#MUSICANUOVA: PUGNI, “Spigoli”

#MUSICANUOVA: PUGNI, “Spigoli”

Dopo la disarmante sincerità del brano d’esordio Orchestra di silenziPUGNI torna con Spigoli, una canzone che parla di amore, o perlomeno del tentativo di amarsi.

“Stavo attraversando un periodo difficile in una relazione molto importante” racconta Pugni, “un momento in cui le reciproche parti oscure stavano venendo a galla, fino a rendere impossibile l’incastro dei diversi pezzi. C’è sempre il rischio di farsi del male con le parti più spigolose delle nostra personalità: nessuno spigolo può essere veramente smussato a certi livelli di profondità. Non resta che ribaltarli, trasformare gli spigoli in angoli, in cantucci caldi dove nascondersi insieme.

La scrittura di Lorenzo Pagni, di giorno psicologo e di notte artista, non si ferma mai a una visione superficiale, ma scava in profondità e nella complessità dei legami umani, mettendosi a nudo con rara onestà e introspettività.

Nei suoni e nelle parole di Spigoli riecheggia il mare: i protagonisti del pezzo sono in balía dei loro sentimenti e, come naufraghi, affrontano le tempeste della relazione.

La canzone si muove come una marea: da una quiete e dolcezza iniziali, l’intensità e la tensione aumentano fino a esplodere in un finale tempestoso, sporco e liberatorio, una sorta di orgasmo emotivo in cui si fondono eros e thanatos per poi chiudersi in un abbraccio finale, una carezza che porta con sé la consapevolezza del distacco imminente.

BITS-RECE: Bartolini, “TILT”. Il tempo passa, la musica salva

BITS-RECE: Bartolini, “TILT”. Il tempo passa, la musica salva

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

C’è un momento cruciale che attraversa la vita di ognuno: il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Una tappa inevitabile, che ogni essere umano vive a modo suo: per alcuni arriva prima, per altri più tardi; alcuni cercano e sospirano questo traguardo fin da quando sono bambini, altri non si rendono neppure conto di averlo già raggiunto, Altri ancora, semplicemente, lo subiscono e lo vivono come qualcosa a cui è impossibile sfuggire, anche se ne avrebbero volentieri fatto a meno.

Giuseppe Bartolini – in arte semplicemente Bartolini – sembra appartenere a quest’ultima categoria, per sua stessa ammissione: “Dopo Forever [il suo secondo album, ndr], ho scelto nuovamente il mio vissuto come punto di partenza del racconto, ma in una chiave differente e più profonda. Dove Forever descriveva il mio rifugio ideale attraverso le sensazioni della mia adolescenza e delle mie origini, TILT racconta il momento di inevitabile confronto con la vita adulta e con ciò che la definisce: la musica, una relazione e anche la stessa città di Roma. Un delicato equilibrio, una pila di bicchieri che a volte riesco a tenere in piedi e altre no”.

Ecco, TILT, scelto come titolo del suo nuovo lavoro, fa riferimento proprio a questo passaggio, questo cambiamento umano e personale.

Per raccontarlo, il cantautore calabrese si è rifatto alle sonorità indie e rock di chiara matrice anni ’90, dalla cui maglie sbucano qua e là anche rimandi alla vecchia scuola dell’r’n’b.

L’elemento interessante dell’album è la sua impostazione su un doppio livello, una caratteristica che accomuna ogni traccia.
Un primo livello, più immediato, è costituito dalla musica, dalle sonorità.
TILT è un disco musicalmente vivace, luminoso, arioso, leggero. I brani si rincorrono scorrevoli uno dopo l’altro senza inciampi e senza lasciare vuoti. Per farsene un’idea basta ascoltare pezzi come ADHD o Paris McDonald’s, oppure Chicco, in cui insieme a Tripolare Bartolini rende omaggio al tempo felice della fanciullezza.

