Qualche mese fa avevo recensito Hopelessness, primo progetto solista di Anohni, precedentemente nota con il nome di Antony Hegarty, cantante e anima di Antony & The Johnsons.
Le parole che avevo usato per descrivere l’album erano state a dir la verità non molto lusinghiere: disco troppo pretestuoso, complesso, ambizioso e a mio avviso difficile da metabolizzare nel voler essere un progetto dance/elettronico nei suoni e molto impegnato e coraggioso nei testi.
Le eccezioni però c’erano, perché un pezzo come Drone Bomb Me è di grande bellezza, con quei suoi freddi arpeggi sintetici, così come mi era piaciuta l’intensità emotiva di Crisis, ma nel complesso Hopelessness non mi ha convinto.
Mi sembra ora giusto tornare a parlare per un momento di questo progetto non perché io abbia cambiato idea, ma perché nel corso di questi mesi sono stati rilasciati i video di diversi brani dell’album, e sono tutti di forte impatto emozionale.
Video tutto sommato semplici, in cui protagoniste sono sempre figure femminili, senza sceneggiature elaborate, spesso anzi ridotti a primi piani di comparse che si limitano al lipsync della canzone, eppure la suggestione che creano è davvero notevole, attraverso un’operazione che con le immagini completa l’intento dei brani di lanciare messaggi e accuse a livello politico e sociale.
Il primo è stato Drone Bomb Me, che ha come protagonista una Naomi Campbell in lacrime in un carcere, con un riferimento piuttosto evidente alla pena di morte.
La supplica di perdono per le atrocità militari in Medio Oriente raccontate in Crisis ha invece il volto, e nuove lacrime, dell’attrice Store Lever.
Il volto enigmatico della stessa Anohni è protagonista di I Don’t Love You Anymore, in costante bilico tra gioia e dolore.
Diversa la clip per il brano che dà il titolo all’album: qui l’ambientazione è quella di uno scenario onirico e distopico sospeso in una dimensione senza tempo e quasi apocalittica, come il messaggio della canzone.
Si torna ai primi piani con Marrow: qui a occupare il centro della scena è il volto fortemente espressivo dell’artista statunitense Lorraine O’Grady.
Da ultimo, il video di Obama, che nella sua parole rappresenta forse la critica più dura lanciata da un personaggio pubblico nei confronti del presidente uscente. A ciò si aggiunge la richiesta, riportata in un messaggio pubblicato anche su Youtube sotto al video, di rilasciare Chelsea Manning, la militare americana transgender, processata nell’inchiesta WikiLeaks perché accusata di aver trafugato importanti documenti riservati e detenuta in condizioni che violano i diritti umani.
BITS-RECE: Anohni, Hopelessness. Il cambiamento, lo sconforto e la confusione
BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
In copertina c’è un volto confuso, androgino, frutto di un mashup fotografico tra la faccia dell’artista e quella di Naomi Campbell. E le canzoni all’interno del disco sono esattamente così, confuse, ambigue, stridenti. Roba che se la musica tende a destra, i testi virano a sinistra e la voce parte dritta per il centro.
Elementi che presi singolarmente sarebbero anche molto apprezzabili, ma così combinati si strappano le vesti a vicenda.
C’era una volta Antony & The Johnsons, e mezzo mondo restò incantato dalla voce senza sesso di Antony Hegarty, di fatto unica anima del progetto. Con lui abbiamo imparato che anche gli angeli si commuovono, e che quando lo fanno esce una canzone come You Are My Sister. Poi lui è diventato lei – o meglio, lo era anche prima, solo che non aveva ancora fatto il passo di farsi riconoscere come donna anche in pubblico – ed ecco spuntare il nuovo progetto Anohni. Il disco di debutto si intitola Hopelessness, più o meno Mancanza di speranza.
Al cambio di identità si accompagna un cambio radicale di musica: le poesie tristi e crepuscolari lasciano spazio a testi durissimi, arrabbiati, disillusi, politicamente interessati: Anohni se la prende con il sistema malato, che porterà tutti alla rovina, e ne ha per tutti, dai droni a Obama, a cui è dedicato un pezzo che non è esattamente un elogio. Un mondo davvero senza speranza, a livelli ansiogeni e sconfortanti. Messaggi che se sono profondamente diversi da quelli cantati un tempo, sono sempre pronunciati dalla stessa voce impastata di miele e melassa, in un contrasto fin fastidioso: se anni fa la voce di Antony era un balsamo, quella di Anohni avresti quasi voglia di zittirla. L’apice è la nenia di Obama, dove il nome del presidente è ripetuto in modo così ossessivo e biascicato che l’istinto è passare alla tracciare successiva, o peggio schiacciare direttamente stop.
L’effetto abrasivo dell’album però non si ferma qui, ma arriva a coprire l’intero elemento musicale: non mi ricordo dove (o forse sì, ma non importa) ho letto che Hopelessness sarebbe una sorta di album dance con testi impegnati. Cioè, in pratica, secondo questa teoria, tra David Guetta e Robyn nelle vostre serate al club potrebbe capitarvi di sentir passare una canzone di Anohni. Oddio, le vie della provvidenza sono infinite, ma non so quali discoteche sarebbero disposte a far passare un brano che di ballabile ha ben poco: che siano suoni elettronici posso riconoscerlo (la base di Drone Bomb Me è da pelle d’oca!), ma che si possano definire addirittura dance, beh, un po’ meno. Quindi no, Hopelessness non è un disco di tormentoni tunz tunz con i testi intelligenti.
I messaggi li ha, e sono anche piuttosto chiari e coraggiosi (per tornare a Obama, conoscete qualcun altro che abbia criticato il presidente in modo così netto?), per il resto è il regno della confusione.
Si salva Crisis, nel suo crescendo empatico.
Se poi volete fare tutti i discorsi sul cambio di identità, sesso e genere musicale e considerare Hopelessness come la farfalla uscita dal bruco, fate pure: io di Anohni facevo anche a meno, Antony & The Johnsons mi andava benissimo, maschio o femmina che fosse. Così come non me ne faccio niente della raffinatissima produzione firmata da Hudson Mohawke e Onehtrix Point Never, sistematicamente osannata, se poi il risultato è un disco che per farsi ascoltare (e apprezzare) ha bisogno di un ascolto quasi scientifico.
Non sempre il cambiamento genera benefici.