”Cielo elettrico, come tutte le mie canzoni, nasce per una necessità espressiva. L’idea poi di trasmettere qualche emozione con questo brano è senza dubbio la gioia più grande. Mi ha molto emozionato scriverlo, realizzarlo e interpretarlo e, per quanto mi riguarda, questo è già un successo.Scrivere canzoni per me è un atto speciale, unico, intimo, quasi sacro. Ogni parola che utilizzo nei miei testi possiede un peso specifico. Il testo assieme alla melodia devono raggiungere un equilibrio tramite il giusto bilanciamento delle parole. Finché questo equilibrio non è raggiunto la canzone rimane incompiuta”
Cielo Elettricoè il nuovo singolo di Filippo Zucchetti.
Un delirio di istanti, ricordi, persone, scene e immagini. È una cavalcata poderosa che attraversa pezzi di vita. Una struttura narrativa a “blocchi” ognuno dei quali possiede un’atmosfera differente in cui si entra e si esce fino a ritrovarsi nel momento esatto in cui c’è lo stesso Cielo (elettrico) e tutta la nostra fragilità.
Basta Poco è il nuovo singolo di Cucina Sonora e N.A.I.P: un brano minimalista composto da due note, pochi suoni e poche parole.
Il brano nascondedietro una considerazione apparentemente semplice una riflessione più profonda, sottolineando il senso di frustrazione e di fallimento di chi non riesce a fare una cosa per la quale serve un minimo sforzo o poco impegno, per la quale basta poco.
Le liriche di N.A.I.P., ispirate dai testi di Elio, Colapesce e Franco Battiato, vengono completate da una strumentale vicina al mondo di Mr. Oizo e Jacques, minimale nelle melodie e nelle armonie ma potente nella cura dei suoni e nella follia, rendendo così il nuovo brano un tormentone da fischiettare in qualsiasi luogo e contesto. Basta poco, a tutti gli effetti.
Cucina Sonora è un pianista e producer: nel suo mondo non c’è differenza tra analogico e digitale, classico ed elettronico come dimostra il suo album “Evasione” (2017) il cui singolo estratto è stato remixato da Francesco Farfa su Toys for Kids. Dopo un tour di oltre 60 date in italia e all’estero, firma con la label INRI e pubblica (2022) l’album “Notte”.
Basta poco Per saltare Basta poco Per salutare Basta poco Per girare La testa, un video, un familiare Basta poco Per annuire Basta poco Per ri-annuire Basta poco Per piacere Senza dire per piacere E basta Basta poco Per non saltare Basta poco Per non salutare Basta poco Per non girare La testa, un video, un familiare Basta poco Per non annuire Basta poco Per non ri-annuire Basta poco Per non piacere Allora dico E basta Vivi vivi per davvero Non vivi non vivi per davvero Guarda questo cielo L’hai guardato il cielo o no? L’hai non guardato il cielo o no? Non l’hai non guardato il cielo o no? Non l’hai non guardato il non cielo o no? E basta. E basta.
BITS-RECE: Amalfitano, “Tienimi la mano, Diva!” Se Dioniso s’innamora
BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
Se appena appena avete qualche familiarità con la cultura classica, vi sarà capitato di sentir parlare della dualità fra apollineo e dionisiaco, due elementi complementari alla base della natura dell’Uomo: due spiriti contrapposti, rivali, ma necessari l’uno all’altro per mantenere un equilibrio vitale.
Da una parte l’apollineo, la sfera razionale, luminosa, ordinata, ubbidiente; dall’altra il dionisiaco, lo spirito folle, ombroso, disordinato e ribelle. Due forze ataviche in costante lotta.
Ad apollineo e dionisiaco Nietzsche ha dedicato alcune delle sue pagine più celebri: secondo il filosofo tedesco, nella fase aurea della tragedia greca – massima espressione della cultura classica – si poteva riconoscere il trionfo del dionisiaco, che soccombendo progressivamente all’apollineo avrebbe portato alla corruzione del dramma.
Il dionisiaco è la forza dell’amore che arriva, devasta, fulmina, brucia, rende assetati; è la bellezza che acceca e quasi spaventa. E non c’è dubbio che ci sia stato proprio lo spirito dionisiaco ad animare l’ispirazione di Amalfitano per il suo nuovo album.
Il lavoro si intitola Tienimi la mano, Diva!, proprio come recita il primo verso della prima traccia, che è stata anche il primo singolo presentato al pubblico, Fosforo: un incipit epico, altisonante, spirituale, una dichiarazione d’intenti fin troppo chiara.