Basta però soffermarsi un attimo sulle parole dei testi ed ecco emergere il secondo livello del disco, quello più profondo e personale. Dentro alle parole di TILT si nascono infatti i pensieri di un ragazzo che si affaccia per la prima volta alla vita con uno sguardo adulto e una maggiore consapevolezza. Ci sono le paure, le ansie, le delusioni, gli equilibri precari da tenere insieme. C’è persino spazio per alcune riflessioni sulla morte, come in Ultima volta e Cimitero.

Proprio questo doppio livello di lettura, se da una parte conferisce ai brani maggiore spessore, dall’altra permette di metabolizzare anche i racconti più difficili.

Significativo che l’unico momento di completa malinconia venga riservato all’ultima traccia, Heath Ledger, una sorta di dichiarazione d’intenti posta però in finale d’opera:

“Volevo solo non farmi male
tornare a casa per respirare
Ormai non so più come respirare
Nel loro specchio solo vuoto
perché mi lasci solo
Fanculo questo gioco…”

#MUSICANUOVA: Caspio, “Cinico”

#MUSICANUOVA: Caspio, “Cinico”

Si intitola Cinico il nuovo singolo di Caspio, primo estratto dal prossimo album, in uscita alla fine del 2024.

Un brano di stampo rock anni ‘90 che riflette sulla nostra incapacità di dire di no a un mondo che sembra volersi prendere tutto di noi: il tempo, lo spazio, il futuro.
Crediamo di essere davvero liberi, ma non lo siamo mai fino in fondo se continuiamo a collezionare rimpianti.

Nonostante sia musicalmente diverso dalle passate pubblicazioni, il nuovo singolo rappresenta di fatto l’anello di congiunzione con il precedente EP fugit (pubblicato due anni fa).
Il disco si chiudeva infatti con il brano non è la fine, dove si ripete infatti lo stesso riff di Cinico.

“La mia storia musicale inizia con l’adolescenza, quando ormai gli anni ‘90 stavano volgendo al termine. Ma gli anni ‘90, a quel punto, c’erano stati, eccome se c’erano stati!
Così, legati un po’ al passato, io e la mia musica siamo perennemente fuori, non di tendenza. Proprio per tornare a quelle che considero le mie radici, oggi chiudo con l’elettronica e torno all’essenziale, al grunge, al rock, alla musica suonata davvero, talvolta distorta, talvolta pure imprecisa.
Lo faccio nel tentativo di raccontare la mia generazione e per rivolgermi a quelle successive, per raccontare a tutti di quel futuro tanto promesso ma che non arriva mai, per raccontare un mondo tutt’altro che perfetto che, però, ti chiede di esserlo.”

BITS-RECE: Comete, “Lividi”. Maledetto cuore, benedetta notte

BITS-RECE: Comete, “Lividi”. Maledetto cuore, benedetta notte

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

E siamo stati tante cose messe insieme male
Forse non siamo stati disegnati bene
Come un grande quadro in un museo un po’ vuoto
Dove non passa nessuno 

E siamo stati lampi e tuoni
In mezzo a temporali estivi
Che durano poco vanno via veloci
Ma fanno i peggio casini
(da “Lampi e tuoni”)

Quanto sarebbe più leggera, più lieve, la vita se il cuore non ci si mettesse sempre a complicare le cose? Quanto potremmo stare meglio? Ce lo diamo sempre…

Ma senza tutte quelle meravigliose complicazioni saremmo davvero più felici? Senza considerare che, senza le turbolenze del cuore, i cantautori sarebbero pressoché disoccupati e noi avremmo molte meno canzoni d’amore con cui farci compagnia.

E che dire della notte, quella fetta del giorno così magica e misteriosa, in cui tutto, oltre che più silenzioso, si fa più lento e più piccolo. È proprio quello il momento in cui noi siamo davvero “noi”, il momento in cui ci parliamo con più sincerità, e in cui molte delle cose che pensavamo di esserci lasciati alle spalle si ripresentano nitide davanti a noi.

Ecco, senza la tribolazioni del cuore e senza l’abbraccio paziente e consolatorio della notte probabilmente non ci sarebbero stati nove capitoli di Lividi, il nuovo album di Comete. Un disco in cui il cantautore ha raccolto nove istantanee di vita “scattate” nel corso degli ultimi due anni.

