Ligabue è ripartito dalle origini: live speciale all’Italghisa di Reggio Emilia


Nella carriera di ogni artista ci sono quei due o tre luoghi che per un motivo o per l’altro assumono un ruolo simbolico, a volte addirittura centrale, tanto da diventare altrettanto simbolici anche per i fan.
Per la quasi trentennale carriera di Ligabue questi “luoghi dell’anima”, artisticamente parlando, sono almeno due e, ironia della sorte, sono geograficamente vicinissimi. Uno è Campovolo, la pista dell’aeroporto di Reggio Emilia dove si sono tenuti i tre mastodontici live che proprio da quel luogo hanno preso il nome. Il secondo, a qualche centinaio di metri di distanza, è l’Italghisa, il locale dove “il liga” ha tenuto i suoi primi concerti. Proprio tra quelle pareti, nel lontano 1992, il bar Mario – fan club ufficiale di Ligabue – ha visto il suo primo raduno.

E visto che la storia è fatta di corsi e ricorsi, proprio all’interno dell’Italghisa Luciano ha scelto di presentare per la prima volta dal vivo il suo ultimo album, dal titolo quantomeno emblematico, Start. Un nuovo inizio, ma soprattutto un modo per dire che lui è sempre rimasto lì, a raccontare la vita che scorre tra il grande fiume e i campi che in estate si invadono di zanzare. E i nuovi brani non tradiscono le aspettative.
Il concerto si è svolto nella serata di domenica 17 marzo davanti una selezione di fortunati fan vincitori di un contest e ai rappresentanti della stampa e del web.
Un’ora e un quarto di live, 75 minuti durante i quali è stato suonato l’intero album e cinque classici pescati dal vasto repertorio del rocker di Correggio: Questa è la mia vita, Quella che non sei, Una vita da mediano, Balliamo sul mondo e Tra palco e realtà.

Un live intimo solo nelle dimensioni, che ma che nulla ha risparmiato all’energia sanguigna a cui Ligabue ha abituato il suo pubblico di fedelissimi, alcuni presenti proprio fin dal 1992. L’adrenalina nell’aria era quella delle grandi occasioni, così come la carica sul palco e tra il pubblico accalcato in platea.
Una prova di riscaldamento prima del tour negli stadi che attende Luciano in estate.
A poco più di una settimana dall’uscita dell’album quasi tutto il pubblico sapeva già tutti i testi a memoria: “Vedo che alcuni di voi non conoscono ancora le parole”, ha scherzato Luciano, “non dovete vergognarvi, ma sappiate che io vi controllo”.
Ligabue è tornato.

Foto: Jarno Iotti

BITS-RECE: Ligabue, Made In Italy. C'era una volta Riko…

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
luciano-ligabue_made-in-italy_cover_b-1
Si fa presto a dire Ligabue. Dopo più di 25 anni di canzoni, uno pensa di conoscerlo, almeno per un po’, per il suo modo di usare la voce, la scrittura, la stesura degli accordi. E lui invece ti spiazza pubblicando un disco al di fuori degli schemi, quantomeno i suoi, e lo intitola semplicemente Made In Italy. Roba che prima di ascoltarlo, uno si immaginava un album che raccontava l’Italia nelle sue vette e i suoi abissi, ma pur sempre nello stile “del Liga”. Invece…
Invece Ligabue è arrabbiato, forse come non lo era mai stato prima, neanche con Mondovisione, dove pure una certa rabbia veniva fuori. La sua è però una rabbia mista alla delusione per un paese “che fa finta di cambiare e intanto resta a guardare”, come canta in La vita facile, il pezzo che apre il disco. E poi c’è comunque l’amore per questa terra.

Una foschia di sensazioni che Luciano ha riversato in quello che, per sua stessa dichiarazione, si può considerare un concept album, il primo della sua carriera.
Il collante è proprio quello del racconto delle piccolezze e dei drammi italiani, non però dal punto di vista del cantautore Ligabue, ma di Riko, una sorta di suo alter ego, un uomo pressato dalla vita, quello che lui sarebbe diventato se la sua sorte non gli avesse riservato la vita che ha avuto. Quello arrabbiato che racconta è quindi idealmente questo Riko, è lui a prendersela con la superficialità dilagante, i politici che promettono “più figa e meno tasse”, ed è ancora lui quello che al venerdì intima agli altri di non rompergli i coglioni.
luciano-ligabue-credito-fotografico-obbligatorio-di-toni-thorimbert-3
E proprio in questo gioco di specchi viene il bello. Perché in Made In Italy, del Ligabue che eravamo abituati a sentire c’è poco. Non proprio nulla, ma molto, molto meno rispetto al solito. Già G come giungla avrebbe dovuto darci qualche sentore, perché un pezzo con quei suoni il Liga non lo aveva mai fatto.

Ci sono un po’ di suoni muscolari, potenti, molto belli tra l’altro, che avevano riempito la scena con Mondovisione, e ci sono alcuni pezzi classici “alla Ligabue”, come appunto La vita facile, Vittime e carnefici e anche il pezzo che dà il titolo all’album, ma in mezzo ci sono riferimenti molteplici, come The Who e il loro Quadrophenia. Ma non ci sono pezzi d’amore e mancano le rapide pennellate di parole con cui Ligabue era solito descrivere scene di realtà.
luciano-ligabue-credito-fotografico-obbligatorio-di-toni-thorimbert-2
La storia di Riko passa attraverso un matrimonio comatoso, un linguaggio duro come mai prima, la frustrazione per la politica e il mondo del lavoro sempre più precario, e poi una brutta avventura con un poliziotto che gli procura qualche punto in testa e qualche minuto di celebrità mediatica, fino al lieto fine di Un’altra realtà, questo sì in perfetto stile Ligabue: “non ho dormito / ma ho visto l’alba / ecco che spunta / un’altra realtà”.
Non so dire se tutta questa impalcatura del concept e di Riko mi ha davvero convinto, forse lo spaesamento è troppo grande e forse Made In Italy non è il lavoro di presa più immediata di Luciano Ligabue, ma suona piuttosto come un disco di passaggio.
Certo è che quando Ligabue “fa Ligabue” la stoffa del fuoriclasse torna fuori.