“Il depresso” e l’ironia di Alda Merini. Quattro chiacchiere con Giovanni Nuti, Andrea Mirò e Dario Gay

“Il depresso è come un vigile urbano / Sempre fermo sulla sua catastrofe”.

Così recitano due versi centrali de Il depresso, una poesia in cui Alda Merini tratteggia con disarmante sincerità e trasparenza, e con altrettanta ironia, il ritratto del depresso per professione, cioè colui che, lontano dal voler uscire dalla propria condizione di sofferenza, vi resta immerso trascinando con sé anche chi gli è accanto.
Versi che, per ironia del destino, sembrano suonare oggi più chiari che mai a tutti noi, costretti a una reclusione forzata per la diffusione del Coronavirus, con il rischio di cadere in un pessimismo senza uscita.

Come molte altre liriche di Alda Merini, anche Il depresso è stato messo in musica da Giovanni Nuti, che ne ha proposto una vivace rilettura sonora in collaborazione con Andrea MiròDario Gay, contenuta nel cofanetto Accarezzami musica il “Canzoniere” di Alda Merini, pubblicato nel 2017. Il brano è stato presentato dal vivo nella serata del 20 ottobre 2017 al Teatro Dal Verme di Milano, e dell’esibizione è ora disponibile il video ufficiale.

 

Abbiamo raccolto le riflessioni dei tre artisti, cogliendo l’occasione anche per alcune personali riflessioni sul momento che stiamo vivendo.


Quattro chiacchiere con… Giovanni Nuti

 

Uno degli elementi che colpiscono del brano è l’atmosfera ironica, quasi giocosa arriva subito all’ascoltatore.
Fa parte del lavoro che ho sempre fatto con le poesie di Alda Merini. Alda aveva un forte senso dell’ironia, e in questo caso ho pensato che l’atmosfera più adatta fosse quella di un canto popolare, una musica che rimandasse all’atmosfera delle feste di paese.

Un tono che è all’opposto di una tematica tanto seria e impegnativa come quella della depressione, che Alda riesce a descrivere con una trasparenza e una sincerità quasi disarmanti.
Alda Merini aveva un grandissimo rispetto della depressione, quella vera, che aveva conosciuto anche personalmente. Non aveva invece certo una buona impressione dei “depressi di professione”. Il depresso di cui parla è una vittima che diventa carnefice, manipola gli altri, è una larva che succhia le energie delle persone che ha attorno, soprattutto è un individuo che “resta fermo sulla sua catastrofe”, come recita un verso della poesia. Se si resta fermi sulle proprie catastrofi non se ne esce, ma anzi le catastrofi si rafforzano. Il tono scherzoso di Alda serve proprio a togliere tragicità alla situazione: più ci si sofferma sulla drammaticità del momento più la tragedia persiste e non ce ne si allontana.

Sembrerebbe quasi un monito per il difficile periodo che stiamo tutti vivendo.
Non a caso ho scelto di far uscire proprio ora il video dell’esibizione. Un libro, una poesia, una canzone sono fondamentali, danno la possibilità di soffermarsi e riflettere, e sono l’occasione di guardare oltre alla difficoltà del periodo. Questo momento è l’occasione per un cambiamento interiore di tutti, abbiamo la possibilità di capire che siamo oltre la nostra natura materiale: siamo luce, siamo energia, siamo il nostro pensiero. Siamo obbligati ad avere un rapporto con noi stessi, e dobbiamo scendere in profondità in noi per non restare fermi sulle disgrazie quotidiane che i mezzi di informazioni ci presentano tutti i giorni. In un momento come questo non dobbiamo vergognarci di provare gioia: è proprio grazie alla gioia che le nostre vibrazioni si elevano e noi possiamo diventare energia per aiutare gli altri. Abbiamo tutti paura, siamo coperti da una cappa di negatività, e c’è bisogno del contrario, di emozioni che ci portano oltre. L’arte e la bellezza sono cibo spirituale. Dobbiamo diventare consapevoli della nostra spiritualità e della nostra umanità: tutto è spirito, tutto è energia, tutto è dotato di vibrazioni, lo aveva scoperto anche Einstein.

Dalle tue parole traspare una grande fiducia su quello che potrà accadere quando l’emergenza sarà finita.
Per forza, gli artisti sono i nipoti di Dio, come potrei non avere fiducia in quello che succederà?

Cosa pensi che ci possa insegnare questa esperienza?
Apprezzare le cose che contano, e lasciar andare tutto ciò che è momentaneo. Ci sarà un risveglio spirituale, che ovviamente non sarà per tutti, ma per chi lo vorrà accogliere. Stiamo imparando a riscoprirci, stiamo conoscendo il nostro prossimo, a partire dal nostro vicino; stiamo riscoprendo la gentilezza, la bellezza, la non improvvisazione. Eravamo abituati a correre per stare dietro al successo, al nostro ego, perdendo però l’essenziale. Avevamo gli sguardi costantemente rivolti agli schermi dei cellulari, invece abbiamo dovuto iniziare ad alzarli per guardarci in faccia. È un risveglio collettivo che penso possa fare bene anche ai preti, che dovranno tornare a essere amorevoli con tutti e dovranno riscoprire il significato dell’accoglienza. Il nostro fratello è un riflesso di noi stessi.

Pensi che la Chiesa sia riuscita a far sentire la propria presenza?
Papa Francesco è straordinario, è arrivato a dire che i medici e gli operatori sanitari sono i santi della porta accanto. Purtroppo, il papa non è la chiesa, e l’ambizione a volte prende il sopravvento anche tra gli operatori ecclesiastici.

L’arte la cultura come potranno riprendersi da questo momento?
È difficile poterlo dire, perché l’arte e la cultura presuppongono l’aggregazione. Un concerto, una mostra, una manifestazione presuppongono che le persone si raccolgano in un unico luogo, e sarà difficile riportare le persone in un luogo chiuso fino a quando a non si sarà trovato un vaccino e fino a quando non si sarà sicuri che il virus sarà debellato. Forse spetterà agli artisti trovare un modo per non fermarsi e portare la propria arte alla gente. Il nostro futuro è fatto di emozioni, perché sono le emozioni a creare le realtà. Ecco perché è fondamentale creare emozioni di pace, di calma, di tranquillità. Dobbiamo imparare a fare come lo sciamano, che combatte le sciagure e le difficoltà con una danza. Dopo tutto, anche Il depresso finisce con un risata.

 

Quattro chiacchiere con… Andrea Mirò

 

Come hai accolto l’occasione della collaborazione per Il depresso?
Non era la prima volta che lavoravo con Giovanni Nuti ed è stato come ritrovarmi un gruppo di amici. Giovanni è molto bravo a intercettare la musicalità della Merini dandole una bellissima veste sonora, in cui non è stato difficile infilarsi quando abbiamo realizzato Il depresso. La serata al teatro Dal Verme è stata bellissima, Monica Guerritore è anche salita sul palco con noi sul finale del brano presa dall’entusiasmo. Alda Merini poi è stata una donna e una poetessa di uno spessore esagerato: ti affetta il cuore con una sincerità priva di abiti. Ha vissuto in tempi ben più difficili di quelli di oggi, soprattutto per chi era donna e scriveva poesie. Mi piace moltissimo anche la sua vena ironica, sa essere spiazzante e sa usare la leggerezza. Purtroppo, forse ancora oggi non è letta, conosciuta, celebrata e glorificata come si dovrebbe.

Hai parlato di leggerezza: secondo te si acquisisce e si affina o è una dote naturale?
Fa sicuramente parte del nostro carattere e del nostro background: chi è sempre stato affossato dagli eventi e ha sempre vissuto nel fango farà fatica ad alzare la testa per guardare le stelle, ma vale la pena provarci e lavorarci. Vale anche per l’essenzialità, una dote pura, un lavoro di cesello, come quello compiuto da Michelangelo su un pezzo di marmo. Togliere, per arrivare al nocciolo: un lavoro pesantissimo, che solo i grandi artisti riescono a raggiungere.

Un lavoro difficile anche perché è fondamentale sapere fin da subito a cosa si vuole arrivare.
Esattamente. Per questo dico che l’essenzialità, così come la leggerezza, è qualcosa che fa parte di noi, ma che in parte va anche acquisito. È un lavoro di crescita.