Come è facile intuire, si tratta perlopiù di immagini dipinte con toni in minore, elaborate tra ricordi nostalgici, riflessioni sugli errori commessi, storie che hanno preso destini insperati, qualche rimorso, qualche rimpianto. O anche solo una passeggiata in una sera di primavera, quando è maggio, ma la felpa ci sta ancora bene.

“Oggi è davvero un bel giorno è uscito pure il sole
Di quelle giornate che voglio soltanto cantare
E se ti penso lo so che poi ti voglio sentire
E se ti voglio sentire poi ti voglio abbracciare
E poi ti voglio mangiare
sì, come la cena di Natale”
(da “Peccato!”)

Quella di Comete – al secolo Eugenio Campagna – è una poetica crepuscolare, illuminata da bagliori tenui e gentili.
Da una parte ci sono i racconti dei dolori del cuore e della mente, dei lividi che la vita senza volerlo ti lascia addosso, ma in fondo c’è uno spazio aperto alla speranza, alla voglia di tornare a sorridere.

Perché se la notte è fatta per guardarci dentro e per fare la conta di tutte le botte prese, è anche vero che la vita ci aspetta dopo, alla luce del sole.

“Oggi è stato un giorno senza senso
Di pioggia di rumori e con un nodo nella gola
Stretto, stretto, stretto, stretto, stretto
Pensavo di morire poi invece è tornato il sole”
(da “Lividi”)

 

#MUSICANUOVA: rovere, “Stupido classico”

#MUSICANUOVA: rovere, “Stupido classico”

“All’inizio di una relazione, anche le attività più semplici, se fatte insieme, diventano un momento importante. Un viaggio in auto, una canzone dall’autoradio, sono subito ricordi indelebili. Il tempo passa veloce ma ci si aggrappa a ogni istante nella speranza non passi mai. Ti ritrovi a ringraziare ogni semaforo rosso che ti allontani dalla fine di quella serata e ti faccia rimanere anche solo qualche momento in più con quella sensazione di perfezione addosso.”

A quasi un anno dall’ultimo brano, i rovere tornano con un nuovo singolo, Stupido classico.

Tra dubbi e insicurezze, tipiche delle prime fasi di una frequentazione – “tu con i tuoi sogni, io con mille dubbi”, “stanotte spaccami e giurami che non torni a casa e resti con me” – Stupido classico parla delle emozioni che si provano all’inizio di una relazione, quando ci si aggrappa a ogni piccolo momento e gesto sperando che il tempo non passi mai.

#MUSICANUOVA: ceneri, “Ritornerò”

#MUSICANUOVA: ceneri, “Ritornerò”

Dopo il brano Ultima Festaceneri, seconda anima della cantautrice friulana Irene Ciol, torna con il nuovo singolo Ritornerò.

Secondo tassello del suo nuovo percorso discografico, Ritornerò parla dell’importanza di saper lasciare andare via le persone, gli affetti. Nel brano ceneri si confronta con il cambiamento, l’amore e la paura di perderlo: “A volte c’è il bisogno di perdersi e spostarsi per potersi riconciliare con se stessi. Capita di non riconoscersi più nella persona che si è sempre stati ed è difficile ammetterlo perché si ha paura di perdere chi ci sta accanto”, racconta ceneri e continua: “Accettando il cambiamento come parte della natura delle cose si può diventare la versione migliore di sè senza più la paura di rimanere soli”.

Come per i precedenti brani, l’artista prosegue il sodalizio artistico con i B-CROMA, il duo formato dai producer Rocco Giovannoni e Marco Spaggiari, a cui si aggiunge per l’occasione nella parte compositiva il dj, produttore e polistrumentista italo-canadese Bruno Belissimo che arricchisce le sonorità del brano malinconico e sognante sostenuto dalla voce eterea e sussurrata di ceneri.

