BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
Come si fa a restare per sempre al sicuro? Come si fa a fidarsi e poi fidarsi di nuovo?
Perdonate la banalità, ma se non fosse già abbastanza evidente dal titolo, è la fiducia il tema centrale dell’ultimo album dei Ministri. La fiducia, uno dei moti d’animo più altruisti e delicati di cui l’uomo sia capace, e il gruppo milanese – arrivato al sesto disco e dopo 12 anni di musica segnati da una costante ascesa – la canta e la suona a modo suo, con 12 tracce di rock piuttosto tirato e pestato (ma anche con qualche momento di pausa): la fiducia chiesta dai trentenni di oggi ai genitori (Fidatevi), così incapaci di inquadrare il nuovo mondo del lavoro e incapaci di comprendere certe scelte, la fiducia cieca da riporre nell’amore (Tienimi che ci perdiamo), la fiducia in un futuro che ci siamo abituati a pensare in grande, ma con prospettive troppo piccole (Due desideri su tre), la fiducia in se stessi, anche quando questo implica porsi in contrasto con ciò che “gli altri” vorrebbero per noi (Le vite degli altri), anche quando facciamo e rifacciamo gli stessi errori (Memoria breve).
Un bisogno di fiducia espresso però mai con una vera e propria, e forse troppo prevedibile, rabbia, quanto piuttosto con uno slancio di libertà e una lucida consapevolezza che in fondo la vita fa il proprio corso: i tempi sono quelli che sono, il futuro tanto luminoso non è, ma siamo qua e in qualche modo ne dobbiamo uscire. Siamo nell’epoca dell’ansia e della solitudine, l’età delle spiritualità fai-da-te, ridotte alle parole, spesso vuote, pur di sperare in qualcosa. La soluzione dei Ministri è in un sano, silenzioso, atto di ribellione: disertare quella battaglia quotidiana, forse non così necessaria, del tutti-contro-tutti. Almeno, aspettare: “guarda il tuo incubo, e digli ciao, ciao, ciao”.
BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
Concentrare in una manciata di pezzi un delirio sonoro come poche altre volte se ne sono ascoltati: sembra essere stato questo il comandamento seguito dal collettivo Superorganism per dare forma all’esordio discografico. Una missione ampiamente compiuta, a giudicare dal risultato. Il progetto del mega-gruppo è nato nel 2017 e vede coinvolti otto musicisti / amici / coinquilini con base a Londra in una sorta di studio-quartier generale, ma provenienti da Inghilterra, Giappone, Australia e Nuova Zelanda. Una sana incarnazione di multicultura. Otto menti affamate di tutto ciò che ruota attorno all’universo pop, ma soprattutto pronte a scoppiare in un tripudio di suoni.
Difficile capire da dove prendano ispirazione questi ragazzi, tanto il loro genere è personale, eterogeneo e inclassificabile: si parte da una spiccata attitudine pop, ma il punto di arrivo straborda ora nell’elettronica, ora nell’indie, ora chissà dove, e quando lo fa abbatte i confini senza chiedere troppo permesso. Nelle 10 tracce di questo primo, omonimo album, ci sono distorsioni, campionamenti di rumori e suonerie di cellulari, armonie vocali, sintetizzatori impazziti, tanto che per rendere un’idea esaustiva di cosa sono i Superorganism si potrebbe parlare tranquillamente di “caleido-pop“.
Se cercate un disco che vi shackeri allegramente la testa, questo è ciò che farebbe al caso vostro.
BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
Groove. Incessantemente groove. Instancabilmente groove. Groove come una religione, una legge non scritta, ma ovviamente suonata. Nell’universo interspaziale dei Vertical, popolato da afro-alieni, l’aria pulsa di groove in ogni angolo tra beat, giri di basso e squilli di fiati. Un groove che prende ora le forme del funk, ora quelle dell’afrobeat, ora quelle del blues, ora quelle di un pop psichedelico figlio degli anni ’70. Tutto questo è concentrato e mescolato nelle quattro tracce di Equoreaction, secondo EP di una trilogia della band vicentina, che segue la pubblicazione di Alpha. Nel nome del groove.
