Prende sempre più forma il nuovo progetto discografico di Amalfitano, la cui uscita è prevista per il prossimo 22 marzo.
Dopo la prima, potentissima, anticipazione con il singolo Fosforo, scritto e interpretato insieme a Francesco Bianconi, il cantautore romano torna ora non con uno, bensì con due nuovissimi brani.
Una doppia uscita che lascia ben sperare in quella che sarà la natura dell’album: un cantautorato pop-rock teso e viscerale, che canta la forza immensa dell’amore con un romanticismo personale, dalla parvenza forse più ruvida che dolce, ma profondamente sincero.
E…Ancora Tu racconta di come tutto potrebbe essere messo in discussione, tutto potrebbe essere opinabile, tranne la bellezza.
In Quanto dolore ci servirà per smettere d’Amare, il titolo è invece una domanda su cui si interroga l’artista.
Una domanda scomoda e paradossale, perché lo sappiamo, l’amore sa fare male, ma mentre il dolore offre sempre una via di uscita, dall’amore difficilmente si esce.
E quindi? Davvero il dolore è l’unico antidoto all’amore?
Amalfitano e Francesco Bianconi: bruciare d’amore. Anzi, di fosforo
Hai mai provato l’effetto fosforo?
Io l’ho sperimentato diverse volte, sempre con le canzoni, ma magari tu lo hai provato con un film, o con un quadro. Con il tempo ho anche imparato a riconoscerlo da subito.
Non sapendo come definirlo, lo chiamerò “effetto fosforo”, e ti spiego anche il perchè.
Succede così: sento una canzone per la prima volta e penso “bah…”. Cioè, non è che non mi piaccia proprio, ma tutto sommato mi lascia indifferente. Anzi no, non è esattamente indifferenza, è più un “sì, carina, ma nulla di che”.
Poi, dopo qualche giorno, o la riascolto per caso o mi si ripresenta in testa da sola, ed è lì che si innesca “l’effetto fosforo“. Perchè inizio a capire che in quella canzone c’è qualcosa di magnetico, qualcosa che non so spiegare: forse è nel giro melodico, forse nel canto, forse in uno strumento, ogni volta può cambiare, e mi accorgo che quel brano lo voglio riascoltare, e ancora, e poi ancora, a loop, anche per giorni, fino a quando mi si pianta in testa e capisco che sarà amore. Anzi, lo è già.
Negli anni questa cosa mi è capitata diverse volte: andando a memoria, con “That don’t impress me much” di Shania Twain, “Bruci la città” di Irene Grandi, “Stand inside your love” degli Smashing Pumpkins, ma persino con “Poker face” di Lady Gaga.
Ogni volta sono farfalle nello stomaco.
Ovvio che col passare del tempo l’entusiasmo si ridimensiona, ma il bello sta proprio in quei primi momenti in cui capisci che da un “meh..” stai passando a un “WOW!!”
Come dicevo, con il tempo ho imparato a capire subito quando una canzone mi provocherà ‘l’effetto fosforo”. Ed è proprio quello che è successo in questi giorni – appunto – con “Fosforo” di Amalfitano e Francesco Bianconi.
L’ho sentita giorni fa, non mi ha colpito, ma sapevo che lo avrebbe fatto, e così è stato. Ci ha messo quasi una settimana, ma poi è esplosa come un’atomica, e lo ha fatto senza che forzassi nulla.
È entrata a gomitate nel cervello, e ancora adesso sta ferma lì. Anzi, non sta ferma per nulla, gira vorticosamente!
“Fosforo” è un brano matto, disgraziato, di quelli che ti fanno ridere e gridare.
“Tienimi la mano diva / che mi balla lo sguardo”, un incipit che sa di moderna saga epica. Una suggestione abbagliante che dura giusto il tempo di un lampo, prima che si inneschi la detonazione sonora: percussioni, chitarre, basso, persino archi. Tutto freme, arde, si scalda, brucia.
