BITS-RECE: St. Vincent, “All Born Screaming”. Ovvero, come (non) perdersi nel bosco da soli

BITS-RECE: St. Vincent, “All Born Screaming”. Ovvero, come (non) perdersi nel bosco da soli

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una mancata di bit.

Ma quindi, chi è St. Vincent?

Arrivata al suo settimo album, quando pensavamo di averla inquadrata (per un quanto un artista che possa definirsi tale possa e voglia essere inquadrato), ecco che rilascia un disco che ci prende un po’ alla sprovvista. Sarà che lei è una che di fronte alla nuove sfide non si è mai tirata indietro, sarà che questo è il suo primi (!) album totalmente autoprodotto, ma insomma, quella che ritroviamo in queste nuove 10 tracce è una St. Vincent in un certo senso inedita.

Ci sono alcuni posti, dentro di noi, che possiamo raggiungere solo se attraversiamo il bosco da soli, per scoprire quello che il nostro cuore ha da dire”, ha dichiarato a proposito dell’album la Clark. “Suona reale perché è reale”.
E lei il bosco ha voluto proprio attraversarlo da sola, chiamando attorno a sé solo alcuni fidatissimi amici, tra cui – per fare solo due nomi – Dave Grohl, che suona le batterie nei due singoli Flea e Broken Man, Cate Le Bon, che ha coscritto Big Time Nothing e appare nella traccia di chiusura, che dà il titolo all’album.

Ovvero, All Born Screaming. E in questo titolo c’è esattamente il mood e il messaggio che Anne Erin Clark – il nome con cui la conoscono all’anagrafe – voleva lanciare.
Un album cupo, a tratti tranquillamente apocalittico, che non si premura di mettere l’ascoltare a particolare agio.
Nasciamo tutti urlando, quanto è vero, e stando alla narrazione del disco, questo sembrerebbe essere un (cattivo) presagio di quello che ci aspetta in questo mondo.

Ma quindi, com’è questo album?

Poderoso, muscolare, incendiario e piacevolmente variegato. Se l’alt-pop non è del tutto messo da parte – bellissima la traccia di apertura, Hell Is Near, che ha dispetto del titolo suona piuttosto angelica -, a colpire l’ascolto è soprattutto il graffio dell’industrial rock, che si scatena in particolare nella prima metà del disco (ma, per esempio, in Big Time Nothing fa capolino anche il funk). Più ibrida invece la seconda parte, dove l’elettronica e le divagazioni stilistiche guadagnano terreno e si tira un po’ di più il fiato.

Un po’ ovunque si respira un forte tributo pagato alla scena rock/alt-rock della seconda metà degli anni ’90. Personalmente, più le tracce andavano avanti durate l’ascolto più mi la mente mi riportava ai Garbage. Sarà per la sensualità del canto, che St. Vincent non perde mai, proprio come non la perde(va) Shirley Manson, sarà per i suoni, ma tant’è. Quando si arriva poi a Violent Times si fa davvero fatica a non fare un parallelismo con The World Is Not Enough, brano composto dai Garbage per la colonna sonora dell’omonimo film di 007 (correva l’anno 1999), di cui non manca nemmeno lo slancio orchestrale.

In Sweetest Fruit , traccia scintillante di chitarre ed elementi elettronici, c’è anche un tributo a SOPHIE, la producer scozzese tragicamente morta ad Atene nel 2021 per una caduta da un edificio, su cui era salita – pare – per osservare meglio la luna.

So Many Planets attacca con l’organo e farebbe pensare che sbuchi fuori qualcosa di gospel, invece spiazza virando sul reggae.

Infine, All Born Screaming si prende tutto il tempo necessario (6.55 minuti) per divagare in un coro. E così, l’album della “traversata nel bosco” in solitaria, chiude significativamente con un canto collettivo.

Ed è proprio qui, sul finale, che si nasconde l’ultima sorpresa architettata da St. Vincent. Come espressamente dichiarato dall’artista infatti, il lavoro dell’album è avvenuto per sottrazione, partendo da lunghe session di registrazione da cui è stato eliminato tutto il superfluo: in termini di arrangiamento ma, ovviamente, anche in termini di durata. Ecco che allora i 41:14 minuti totali non sono forse palindromi a caso, ma – e se davvero così fosse sarebbe un colpo di genio – sono l’indicazione che anche il disco può essere letto al contrario.
Se la tracklist ufficiale parte dalla solitudine per chiudere in corale e inizia con la minaccia di un imminente inferno per arrivare a cieli più sereni, la lettura “alla rovescia” tratteggerebbe un viaggio di gruppo che si fa solitario e una lenta discesa verso l’oscurità.

Ecco, quindi, chi è St. Vincent. Una che è sempre un gran piacere rincontrare. Che sia in un bosco o un nuovo album.

 

Le inquietudini sonore di Nava tra la Persia e l’elettronica


Cosa succede quando una cantante iraniana incontra un musicista e produttore italiano? Potrebbe succedere quello che è capitato con Nava, ovvero la nascita di un progetto musicale in grado di mettere insieme tradizione e sperimentazione industrial, oltre a una discreta dose di sinistra inquietudine.