Parlando invece di sincerità, un artista ha sempre il dovere di essere sincero?
Dipende da quello che si intende. Sicuramente un artista deve prendersi la responsabilità di tutto quello che sceglie di dire e di fare. Mi riferisco alla messa in scena di una storia, cioè al modo in cui un racconto viene riproposto al pubblico attraverso la musica, il teatro o la scrittura. Il pubblico ne coglierà poi una lettura personale. In questo senso, la sincerità rappresenta il pensiero dell’artista ed è suo dovere metterla nel proprio lavoro, sia quando racconta di sé, sia quando sceglie di toccare tematiche più universali o più distanti, che magari non ha vissuto in prima persona ma che è in grado di trattare grazie alla sensibilità e alla cultura che ha acquisito. Oggi siamo circondati da artisti che raccontano storie da cameretta, che mi annoiano. Il grande artista è chi sa partire da una storia semplice per farne qualcosa di più grande, di universale. Penso a Guccini, Vecchioni, Fossati, Ruggeri, ma anche Brassens, Brel, Dylan. Incontro di Guccini non è solo il racconto di un’esperienza personale, ma parla dell’animo umano, di come si cresce e ci si evolve.

Oggi gli artisti sono ancora disposti a mettersi in gioco e a rischiare come facevano in passato?
Probabilmente no, ma la colpa non la additerei solo a loro. È colpa di una grande trasformazione. Fare l’artista e il cantautore è un altro mestiere rispetto al passato. Si guarda soprattutto ai numeri, che c’erano anche prima, ma andavano a braccetto con tutto il resto. Si poteva rischiare e proporre qualcosa di provocatorio continuando a rivolgersi alle grandi platee. E poi un tempo non c’erano i social, c’era fame di contenuto, di musica, di live. C’era il senso dell’attesa, la fruizione di un’opera durava anni, poteva capitare di scoprire l’esistenza di un disco dopo un anno dall’uscita, era normale, non cambiava nulla. Sarà banale dirlo, ma oggi la musica viene venduta come un prodotto da banco.

Da musicista, come vivi questa situazione?
Sento di appartenere all’underground, che non si può più chiamare indie, visto che nemmeno l’indie oggi è davvero indie. Andare controcorrente si può, la platea è molto più ristretta, ma anche molto più esigente. In generale, il livello medio si è purtroppo abbassato, anche perché perdiamo troppo facilmente la memoria e ci dimentichiamo del passato. A 6 anni mio figlio ascoltava i Joy Division, Buscaglione e i Beach Boys, oggi, che ne ha 15, sente il bisogno di appartenere a un gruppo e subisce i bombardamenti che arrivano dall’esterno. Ma in un momento di crescita ci sta. Personalmente non cambierei la mia adolescenza con quella dei ragazzi di oggi, mi sembra che manchi la capacità di cernita. Crediamo di essere tanto liberi, ma siamo più schiavi che mai.

Questo periodo di reclusione può insegnarci qualcosa di buono in questo senso?
Spero che sia per tutti l’occasione di far pensare. Quando si è abituati a correre, è difficile doversi specchiare tutti i giorni. Abbiamo un tempo scandito dal giorno e dalla notte, ma le nostre giornate sono in stand by. Molte persone entreranno in crisi, stiamo vivendo una vera rivoluzione, anche se non è portata avanti con i forconi. Ogni giorno leggo di persone quasi entusiaste di essere recluse per avere finalmente il tempo di fare cose che di solito non riescono a fare, io mi sento invece molto frustrata. Non posso fare quello che vorrei, devo occuparmi delle ingerenze familiari, mi vengono mille idee per nuovi progetti da realizzare, e devo appuntarmele anche di notte. Poi ci sono da organizzare i tempi della spesa, gestire i figli che hanno le videolezioni. Per certi aspetti, è tutto piuttosto fantozziano.

Su quali progetti stavi lavorando prima che tutto si fermasse?
Stavo lavorando ad alcune serate che si sarebbero dovute svolgere a Roma e a Milano per un progetto dedicato a John Lennon e Yoko Ono, intitolato La ballata di John e Yoko, con Ezio Guaitamacchi e Omar Pedrini. Era in programma anche l’inizio del lavoro su Far finta di essere sani, una riproposizione di uno spettacolo di Gaber per il teatro Menotti: saremmo dovuti andare in scena a giugno, invece è tutto cancellato. Lo scenario che si prospetta è terrificante, sembra che se ne riparlerà per il 2021. So che Tiziano Ferro è stato massacrato per quello che ha detto alcune settimane fa da Fabio Fazio quando ha chiesto al Governo di avere risposte anche per il settore della musica, ma non è altro che la verità. Per ogni evento ci sono decine, per non dire centinaia, di persone, che lavorano e che vedono il proprio destino ancora incerto. Ma anche gli artisti stessi hanno famiglia e hanno il diritto di sapere cosa succederà. Invece tutto rimanda alla solita mentalità italiana per cui se alla domanda “che lavoro fai?” rispondi l’artista o il musicista, la replica sarà “sì, ok, ma di lavoro cosa fai?”.

Concludo con una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di “ribellione”?
La ribellione è l’affermazione di sé, oggi fortissimamente. Essere ciò che siamo fino in fondo, perseguire i propri obiettivi fino in fondo, quali che siano. Coltivare la propria libertà di scegliere e di essere, tenendo quindi conto anche della libertà altrui. Una volta che hai capito questo, il rispetto per gli altri viene naturale.

 

Quattro chiacchiere con… Dario Gay

 

Come hai accolto l’occasione della collaborazione per Il depresso?
Con grande entusiasmo. Il rapporto di conoscenza e di collaborazione con Giovanni Nuti nasce molto tempo fa, avevamo già lavorato insieme. Nel mio album Ognuno ha tanta storia ci sono tre canzoni che abbiamo scritto insieme e nel corso del tempo ci siamo spesso contaminati a vicenda. Abbiamo scritto insieme anche un brano che vorrei pubblicare non appena questa emergenza sarà rientrata, si intitola L’inno della pettegola. Siamo un po’ folli entrambi. Ecco perché quando Giovanni mi ha proposto la collaborazione non ho neanche voluto scegliere il brano, mi sono fidato ciecamente di lui.

Che rapporto hai con la poesia di Alda Merini?
Un rapporto molto forte. In passato ho lavorato anche con Milva, seguendo da vicino la realizzazione dell’album Milva canta Merini, e ho potuto leggere delle poesie di Alda rimaste ancora oggi inedite. Posso dire che la poesia della Merini la sento molto dentro di me.

In Il depresso c’è anche una lettura molto trasparente e tremendamente sincera di un certo tipo di depressione.
E poi c’è l’ironia. Alda aveva la capacità di affrontare temi di grande gravità con estrema ironia, al limite del comico. Anche questo mi avvicina molto a lei e a Giovanni. Basti pensare che al funerale di mio padre mi sono trovato di fronte a una situazione talmente paradossale che mi ha fatto ridere, nonostante l’estremo dolore di quel momento. Credo che faccia parte del mio essere per natura dissacrante (ride, ndr), anche se capisco che gli altri potrebbero non capire e fraintendere.

Pensi che l’ironia come forma di comunicazione riesca ad arrivare al pubblico?
Sì, se è fatta con intelligenza, La poesia di Alda Merini è fruibile da tutti: è semplice e diretta, e anche il gioco che lei fa sulle tragedie può essere accettato anche dagli altri. Cosa ben diversa è invece la stupidità, oggi purtroppo molto diffusa.

Riesci a trovare un modo per guardare oltre a questo momento difficile?
Ho la fortuna di fare musica e pur non avendo uno studio di registrazione in casa sto continuando a scrivere, e mi escono canzoni solari, di speranza. La musica mi ha aiutato in molte situazioni difficili in passato, per esempio quando ho perso persone care. Ho anche partecipato ad alcune iniziative in video, insieme ad altri artisti sto preparando il video di un mio vecchio pezzo, Domani è primavera, in cui è coinvolto anche Giovanni Nuti. Ognuno dovrebbe spendere il proprio tempo in cose che ama fare. Ma questa esperienza può essere anche l’occasione per passare più tempo con i familiari, riscoprire il vicino di casa. Ho la fortuna di avere un bel rapporto con i vicini, mi mandano i piatti che preparano e io passo a loro le ricette in cui mi diletto. Sto anche riscoprendo rapporti umani inaspettati: per esempio, ho un amico in Marocco che da quando ha saputo della situazione che stiamo vivendo in Italia non lascia passare un giorno senza telefonarmi per sapere come sto. Oppure con mia grande sorpresa ho visto comparire una mia foto in un video realizzato da due cari amici, i Cómplices, un duo molto popolare in Spagna. Hanno voluto raccogliere le immagini dei loro affetti più cari e hanno incluso anche me. C’è del bel bello anche in questo periodo ed è l’occasione di riflettere e fare buoni propositi per il futuro.