Il giro armonico è una giostra selvaggia, le note crescono e si scaldano mano a mano, mentre sotto scalpita e si agita una commistione salmastra di sensualità ustionante e disperazione d’amore.
Perché “Fosforo” è anche la più folle canzone d’amore uscita negli ultimi anni. Anzi, “Fosforo” è soprattutto una canzone d’amore.
Io l’amore non potrei immaginarlo diversamente, un’onda incandescente che ti arriva addosso “e mi prende la testa e scende giù nel cuore / e poi risale come di rimbalzo e mi fa lacrimare”.
Li avevamo lasciati più di un anno fa, reduci dal debutto sanremese e dalla pubblicazione del secondo album, Nostralgia. Poi, dopo la fase dei live di ordinanza, sono seguiti mesi di (quasi) silenzio, e dei Coma_Cose sembravano essersi perse le tracce.
Serviva aspettare un po’. Ora, finalmente, rieccoli. Lama e California sono tornati, e lo hanno fatto nel modo migliore, con un singolo nuovo di zecca, primo assaggio di un nuovo album in arrivo nei prossimi mesi.
Il nuovo brano si intitola Chiamami, ed è stato scritto dai Coma_Cose con Fabio Dalè e Carlo Frigerio, mentre i Mamakass si sono occupati della produzione assieme a Lama.
Ancora una volta, intimità, malinconia e leggerezza si ritrovano nella personale formula che fin dagli esordi ha reso riconoscibile la firma del duo milanese.
Ad accompagnare il brano, un videoclip scritto e diretto da Fausto Lama.
In occasione della nuova uscita, Fausto e California hanno invitato il pubblico a partecipare a un’iniziativa misteriosa: nei giorni scorsi i fan si sono registrati e si sono ritrovati in Largo La Foppa a Milano di fronte a una cabina telefonica allestita per l’occasione dove hanno potuto ascoltare la canzone in anteprima. Tolte le cuffiette è arrivata la vera sorpresa: i Coma_Cose hanno chiamato personalmente i fan presenti, tramite la cornetta della cabina, instaurando delle conversazioni con ogni singolo partecipante e creando così un momento d’intimità unico nel suo genere. C’è chi è accorso da Bologna, Firenze, Napoli. Una ragazza in gravidanza ha voluto portare il proprio bambino a questo suo primo ‘incontro’.
Mentre sul fronte Baustelle tutto resta silenzioso, Francesco Bianconi torna con il suo secondo lavoro da solista.
Dopo l’esordio nel 2020 con Forever, il cantautore toscano si mette ora alla prova con una raccolta di cover, Francesco Bianconi Accade. Il titolo, un po’ ironicamente e un maccheronicamente, prende spunto dalle performance live organizzate in streaming durante la pandemia: “accade” come traduzione di “happening”, nel senso di “ritrovo, evento”, ma anche come segno di qualcosa che nonostante tutto continua a muoversi, a esistere, ad accadere, appunto.
Dieci cover pescate nella musica italiana con l’unico criterio di avere tutte in sé almeno un “granellino” di Bianconi. E se per l’ascoltatore non è sempre facile scovarlo, questo granellino, una cosa è certa: insieme ai nuovi arrangiamenti, la protagonista di questo disco è la voce di Bianconi, quella a cui ci ha sempre abituati fin dai primissimi esordi con i Baustelle.
Quella voce greve e sorniona, antica, volutamente aristocratica e rococò, solenne, in grado – volontariamente o no – di stendere un’ombra di decadenza su tutto quello che canta. E così accade qui.
Il cantautore si fa interprete e rivede ogni brano dalla sua prospettiva. In una parola, bianconizza.
Accade con i pezzi, non tra i più noti, scelti dal repertorio di due intoccabili come Guccini (Ti ricordi quei giorni) e Tenco (Quello che conta) e con l’omaggio ai Diaframma, band a cui molto devono i Baustelle (L’odore delle rose).
