BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
Due elementi hanno segnato la nascita di questo disco: la fine di una storia d’amore e il fatto di essere il secondo album della carriera, che, si sa, si dice essere il più difficile per ogni artista.
In effetti Lorde arrivava da quella botta di successo mondiale che l’aveva fatto conoscere con Royals e l’album d’esordio Pure Heroine: un successo di una portata forse un po’ inaspettata, anche perché aveva appena 18 anni. Come ripartite quindi?
Ci è voluto un po’ di tempo perché la ragazza metabolizzasse tutto e sapesse far fruttare al meglio i due fattori: perché quanti artisti hanno scritto canzoni o interi album sulla fine di una storia? E quanti sono passati dallo scoglio secondo album? Nel primo caso, moltissimi, nel secondo, praticamente tutti.
E allora, come venirne fuori? Con un disco come Melodrama. Dentro, ci è finito di tutto, dal pop all’r’n’b, dall’elettronica ai lenti suonati al pianoforte, e nei contenuti si passa dalla gioia al dolore, come la stessa artista ha riconosciuto: un disco pulsante di luci al neon di caotiche feste in discoteca e i lumicini di momenti riservati solo a sé. I primi due due singoli, Green Light e Liability ne sono un esempio: tanto il primo è ipnotico e vorticoso nelle sue atmosfere quasi da house, tanto il secondo – anche nella reprise – è scarno e vulnerabile. È poi c’è Hard Feelings/Loveless, brano dalla doppia faccia, sunto eloquente degli stati d’animo condensati nel disco.
Un album che probabilmente in molti non si aspettavano così, nelle sue diverse anime umorali e sonore, pulsante e sofferente, con le parole sempre cantate da quella voce così trascinata di peso a cui Lorde ci ha abituati fin dall’inizio, e che in certi casi rischia di diventare proprio il suo limite, incatenandola al ruolo un po’ di principessa depressa e un po’ di maestrina del pop, tipo come Lana Del Rey, ma con più ritmo.
Tutto questo fa comunque di Melodrama un album intrigante, selvaggio ma non ostile, moderatamente aristocratico: un vero e proprio esempio di melodramma moderno diviso in tutte le sue “arie”, i suoi atti e le sue scene. I racconti di vita, amore e disperazione di una ragazza che si è trovata tra le mani un successo molto più grande di lei e ha dovuto trovare il modo di far confluire tutto nella sua musica con ordine, senza farsi travolgere dal fine della storia e dal fantasma del secondo disco, e soprattutto continuando a vivere.
Piuttosto, ciò a cui Lorde deve prestare attenzione è non diventare un’artista-feticcio della nicchia dei “filosofi del pop”, vale a dire i presunti alternativi fighetti, fanatici di suoni cervellotici e per forza alternativi.
Per quello che ha fatto fino a oggi, Lorde sta esattamente sulla linea del crinale, tra il becero mainstream del vasto pubblico e l’attitudine indie: un equilibrio che probabilmente prima o poi perderà favore di uno o dell’altro, quale sarà il tempo a dirlo.
Per quel che mi riguarda, spero solo che non si trasformi nell’ennesima divinità osannata dalla nicchia hipster.