Se ti guardi indietro, pensi che sia cambiato il tuo modo di scrivere?
Sono un po’ discontinuo purtroppo, ma non credo che lo stile sia cambiato, Ho un approccio diverso, oggi osservo le cose con occhi diversi e colgo umori che un tempo non riuscivo a cogliere. Non ho mai avuto una scrittura immediata, ma sicuramente oggi è più matura. Non scriverò mai di politica, non lo so fare, mentre continuerò a parlare dell’animo umano, di amore, ma anche rabbia, denuncia, sempre accarezzando i sentimenti senza mai esplicitarli troppo. In passato mi sono esposto prima di tutti gli altri sul tema dell’omosessualità. Ho fatto coming out nel 2001, quando ho scritto la sigla dei Gay Pride, Domani è primavera, poi nel 2005 ho scritto Ti sposerò, un brano dedicato a un altro uomo, ed erano i tempi dei Pacs, non si parlava ancora di unioni civili. Per protesta abbiamo anche organizzato un finto Pacs a Roma, al quale ho partecipato come testimonial. Il brano era stato inizialmente proposto a Rai Trade, ma non è stato pubblicato perché era considerato politico, non sociale, ed è stato pubblicato in seguito dalla Edel. Già nel 1991, a Sanremo, avevo suscitato scandalo con Sorelle d’Italia parlando di transessuali e per poco non sono stato denunciato. Oggi fortunatamente si sono fatti passi da gigante e su certe tematiche è caduto il tabù.

Pensi che gli artisti siano sempre disposti a rischiare?
Ci sono occasioni in cui gli artisti si mettono al servizio di cause sociali, come è successo per il concerto-evento previsto a settembre a Reggio Emilia contro la violenza sulle donne, che vede coinvolte sette artiste italiane. Speriamo che in qualche modo l’evento possa avere luogo. Per il resto, mi sembra che oggi ci sia molta voglia di trasgredire, con il risultato però di omologare tutto. Ognuno vuole emergere, e alla fine non emerge nessuno: penso alle polemiche che hanno coinvolto Junior Cally prima di Sanremo, o ai video di Bello Figo. La vera trasgressione era quella di Renato Zero, Ivan Cattaneo o Loredana Bertè, oggi è solo un espediente per far parlare di sé, tutto ha una durata effimera.

Chi ti piace oggi?
Diodato. Mi ha fatto molto piacere la sua vittoria a Sanremo, anche se ho preferito cose che ha fatto in precedenza, come il pezzo per la colonna sonora di La dea Fortuna, Che vita meravigliosa. Mi piacciono anche Calcutta e Tommaso Paradiso, e mi diverte tantissimo MYSS KETA.

A suo modo dissacrante anche lei.
Decisamente. I suoi testi sono scritti benissimo e credo che ci sia un grande pensiero dietro al suo personaggio. Mi piacciono anche le performance di Achille Lauro, anche se musicalmente lo trovo meno interessante. Al di là di tutto, resto un “ruggeriano” convinto. Sono cresciuto con Enrico Ruggeri, ho lavorato e continuo a collaborare molto con lui e ho imparato tanto stando in tour con lui. Tra gli stranieri amo Lady Gaga. È una delle più grandi artiste della sua generazione, una grande musicista, cantante e attrice. Ho capito veramente chi fosse quando ho visto il primo video che ha fatto con Tony Bennett, e l’ho seguita in American Horror Story.

Concludo con una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di “ribellione”?
Sono sempre stato un ribelle, non ho mai subito le regole: le ho accettate solo quando le condividevo. Ribellione è non omologarsi al pensiero comune: anche se sei l’unico a pensarla diversamente dalla massa devi alzarti in piedi e far sentire la tua voce. Negli anni ’90 sono andato a convivere con un ragazzo, una scelta non così facile all’epoca, ma io volevo vivere la vita come l’avevo scelta. La mia è stata una ribellione anche verso la società, perché non ho mai fatto finta di essere il cugino del mio convivente, e devo dire che ho trovato intorno a me persone migliori di quello che potevo immaginare. Ma dipende anche da noi, dobbiamo porci per quello che siamo davvero, senza vergogna.

 

Accarezzami musica – il “Canzoniere” di Alda Merini (Nar International/Sagapò) è un cofanetto con tutta la produzione in musica della poetessa milanese, frutto della esclusiva collaborazione, durata 16 anni, con il musicista e interprete Giovanni Nuti.
L’opera è disponibile in edizione speciale con 6 CD, 1 DVD, 114 canzoni di cui 13 inedite, 21 brani con la voce recitante di Alda Merini, duetti di Giovanni Nuti con 29 artisti ospiti.
Nel cofanetto anche un volume di 96 pagine con tutti i testi, 4 poesie inedite e 2 disegni autografi di Alda Merini, foto della poetessa dell’archivio fotografico di Giuliano Grittini e scritti di Vincenzo Mollica, Massimo Cotto, Sua Eminenza il Card. Gianfranco Ravasi, Lucia Bosè, Roberto Cardia, Giovanni Nuti.
Il progetto è stato realizzato con il sostegno della Fondazione Gianmaria Buccellati.

Il cofanetto è in vendita nelle librerie.

Fabio Rovazzi, un videomaker che (non) voleva fare il cantante


“Scritto, diretto e montato da Fabio Rovazzi”, così si legge alla prima voce dei crediti del nuovo video di Fabio Rovazzi, Senza pensieri.
Se nel 2018 per Faccio quello che voglio il ragazzo si era fatto accompagnare da Emma, Nek e Albano, il nuovo singolo vede la partecipazione dell’amicone J-Ax e di Loredana Bertè, che sta vivendo una ritrovata giovinezza con i tormentoni estivi, dopo il successo con i Boomdabash in Non ti dico no e Tequila e San Miguel, pubblicata quest’anno con la produzione di Katagi e Ketra.
Ma al di là dei brani – sempre scritti con lucida ironia – e dei featuring, sembra ormai evidente che la vera forza dell’ex youtuber stia nelle idee messe al servizio dei suoi video, anche perché, non dimentichiamolo, è proprio dai video che è partito e si è fatto conoscere sul web.

Se con l’esordio di Andiamo a comandare nel 2016 Rovazzi è diventato “quello del trattore in tangenziale” e quello della mossa delle spalle, etichette che probabilmente non si è ancora completamente scrollato di dosso insieme a quella di rapper, forse non è stata immediatamente colta da tutti l’attenzione che l’artista riservava alle clip, di cui si è direttamente occupato fin dall’inizio per la sceneggiatura, il montaggio e la regia.
Che la sua intenzione fosse però quella di uscire dalla semplice definizione di “cantante” e dare prova delle sue capacità anche come videomaker, Rovazzi lo ha dimostrato già con Tutto molto interessante, e ancora di più lo ha fatto con Volare, in featuring con Gianni Morandi, realizzando un minifilm di oltre 6 minuti con la partecipazione di guest star della televisione e del web, e di cui la canzone era il perfetto completamento.
Con Faccio quello che voglio, che di Volare era la continuazione, l’impatto del video è stato così forte da rubare addirittura la scena alla canzone, grazie soprattutto a un geniale storyboard di 9 minuti che ha previsto la partecipazione, tra gli altri, di Carlo Cracco, Massimo Boldi, Eros Ramazzotti, Diletta Leotta, fino alla fulminate comparsa sul finale di Flavio Briatore.

Insomma, Rovazzi videomaker, oltre che cantante. Anzi, forse più videomaker che cantante, visto che lui cantante non ci si sente, come ha tenuto a sottolineare proprio durante la conferenza stampa organizzata – non a caso in un cinema – per il lancio di Faccio quello che voglio. E come sembra voler confermare ora con il minifilm di Senza pensieri, riprendendo la narrazione proprio da dove si era interrotta.