Quando rivede un classico come Domani è un altro giorno (a sua volta cover di The wonders you perform) Bianconi mette da parte l’interpretazione di Ornella Vanoni e aggiunge al brano un’aura quasi liturgica.
Ma questa è anche l’occasione per l’autore di farsi interprete di se stesso, e quindi ecco Io sono, scritta per Paola Turci, e poi La cometa di Halley e Bruci la città, portate al successo da Irene Grandi. Se nel primo caso la nuova formula funziona, negli altri due si sente perde purtroppo il luccichio e la forza delle versioni originali.
E poi c’è il vero colpo di teatro, l’eresia pop a cui Bianconi non ha voluto rinunciare, sicuramente non senza averci pensato con un mezzo sorriso. Playa, ovvero il successone di Baby K di qualche estate fa. Ma dimenticatevi il reggaeton, il sole e le palme. In questo caso la bianconizzazione non si limita a trasformare, ma stravolge il mood della canzone. Il testo non cambia di una virgola, ma la leggerezza che tutti ricordavamo lascia il posto a una malinconia inedita, a dir poco sorprendente. Vincente la scelta di coinvolgere la stessa Baby K per il duetto: due poli opposti che escono dalle rispettive comfort zone per incontrarsi a metà strada. Poteva essere una collisione, è una rivelazione.
Ormai è evidente, il pop italiano ha trovato una nuova voce. Non una voce nel senso fisico del termine, ma una nuova modalità di espressione.
Una voce fatta di nuovi codici, nuovi stimoli, nuove influenze, nuovi standard, nuove aspettative.
Una voce che col passare del tempo si fa sempre più forte e più chiara.
Che ci fosse una rivoluzione in atto, anche se sotterranea, lo si percepiva da tempo, ma è stato nel 2019, con la vittoria di Mahmood a Sanremo, che è stato evidente a tutti che i tempi stavano cambiando. Il pop italiano non poteva più accontentarsi di bel canto e belle note, soprattutto dopo anni in cui indie, hip-hop e trap l’avevano fatta da padroni.
Ecco allora, dopo Mahmood, l’affermarsi di artisti come Madame, Blanco e, ultima solo in ordine di tempo ad aver pubblicato un album, Mara Sattei, solo per fare qualche nome. Basta dare un rapido ascolto ai loro dischi per capire che non siamo davanti a singoli episodi, ma a un fenomeno in pieno fermento. Un pop gender fluid, ma che potremmo tranquillamente definire “promiscuo”, viste le sue innumerevoli frequentazioni con gli altri generi.
Prendiamo proprio l’album di debutto di Mara Sattei, Universo.
Un progetto solido e multiforme, in cui tutto suona fresco, decisamente attuale e sfacciatamente ibrido.
Merito della produzione e della lucida supervisione di tha Supreme (che di Mara Sattei è anche fratello), certo, ma merito prima di tutto di un’attitudine nuova, una voglia e un’esigenza di comunicare che mescola evasione e intimità, ritmiche urban ed eleganza melodica, scrittura serrata adatta alle barre e distensione cantautorale.
Basterebbe citare i nomi degli ospiti per avere una macromappatura dell’album: Tedua, Carl Brave, Giorgia, tha Supreme, Gazzelle, ovvero la trap, il rap, il pop della tradizione e l’indie.
Dai beat sincopati di Blu intenso alla frenesia di Cicatrici e al tocco felpato di Parentesi, dalla cassa dritta di 0 rischi nel love ai luccichii metallici della chitarra in Scusa, niente suona fuori posto, tutto convive pacificamente e tutto brilla con la stessa intensità come in una grande costellazione.
“Ieri è il titolo del primo singolo che fa da apripista a Senza eredità, ultima testimonianza discografica a nome Moltheni. Brano estremamente ispirato ai valzer che fecero tanto ballare le nostre vecchie generazioni, ma anche a ricordo di personaggi del calibro di Elliott Smith, questa ballata incarna più che mai tutta quella autenticità che il mio progetto rappresentò nei suoi significati, nei suoi colori e nel suo immaginario. Tutti elementi che, ancor oggi immutati, spero possano tornare ad emozionarvi”.