Galeotto per la nascita del progetto fu il CPM Music Institute di Milano, dove nel 2016 la cantante di origini iraniane Nava Golchini ha incontrato il produttore e arrangiatore Francesco Fugazza. La collaborazione si è poi espansa, includendo i batteristi Elia Pastori Marco Fugazza.
Raccogliendo l’ispirazione da artisti della scena indie ed elettronica come Arca, Apparat e Purity Ring, Nava hanno dato vita a un vero miscelatore sonoro culturale, che fonde il background musicale persiano di Golchini con gli arrangiamenti sperimentali della band, fino creare qualcosa di cosmopolita e viscerale che ha trovato forma nell’EP di debutto Body, pubblicato lo scorso maggio.


A completare lo scenario, un’iconografia visionaria, ipnotica e a tratti disturbante, come quella di cui è intriso il video del terzo singolo estratto, Camera, diretto da Giusy Amoroso: “Camera può essere interpretata come una profonda proiezione interna della mente inconscia, quella che Nava intraprende guardando se stessa, proiettata attraverso una telecamera. Lei inizia un viaggio, un passaggio continuo tra l’interno e l’esterno, in uno spazio senza dimensione e senza tempo, la sua mente, informe, dove le uniche strutture permesse in questo ambiente limbico sci-fi sono il metallo amorfo e il mercurio. Nava, maledetta da una presenza inquietante, inizia a ballare, sedotta da un’entità sconosciuta. Man mano che la forma si avvicina, Nava perde il controllo, si sottomette al possesso e quindi si trasforma. L’oscillazione continua tra l’accettazione e il contrasto della presenza è espressa attraverso sequenze increspate, fleshes che raccontano quanto lei sia predisposta a essere posseduta e cosa prova durante la scoperta di nuovi aspetti del suo io. La completa concessione del corpo e della mente avviene con la concessione delle vesti e della maschera che Nava accetta e indossa, completando la sua trasformazione e accettando nuovi aspetti di se stessa”.

In una dimensione iperfuturistica si muove invece il video di Ritual, diretto dal visual artist Karol Sudolski e ispirato alle danze delle tradizione persiana, “un’interpretazione estetica della preparazione a una battaglia”, come dichiara la band. “È un meccanismo di difesa che una persona, in cerca di vendetta, mette in atto nei confronti di chi l’ha ferita. Le maschere richiamano alla preparazione di una battaglia, e rappresentano inoltre un’armatura mentale, una proiezione del modo in cui ci si rapporta all’altro attraverso i rituali che si ripetono”.

 

#MUSICANUOVA: Yves Tumor, Noid

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Inclassificabile per indole, sperimentatore per vocazione.

Yves Tumor torna con Noid, un singolo che fa incontrare industrial, funk e addirittura pop e chissà cos’altro, il tutto ovviamente composto secondo le regole di un artista anarchico e spiazzante.

Marilyn Manson: il ritorno del Reverendo il 6 ottobre con l’album Heaven Upside Down

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Marilyn Manson
ha confermato l’uscita di Heaven Upside Down il 6 ottobre, anticipandolo dal singolo We Know Where You Fucking Live.

I dieci brani di Heaven Upside Down sono stati registrati a Los Angeles e creano un paesaggio sonico che ricorda l’aggressività dei dischi seminali di Manson Portrait of an American Family e Holy Wood. Come per The Pale Emperor del 2015, Manson collabora nuovamente con il produttore e compositore cinematografico Tyler Bates.

Temi come violenza, sesso, politica e romanticismo trovano spazio nel nuovo lavoro: in KILL4ME Manson chiede ai suoi fan di affermare brutalmente la loro devozione e si lancia in nuovi generi con la trap di SAY10.

Questa la tracklist dell’album:
Revelation #12
Tattooed In Reverse
WE KNOW WHERE YOU FUCKING LIVE
SAY10
KILL4ME
Saturnalia
JE$U$ CRI$I$
Blood Honey
Heaven Upside Down
Threats of Romance

Il 27 settembre, Manson inizierà il suo tour mondiale e toccherà l’italia per una data unica il 22 novembre a Torino al Pala Alpitour.

BITS-RECE: Sarah Stride, Schianto EP. Magnifico incantesimo

BITS-RECE: radiografia di un disco n una manciata di bit.
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Tremate, tremare, le streghe sono tornate! Anzi, la strega, visto che qui ce n’è una sola, ma pronta a lanciare un incantesimo potentissimo.
Lei è Sarah Stride, e il nuovo filtro magico è miscelato nei quattro brani che formano Schianto EP. Un’alchimia di suoni che mescola la tradizione italiana con il cemento delle chitarre distorte e di derivazione quasi industrial.
Un incantesimo che non lascia scampo, ti afferra con le sue mille mani tra atmosfere caotiche, ossessive, rumorose, oscure a tratti goticheggianti.
A intonare questo sabbah è Sarah, con la sua voce greve, secca, arsa, che non può non rimandare i ricordi a quella di Nada.
Una danza violenta, paurosa e anche, indiscutibilmente, ammaliatrice.