Oltre a J-Ax e Loredana Bertè, il cast del nuovo video comprende Paolo Bonolis, Gigi Marzullo, Enrico Mentana, Maccio Capatonda, Max Biaggi, Karen Kokeshi, Danti e Anima, mentre nell’ultima scena, ad anticipare quello che potrebbe essere lo sviluppo del prossimo capitolo video/musicale, compare Terence Hill.
Girato tra Los Angeles e l’Italia, il video vede Rovazzi, tornato in libertà grazie alla cauzione pagata da Briatore, catapultato in un mondo in cui i pensieri delle persone vengono letteralmente rubati da robot, controllati e archiviati in server, per creare una società di soggetti, per l’appunto, “senza pensieri”, come recita ironicamente anche il testo della canzone: in questo mondo distopico, ma nel quale non è difficile leggere riferimenti a quello reale preda delle fake news, cavie umane vengono inoltre portate nei laboratori e osservate attraverso degli specchi per studiare su di loro modi per controllare e distrarre la gente dai problemi veri.

Una narrazione in cui niente è lasciato la caso, con riferimenti cinematografici come la città/laboratorio sopra le nuvole che richiama Cloud City di Star Wars.

Forse per qualcuno resterà ancora “il rapper del trattore in tangenziale”, ma Rovazzi ha nuovamente dimostrato che la sua ambizione va ben al di là dall’essere l’ennesimo “fenomeno” sputato fuori da un canale Youtube. Un artista con l’occhio vigile sulla realtà e capace di sanare i propri limiti con la flessibile arma dell’ironia, ma soprattutto ben consapevole dei propri punti d forza.

E come si dice in questi casi, “to be continued”…

Boomdabash al castello di Pavia: reggae, dancehall e orgoglio salentino


Un’ora e mezza a suon di contaminazioni reggae, dancehall, hip-hop e pop: è iniziato così, in mezzo all’afa e alle zanzare di Pavia, ma incorniciato dalle eleganti mura del castello visconteo, il Per un milione Summer Tour dei Boomdabash. Un ciclo di concerti che chiude un’annata decisamente fortunata per i quattro salentini, indubbiamente una delle realtà musicali in maggiore ascesa negli ultimi anni in Italia.
Dopo un’apertura con un tributo ai Queen, la band – i cui componenti parlano sempre di Boomdabash rigorosamente al singolare – ha portato sul palco tutta l’energia e la carica di ritmo che ormai da quindici anni la contraddistingue, dai primi successi fino agli ultimi fuochi d’artificio di Per un milione, il brano portato trionfalmente in gara al Festival di Saremo, e l’ultimissimo Mambo salentino, un concentrato di groove che vede anche la presenza della conterranea Alessandra Amoroso. Ma nella scaletta non sono mancati neppure Barracuda, brano che dà il titolo all’ultimo album, Portami con te, Il solito italiano e ovviamente Non ti dico no, anticipato da un urlo della folla filmato da Payà e inviato direttamente a Loredana Bertè.
Un momento particolarmente emozionante è stato quello di Stand By Me, dedicata al personale impegnato nel progetto di clownterapia nel reperto pediatrico dell’ospedale di Brindisi.

Durante la serata, tante le manifestazioni di amore e orgoglio per il Salento da parte della band, e tanti anche i salentini presenti tra il pubblico: “Non mi sono mai sentito offeso quando mi hanno chiamato terrone, perché per un ragazzo non c’è niente di meglio che essere orgoglioso della propria terra”, esclama Biggie Bash, mentre gli fa eco poco dopo Payà “Molti vengono da noi in estate, e poi ci trattano come spazzatura, ma il Salento deve essere il sole del’Italia, non la sua spazzatura. E questo è per tutti quelli che parlano male del Salento”, conclude alzando il dito medio.

E mentre le festa della band procede dritta filata verso la fine del concerto, tra i tanti giovani presenti è impossibile non notare anche tanti scatenatissimi bambini accompagnati dai genitori, segno che il nome della band si sta allargando anche tra diverse generazioni.

Dopo un’ultima iniezione di adrenalina dancehall, la serata si chiude con il bis di Mambo salentino. E tutti sarebbero quasi pronti a ricominciare a ballare, anche senza “lu mare e lu jentu”. Basta la musica.

Sanremo ribalta le previsioni e dà l’ennesimo schiaffo a Loredana


Non il superfavorito Ultimo, e nemmeno Il Volo. Non Irama, non Cristicchi e nemmeno l’impegnato Silvestri, ma Mahmood. L’outsider arrivato a Sanremo non per scelta di Baglioni, ma di diritto per aver vinto Sanremo Giovani lo scorso dicembre ha sbaragliato la concorrenza e ribaltato ogni pronostico, aggiudicandosi la vittoria della sessantanovesima edizione del Festival con Soldi.
Solo fino a un paio di giorni fa ci avrebbero scommesso in pochissimi, e invece l’impossibile è accaduto.
Quella di Mahmood è stata un’ascesa lunga e tutta in sordina: persino ancora dopo il duetto con Gue Pequeno di venerdì sera (quasi) nessuno aveva capito la reale portata del brano: un pezzo r’n’b con tanto di inserti orientaleggianti e alcuni versi in arabo, interpretato da un ragazzo di origini italo-egiziane che fa rimare ramadan con champagne. Una vittoria politica secondo alcuni, che ci vedono un segnale di ribellione verso la deriva razzista e xenofoba presa negli ultimi mesi dal Governo: difficile dire se sia stata davvero questa la spinta che ha permesso a Soldi di scalare la classifica, ma di certo si può dire che Mahmood non partisse favorito. Ancora semisconosciuto al grande pubblico, nonostante avesse già calcato il palco dell’Ariston nel 2016 tra le Nuove proposte, nonostante faccia musica già da qualche anno e nonostante ci sia la sua firma su alcuni dei successi degli ultimi mesi. Eppure è successo. Battuto Ultimo, che conferma così la regola secondo chi entra papa esce cardinale (e stando ai racconti dalla sala stampa pare non averla presa benissimo…), e battuti i tre ragazzoni del Volo, che in una seconda vittoria forse un po’ ci speravano.
Quest’anno invece il voto delle giurie del Festival ha dato spazio al “nuovo”, sotto tutti i punti di vista: o meglio, a far vincere Mahmood è stato soprattutto il voto delle due giurie presenti a Sanremo – la giuria d’onore e la giuria dei giornalisti – , perché al televoto Soldi ha raccolto poco più del 14% di preferenze.

Il più grande dispiacere di questo epilogo festivaliero è stato però il quarto posto di Loredana Bertè, che a questo festival teneva in maniera particolare – ha detto che sarebbe stata la sua ultima partecipazione – e lo aveva portato avanti egregiamente, conquistandosi un’ondata di amore dal pubblico. Il pezzo c’era, lei pure. Almeno il podio sembrava finalmente assicurato, e invece ci è arrivata a un soffio, ironia del destino. E dispiace che i giornalisti non le abbiano assegnato neanche il Premio della Critica, intitolato a sua sorella Mia Martini: un riconoscimento che lei voleva conquistare e che si sarebbe meritata, non fosse altro come segno di riscatto per tutte le delusioni che il Festival le ha riservato negli anni. E invece niente, Sanremo non si è smentito neanche stavolta e ha rifilato a Loredana l’ennesimo schiaffo. Dispiace proprio tanto. Per la cronaca, il Premio della Critica lo ha vinto Daniele Silvestri. L’unica consolazione è stata la rivolta della platea dell’Ariston all’annuncio del suo quarto posto: il Leone e la Palma non ci sono, ma l’amore della gente sì, quello c’è tutto, e speriamo che Loredana cambi idea e decida di tornare al Festival nei prossimi anni.

Si potrà invece dire soddisfatto Achille Lauro, che torna a casa dopo essersi guadagnato un’onorevolissima nona posizione: probabilmente non ha mai pensato di poter vincere, ma di certo è stato tra quelli che da questa partecipazione ci hanno guadagnato di più in termini di visibilità, oltre al fatto di aver offerto una bellissima performance e aver portato un po’ di allucinata follia sul palco di Sanremo. Stesso discorso per gli Zen Circus di Appino, che nella classifica finale si sono fermati un po’ più giù, ma pazienza: così tanto indie al Festival non si era mai sentito.
Una parola infine per Arisa: nella sua ultima esibizione era in evidente difficoltà, forse per una febbre che l’ha debilitata e le ha provocato qualche défaillance vocale. Con uno sforzo enorme è arrivata fino alla fine, sciogliendosi poi tra le lacrime: la delusione si sarà fatta sentire, ma Arisa ha dato una lezione di grande professionalità.