Scrivo il tuo nome sui petali di un fiore 

il tuo ricordo sbiadisce tra le mie dita 

se mi allontano è solo per restarti accanto 

ridarti lo spazio che hai perso ormai 

Mi lascerò trasportare 

Sempre più in profondità

e forse davvero 

non so niente di me 

ritornerò come un’alba 

ti sfiorerò 

e anche se svanirò 

io non me andrò non me ne andrò mai

La notte che si scioglie senza far alcun rumore 

in mezzo alle pieghe del buio mi perderò 

lo so 

Mentre secondi pesano quanto le ore 

Mi chiedo se domani mi riconoscerò 

Mi lascerò trasportare 

Sempre più in profondità

e forse davvero 

non so niente di me 

ritornerò come un’alba 

ti sfiorerò 

e anche se svanirò 

io non me andrò non me ne andrò mai

ritornerò non preoccuparti 

ti sfiorerò 

e non me ne andrò 

io non me andrò non me ne andrò mai

Sussurri di ombre lasciate in sospeso 

Seguendo la sera mi perderò 

Lascio che la notte mi porti altrove 

Per ritrovare quello che non ho 

ritornerò come un’ alba 

ti sfiorerò 

e anche se svanirò 

io non me andrò non me ne andrò mai

ritornerò non preoccuparti 

ti sfiorerò 

e non me ne andrò 

io non me andrò non me ne andrò mai

#MUSICANUOVA: Santamarea, “Splendere”

#MUSICANUOVA: Santamarea, “Splendere”

Dopo Acqua Bagnami, scelta da Etro come colonna sonora della sua sfilata alla Milano Fashion Week SS 2024, i Santamarea tornano con Splendere.

Il nuovo singolo della band palermitana, liberamente ispirato ai versi di un libro di poeti arabi di Sicilia dell’anno Mille, trovato per caso in una piccola libreria tra i vicoli del centro di Palermo, trasporta tra antri scuri e improvvisi cieli luminosi.

Al centro vi è la storia di una separazione e il dolore che ne consegue, così forte da non far distinguere tra il proprio sangue e le proprie lacrime. Eppure, tra voci stregate e paure, appare possibile trovare una voce splendida che genera una metamorfosi, vere e proprie ali, per riuscire a volare sopra le cose e vederle dall’alto come mille luci.

Una voce ed una chitarra, nude, intime e velatamente minacciose conducono l’ascoltatore tra piene e vuoti e infine in alto, fino a vedere le cose da lontano tra cori, percussioni spezzate, sintetizzatori e chitarre.

Non vedi,

la lacrima dei miei occhi ha la stessa sostanza del mio sangue

In ogni sole è inscritto il suo tramonto, ma tu adesso guarda le mie gambe,

Come tremano, come tremano, sembrano rami…

Ed il mio cuore, dardi infuocati,

trafitto di luce trafitto di luce, strafatto di luce

Io e te non siamo mai tanto cambiati,

ma le tue ciglia adesso sembrano lame, non le posso guardare

Le tue labbra, perle infuocate, non le posso toccare

E la mia testa è una casa stregata piena di voci,

Piena di voci, piena di voci

Splendide, voglio le ali per non lasciarmi mai spegnere

Lampi stanotte guardate il mio cuore, dardi infuocati

trafitto di luce, trafitto di luce, strafatto di luce

Splendida.

Come una corrente tenue prendo quota sopra le paure
Ed in alto in mezzo a mille luci vedo finalmente la mia voce

Voce, 

la mia voce,

voce…

Splendida, voglio le ali per non lasciarmi mai spegnere

Lampi, stanotte guardate il mio cuore

Dardi infuocati, trafitto di luce, trafitto di luce, strafatto di luce 

E la mia testa, casa stregata, piena di voci, piena di voci, piena di voci

Ed il mio cuore, dardi infuocati, trafitto di luce, trafitto di luce, strafatto di luce

E la mia testa, piena di voci, piena di voci
Piena di voci, piena di voci, piena di voci
Piena di voci, piena di voci, piena di voci

Piena di voci, piena di voci

BITS-RECE: James Jonathan Clancy, “Sprecato”. Pastorale per animi inquieti

BITS-RECE: James Jonathan Clancy, “Sprecato”. Pastorale per animi inquieti

 

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.