A undici anni di distanza dalla raccolta finale Ingrediente novus Umberto Maria Giardini torna a pubblicare un brano inedito a firma Moltheni. Il brano anticipa il nuovo album Senza eredità in uscita l’11 dicembre per La Tempesta Dischi, un progetto che rappresenta la chiusura di un cerchio, nonché l’ultimo capitolo di uno dei progetti più importanti del panorama indipendente italiano.
Chitarra acustica, tastiere, batteria e delicate sonorità elettroniche, per Davidof l’amore per Milano si trasforma in una luminosa e malinconica ballad indie pop.
Milano è come un giorno di pioggia Milano è il tuo sguardo che parla Ti amo a Milano Milano Milano ha un profumo da donna Milano è nuda sotto la gonna Ti amo a Milano Milano Milano
“Milanoè la città dell’amore per questa coppia. Lì si sono corteggiati, amati, consumati e lasciati. Milano è il ricordo di lei, un giorno di pioggia, una canzone nella metro, un bar in Corso Como. I ricordi fanno male come il suo sguardo dal finestrino di un tram”.
Cosa succede quando una cantante iraniana incontra un musicista e produttore italiano? Potrebbe succedere quello che è capitato con Nava, ovvero la nascita di un progetto musicale in grado di mettere insieme tradizione e sperimentazione industrial, oltre a una discreta dose di sinistra inquietudine.
Galeotto per la nascita del progetto fu il CPM Music Institute di Milano, dove nel 2016 la cantante di origini iraniane Nava Golchini ha incontrato il produttore e arrangiatore Francesco Fugazza. La collaborazione si è poi espansa, includendo i batteristi Elia Pastori e Marco Fugazza.
Raccogliendo l’ispirazione da artisti della scena indie ed elettronica come Arca, Apparat e Purity Ring, Nava hanno dato vita a un vero miscelatore sonoro culturale, che fonde il background musicale persiano di Golchini con gli arrangiamenti sperimentali della band, fino creare qualcosa di cosmopolita e viscerale che ha trovato forma nell’EP di debutto Body, pubblicato lo scorso maggio.
A completare lo scenario, un’iconografia visionaria, ipnotica e a tratti disturbante, come quella di cui è intriso il video del terzo singolo estratto,Camera, diretto da Giusy Amoroso: “Camera può essere interpretata come una profonda proiezione interna della mente inconscia, quella che Nava intraprende guardando se stessa, proiettata attraverso una telecamera. Lei inizia un viaggio, un passaggio continuo tra l’interno e l’esterno, in uno spazio senza dimensione e senza tempo, la sua mente, informe, dove le uniche strutture permesse in questo ambiente limbico sci-fi sono il metallo amorfo e il mercurio. Nava, maledetta da una presenza inquietante, inizia a ballare, sedotta da un’entità sconosciuta. Man mano che la forma si avvicina, Nava perde il controllo, si sottomette al possesso e quindi si trasforma. L’oscillazione continua tra l’accettazione e il contrasto della presenza è espressa attraverso sequenze increspate, fleshes che raccontano quanto lei sia predisposta a essere posseduta e cosa prova durante la scoperta di nuovi aspetti del suo io. La completa concessione del corpo e della mente avviene con la concessione delle vesti e della maschera che Nava accetta e indossa, completando la sua trasformazione e accettando nuovi aspetti di se stessa”.
In una dimensione iperfuturistica si muove invece il video di Ritual, diretto dal visual artist Karol Sudolski e ispirato alle danze delle tradizione persiana, “un’interpretazione estetica della preparazione a una battaglia”, come dichiara la band. “È un meccanismo di difesa che una persona, in cerca di vendetta, mette in atto nei confronti di chi l’ha ferita. Le maschere richiamano alla preparazione di una battaglia, e rappresentano inoltre un’armatura mentale, una proiezione del modo in cui ci si rapporta all’altro attraverso i rituali che si ripetono”.