<iframe allowfullscreen frameborder=”0″ src=”http://www.raiplay.it/iframe/video/2019/02/Sanremo-2019-Serata-Finale-Arisa-Mi-sento-bene-f1f84fc0-e071-4e16-87cf-4ec71187ccb2.html” width=”560″ height=”540″></iframe>

Cala quindi il sipario sulla sessantanovesima edizione del Festival di Sanremo, una delle più noiose a mia memoria: una conduzione piatta, che non ha messo in giusto rilievo i talenti schierati sul palco; serate interminabili, con le esibizioni degli artisti che a lungo andare si perdevano tra la stanchezza del pubblico e le lunghissime ospitate. Baglioni pare si sia già reso conto che 24 canzoni sono troppe: se mai l’anno prossimo toccherà ancora a lui, ha dichiarato che le porterà a 20. Infine, musicalmente parlando, su 24 brani in gara, non è ancora ben chiaro quanti ne sopravviveranno nella memoria del pubblico anche dopo il ciclone del Festival: la sensazione è di aver ascoltato tante potenzialità male espresse con pochi momenti di vero stupore.

E poi, una volta per tutte, basta con gli ospiti italiani sul palco del festival. Perché è troppo comodo snobbare la gara di Sanremo e poi prestarsi alla ben più comoda marchetta di un quarto d’ora e ciao. Baglioni non ha voluto gli stranieri (ah, i tempi di Madonna ed Elton John!!) e ha privilegiato gli ospiti italiani: forse il motivo è puramente economico, forse è una ruffianata per acchiappare qualche spettatore in più. Sta di fatto che se sei italiano non vai al festival da superospite, sia che tu “super” lo sia davvero, sia che tu sia solo l’ultimo idolo del teenager. Se sei un artista italiano, e dici di amare tanto Sanremo (oh, ce ne fosse uno che dica di essere andato lì solo per promozione!), fai il favore di metterti in gara con i tuoi colleghi, ti fai una settimana di iper-sbattimento e rischi anche di finire ultimo nella classifica. Ma almeno ne esci pulito e un po’ più onesto.
Non succederà mai, ma chissà: dopotutto, la vittoria di Mahmood ci dice che tutto può succedere, e allora io anche in questo cambiamento un po’ ci spero.

Bye bye Sanremo.

Io sono Mia: al cinema il bio-pic dedicato a Mia Martini

Febbraio 1989, Sanremo: Mia Martini si prepara a tornare sulle scena dopo sei anni di esilio. Un allontanamento volontario, ma nei fatti provocato dalle sempre più pressanti maldicenze sul suo conto. “Mia Martini porta sfortuna”, si diceva ormai da tempo nell’ambiente dello spettacolo, al punto che molti altri artisti si rifiutavano di avere a che fare con lei, i suoi dischi non vendevano più e gli impresari non la ingaggiavano più nelle trasmissioni televisive. Addirittura facevano fatica a pronunciare il suo nome. Tutto per alcune sfortunate coincidenze e la voglia di qualcuno di vendicarsi di un’artista dal carattere forse non proprio semplice (“L’unica cosa su cui sono sempre stata d’accordo”).

“E’ stata una vera e propria violenza compiuta su una persona, su una donna, e forse all’epoca tutti quanti non abbiamo fatto abbastanza per fermare questa calunnia. Questo è il mio modo di chiederle scusa”. Sono le parole di Riccardo Donna, il regista di Io sono Mia, il bio-pic dedicato alla storia di Mimì prodotto dalla Eliseo di Luca Barbareschi in collaborazione con Rai Fiction. La pellicola verrà proiettata in quasi 300 sale cinematografiche italiane solo nelle giornate del 14, 15 e 16 gennaio, per approdare sugli schermi di Rai 1 prossimamente.
Dopo il successo dello scorso anno con la minifiction Fabrizio De André principe libero, la Rai torna così a dare spazio alla vita di un’altro grande nome della musica italiana.
Il film parte proprio da quel festival dell’89, quando ancora nessuno sapeva che per Mia Martini non si sarebbe trattato solo di un grandioso ritorno in scena, ma che in quell’occasione la musica italiana avrebbe anche ricevuto in regalo la preziosissima interpretazione di Almeno tu nell’universo.
Mimì quell’anno non vinse il Festival, e non lo vinse in nessuna delle altre sue partecipazioni, ma quello che è stata in capace di lasciare sul palco va oltre ogni vittoria.

“Per convincere gli organizzatori a far partecipare Mimì quell’anno al Festival, una persona, di cui non posso fare il nome, dovette firmare un contratto come garante per tutto che di spiacevole sarebbe potuto succedere: durante l’esibizione si sarebbe dovuta sedere in prima fila all’Ariston, così se fosse crollato il teatro ci sarebbe rimasta sotto anche lei”: a raccontare l’aneddoto è Loredana Bertè, sorella di Mia, probabilmente colei che più di ogni altro la conosce e la può raccontare, e che per questo film è stata coinvolta in veste di consulente. La persona di cui parla Loredana pare sia Renato Zero, anche se sulla veridicità dell’evento non c’è molta chiarezza, dal momento che Adriano Aragozzini, organizzatore della manifestazione nell’89, ha chiaramente smentito l’intera vicenda in una recente intervista al Fatto quotidiano.
Comunque siano andate le cose, è certo che per Mimì si trattò di un autentico riscatto, che la riportò al grande pubblico dopo che per anni si era accontentata di cantare alle sagre di paese.

A dare corpo, voce e (tanta) anima a Mia Martini è Serena Rossi, che regala un’interpretazione che non si fatica troppo a definire eccezionale: “Ho letto molto su di lei, ho guardato molte sue interviste e ho ascoltato tanto la sua musica, come continuo a fare ancora adesso. Fin dal primo giorno di riprese sapevo che non avrei dovuto cercare di imitarla per non rischiare di scimmiottarla. Ero sicura che da tutte le persone coinvolte nel lavoro avrei ricevuto tantissimo amore, e così è stato. Io non posso che ringraziare e ritenermi fortunata per l’opportunità che mi è stata offerta”.
Pur lontana dall’imitazione, l’attrice riporta con impressionante fedeltà e intensità le espressioni di Mimì, i gesti viscerali delle sue mani e i movimenti delle sue labbra durante le esibizioni, fino a far rivivere la luce tragica che i suoi occhi emanavano.
Sfruttando l’espediente di un’intervista rilasciata a poche ore dall’esibizione sanremese a Sandra, una giornalista arrivata in realtà per incontrare Ray Charles, nel film Mia Martini ripercorre la sua vita, dalle interpretazioni dei brani di Ella Fitzgerald davanti allo specchio della cameretta, al travagliato rapporto con il padre, fino alla delicata operazione alle corde vocali. E poi l’incontro con il manager Alberigo Crocetta e quelli con Califano e Lauzi, che scriveranno per lei pagine importantissime della sua discografia, il rapporto con la sorella Loredana, interpretata da Dajana Roncione, e la storia d’amore con Andrea, un fotografo, personaggio dietro al quale non è difficile riconoscere Ivano Fossati.
E’ ancora Loredana a spiegare: “Ci sono due persone che hanno espressamente richiesto di non essere nominate in questo film, Ivano Fossati e Renato Zero”. Quest’ultimo viene portato sullo schermo nella figura di Anthony, un eccentrico amico conosciuto per caso fuori da un locale.

Alla fine, dopo aver ripercorso tra i suoi ricordi buona parte della sua vita, viene quasi spontaneo anche a noi porci la stessa domanda che Sandra rivolge a Mia: “Come sei riuscita a sopportare tutto questo?”
E nella risposta di Mimì non potremo che ritrovarci tutti d’accordo.

Radio Italia Live: i nuovi appuntamenti dal 13 novembre. Primo ospite Guè Pequeno

FotoRIL_cs1
Dal 13 novembre torna Radio Italia Live, la trasmissione dedicata alla musica italiana e ai suoi protagonisti prodotta e realizzata da Radio Italia nell’esclusivo auditorium del Verti Music Palace di Cologno Monzese.
Il programma sarà in onda il martedì su Radio Italia, Radio Italia Tv e in streaming sul sito radioitalia.it.
I live andranno in onda da Dicembre in prima serata anche su Real Time (canale 31 del digitale terrestre free).

