Magellano: non solo scimmie nel viaggio del "mascalzone" Gabbani

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Magellano
è il disco dell’anno dell’uomo dell’anno.

Lo è almeno da febbraio, da quando, cioè, Francesco Gabbani ha sconvolto (davvero inaspettatamente??) ogni pronostico degli “esperti”, che sulla sola fiducia del nome davano per vincitrice sanremese la Mannoia. Se posso dirla tutta, fin dal primo ascolto mi sembrava abbastanza ovvio che Occidentali’s Karma fosse destinata come minimo al podio, ma forse tra i corridoi della BMG non erano altrettanto ottimisti, visto che all’epoca del Festival l’album non era ancora pronto ed esce solo adesso, a ridosso di maggio, a una manciata di giorni dall’Eurovision Song Contest, dove – guarda caso – Gabbani è dato come super-strafavorito. Ma visto che notoriamente chi entra papa poi esce cardinale, lascio da parte tutte le chiacchiere future e vado a concentrarmi su di lui, Magellano, l’ultima creatura gabbanesca.
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Diciamolo, Gabbani è un vero mascalzone, di quelli buoni e simpatici, uno che – almeno in apparenza – sa prendere la musica per quello che è, un gran divertimento, qualcosa che deve far piacere sia a chi la ascolta sia a chi la fa. Il che non significa fare le cose con leggerezza e qualunquismo, ma farle sapendo che non si sta salvando il mondo e darsi arie intellettualoidi e seriose non serve poi a granché. È forse per questo che il suo nome è stato più volte associato a quello di Celentano, un campionissimo della musica italiana che da mezzo secolo sembra non aver smesso un minuto di guardare la musica con aria sorniona e un mezzo sorriso costantemente stampato in faccia.
Avrebbe potuto giocarsela facile Gabbani con questo album: con il singolo sanremese ancora altissimo in classifica e tutta l’attenzione di pubblico e stampa puntata addosso, il mascalzone di Ferrara avrebbe potuto buttar lì una manciata di pezzi facili facili, di quelli elettropop che tanto piacciono adesso alle radio, con un paio di bombe da sganciare tra primavera ed estate per far colpo un’altra volta, e tutto sarebbe probabilmente filato liscio.
E invece no. Perché l’impressione è che a Gabbani fare musica piaccia terribilmente, con immenso divertimento, e che quindi abbia voluto dare tagli e forme ben precise al suo nuovo album.
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Il titolo, Magellano, è ovviamente un omaggio al grande esploratore, e vuole essere un richiamo al viaggio, inteso in ogni sua forma, fisica e interiore. Dentro al disco, nove tracce (8 inediti e la cover di Susanna, Susanna di Celentano) che hanno come comune denominatore un certo brio, una vitalità costante che passa attraverso tutti gli umori dei brani, dal divertimento di Tra le granite e le granate all’ironia (tanta, tantissima) di Pachidermi e pappagalli al disincanto di A Moment Of Silence, fino alle riflessioni solitarie di Stelle al gelo e Spogliarmi.
Magellano non è musicalmente il disco che molti si aspettavano, è qualcosa di molto più ampio, qualcosa che va oltre Occidentali’s Karma, pur essendo l’habitat perfetto per Occidentali’s Karma. Perché Gabbani è anche quello “della scimmia”, ma non è solo quello. È un cantautore con una propria visione delle cose e con la capacità di passare da un livello emozionale all’altro, e insieme a lui lo sono i suoi fidi compagni di musica, Fabio Ilacqua, Filippo Gabbani e Luca Chiaravalli.
E Magellano è album intelligente e pop, di un artista abbastanza cresciuto e lucido da non farsi travolgere dal vuoto cicaleccio dello showbiz e che sembra non cercare a tutti i costi plausi e lusinghe, ma si fa la sua strada sorridendo sotto i baffetti.

Tanto lui lo sa, pianta rei. E ha ragione, oh, come ha ragione!