Se è vero che un disco non andrebbe giudicato dalla copertina, nel caso di questo album un’eccezione penso sia più che lecita. Se non per giudicarlo prima di averlo ascoltato, almeno per farsi istantaneamente un’idea dello stato d’animo che lo permea.

Soprattutto se – come in questo caso – è il frutto di un intenso scambio di idee, di collaborazioni e di reciproche contaminazioni tra l’artista che l’ha realizzata e il cantautore che firma il disco. Il primo è il disegnatore bolognese Michelangelo Setola, il secondo è il cantautore italo-canadese James Jonathan Clancy. L’album invece si intitola emblematicamente Sprecato, ed è il primo lavoro da solista di Clancy, dopo le esperienze con His Clancyness, A Classic Education, Settlefish e Brutal Birthday.

Tornando alla copertina, ciò che colpisce subito lo sguardo è un’idea profonda di inquietudine e alienazione, uno stato d’animo di tensione fosca, “tempestosa”.

Ed è esattamente questo che traspare – limpido e oscuro – dalle tracce del disco.

Folk, psichedelia, synth-pop, darkwave, ambient, i riferimenti presenti nell’album sono tantissimi, intrecciati tra loro in una vibrazione costante.
I suoni sono ora profondissimi ora eterei, ora armoniosi ora dissonanti.

Clancy spazia tra minimalismo e magniloquenza, tra visioni ariose e oniriche e cadute vertiginose, e con la voce dipinge atmosfere immaginifiche.

Sprecato è un disco che si vede, quasi si tocca, è fatto di tinte ombrose, caliginose, plumbee. Castle Night apre all’insegna di un’intimità tipicamente notturna, A Workship Deal è una nerissima sinfonia post-punk che esplode in un finale ruvido e dissonante, Had It All è una disperazione senza possibilità di ritorno cullata su un arpeggio, mentre Out And Alive cresce e si cosparge di un’aura quasi liturgica.

Tra drums, chitarre e synth, molto interessanti le coloriture create dai sax.

Sprecato suona come quelle giornate di passaggio tra estate e autunno, o tra inverno e primavera, quando la quiete viene travolta da una cavalcata nera e minacciosa di cumulonembi. Quelle giornate in cui gelide e improvvise raffiche di vento scompigliano la natura e agitano i pensieri.

Quelle giornate che preannunciano un cambiamento.

Registrato tra Bologna e Londra, Sprecato è stato realizzato grazie a Suner, progetto di Arci Emilia-Romagna sostenuto dalla Regione Emilia-Romagna nell’ambito della Legge 2 sulla musica.

#MUSICANUOVA: M.E.R.L.O.T., “Piccole cose”

“Bramiamo grandi cose, sogniamo di diventare i numeri uno a qualunque costo togliendo importanza alle cose piccole che, sto imparando ultimamente, sono proprio gli scrigni della felicità. Ho voluto dedicare questa canzone a loro.”

M.E.R.L.O.T ritorna su tutte le piattaforme digitali con Piccole cose, il nuovo singolo distribuito da Ada Music Italy.

A cosa diamo davvero importanza?
Quante cose rimangono nonostante tutto?
Appezziamo come dovremmo ciò che abbiamo?
Domande che attanagliano l’anima da sempre, che prima o poi bussano alla porta dei pensieri, quando ormai sembra essere troppo tardi. Questa è l’epoca delle “Piccole Cose”, anche se tutto pare convincerci, oggigiorno, che serva farne di grandi per cambiare il mondo, sottovalutando il benessere che deriva dai gesti all’apparenza “trascurabili”.