“Se bella come Roma, stronza come Milano”. Un inciso efficace che va dritto al punto, una di quelle dichiarazioni d’amore che si presterebbero perfettamente a essere stampate su qualche t-shirt. Inizia così il ritornello di Bella come Roma, primo singolo dei Viito, duo di fuorisede romani che proprio in questi giorni hanno movimentato non poco la Viral 50 Italia chart di Spotify, conquistandone addirittura la vetta. Un esordio “elettro-vintage”, indie nell’attitudine, ma potentemente mainstream nel risultato, al punto da convincere Sugar a metterli sotto contratto. Fatevi un giro sulla loro pagina Facebook e scoprite se siete pronti a diventare delle “anime”…. Ah, il ritornello continua così: “stasera mi sbronzo, domani ti amo”.
Ci piace assai!
Anticipato dal singolo Magazine, il nuovo album degli Editors si intitolerà Violencee uscirà il prossimo 9 marzo. Magazine segna un cambio di stile per la band inglese: si tratta infatti di un inno pop “puntato contro coloro che sono al potere… politici e imprenditori corrotti”, come ha dichiarato il cantante Tom Smith. A marcare il pezzo, oltre alla voce del frontman, la carica di new wave e indie rock che ha reso inconfondibile il sound della band.
Il video che accompagna il brano è stato girato ad Amsterdam dal fotografo, direttore e collaboratore degli Editors, Rahi Rezvani.
Violence è il sesto album degli Editors ed è prodotto da Leo Abrahams, Benjamin John Power e dagli stessi Editors. Questa la tracklist: Cold Hallelujah (So Low) Violence Darkness At The Door Nothingness Magazine No Sound But the Wind Counting Spooks Belong Oltre alla versione standard in CD e download, dell’album saranno disponibili: – edizione limitata del cofanetto contenente il CD, due bonus track, 2 calamite, 12 inserti e un poster – edizione standard del vinile 180g. Include anche un codice per il download – edizione limitata del vinile 180g, di colore rosso. Include un codice per il download e due bonus track. Il vinile è contenuto in una custodia pieghevole, contenente 12 inserti A marzo la band partirà inoltre per un tour europeo che la porterà anche in Italia: l’appuntamento è per il 22 aprile al Forum di Assago. Qui tutte le date e le info.
Il 9 febbraio uscirà il quinto album dei Franz Ferdinand,Always Ascending. Ad anticiparlo, dopo il singolo omonimo, è ora Feel The Love Go, un pezzo dai synth belli pompati e con una spiccata attitudine da dancefloor. Registrato tra Londra e Parigi, l’album vede la produzione di Philippe Zdar, che già ha messo mano ai lavori di Cassius, Phoenix e Beastie Boys, e si preannuncia ricco di nuove idee e sperimentazioni sonore. Il disco sarà pubblicato in digitale, CD, vinile e in formato musicassetta in edizione limitata, oltre a una special edition disponibile on line, con un vinile blu e bianco, una stampa autografata e una borsa. Il video di Feel The Love Go è opera della regista Diane Martel ed è per ora visibile su Apple Music.
Il leader della band, Alex Kapranos, vi appare nelle vesti di un “miracoloso” predicatore evangelico star della TV.
«Bill Murray è un racconto della costante ed ostinata ricerca della felicità, la quale avviene tramite scenari che si distaccano dall’apparente banalità della vita quotidiana. Scenari lontani e surreali che si traducono in situazioni non tangibili lasciando lo sguardo sul “traguardo della fuga”. Tutto prima o poi diventa routine anche il distaccarsi da quest’ultima. Non siamo quindi in grado di fuggire ed avere una felicità che sia continua.»
Il singolo fa da anteprima al primo album di I Giocattoli, Machepretendi, in uscita in primavera con la produzione di Carota de Lo Stato Sociale e di Hyppo dei Keaton. I Giocattoli nascono per puro divertimento a Palermo sul finire del 2016 da un idea di Duilio Scalici e Ernst Mormile, dilettandosi dapprima in cover. La passione per il video-making li porta presto a realizzare video che nell’immediato raggiungono una buona visibilità e accende in loro la volontà di sfidarsi a scrivere inediti. Nel 2017 entrano a far parte del gruppo anche Chiara Di Trapani e Davide Casciolo, formazione che finalmente li porta a realizzare il primo singolo Sulla Neve, seguito da Il Ragno, il cui video raggiunge e supera in poco tempo i 30 mila stream su Spotify.