Tra i primi protagonisti confermati di questa stagione: Guè Pequeno (13 novembre), Luca Carboni (20 novembre), Benji & Fede (27 novembre), Tiromancino (4 dicembre), Thegiornalisti (11 dicembre), Loredana Bertè (18 dicembre), Elisa (gennaio).

Confermata alla conduzione dell’affermato music-talk Manola Moslehi, che condividerà momenti esclusivi con l’artista in viaggio verso lo studio e lo condurrà tra il pubblico per un’intervista prima dell’esibizione live. Manola sarà affiancata da Daniela Cappelletti, che avrà il compito di stupire l’artista con simpatiche sorprese. Confermata anche art direction di Sergio Pappalettera.

Alessandro Volanti, Responsabile Marketing Radio Italia, così commenta la nuova edizione del programma: “Radio Italia Live, il nostro programma di punta, torna con alcuni dei più grandi nomi della musica italiana e con una conduzione tutta al femminile. Il format mantiene il focus sulla musica e sull’esibizione live degli artisti e offre al pubblico momenti esclusivi con i protagonisti. Grazie al legame con Discovery Italia, è confermata la messa in onda di alcuni dei live anche su Real Time: siamo contentissimi di rafforzare il legame con questo canale con il quale lavoriamo costantemente. Siamo felici di ritrovare anche in questa stagione il nostro ormai consolidato partner Verti Assicurazioni, titolare del naming degli studi in cui registriamo ogni puntata: il Verti Music Palace. Un ringraziamento, infine, all’amico Sergio Pappalettera, visual art director dei nostri programmi e allo Studio ProDesign”.

Gesualdo Vercio, Programming Senior Director di Real Time: “Anche quest’anno Real Time sarà al fianco di Radio Italia, rafforzando un ecosistema ormai consolidato che mette insieme tv, web, radio e territorio. Aumenta esponenzialmente così il numero di persone raggiunte grazie al linguaggio universale della musica. Tutto questo mettendo insieme la passione per Real Time e Radio Italia, con la passione per la musica italiana e i suoi grandi artisti”.

Boomdabash: dal 20 novembre in tour in Europa e in Italia. Concerto-evento il 24 gennaio a Milano

BOOMDABASH 3
Dopo essere stati i trionfatori dell’estate 2018 con Non ti dico no insieme a Loredana Bertè, i Boomdabash non intendono fermarsi e, dopo aver registrato il tutto esaurito con una prima tranche estiva di concerti, tornano alla dimensione live annunciando “Il Barracuda winter tour”, una nuova ondata di concerti dal vivo che li vedrà protagonisti tra novembre e gennaio nei club italiani ed europei.

La leg invernale dei Boomdabash partirà il prossimo 20 novembre da Barcellona per proseguire il 21 a Londra, il 22 a Parigi, il 23 a Bruxelles, il 24 ad Amsterdam il 28 a Siviglia, il 29 a Madrid e il 30 a Zurigo.

Il pubblico italiano potrà invece gustare l’energia live dei Boomdabash nei club delle principali città italiane a partire dal 15 dicembre da Corato (BA) per continuare il 26 Maglie (LE), il 18 gennaio a Roma, il 19 gennaio a Castellaneta Marina (TA) , il 25 gennaio a Torino e il 26 gennaio a Parma.

Il nuovo tour invernale della band salentina avrà la sua massima espressione con un grande concerto – evento che darà vita all’indimenticabile “Boomdabash & Friends”, attesissimo show live unico nel suo genere previsto per il prossimo 24 gennaio all’Alcatraz di Milano.

Uno straordinario evento live con il quale i Boomdabash festeggeranno i loro primi 15 anni di carriera. Uno show che si preannuncia epico in tutti i sensi, un concerto che prevedrà un set up di palco unico e completamente rinnovato pieno di luci colori ed effetti scenografici ad hoc per la speciale occasione. Uno show emozionante che vedrà alternarsi sul palco i migliori protagonisti della musica italiana, amici e colleghi che hanno condiviso con i Boomdabash i successi degli ultimi anni.

“Siamo molto felici di celebrare i nostri primi 15 anni di carriera – dichiara la band- abbiamo deciso di mettere in piedi in live più epico di tutti questi anni. Un regalo per tutti i supporters della band, da sempre parte integrante del percorso di Boomdabash.

Ci sarà Boomdabash sul palco dell’Alcatraz di Milano e ci saranno tanti, ma tanti ospiti, con i quali abbiamo avuto l’onore ed il piacere di lavorare, scrivendo con loro alcune delle hit più ascoltate di sempre. Il 24 Gennaio celebreremo un traguardo importante, 15 lunghi anni di musica. Un’avventura fatta di sacrifici ma tante soddisfazioni. Per la prima volta i fan di Boomdabash assisteranno ad un live con una line up di altissimo livello, per uno spettacolo che difficilmente potranno dimenticare e che sicuramente lascerà un segno indelebile”.
BOOMDABASH 4
In questa nuova avventura live Biggie Bash, Payà, Blazon e Mr. Ketra proporranno dal vivo le loro ultime hit Barracuda, brano in feat con Fabri Fibra e Jake la furia il cui video ha già superato le oltre 5 milioni e mezzo di views sulla rete e Non ti dico No, ma anche i loro maggiori successi, da Portami con te a Il solito Italiano fino a A tre passi da te, ripercorrendo al contempo i momenti più salienti della loro carriera musicale.

Le prevendite delle nuove date del “Barracuda winter tour” nei principali live club europei ed Italiani sono disponibili sui canali Boomdabash al seguente link e acquistabili direttamente in loco.

Le prevendite dello speciale concerto evento “Boomdabash & Friends” sono invece disponibili su ticketone al seguente link.

RTL 102.5 è media partner ufficiale del “Barracuda tour”

Questo il calendario delle date:
20 novembre – Barcellona, Sala Apolo
21 novembre – Londra, Brixton Jamm
22 novembre – Parigi, L’ International
23 novembre – Bruxelles, Gc de Maalbeek
24 novembre – Amsterdam, Q Factory
28 novembre – Siviglia, Sala Malandar
29 novembre – Madrid, Sala Silikona
30 novembre – Zurigo, Komplex Klub
15 dicembre – Corato (BA), Jubilee
26 dicembre – Maglie (LE), Industrie Musicali
18 gennaio – Roma, Planet
19 gennaio – Castellaneta Marina (TA), Cromie
24 gennaio – Milano, Alcatraz – speciale concerto–evento “Boomdabash & Friends”
25 gennaio – TOorino, Hiroshima
26 gennaio – Parma, Campus Music Industry

BITS-RECE: Loredana Bertè, LiBertè. Un inno alla follia e uno scacco alla vita

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
42730854_10160885832610440_6428230294398042112_n
Non si diventa Loredana Bertè. Ci si nasce e basta, perché essere Loredana Bertè vuol dire portarsi dietro e dentro un’identità di ruggine e spine, dolore, passione, rabbia, tragedia, e una capacità eccezionale nel riversare tutto in musica in maniera nuda e viscerale. Perché con Loredana la musica diventa una ragione di vita, un’ancora di salvataggio, l’unico buco aperto sul cielo attraverso il quale gridare e liberarsi dei torti che la vita riserva.

Erano 13 anni che Loredana Bertè non usciva con un intero album di inediti (l’ultimo, Babybertè, è infatti arrivato tra tutti gli onori nel 2005), anche se in questi anni la sua presenza si è sempre fatta sentire, con i live e con la pubblicazione di alcuni inediti di abbagliante bellezza (L’araba fenice, Musica e Parole, fino al più recente E’ andata così).
Ora il nuovo album, LiBertè, ci riconsegna una Bertè al massimo della forma, forte di un affetto di pubblico mai scomparso e adesso se possibile rinnovato. E a proprio a questo pubblico lei si ripresenta con un autentico manifesto di vita, Libertè, gridato come sempre a suon di rock, con quella voce ruvida e affilata che sa diventare anche una potentissima arma consolatoria.
Se Non ti dico no è stata la mossa perfetta per tornare all’amato reggae e farsi conoscere dai più giovani, la vera essenza di Loredana la si ritrova annidata in pezzi come LiBertè, uno dei tanti testamenti di intenti che Loredana ha lasciato sul suo cammino, Maledetto luna-parkAnima carbone, una disperata sfida alla vita, e Davvero, abbagliante e commovente nella sua spietata verità e in quella forza disarmante che ti spacca il cuore (“l’unica cosa che so è che far luce bisogna bruciare”).