Se Omero – sempre per restare nel classico – invocava la Musa perché gli infondesse l’ispirazione per cantare le mitiche imprese degli eroi, Amalfitano sembra chiamare la sua dea perché corra a soccorrerlo, a sostenerlo, a tenergli la mano appunto, perché a lui “ballo lo sguardo”, proprio a causa di un amore che lo ha folgorato, un amore che brucia come il fosforo.
Ma nonostante tutto, potremo mai fare a meno di amare? Potremo mai rinunciare alla bellezza, alla sua forza disarmante? Ovviamente no.
Ed è proprio sui temi dell’amore e della bellezza che si concentra il cantautore romano nel suo secondo album: lo fa impregnando gli otto brani di rock e di blues, marchiando ogni canzone con il suo canto viscerale, stropicciato e sincero.
L’apertura con Fosforo è fulminante: sicuramente, uno dei migliori brani italiani usciti negli ultimi anni. Un pezzo incandescente, costruito su un climax che sembra tendere alle stelle. La collaborazione con Francesco Bianconi, che dell’album è anche produttore insieme a Ivan A. Rossi, calza alla perfezione: è la manifestazione al quadrato del dionisiaco.
Al posto di cimbali e crotali, tradizionali strumenti del corteo dionisiaco, di brano in brano Amalfitano conduce la sua danza pagana tra chitarre e archi: ogni pezzo è un concentrato di tensione, furore, erotismo, sarcasmo.
Tenerezza, ancora con Bianconi, ha il sapore intimo e agrodolce di una caramella che si scioglie lenta; E… ancora tu! ha il tocco di una carezza urticante; Cafona suona stralunata come una composizione di dallaniana memoria, mentre Battisti riecheggia nelle note di Lisbona.
Ma fino alla fine il disco non risparmia sorprese, quando Faccia di caffè, forse l’episodio dal tocco più felpato, si carica di pathos e si spalanca in una trionfale conclusione che guarda all’universo imaginifico dei Pink Floyd.
“Qualche estate fa tornando da una serata con gli amici ho sentito l’improvviso bisogno di urlare fino a sfondarmi la gola, tirando fuori tutto il marciume nel quale mi sentivo immerso. Quella stessa notte, come dentro a un freestyle, mi sono attaccato al piano su cui erano appoggiati i bicchieri ormai vuoti.
Avevo 17 anni, era tutto magico e possibile, ed è nata questa canzone.”
notte vodka è un urlo lacerante che diventa lo strumento per canalizzare una profonda vulnerabilità, provata al suo estremo da un giovanissimo centomilacarie rincasato dopo una notte passata con gli amici, in una sessione solitaria con il suo pianoforte.
E’ un’esperienza condivisa di emozioni universali, un flusso di coscienza che attraverso il graffio della voce e la sequenza di immagini evocate dal testo risuona in chiunque abbia vissuto un momento in cui si è sentito perso.
Dopo essere stato voce coprotagonista insieme a Salmo del singolo di Mace Non mi riconosco, centomilacarie si conferma tra le penne capaci di trovare nuove parole, nuove atmosfere e chiavi di lettura per raccontare un disagio emotivo generazionale, un’angoscia che trova così il suo esorcismo.
Artico vuole raccontare ed esplorare il luogo dove abitano emozioni e sentimenti che si sono congelati perché non possono essere rivelati ad un’altra persona . Un po’ come una condanna, l’Artico traccia una linea dritta, un muro che divide due vite che non potranno mai esistere “insieme”.
Inseguire una chimera significa perseguire sogni irrealizzabili, ma per Kimera è una spinta che guida la sua musica. Una musica creata per rompere l’illusione del sogno, per poter abbracciare la paura e la bellezza che si può trovare solo nei luoghi inaspettati della mente.
L’amore ai tempi del liceo è quel condimento sui ricordi della vita di ognuno di noi: il primo innamoramento, i primi sentimenti, i primi momenti insieme.
Ricambiato o no, ognuno di noi ha vissuto quel momento ed è proprio la malinconia e il romanticismo di quegli istanti il cuore del nuovo singolo di Mercvrio, che lascia i suoi ricordi in Liceali.
Mercvrio è il progetto musicale da solista di Davide Attili, un normale essere di forma umanoide cresciuto cantando e suonando in gruppi hard rock, metal e free jazz pop indogiapponese nei locali della capitale.
Nato a Roma il 19/9/1991, che se lo si legge al contrario è ancora 19/9/1991, alle ore 19:09, il che accende di mistero questa faccenda del 19 se consideriamo quanto segue: il numero di verso e di capitolo nel Corano in cui un angelo annuncia a Maria la nascita di Gesù è 19:19. Coincidenze? Forse. Il fatto che abbia scelto come nome d’arte il termine romano con cui si indicava proprio la divinità “messaggera” degli dei è ancora una coincidenza? Forse si, forse no, ma ad essere sincero in realtà si. Ma tutte queste coincidenze sommate insieme non fanno forse una prova? Ma una prova di cosa? Tutto rimane ancora avvolto nel mistero.
Cosa ci fa litigare, odiare, dare di matto, dire cattiverie anche se ci si vuole bene?
Spesso è qualcosa che va oltre i singoli episodi della vita, qualcosa che non può essere spiegato tramite la psicanalisi, il carattere o l’oroscopo.
Qualcosa che non capisci anche se provi a risalire alle cause.
Quanta tenerezza fa l’essere umano quando si trova in una situazione del genere? Mentre litiga e odia, con la consapevolezza che – in realtà – ci si vuole bene.
Mentre si avvicina sempre di più il 22 marzo, data di uscita del suo nuovo album, dopo il primo, folgorante incontro in Fosforo, Amalfitano fa nuovamente coppia con Francesco Bianconi per il singolo Tenerezza.
“Ho capito chi sono veramente quando ho smesso di raccontarmi per quello che credevo di essere. Orchestra di silenzi è un invito ad abbandonare l’immagine che abbiamo di noi stessi per aprirci al cambiamento, alla trasformazione e all’evoluzione. Nasciamo partendo da un nucleo meraviglioso e fragile, cresciamo aggiungendo strati protettivi che, nel tempo, si induriscono come roccia. È anche un invito al maschio, figlio sano del patriarcato (di cui mi sento pienamente parte), ad abbandonare l’immaginario dell’uomo forte, stabile, a cui non è concesso aprirsi troppo perché fuori luogo, fuori ruolo.”
Orchestra di silenzi è il singolo d’esordio di Pugni.
gni nota è intenzionale, ogni parola ponderata. Gli echi grunge si intrecciano con il pop in un modo che va oltre la mera fusione di suoni, ma piuttosto si trasforma in un’esperienza narrativa. Le liriche sono dense di significato, mentre la struttura e la voce si svelano come un viaggio emozionale nella rabbia e nella bellezza, sfidando le convenzioni e portando avanti il concetto di autenticità nella musica pop contemporanea.
Il singolo, che anticipa l’album d’esordio dell’artista previsto per ottobre 2024, esce non a caso l’8 marzo.
Racconta il cantautore: “La piaga della violenza sulle donne è spesso uno specchio della violenza, fisica e psicologica, a cui sono stati sottoposti gli uomini durante la crescita. Il patriarcato esercita sul maschio una pressione insostenibile che rischia troppo spesso di esplodere in rabbia e violenza. C’è sicuramente necessità di denunciare, ma anche di rieducare, comprendere e curare. In questo giorno così importante, faccio la mia piccolissima parte dicendo che non è possibile curarsi guardandosi allo specchio. Il “ce la faccio da solo” è l’ennesimo tentativo di mantenere un’immagine di sé costruita su principi vecchi e malati. Puoi smettere di orchestrare i tuoi mostri nascondendoti e rimanendo in silenzio. Non c’è da vergognarsi. Parlane, confrontati, fatti aiutare. Non sarai meno uomo per questo. Questa incapacità di trattare le emozioni porta alla necessità di nasconderle nei cessi delle feste e dei concerti, dove le droghe abbondano come sedativi e diversivi alla libera espressione di sé. Dentro questo pezzo c’è anche il significato del mio nome d’arte: Pugni, oltre ad essere un gioco di parole col mio cognome, è il ricordo di un periodo in cui la rabbia e l’aggressività mi impedivano di cogliere la complessità e la bellezza di tutti i vari colori emotivi che non mi permettevo di usare per dipingere i miei giorni. Questo pezzo è nato in studio, di pari passo con la produzione. Assieme a Kendo abbiamo cercato di esprimere una sensazione di liberazione, come una corsa in riva al mare dopo essere stati incarcerati per anni. È probabilmente il mio pezzo preferito, quello che mi fa urlare fuori i blocchi emotivi.”
Lorenzo Pagni, in arte Pugni, nasce a Pisa il 19/06/1993.
Si avvicina allo studio della musica a 11 anni, suonando la batteria come primo strumento, che nel corso degli anni sostituisce con la chitarra per poter avere più possibilità espressive, ma per anni la sue principale attività è lo sport. Passa le giornate in canoa, sorretto dall’acqua e circondato dagli alberi del suo caro fiume Arno, ripetendo e affinando lo stesso gesto milioni di volte.