Le ultime notizie che si avevano degli Afterhours risalivano alla primavera dell’anno scorso, con la pubblicazione di Folfiri o folfox, uno dei capitoli più oscuri e funerei della loro lunga carriera. Manuel Agnelli doveva ancora metabolizzare la scomparsa del padre e il disco trovava nella morte uno dei suoi cardini principali.
A distanza di un anno, l’atmosfera è decisamente cambiata. Nel frattempo Agnelli è entrato nella cultura pop sedendo alla scrivania dei giudici di X Factor, ma soprattutto quest’anno la band festeggia il trentesimo anniversario di attività. Era infatti l’87 quando il gruppo ha fatto il suo esordio sulle scene, in un’epoca che, musicalmente e storicamente parlando, aveva tutto il sapore della rivoluzione. “Sembrava davvero che il mondo stesse cambiando: era l’epoca di mani pulite, il muro di Berlino stava per cadere, l’URSS si stava disgregando, e i Nirvana erano in cima alle classifiche, quasi impensabile oggi, era il periodo del grunge”, ricorda il leader del gruppo. In questo clima di rivoluzione gli Afterhours ci si sono buttati a capofitto, ponendosi come gli esponenti di una nuova era del rock italiano: si parlava di scena indie, quella da cui sarebbero venuti fuori anche i Marlene Kuntz, c’era la scena alternativa, c’era un fermento potente, ed era italiano. Tra le pietre miliari della loro carriera, l’album Hai paura del buio?, targato 1997 e riconosciuto come uno dei capolavori della musica italiana: è lì dentro Sui giovani d’oggi ci scatarro su, divenuto un brano simbolo dello spirito di quegli anni. In questi trent’anni gli Afterhours sono cambiati, nella musica e nella formazione, per esempio assoldando negli ultimi anni uno come Rodrigo D’Erasmo o passando a un certo punto – dall’album Germi, nel 1995 – dall’inglese all’italiano: “Non ho mai avuto la spinta a cantare in italiano per una ragione artistica, anche se tutti intorno a me insistevano. Però ci siamo accorti che c’era un pubblico che stava crescendo con noi e con il quale dovevamo iniziare a comunicare direttamente, e non potevamo continuare a farlo attraverso l’inglese. Per un periodo siamo andati a suonare anche negli Stati Uniti e potevamo avere la possibilità di sfondare, ma per avere successo negli USA devi stare là, non puoi viverli da lontano, e questo avrebbe comportato un trasferimento quasi definitivo. Il fatto di non aver aver avuto successo in America però ci ha permesso di crescere qui in Italia, diventando parte di un momento. Se fossimo cresciuti in America, lo avremmo fatto forse poi in fretta e con più mezzi a disposizione, ma non avremmo rappresentato nulla né qui né là”, afferma Agnelli.
L’occasione di celebrare degnamente questi primi trent’anni è arrivata dopo un incendio che ha distrutto l’edificio in cui la band aveva lo studio di registrazione, dal quale sono stati miracolosamente recuperati tutti i materiali accumulati negli anni: “Le fiamme sono arrivare fino alle pareti esterne, ma non sono entrate e neppure il calore ha rovinato i nastri dei vecchi materiali. Nel recuperarli abbiamo trovato tantissime registrazioni di cui non ci ricordavamo, molte demo, e anche qualche inedito. I trent’anni del gruppo sono stati il momento giusto per pubblicare una parte di queste rarità, insieme ai successi che il pubblico ha conosciuto: una raccolta per chi non conosce gli Afterhours, ma destinata anche a chi li conosce già ma non ha mai ascoltato le prime versioni di alcuni brani, molto più pazze di quelle finite sugli album.” La raccolta, mastodontica, si intitola Foto di pura gioia, e prende nome dalle prime parole di Quello che non c’è: si compone di quattro dischi, di cui tre di Best of e uno di rarità, e a parte le demo, tra i 76 brani non ha al suo interno inediti. Nella versione deluxe anche un libro con foto e interviste. “Questi trent’anni sono stati un po’ un mattone, come questo cofanetto – scherza Agnelli -, ma realizzarlo serviva prima di tutto a noi per razionalizzare, per capire che quelle cose le abbiamo davvero fatte. Avevamo pronto del materiale inedito, ma non aveva senso buttarlo qui dentro, sarebbe andato perso. Per promuovere il progetto serviva un brano rappresentativo, e Bianca è sembrata la scelta giusta. Dopo averla suonata in studio nella nuova versione abbiamo pensato che per completarla servisse una donna, una come Carmen Consoli. È una personalità forte, un’artista dotata di una voce antica, di quelle cioè che riconosci subito; anche lei ha esordito negli anni ’90 e ha una matrice rock in comune con noi. Abbiamo fatto percorsi paralleli, ma non ci eravamo mai incontrati”.
Ispirata a quegli stessi versi di Quello che non c’è è anche la foto in copertina, che ritrae Manuel bambino: “È stata scattata ad Abbiategrasso, davanti alla casa dove abitavo. La pistola che ho in mano è un regalo che mio padre mi ha portato da uno dei suoi viaggi in Africa, penso l’abbia presa in aeroporto ricordandosi del mio amore per i western. È una foto che mi fa pensare alle mie radici, e per questo è molto importante. Ho letto che Springsteen quando aveva un momento di crisi prendeva la macchina e guidava fino a casa di suo padre, faceva qualche giro intorno e poi tornava indietro. È una cosa che facevo anch’io, perché mi aiutava a ricordare che la mia storia era anche altro rispetto a quei momenti, era iniziata altrove”.
Il 10 aprile 2018 gli Afterhours approderanno al Forum di Assago per una data live celebrativa del trentennale: “Sarà un concerto più che uno spettacolo, e di sicuro durerà almeno tre ore, perché vogliamo riproporre il più possibile. Recentemente ho assistito al concerto di Nick Cave, proprio al Forum, ed è stato forse uno dei più belli che abbia visto: scenografia ridotta al minimo, luci sul pubblico e gli spettatori in un silenzio quasi liturgico. Si è creato un contatto vero tra l’artista e gli spettatori, cosa che oggi capita raramente”. Continua Agnelli: “Oggi se non riempi gli stadi, se non suoni a Wembley non sei nessuno, tutto ruota sui numeri e sulla visibilità: ecco, anche noi ad aprile potremo vantarci di aver suonato in un palazzetto e non soffriremo più di inferiorità verso gli altri gruppi”, dice con un tono ironico.
Ma oggi, dopo trent’anni, dopo essere usciti vivi (“ma un po’ malconci”) dagli anni ’90, quel profumo di rivoluzione si sente ancora nell’aria? “No, non c’è più, ma semplicemente perché oggi alla musica non viene più chiesto di essere rivoluzionaria, ma solo intrattenimento”, dichiara Rodrigo D’Erasmo. “La colpa però è anche un po’ nostra, perché non abbiamo saputo trasmettere niente alla nuova generazione: noi abbiamo imparato l’arte dell’autoproduzione, dell’autodeterminazione, della controcultura, del concepire la musica come una professione, ma cosa abbiamo insegnato a chi è venuto dopo? Non nascondo di essere rimasto un po’ male quando mi sono accorto che per il pubblico di X Factor io non ero nessuno, se non un cinquantenne con i capelli lunghi, ma mi ha fatto bene, perché mi ha costretto a rimettermi in gioco. Per una nuova rivoluzione ci vorrebbe qualcosa come il punk, qualcosa che dia una scossa e che abbia una forza propulsiva, ma oggi c’è in giro qualcosa di simile? L’unico genere che potrebbe rappresentare una rivoluzione è la trap, ma non ha la stessa spinta del punk, è molto più passiva. Oggi si preferisce aspettare che la rivoluzione venga fatta da altri, non c’è la rabbia di volerla scatenare. E sì, è un po’ anche colpa nostra”.
Galeffi è un cantautore attivo sulle scene da un anno, forse neanche.
Arriva da Roma, ma la sua musica ha profumi diversi, sembra arrivare da qualche sotterraneo d’Europa, con una buona dose di familiarità con l’attitudine del britpop. Tra le sue passioni, il calcio, il cinema e, non a caso, i Beatles. Il suo esordio discografico è in programma per il 24 novembre, quando uscirà Scudetto, il suo primo album. Ad anticiparlo è il singolo Occhiaie, ottimo esempio di una scrittura fatta di dettagli quotidiani – come una tazza di caffè, delle occhiaie e del polistirolo – disincantata e surreale.
