anagrafico di Mike Francis, ndr), che purtroppo ci ha lasciati alcuni anni fa. Ho guardato soprattutto alla scena romana dell’epoca perché noi a Roma eravamo pochi, e con meno mezzi di Milano, ma forse compensavamo con più poesia e maggiore qualità. L’intento non è stato comunque quello di stravolgere quei brani, ma far conoscere un mondo diverso ai ragazzi di oggi, che riescono ad apprezzarlo perché ci ritrovano i suoni che ascoltano in discoteca. La differenza è che all’epoca c’erano le strofe, le strumentali, pezzi suonati davvero.

Quindi l’elettronica si incontrava con la tecnica.
Per fare musica dovevi saper suonare. Venivamo dagli anni ’70, che avevano visto la grande esplosione del progressive, le influenze della musica classica. Avevamo un background pazzesco. L’elettronica era un colore in più, ma alla base c’erano musiche “suonate”. Oggi si può fare musica sul tram, utilizzando semplicemente un tablet, ma senza sapere cosa si sta facendo. I DJ non conoscono le tecniche per fare musica, e ne ho avuto le prove conoscendo quelli che sono venuti in studio da me. Tutto si basa sulla cassa in 4 tempi, con il solo scopo di far ballare: negli anni ’80 invece si ballava, ma soprattutto si cantava, e dopo un brano di italo disco potevi sentire un pezzo black o l’elettronica dei Kratwerk o un pezzo rock, oppure anche un pezzo di puro pop come Sarà perché ti amo.
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Nonostante il grande successo, all’epoca la italo disco è stata considerata un genere di serie b. Perché secondo te?
In molti casi si pensava di più alle vendite che a produrre musica di qualità; inoltre, i cantanti cambiavano spesso, qualche volta erano dei veri e propri turnisti, oppure si usavano dei modelli per i video e le esibizioni in playback. Insomma, la percezione era quella di un genere minore, snobbato dall’intellighenzia della discografia che preferiva la musica impegnata dei cantautori, anche se spesso si trattava di cloni degli stranieri. Eppure con la italo disco l’Italia per la prima volta ha esportato qualcosa all’estero, con ottimi risultato tra l’altro: un fatto che non si è mai più verificato. I Pet Shop Boys venivano in Italia per ispirarsi alla nostra musica, e lo hanno dichiarato loro, la stessa cosa per i Modern Talking, un gruppo tedesco nato proprio grazie a I Like Chopin.

Gli anni ’80 fanno pensare anche a un grande coraggio di osare e sperimentare, nella musica ma anche nell’immagine. Un’audacia che forse oggi è stata confinata all’underground.
La verità è che siamo andati incontro a un’uniformazione, in discoteca così come in radio, e questo ha portato al terrore di sperimentare, perché se fallisci perdi soldi. Oggi governa la triade talent-radio-major discografiche e un talento, prima che musicale, deve essere televisivo: ti selezionano, ti spremono, ti fanno fare un singolo, se ti va bene fai l’album, altrimenti arrivederci e grazie. Il tutto con conseguenze psicologiche devastanti. In un meccanismo così, gente come Battisti, Dalla o Battiato non avrebbe avuto alcuna possibilità di emergere.

Secondo te l’Italia può avere ancora la possibilità di tornare a dettare moda in campo musicale, come è stato negli anni ’80?
Gli anni ’80 sono stati un periodo molto particolare: l’Italia usciva dagli anni di piombo, dalla contestazione, dalla crisi petrolifera; l’entusiasmo era a mille. Poi è successo alla Spagna, con la fine del Franchismo, e così per tutti i Paesi, portando come conseguenza la nascita di fenomeni singoli. Oggi invece è più difficile trovare movimenti di questo tipo, tutto si muove più compatto e su scala globale, dalla musica alla moda, e una buona parte di responsabilità ce l’hanno in questo i social.

GAZEBO Homestory in Rom (I)
Nel disco c’è anche un inedito, La Divina. Ma è un vero esemplare di italo disco rimasto nascosto fino a oggi o è nato negli ultimi anni?
Per usare un termine tanto in voga oggi, direi che è un fake degli anni ’80! Tutto è nato da Untouchable, un brano che mi è stato mandato da un musicista greco mio fan, e che avevamo pensato di affidare a un artista fittizio chiamato George Valentino, da Giorgio Armani e Valentino, operazione frequente negli anni ’80. Poi una sera ho visto uno speciale dedicato a Maria Callas e mi è venuto in mente il mio maestro di canto di quando ero ragazzo, Alberto, un cantante lirico che nutriva per la Callas un’autentica venerazione. Passava più tempo a parlarmi di lei che a insegnarmi a cantare! Era omosessuale, e per questo diceva sempre di essere stato messo da parte. A metà degli ’90 l’ho incontrato di nuovo, camminando un giorno per Roma. Viveva da clochard in una roulotte fatiscente. Passava le giornate ascoltando le registrazioni della Callas da una vecchia radiolina e nella roulotte aveva una sua gigantografica che guardava come se lei fosse davvero lì presente. Il giorno dopo sono tornato, volevo aiutarlo, ma di lui e della roulotte non c’era più traccia. Da questo ricordo ho scritto di getto il testo della canzone, scegliendo per la prima volta di cantare in italiano. Ne faremo anche un video ispirato proprio ad Alberto.

Pensando all’immensa eredità degli anni ’80, c’è qualcosa di cui avremmo potuto fare a meno?
Oltre alle spalline e ai capelli cotonati? (ride, ndr) Non me la sento di fare esempi, ogni decennio ha le sue caratteristiche: forse tra dieci anni guarderemo con orrore i tatuaggi dei millenials.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
La ribellione è l’essenza stessa dell’identità: ribellandosi, una persona impone la sua personalità. Se nessuno si ribellasse, saremmo tutti degli ectoplasmi. Da darwinista convinto, penso che l’evoluzione stessa della vita sia il risultato di un atto di ribellione avvenuto nel corso dei millenni. Senza ribellione, tutto sarebbe rimasto fermo, stagnante.

Video realizzato sul set del videoclip di La Divina: