Rkomi: partito da Bologna il Io in terra tour

Sulla scia dell’uscita del suo primo album ufficiale Io in terra, il 13 ottobre Rkomi è partito da Bologna con il Io in Terra tour, che lo vedrà protagonista nelle principali città italiane per tutto l’inverno.
Da Solo, a Apnea e Mai più, il disco si arricchisce di preziosissime e importanti collaborazioni con alcuni dei produttori più influenti del panorama rap italiano, da Marco Zangirolami a Carl Brave, Shablo e Parix, The Night Skinny, Nebbia, Zef, Marz e Fritz da Cat, non manca inoltre il feat con il direttore artistico dell’intero progetto Marracash nel brano Bachata.
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“Non vedo l’ora d’ intraprendere questa nuova tournèe live che mi porterà in giro lungo tutta la penisola per tutto l’inverno. Sarà un lungo tour – dichiara Rkomi – ora più che mai sono pronto per affrontare questa grande avventura dal vivo. Tengo in particolar modo alla dimensione live e con il supporto dell’organizzazione diretta da Thaurus Live ho in riservo tante sorprese per dar vita ad uno show davvero esplosivo. In questo tour sono pronto a sfidare me stesso e le mie possibilità per offrire ai miei fan uno show davvero carico di emozioni”.
Accanto ai brani del suo ultimo lavoro, l’artista, durante le sue performance dal vivo, riproporrà i successi che hanno segnato l’inizio del suo singolare percorso musicale.
L’intero tour è ideato e organizzato da Thaurus Live.
Per maggiori info
www.thaurus.it
Di seguito il calendario con le prime date annunciate in continuo aggiornamento:
OTTOBRE
13 Bologna –   Locomotiv Club 
14 Desio –  Movie Club
28 Bergamo – Setai
31 Castelfranco Veneto – Eurobaita
31 Jesolo – Kings club
NOVEMBRE
10 Napoli – Duel Beat
11 Nonantola (MO) – Vox Club 
17 Genova – BANGARANG @Crazy Bull
18 Crema – Momà Club 
24 Torino – Spazio Dora
25 Viterbo –   Subway
DICEMBRE
1 Roma  – Goa Club 
2 Cesena – Vidia Club 
8 Caldogno (Vicenza) – Nord Est
9 Prato – Naif 
22 Milano – Gate club
23 Campobasso  – Invidia Club
GENNAIO
13 Perugia – Urban
20 Carbonia (Ca) – Bliss 
FEBBRAIO
03 Mantova – Priscilla disco club

BITS-RECE: Fergie, Double Dutchess. Il gran bis della “duchessa”

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
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11 anni. Tanto ci ha messo Fergie a tornare in pista. Cioè, a dir la verità non sono stati proprio 11 anni di silenzio questi, perché in mezzo ci sono stati due album con i Black Eyed Peas e qualche brano inedito snocciolato durante il percorso. Però insomma, il secondo capitolo della sua carriera solista si apre adesso, con Double Dutchess, un discone di 17 tracce a cui va ad aggiungersi anche il pacchetto di tutti i video (tranne You Already Know) nella Visual Experience, riuniti nel film Seeing Double. Un po’ insomma come aveva fatto Beyoncé con il Visual Album di qualche anno fa.
Ampiamente anticipato da L.A. Love, M.I.L.F. $ e Life Goes On, Double Dutchess restituisce una Fergie in pienissima forma, anche se forse un po’ appannata dal punto di vista mediatico, ma desiderosa di buttarsi ancora al centro della mischia con un album generosissimo di spunti e poderoso nei suoni.
Quello che colpisce da subito è l’atmosfera decisamente urban in cui è immerso Double Dutchess, capace di passare attraverso momenti molto diversi, con poco spazio riservato al puro pop: l’apertura, grandiosa e sorprendente, è affidata ad Hungry, con le sue note oscure e quasi goticheggianti di trap (dentro ci è finito addirittura il campionamento di Dawn Of The Iconoclaste, successo dei Dead Can Dance) e il featuring di Rick Ross, mentre le tracce successive sono una raffica di variazioni che dal più classico R&B toccano l’hip-hop, il reggae, l’elettronica, per arrivare a chiudere in bellezza con i fuochi d’artificio grazie il rock ardente e affilato di Love Is Pain, in cui si intravede – neanche troppo velata – l’anima di Purple Rain di Prince in un omaggio non ufficialmente dichiarato.
Assolutamente spassosissimi i toni tropicali di Enchanté (Carine), insieme ad Axl Jack, il figlio di Fergie, così come il potente giro di funk di Tension, che sembra – a dirla tutta – rubata dagli archivi di Kylie Minogue.