Questa la tracklist del disco: Occhiaie Polistirolo Tazza di te Potter / Pedaló Quasi Camilla Puzzle Pensione Burattino Tottigol
BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
Emiliano Merlin è il nome e la mente che si nasconde dietro al progetto unòrsominòre. (scritto esattamente così, con gli accenti e il punto finale). Musicista – e ricercatore di astronomia – veronese trasferitosi a Roma, dopo l’esordio con La vita agra nel 2012, nell’aprile 2017 ha pubblicato due nuovi lavori in contemporanea (a offerta libera su bandcamp nell’edizione digitale), l’album Una valle che brucia e l’EP Analisi logica. Due lavori che dovevano necessariamente restare separati vista la netta differenza di suoni e intenzioni che li caratterizza. Una differenza che, almeno nel mio caso, si porta dietro anche una netta distinzione di giudizio. Quanto l’album è sovraccarico di emozioni, tanto l’EP suona vuoto e pretestuoso.
E proprio da qui voglio partire. Le tre tracce di Analisi logica seguono quella ruvida natura indie rock che non sono mai riuscito a digerire, ma ancora di più quello che non riesco a digerire è la lezioncina morale – l’ennesima – che un cantautore si sente in diritto e dovere di rovesciare su di noi, povero popolo troppo impegnato tra selfie e aperitivi per capire come gira davvero il mondo. Un testo come quello di O tempora, il pezzo di apertura, pur con tutto il sarcasmo, suona come una versione riveduta, corretta e inacidita dell’Avvelenata di gucciniana memoria, con la differenza che in quel caso eravamo davanti a un testo e a un’intenzione di ben altra levatura, e soprattutto non c’era – o almeno non ci ho mai percepito – la voglia dell’autore di porsi su un livello più alto, ma semplicemente l’amara dichiarazione di non essere parte di un certo tipo di circo umano. Anzi, Guccini se la prendeva con quella frangia di critica seriosa di cui il nostro unòrsominòre. sembra proprio far parte. Là c’era il bersaglio della politica, qui di Instagram. E va beh, segno dei tempi. Apprezzabili comunque le numerose variazioni ritmiche della base, realizzate in un certosino lavoro di copia-e-incolla di sequenze. Suonano meno retorici i due pezzi successivi, Épater le bourgeois e pezzali, che non riescono comunque a rendere veramente interessante il disco.
Come dicevo però, a fronte di un EP liquidabile, unòrsominòre. regala meraviglie con quello che un tempo si sarebbe chiamato LP, cioè l’album vero e proprio, Una valle che brucia. Undici tracce partorite da un lunghissimo e densissimo flusso di coscienza, musicalmente sospese tra chitarre e sintetizzatori. Una valle che brucia è un disco inquieto, tormentato e spietato, capace di metterti a disagio nel suo essere nudo e sincero. Le riflessioni dei testi passano dalle considerazioni sulla presenza o assenza di Dio, ai gesti eroici di chi ha offerto la propria vita per il prossimo, fino a scontrarsi con la tragedia odierna dei migranti. Anche qui, non mancano episodi di critica sociale nell’era del web e dei tuttologi (Fare bene / Fare meglio). Amaramente disillusa la preghiera atea di Hubris o Preghiera senza dio, violentissima e vivida la denuncia di Mattatoio, che si scaglia sull’uccisione degli animali per scopi alimentari. Dappertutto regna una tensione emotiva greve, plumbea e quasi liturgica, sulla quale si scolpiscono come diaspro testi densissimi.
Il capolavoro, unòrsominòre. lo realizza con Varsavia, brano ermetico e dall’atmosfera disagiante, grondante di riferimenti storici e letterari. Un monolite cantautorale ingombrante e apocalittico, nero e deserto come un campo di lava rafferma.
L’edizione fisica dei due lavori, disponibile su ordinazione via mail, consiste in una bustina di cartoncino riciclato, contenente i due cd, fotografie, e un codice per downloadare alcuni contenuti speciali (una raccolta di foto delle sedute di registrazione del disco, un libretto con i testi delle canzoni stampato nel formato degli articoli scientifici, con tanto di note a fondo pagina, e una versione alternativa di una delle canzoni del disco).