La musica rimane sempre con lui, ma è una cosa troppo bella che non riesce a concedersi totalmente. Col tempo, però, si accorge di quanto sia ampio il divario tra i suoi desideri e le sue azioni quotidiane.
Le sue canzoni rimangono segretamente nascoste in camera sua per anni, nel frattempo Pugni inizia a lavorare nei locali notturni come barman, musicista e dj e recupera la mondanità e il divertimento perso durante l’adolescenza, forse pure troppo.
Nel 2020 saluta il fiume, il mare e i pescatori per spostarsi a Torino.
È qua che Pugni inizia a esprimersi per quello che è.
L’incontro con Danny Bronzini (Jovanotti, Willie Peyote, Venerus), suo concittadino trasferitosi a Torino, è determinante nel proprio percorso di crescita artistica e nell’adozione di una visione matura del processo creativo.
Parallelamente all’attività di musicista, Lorenzo si laurea in psicologia e inizia a lavorare come psicologo in una clinica psichiatrica, dove ascolta storie di vita al limite del credibile.
La complessità delle persone che incontra gli fornisce il materiale emotivo per scrivere, che diventa non solo una necessità espressiva, ma un vero e proprio strumento terapeutico con cui poter esorcizzare il dolore.
Manifesto di un ventenne immerso in un mare di dubbi, alla ricerca di una serenità capace di placare il caos dei pensieri che lo assillano, Vorreiè il viaggio verso un porto sicuro, un percorso interiore che sembra finalmente trovare una risoluzione attraverso le note di questa canzone.
Con un ritmo serrato, sonorità dreamy e avvolgenti, Samuspina affida ancora una volta alla musica, desideri, pensieri, sogni e speranze di un’intera generazione, quella che non vuole più aspettare di sentirsi pronta, ma vivere pienamente e agire senza perdersi nei meandri dei propri complessi.
Un invito a saper riconoscere e fissare il proprio sguardo negli occhi della persona da cui tornare, qualsiasi cosa accada.
Se mi fossi guardato meglio se avessi aperto gli occhi solo per vedere cosa c’è fuori guardarti meglio e dirti non siamo soli ma se fossi stato più forte della guerra e dei soldi solo per dirti c’è dell’altro la fuori un milione di ragioni ma tu non le noti ma
Se avessi il doppio del coraggio e la metà dei complessi verrei da te solo per dirti una cosa solo per dirti che
Vorrei fare casino senza fare rumore una canzone senza sapere le note fare l’amore senza fare le prove
Ma vorrei fare la pace senza usare pistole gridare ti amo senza usare la voce andare piano si ma fare veloce con te
Due morsi Dove sei mi hai lasciato a metà Mi scordi Tra gli avanzi di 2 giorni fa E non è cambiato niente Ti spogli Due morsi E te ne vai
Giocavamo a non ridere e tu non vincevi mai Ti ho cercato per tutta la notte fino alle sei
Sotto la luna na na na Cantare prova sa sa sa Ci provo a non amarti, anzi A non vederti mai
«L’atmosfera sospesa di Due morsi riflette gli strascichi di un amore finito, ma che fatica a tramontare nell’animo di chi l’ha vissuto. Il sentimento di abbandono si fa strada nel protagonista, sale la delusione di esser stato lasciato “come gli avanzi di 2 giorni fa”.
Lo sconforto si trasforma in una preghiera, in una disperata fuga notturna alla ricerca dell’altra persona. Ma lì fuori non c’è nessuno, solo la Luna a farci compagnia», racconta Michelangelo Vood.
«É il secondo singolo tratto dal disco, è un’altra tessera del puzzle che ci condurrà al mio primo lavoro discografico. Con una sfumatura di romanticismo diversa rispetto al precedente singolo 2000 anni, questo è un brano che si muove in un contesto urbano costellato di immagini vivide e quotidiane, vicine alle esperienze vissute da ognuno di noi».
Michelangelo Vood, nome d’arte di Michelangelo Paolino, è un cantautore originario della Basilicata. Vood non è solo il cognome della madre, alla quale egli dedica il suo percorso artistico, ma anche un richiamo alla parola “wood” (bosco), omaggio alla natura selvaggia e incontaminata della sua terra.
Dopo aver preso parte ad alcuni dei principali festival italiani nell’estate 2023, Michelangelo Vood è al lavoro sul suo primo disco di inediti in uscita nel 2024.