Insomma, un album sfaccettato e studiatissimo per il ritorno di una protagonista di prima linea degli anni Duemila, che si trova oggi circondata dall’affamata schiera della nuova generazione e che sapeva quindi di doversi giocare il tutto per tutto per dimostrare che oggi c’è ancora posto lei. Almeno sulla carta, il risultato non manca di ispirazione e parrebbe darle ragione: dopo tanti anni Fergie è tornata, c’è, e tiene perfettamente il passo con i tempi.
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Sul versante video invece c’è da segnalare qualche punto di domanda rimasto in sospeso, dal momento che in più di un episodio l'”esperienza visuale” si rivela essere non molto di più che un semplice contenuto bonus aggiunto alla versione audio. Portando il confronto sull’analoga operazione di Beyoncé, la signora Carter – tra l’altro citata tra le fonti d’ispirazione – si porta a casa la vittoria a mani basse.
Tra i momenti da salvare, sicuramente l’intensità immaginifica di Love Is Pain.

Prisoner 709: il ritorno di Caparezza tra acufene, prigionia e autoanalisi

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Tutto è partito da una cosa tanto poco poetica come l’acufene, quel fastidioso fischio che si prova di solito dopo aver ascoltato suoni ad alto volume. Solo che nel caso di Caparezza dal 2015 l’acufene che già lo tormentava è diventato ancora più fastidioso, con conseguente deficit uditivo. Una sorta di prigionia cronica, per evadere dalla quale – al momento – la medica non ha trovato una chiave.
Proprio da questa prigionia e ispirandosi anche all’esperimento della “prigione di Stanford” condotto nel 1971 dallo psicologo Philip Zimbardo, Michele Salvemini ha iniziato a dar forma al progetto – piuttosto complesso – di Prisoner 709, il suo nuovo album, che segue di tre anni Museica. Tanto quello era colorato e positivo, tanto il nuovo lavoro è immerso nei toni del grigio e dell’angoscia e, più in generale, si muove tra gli opposti.
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Prisoner 709 è un disco dal potente impianto concettuale, come pochi ne nascono, un viaggio in un metaforico carcere in cui ogni brano rappresenta un capitolo, dal reato alla pena, fino all’evasione e alla latitanza. Fuori di metafora, le nuove canzoni raccontano il percorso tormentato di un uomo di 43 anni che attraverso una sorta di autoanalisi vomita in musica tutte le domande che ha in testa, fino ad arrivare all’accettazione della sua condizione.
Ma non lo si consideri un concept album nel senso comune: piuttosto, è un disco tematico.
Al centro c’è, mai come prima, lui, Caparezza, anzi, c’è l’uomo Michele. Un segno su tutti: la sua voce nasale, così tanto caratterizzante, non c’è quasi più, confinata in un angolo per far posto al suo timbro naturale. E poi non a caso durante la conferenza stampa di presentazione i giornalisti sono stati disposti in cerchio, a simboleggiare il disco con lui seduto al centro. Nessuna smania di protagonismo, ma solo il bisogno di autopsicanalizzarsi, facendolo attraverso il rap.
Fortissima anche la simbologia numerica: dietro a quel 709, da leggere all’inglese, lo zero si muta in una O, mentre il 7 e il 9 nascondo parole rispettivamente di sette e nove lettere, creando per ogni brano una coppia di termini dicotomici (Michele o Caparezza; compact o streaming; ragione o religione; perdono o punizione; servire o comandare, e così via). Facile quindi intuire che ogni capitolo di questo percorso si focalizza su un aspetto diverso ben preciso: dalla difficoltà di riconoscere se stessi di Prosopagnosia (la patologia che impedisce di riconoscere i volti) al rapporto tra ateismo e religioni in Confusianesimo, dai riferimenti alla psicanalisi di Jung alla voglia di potere da cui è contagiata la società di oggi. Ma non lui, che prende a esempio l’affascinante figura di Ludovico II di Baviera, che tutto voleva essere meno che un regnante: “Oggi c’è una grande voglia di potere diffusa tra la gente, ma solo pochi sono disposti ad addossarsi anche le responsabilità che il potere comporta. Per mia natura, mi sono reso conto di avere poco polso, tendo a essere permissivo, anche con il mio team. Il che non è sempre positivo. Ecco perché ho pensato a una figura come Ludwig di Baviera: un re che non voleva regnare, e che investiva tutto il suo denaro per finanziare le opere di Wagner e costruire castelli. Si può dire che Ludovico II sia stato la prima casa discografica della storia e un antesignano di Michael Jackson per essersi costruito la sua Neverland”.