Tutti in paradiso rivela una vena più sferzante ed è un atto d’accusa a una società che  in nome del buonismo tende ad assolvere tutti i peccati e le colpe, mentre Messaggio dalla luna porta la firma di Ivano Fossati, forse uno degli autori che negli anni ha meglio conosciuto e inquadrato l’indole selvaggia di un’artista che tantissime volte ha puntato gli occhi alla luna (solo in questo disco i riferimenti “lunari” non si contano).

In chiusura del disco le parole di Loredana contro il bullismo sono un inno ali folli e ai diversi.
42585787_719811045034998_2470293866708729856_n
LiBertè è un manifesto al diritto di essere folli, come ha dichiarato Loredana, ma ancora di più è un altro schiaffo al mondo da parte di una donna nella vita non ha mai imparato a fare i conti con i compromessi, e che forse proprio per questo non fa sconti quando alza il suo canto di rabbia e il suo bisogno d’amore.

Da Mahmood a MYSS KETA: un’estate oltre i tormentoni

mahmood
Amore e capoeira
 è fisso ai piani più alti delle classifiche, Italiana di Fedez e J-Ax ce la ritroviamo ogni due minuti in radio, il reggae-pop di Non ti dico no dei Boombadash con la Loredana nazionale lo stiamo amando tutti già da un paio di mesi e Nero Bali di Elodie e Michele Bravi è indubbiamente un bel pezzone tropical-italiano.
Ma se i supertormentoni fanno già parte delle playlist da portarsi in vacanza, appena un passo al di là del circuito radiofonico c’è un mondo altrettanto pop che vale la pena scoprire prima di partire, anche solo per variare un po’ tra un gorgeggio della Ferreri e una rima di Baby K.
Ecco qui allora una piccola e arbitraria selezione di 12 (perché le cifre tonde sono noiose, soprattutto in estate) singolini estivi, allegramente in ordine sparso.
achille
Achille Lauro featuring Cosmo, Angelo Blu
E’ la traccia che apre Pour L’Amour, l’ultimo album di Achille Lauro ed è un perfetto quanto sorprendente incontro tra la samba trap dell’artista romano e il nuovo genietto dell’elettropop nostrano. Un trip visionario e psichedelico di dipendenza ed elettronica.

MYSS KETA, Monica
Lei è stata senza dubbio una delle grandi scoperte del 2018. Già sulla scena da qualche anno, ma fino a pochi mesi fa confinata nell’underground meneghino, la diva mascherata più misteriosa in circolazione ha pubblicato ad aprile il suo primo album con Universal, UNA VITA IN CAPSLOCK, di cui Monica è il quinto estratto. Ironia a tonnellate, riferimenti alla cultura di massa, slogan iconici e la produzione di Populous ne fanno un’arma affilata per le serate a bordo piscina nella villa di Arcore.

Mahmood, Uramaki
Lui è una delle grandi promesse dell’urban italiano: lo abbiamo visto a Sanremo nel 2016 e lo abbiamo ascoltato l’anno scorso con Pesos. Quest’anno torna con un singolo tra elettropop e R&B con un testo introspettivo, ambientato nelle vie più esotiche di Milano, con una grande voglia di evasione.

Marianne Mirage, Copacabana Copacabana
Un’immersione nel carnevale di Rio, con la produzione sempre oculatissima di Big Fish e Rhade. Copacabana Copacabana è la sorpresa iper-carioca che non ti aspetti da Marianne Mirage, cantautrice raffinatissima di casa Sugar.

Eman, Milano
Con quel suo stile che è hip-hop senza essere hip-hop, rock senza essere rock ed elettronico senza essere elettronico, Eman traccia con contorni profondi un ritratto senza sbavature e indulgenze della metropoli lombarda.

DJ Besford featuring Eleonora Mazzotti, Todo Rainbow
Sonorità elettroniche e tropicali fanno da sfondo a un inno alla positività e alla leggerezza realizzato dal fashionissimo DJ Besford, qui in collaborazione con la romagnola Eleonora Mazzotti.

lemandorle, Gelato colorato
Si può descrivere il capolinea di una storia d’amore senza cedere ai toni avvilenti della tristezza? A giudicare da quello che ha fatto il due lemandorle in Gelato colorato, sì, decisamente si può. Elettropop dall’aura vagamente vintage e una metafora caleidoscopica per guardarsi negli occhi e dirsi che è finita.

Lele, Giungla
Un pezzo per Napoli e i napoletani, così Lele ha parlato del suo ritorno con Giungla. L’r’n’b incontra il pop, mentre le parole portano in altissimo l’orgoglio della città partenopea spogliandola di tutti i pregiudizi.

Luana Corino, Gita al mare
Non sempre l’abbandono fa rima con la solitudine. Nel suo ultimo singolo, per esempio, Luana Corino racconta una storia di libertà. Una rivendicazione femminile serena come una gita al mare promessa, non mantenuta e poi recuperata. Anche da soli.

Alessandro Casillo, Ancora qui
Del ragazzino che avevamo conosciuto in TV un po’ di anni fa c’è ben poco: dopo essersi preso una bella pausa, Alessandro Casillo è tornato con un singolo, Ancora qui, che ha l’aria di essere qualcosa di più di un semplice comeback discografico.

Arashi, Sud America
Punta dritto al di sotto dell’Equatore e all’ombra delle palme Riccardo Schiara, in arte Arashi. Urban, house e vividi colori tropicali sono la colonna sonora di un viaggio in Sud America, da un open bar di Bogotà all’ultimo piano in ascensore… ma attenzione agli alligatori!

Briga, Che cosa ci siamo fatti
Un pezzo così malinconico sembrerebbe non azzeccarci nulla con il clima leggero dell’estate, ma è pur vero che anche al mare ci sono i giorni grigi di temporale. Questa canzone è proprio per quei momenti di nuvoloni, in cielo o nella testa.

Reggae, determinazione e lealtà: Boomdabash e la filosofia del barracuda

web_BOOMDABASH_016010-1_EDIT
ph. Flavio& Frank

Nell’immaginario collettivo, il barracuda è soprattutto uno spietato predatore dai denti aguzzi. Forse solo gli appassionati di ittica sanno però che questo è soltanto uno dei due aspetti comportamentali di questo animale, che se da una parte è giustamente noto per la sua voracità e per non risparmiare le sue prede, dall’altra possiede anche un’indole leale.

E’ proprio questo dualismo che ha spinto i Boomdabash ha far ruotare l’ultimo album intorno alla figura del barracuda: come l’animale infatti, anche il collettivo salentino si è sempre dimostrato leale, rifiutandosi di sgomitare e pestare piedi per arrivare a raggiungere un obiettivo, ma nello stesso tempo è rimasto sempre affamato e spinto dalla passione e dalla tenacia, soprattutto nei tanti momenti difficili.
Mentre ne parlano, i due vocalist Biggie Bash e Payà si riferiscono al progetto al singolare: “Più che una band, Boomdabash è sempre stato un collettivo di amici, ci sentiamo come le dita di un’unica mano: lavoriamo allo stesso progetto, ma ognuno arriva dalla sua esperienza e tutti siamo impegnati anche in altri progetti”. Basti pensare, ad esempio, che del collettivo fa parte anche Mr Ketra, metà del celeberrimo duo di produttori Takagi & Ketra, autori di alcuni dei più grandi successi italiani degli ultimi anni (tra gli altri, Roma-Bangkok e il recente Amore e capoeira), oltre che produttori proprio di Barracuda: “Non potremmo mai farci la guerra a vicenda, è come se giocassimo in campionati diversi”.
 1440_digital_cover-album-barracuda
Il nuovo album arriva a tre anni dal precedente Radio Revolution, e ha richiesto un tempo molto più lungo del solito, che è servito alla band per lavorare a un disco più maturo, in cui per la prima volta quasi metà delle tracce presenti sono occupate da featuring e tutte le tracce, da Gente del sud a Maria, Oro e asfalto, sono potenziali singoli.
Il primo nome che salta all’occhio è naturalmente quello di Loredana Bertè, che duetta con i ragazzi in Non ti dico no, il singolo che nelle ultime settimane ha conquistato le radio. Racconta Biggie Bash: “Quando abbiamo contattato Loredana non sapevamo come avrebbe reagito, poi abbiamo scoperto che lei ci conosceva già ed è stata felicissima di questa proposta. Loredana è stata innovativa già alla fine degli anni ’70, quando ha portato in Italia il reggae ancora prima di Bob Marley con … E la luna bussò, non potevamo non proporle di collaborare. In studio lei è una da ‘buona la prima’, e come noi non ha costruito la carriera pensando a un prodotto, ma a fare buona musica: è una ribelle, ci ha detto ‘voi salentini dovete lavorare molto più degli altri per guadagnarvi le cose’, ed è verissimo”. Continua Ketra: “Quando abbiamo ascoltato il brano per la prima volta sapevamo che sarebbe stato accolto bene, ma non pensavamo con questi risultati, anche perché non è il classico brano estivo, è più cupo”. 