“Ho fatto un casino
Ti ho pianto un casino
Ho scritto due parole mi son perso nel vino
Mi sono fatto forza ti ho stretta tra i denti
Nel fiore dei miei danni che sono più di 20
E allora le solite storie, le storie, le solite storie
Urlate a squarciagola quando non hai più voce
Ma ora se ti va resta mia per metà
Erano grandi sogni, sogni grandi
Ma piccole cose”

Il brano, scritto dallo stesso artista e da Daniele Coro, racconta, attraverso gli stati d’animo provati sia nel corso che nella fine di una relazione, quanto sia difficile assistere al cambiamento di quei legami che prima erano parte integrante della nostra vita. I rimpianti, così, ci ancorano al passato e ci sbattono in faccia l’ennesima occasione persa per essere felici.

Un singolo letteralmente “ricamato a mano” dallo stesso M.E.R.L.O.T, che ha curato l’intero progetto dilettandosi nell’arte del cucito. Una nuova passione dalla quale è nata la copertina di “Piccole Cose”, riconfermando così la sua identità artistica e dimostrandosi versatile non solo nella sua musica.

#MUSICANUOVA: Michelangelo Vood, “Scemo”

«Scemo è una canzone che prova a non prendersi troppo sul serio, giocando sull’allontanamento di una presenza tossica dalla propria vita. “Ma mi credi scemo?” è una frase che avrò detto mille volte e che mi andava di urlare in una canzone»

Michelangelo Vood pubblica Scemo, il terzo singolo che anticipa l’album di esordio in uscita a maggio.

Il brano racconta la fine tumultuosa di un rapporto, col ritornello che esplode in una “dedica” poco lusinghiera per la controparte, colpevole di cercare a tutti i costi un contatto decisamente poco gradito.

Una dedica a quella persona di cui vorremmo liberarci per sempre, un vecchio amore che ritorna, un vicino di casa antipatico, un amico che ci ha deluso profondamente, un capo troppo esigente.

Dietro l’atmosfera apparentemente leggera del brano, il cantautore prova a esplorare tematiche complesse, come l’accettazione della solitudine, le pressioni derivanti dalla paura del giudizio altrui e l’istinto di sopravvivenza in una metropoli mangia-sogni.

Vood ha una vocazione naturale nel far vibrare il suo vissuto sulle stesse note di chi lo circonda, condividendo frammenti di una vita eccezionalmente ordinaria: è un cultore delle piccole cose quotidiane e sta costruendo la propria carriera da cantautore tra i live club e gli studi di registrazione di Milano, città in cui ha iniziato anche l’insegnamento di italiano e storia in alcune scuole superiori locali.

Il brano – realizzato con il sostegno del MiC e di SIAE nell’ambito del programma “Per Chi Crea” – è stata prodotta da Giordano Colombo e si arricchisce delle chitarre di Nicolò Carnesi e dai synth di Donato Di Trapani (già musicista per Colapesce Dimartino, Paolo Nutini).

Non mi scuserò
Per le cose fatte in due
In questa città
Che brucerò  
Che brucerò vedrai
È troppo tardi ormai
Tutti i miei sogni son morti già

Ma mi credi scemo
Se vuoi te lo spiego
Dillo a chi vuoi
Ai preti o all’FBI
Ma per chi mi hai preso scemo
porta sta faccia da scemo lontano da qua

Non do peso a foto e like
Dormo male lo stesso
Ma tu di me cosa ne sai
Ti prendi tutto ciò che vuoi 
L’ha detto pure Freud
Tutti i miei sogni son morti già

Ma mi credi scemo
Se vuoi te lo spiego
Dillo a chi vuoi
Ai preti o all’FBI
Ma per chi mi hai preso scemo
Porta sta faccia da scemo lontano da qua (x2)

Ascolta bene 
Questa è l’ultima volta che te lo dico
Che poi è inutile che mandi
100 messaggi su whatsapp
Hai scritto a chiunque
in DM, Messenger
Addirittura una mail
Ma tutto a posto
Ma pensi che so scemo
Questo è l’ultimo messaggio che ti mando perché poi ti blocco
Mo avast

Ma mi credi scemo
Se vuoi te lo rispiego
Dillo a chi vuoi
Ai preti o all’FBI
Ma per chi mi hai preso scemo
porta sta faccia da scemo lontano da qua

Scemo scemo scemo scemo scemo (x2)

Porta sta faccia da scemo lontano da qua (x2)