Un pezzo, Larsen, è poi dedicato a lui, l’acufene, mentre la conclusione è affidata a Protopagno sia!, dal titolo emblematico, che chiude il disco esattamente da dove era partito, ma nello stesso tempo portandolo in un’atmosfera completamente opposta.
Il lavoro sui testi è certosino, i riferimenti nascosti non si contano, e l’ascolto richiede di tenersi le parole sotto al naso. Dopotutto, Caparezza è uno dei grandi maestri del rap italiano, un artigiano abilissimo della parola. Uno che del rap non teme e non vede i limiti.
Nessuna paura del confronto con i lavori precedenti e nessuna indulgenza piaciona alle radio, perché “i dischi devono esistere, non piacere”. E allora ecco che le basi si fanno noise, funk, quasi metal, e se proprio qualcuno trovasse le canzoni incomprensibili il consiglio è quello di ascoltarle come si ascolterebbe un brano in inglese.
Ma oggi, dopo tutto quel lavoro di autoanalisi, chi è il prigioniero e chi è la guardia? “Forse il prigioniero è Michele e la guardia è Caparezza. Ma è una guardia benevola”.
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Il 17 novembre parte il tour nei palazzetti.

Magazzini Generali: dal 22 settembre la nuova stagione con l’hip hop e l’r’n’b di Habitat

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Dopo il successo dello scorso anno, da venerdì 22 settembre, ritorna ufficialmente la nuova stagione dei Magazzini Generali di Milano (via Pietrasanta 16), con un inedito e straordinario special opening new season party firmato Habitat, il party a ritmo hip hop, r’n’b e reggaeton, che con cadenza mensile conquisterà il venerdì notte di moltissimi giovani irriducibile del party.

In linea con la scena internazionale e sull’onda della crescita degli ultimi anni anche in Italia, della musica hip hop, Habitat #TheRealHipHopAttitude è un format che nasce con l’idea di dar vita ad una serata dalle sonorità hip hop e non solo, per soddisfare le esigenze di un pubblico appassionato sia del filone “Old school” sia delle nuove tendenze rap.

Durante l’evento ai Magazzini i resident dj proporranno un set musicale armonico in grado di spaziare dall’hip hop made in U.S.A (Old school, R‘n’B e Trap) sino ai ritmi più latini del reggaeton e dembow.

Per la speciale serata di apertura ad alternarsi in consolle saranno dj Blitz e dj Telaviv.
I biglietti per assistere allo show sono già disponibili in prevendita o acquistabili direttamente in loco.

Ingresso entro 00:00 donna gratuito e 10€ uomo con drink incluso
Ingresso dopo 00:00 10 € donna e 15€ uomo con un drink incluso
Con tessera universitaria 10€ con drink tutta la notte.

“Rap da primo ascolto? No, grazie”. Arriva Io in terra, l’album d’esordio di Rkomi

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Il suo è l’album d’esordio, eppure da mesi è attesissimo
come il ritorno di un veterano, soprattutto tra il popolo del rap, anche se la sua musica è piaciuta a Calcutta, uno che non si muove esattamente nelle frange dell’hip hop. Tutto merito forse della buonissima accoglienza raccolta lo scorso anno dall’EP Daisen Sollen, che gli ha portato una potente ventata di popolarità.

Il soggetto in questione è Mirko Martorana, ma il suo pubblico lo conosce meglio come Rkomi, che poi sarebbe la scomposizione del suo nome.
Classe 1994, nato e cresciuto nel quartiere milanese di Calvairate, prima di arrivare alla musica a tempo pieno ha lavorato nella ristorazione, ma poi la voglia di scrivere e incidere ha preso il sopravvento, e già nel 2014 ha messo in rete le sue prime sette tracce, raccolte in Calvairate Mixtape.
Nel 2016, grazie a Daisen Sollen, Rkomi è stato assoldato nella scuderia di Roccia Music, che lo ha messo sotto l’ala protettrice (ma neanche troppo, dice lui) di Marracash, uno dei suoi punti di riferimento, insieme a Gué Pequeno e Noyz Narcos. Ora è atteso come una delle più promettenti nuove stelle del rap italiano e il passaggio a una major come Universal, assicura, non gli ha portato che vantaggi, offrendogli maggiori possibilità.
Il titolo del suo album, Io in terra, potrebbe apparire un tantino superbo, ma lungi dal volersi definire un “Dio in terra”, il ragazzo ha voluto in quel modo marcare il fatto che nelle nuove tracce c’è proprio lui, Mirko più che Rkomi: come spiega orgoglioso, senza farlo apposta la foto di copertina lo ritrae seduto, ma sembra scattata proprio nell’istante in cui decide di alzarsi per seguire la sua strada. Se infatti Daisen Sollen ruotava sul concetto del ritrovarsi, in Io in terra RKomi mostra di aver individuato la direzione.
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Un disco scritto per la prima volta in studio accanto ai produttori e ai musicisti, cosa che almeno all’inizio lo ha messo in un certo disagio, abituato com’era a lavorare in libertà e in solitudine; un lavoro più immediato nella creazione, ma che necessita di almeno un paio di ascolti per essere compreso fino in fondo, elemento questo che costituisce per Rkomi un punto di qualità. “A volte io stesso scopro interpretazioni nuove dei miei pezzi riascoltandoli dopo parecchie volte. Mi preme molto che il pubblico capisca il senso esatto che volevo dare ai testi, per questo ritengo molto importante la punteggiatura e mi piacerebbe realizzare delle parafrasi delle canzoni da pubblicare on line”.
A chi gli fa notare la mancanza di un pezzo veramente adatto alle radio lui risponde di non essere preoccupato, almeno per ora, e non si può non capirlo visto che su Youtube i video dei primi singoli estratti, Solo e Apnea, viaggiano abbondantemente sopra il milione di visualizzazioni.
Per la produzione dell’album è stato convocato uno squadrone di gente che comprende Shablo, Carl Brave, Parix, Nebbia, The Night Skinny e Fritz da Cat, mentre le collaborazioni si limitano a Marracash e Noyz Narcos: “Non volevo ripetermi e bruciare adesso l’occasione di un featuring con un grande nome, e poi è mancato anche l’episodio giusto per altre collaborazioni”.