Anche quest’anno torna l’appuntamento estivo con Resta in Festa. Dall’11 al 14 luglio il parco Metelli di Palazzolo sull’Oglio si trasforma nel polo della musica live!
Quattro serate di concerti che spazieranno dal rap al rock all’indie pop per soddisfare tutte le orecchie. Quest’anno anche una bellissima novità: la collaborazione con il locale BASE di Palazzolo che avrà un palco dedicato con tanti artisti.
Giovedì 11 si inizia con uno dei più grandi chitarristi contemporanei, Bombino che gira il mondo con la sua musica, prima di lui Giorgio Canali, caposaldo del rock alternativo italiano.
Venerdì 12 dedicata al rap con due band di culto: direttamente da New York gli Onyx e uno dei più grandi esponenti del rap italiano, Inoki.
Sabato 13 l’indie pop la fa da padrone. Sul palco si alterneranno i Canova, una delle più affermate band italiane che nel giro di pochi è riuscita a rivoluzionare la scena indipendente con numeri e sold out in giro per l’Italia e La Municipal, formazione indie pop in forte crescita alla ribalta anche grazie alle due partecipazioni consecutive al concertone del primo Maggio.
Domenica 14 sul palco di Resta in Festa uno dei cantautori rap più in voga del momento che vanta collaborazioni con numerosi artisti, da Max Gazzè a Tommaso Paradiso, Franco126. Ad aprire le danze Irbis.
Non mancheranno inoltre ottima cucina (tradizionale e vegana) e birre artigianali selezionate per l’occasione.
Ingresso gratuito
Di seguito il programma completo:
giovedì 11 luglio
PALCO BASE: Funky Lemonade
MAIN STAGE: Bombino
Giorgio Canali e Rossofuoco
PALCO BASE: Psychophono
venerdì 12 luglio
PALCO BASE: Cactus? – Marie Byrd Land Band
MAIN STAGE: Onyx
Inoki
PALCO BASE: Red Moon – Goa Psy Tranche Night
sabato 13 luglio
PALCO BASE: Pau Amma – Rilievo – Gamaar
MAIN STAGE: Canova
La municipàl
PALCO BASE: Breeze music&cose
domenica 14 luglio
PALCO BASE: Tin Woodman – Kick – Cara
MAIN STAGE: Franco126
Irbis
PALCO BASE: Terapia Trash
Complici gli studi di pianoforte, a 15 anni Ernesto Petrolà inizia a scrivere canzoni e partecipa a diverse manifestazioni canore. A 25 anni partecipa alle selezioni di Sanremo, esibendomi per due volte al Teatro Ariston. Dopo aver interrotto per un certo periodo il suo impegno da cantautore comincia a studiare canto e diventa interprete di cover in vari locali siciliani. Diventa successivamente frontman della band Ernesto & #LeCoseStrane e comincia a creare e presentare format televisivi. E’ anche inviato dalla Sala Stampa Lucio Dalla per il gruppo MediaOne per raccontare i due anni del Festival di Sanremo di Carlo Conti: proprio in questo periodo sente rinascere la voglia di riscrivere e ricredere nella sua musica.
Il punto di partenza è Lunedì, brano dal sound anni ’80 che riflette gli ascolti del cantautorato italiano, dai grandi nomi della tradizione ai nuovi nomi della scena indie.
“Lunedì è notoriamente il giorno che non vorresti mai vivere. Lunedì è un autotreno ma è anche uno stato d’animo. E quindi non ti aspetteresti alcune cose da un lunedì. Non ti aspetteresti amore e dolcezza dal lunedì. Non ti aspetteresti un riscatto il lunedì. Non ti aspetteresti una cosa bella, il lunedì.”
E invece l’amore non conosce stagioni, weekend o lunedì, e arriva quando e come vuole…..