web_BOOMDABASH_016065-1_EDIT
ph. Flavio& Frank

Oltre che per l’unione di pop e reggae, Non ti dico no si mette in luce anche per la tematica sociale che affronta, quella per la lotta contro l’omofobia, evidente soprattutto nel video diretto da Cosimo Alemà. Del resto, le tematiche sociali non sono certo nuove per Boomdabash, da sempre attento a lanciare messaggi importanti nei suoi brani: in questo disco lo fa per esempio anche nella titletrack, Barracuda, che tratta il tema del bullismo e che vede ospiti due fuoriclasse del rap italiano come Jake La Furia e Fabri Fibra. Continua ancora Biggie Bash: “Il reggae è per sua natura un genere di rivalsa, di denuncia sociale, e noi siamo anche salentini, abbiamo sangue greco nelle vene: siamo dei combattenti. Sentiamo una grande responsabilità verso i giovani, per questo ci teniamo a lanciare messaggi positivi nei brani”.
Un discorso diverso è per The Blind Man Story: “L’ho scritta ripensando a un dialogo che ha avuto con un carissimo amico non vedente – rivela Biggie Bash. Mi ha fatto capire che in realtà i non vedenti non sono dei disabili, perché noi, nelle loro condizioni, non sapremmo muoverci, invece loro riescono a fare tutto, come se avessero dei superpoteri. Abbiamo coinvolto Sergio Sylvestre perché ha una delle voci più belle e più potenti in circolazione: lo conoscevamo già prima che partecipasse ad Amici, e la sua presenza ha reso il brano internazionale”.

Parlando di reggae italiano non si può non pensare a un ambasciatore come Alborosie, ospite in Pon di riddim. E’ Payà a raccontare: “Lo abbiamo seguito per tantissimi anni, sperando sempre di incontralo, ma non è mai successo. Poi finalmente c’è stata l’occasione di suonare insieme nel 2017: durante il periodo trascorso insieme a lui abbiamo ricevuto tantissimi consigli. Anche se vive in Giamaica, è molto attento alla scena italiana: possiamo dire che il pezzo lo abbiamo costruito insieme durante il tour. Poter suonare con lui ci ha anche permesso di essere accolti nella scena giamaicana, di solito un po’ fredda verso i ‘white singers’ come noi che cantano in inglese o nel patois giamaicano, perché lì sei percepito come qualcuno che fa qualcosa che non gli appartiene, invece grazie ad Alborosie siamo riusciti a farci conoscere meglio”.
A proposito di patois giamaicano, emerge un aneddoto sul nome del collettivo: “Quando sono entrato io – spiega Biggie Bash – il nome c’era già, ma solo dopo abbiamo scoperto che nella lingua giamaicana scomponendo la parola Boomdabash si ottiene una frase di senso compiuto, ‘esplodi il colpo’”.

Riguardo ai recenti episodi legati all’immigrazione, la visione di Boomdabash non può che essere critica: “Non è un discorso politico, ma sociale. Quello che oggi accade con i briganti un tempo accadeva con i meridionali che volevano andare all’estero. I migranti vanno messi nelle condizioni di essere aiutati, e se è necessario è giusto che tutta l’Europa dia il suo aiuto, ma la questione non è solo la chiusura dei porti, è molto più grande”.

Determinazione, passione, tenacia, ma qual è stato in questi in cui il barracuda Boomdabash ha dovuto più che mai mostrare i denti? Biggie Bash non ha dubbi: ” Ce ne sono stati tanti, ma uno su tutti è stato nel 2008, quando stavamo per pubblicare il primo album: avevamo iniziato a farci conoscere con alcuni singoli e finalmente avevamo chiuso l’album. Pochi giorni dopo la fine dei lavori ci hanno rubato tutto il materiale e la strumentazione: non avevamo più niente e tutto il lavoro del disco era andato perso. Se non ci fossimo fatti forza a vicenda, mettendo in pratica quella mentalità un po’ folle di chi vuole far vedere quanto vale, oggi probabilmente il progetto Boomdabash non esisterebbe più. Abbiamo dovuto rifare tutto il lavoro in pochissimo tempo, indebitandoci per ricomprare tutta la strumentazione: un danno economico, oltre che morale”.
Per l’estate Boomdabash ha già in programma diversi appuntamenti dal vivo: “Il live è molto importante per noi, perché è il momento in cui un artista dimostra di avere valore. Se hai come unico fine il prodotto discografico, dal vivo non rendi e il pubblico lo sente: anni fa, quando ancora non ci conosceva nessuno, siamo riusciti a vincere un contest di Mtv Generation davanti a 100 mila persone a Torino proprio pero la nostra performance live. Abbiamo in mente un concerto carico, esplosivo, con un palco molto ampio: faremo divertire molto il pubblico, ma vogliamo anche offrire momenti di riflessione”.
Tra le idee, anche delle date in Europa e un live in cui coinvolgere i diversi ospiti che in questi anni hanno accompagnato Boomdabash: “Pensiamo a una sorta di Boomdabsh & Friends, da tenere probabilmente a Milano, visto che la maggior parte degli artisti vive lì”.

 

 

webBOOMDABASH_016442-1
ph. Flavio& Frank

Determinazione, passione, tenacia, ma qual è stato in questi in cui il barracuda Boomdabash ha dovuto più che mai mostrare i denti? Biggie Bash non ha dubbi: ” Ce ne sono stati tanti, ma uno su tutti è stato nel 2008, quando stavamo per pubblicare il primo album: avevamo iniziato a farci conoscere con alcuni singoli e finalmente avevamo chiuso l’album. Pochi giorni dopo la fine dei lavori ci hanno rubato tutto il materiale e la strumentazione: non avevamo più niente e tutto il lavoro del disco era andato perso. Se non ci fossimo fatti forza a vicenda, mettendo in pratica quella mentalità un po’ folle di chi vuole far vedere quanto vale, oggi probabilmente il progetto Boomdabash non esisterebbe più. Abbiamo dovuto rifare tutto il lavoro in pochissimo tempo, indebitandoci per ricomprare tutta la strumentazione: un danno economico, oltre che morale”.

Per l’estate Boomdabash ha già in programma diversi appuntamenti dal vivo: “Il live è molto importante per noi, perché è il momento in cui un artista dimostra di avere valore. Se hai come unico fine il prodotto discografico, dal vivo non rendi e il pubblico lo sente: anni fa, quando ancora non ci conosceva nessuno, siamo riusciti a vincere un contest di Mtv Generation davanti a 100 mila persone a Torino proprio pero la nostra performance live. Abbiamo in mente un concerto carico, esplosivo, con un palco molto ampio: faremo divertire molto il pubblico, ma vogliamo anche offrire momenti di riflessione”.
Tra le idee, anche delle date in Europa e un live in cui coinvolgere i diversi ospiti che in questi anni hanno accompagnato Boomdabash: “Pensiamo a una sorta di Boomdabsh & Friends, da tenere probabilmente a Milano, visto che la maggior parte degli artisti vive lì”.

Queste le prime date confermate:
23 giugno Bari, Acqua in Testa Music Festival
14 luglio Tuenno (TN), Piazzarolada,
27 luglio Azzano Decimo (PN), Fiera della Musica
28 luglio Senigallia (AN), Mammamia
5 luglio Montemiletto (AV), Le 4 Notti dei Briganti
9 luglio Vasto (CH), Baja Village
13 luglio Soverato (CZ) Noa Club
20 agosto San Foca (LE) Notte di Mare – Blu Festival 2018
25 agosto Milano, Magnolia
3 settembre Arena di Verona, RTL Power hit