Aperto anche il fronte del live, sul quale Rkomi sta lavorando per preparare i prossimi concerti, sentendosi finalmente pronto a stare sul palco. Dopotutto, solo nell’ultimo anno le occasioni di esibirsi dal vivo sono state decine: ciò che lo spaventa di più è la resa che potrebbe avere, visto che lui stesso riconosce di alternare grandi performance a esibizioni da dimenticare. “Il mio primo anno di live non lo consiglio a nessuno, è stato pesantissimo. A volte sul palco sembravo ubriaco, mentre ero solo agitatissimo. Beh, a volte ero davvero ubriaco, ma tutto è servito, ora ho un approccio diverso, ci sono davvero!”.
Insomma, il gran momento di Rkomi è arrivato.

Modern Art: urbanesimo e tropici per il ritorno di Nina Zilli

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Due anni fa cantava di frasi e fumo, oggi inaugura l’era dell’urbanesimo.
Proprio così, “urbanesimo”, nel senso che dal soul e dalle sonorità vintage con cui l’avevamo lasciata, Nina Zilli si è spostata sul versante dell’urban, quello cioè che ingloba in un insieme pullulante r’n’b, hip hop e reggae, mettendoci anche una discreta quantità di elettronica e pop ad alto tasso di beat. L’altro termine che lei stessa associa al suo nuovo capitolo discografico è tropicale, perché zeppo di colori (a partire dalla copertina e dal booklet, in cui i testi sono ripresi dalle pagine di un diario di Nina).
Questo nuovo capitolo discografico ha un titolo eloquente, Modern Art, a indicare qualcosa di nuovo, “moderno” per l’appunto, come i suoni che lo riempiono, profondamente versatile e con i piedi ben piantati sulla strada.
Se prima c’erano le nuvole, oggi c’è il sole, che precisamente è quello dello Giamaica, dove il disco ha preso forma, insieme a Milano.
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Dodici brani in tutto, di cui undici inediti e una rivisitazione urbana, “moderna” e piuttosto ben riuscita di Il mio posto qual è di Ornella Vanoni. Unico ospite, J-Ax in Butti giù.
Si parla di amore, inteso nella sua più ampia accezione di sentimento universale e condiviso, perché, anzi, quello privato rischia di riservare le più grandi delusioni: proprio oggi in cui tutto viene condiviso virtualmente, Nina lancia dei brani-manifesto richiamando l’attenzione sull’importanza di una condivisione reale di intenti e di amore, l’unico modo davvero efficace per annullare il desiderio di guerra e di violenza. Pacifismo. Una condivisione autentica, come quella che si realizzava prima che Facebook ingurgitasse il nostro stile di vita.

Un album che punta uno scalino più in su del precedente mostrando forza, consapevolezza e assoluta libertà di movimento, e che rappresenta – se non proprio un’evoluzione – una svolta stilistica nel percorso di un’artista che eravamo abituati a vedere incasellata nella pur elegante cornice del soul, ma che ha sempre avuto anche una certa familiarità con il reggae, tornando ora a calpestarlo.
Forse un po’ spiazzante a un primo impatto (il singolo Mi hai fatto fare tardi non è in effetti tra i momenti più incisivi), Modern Art ha dei grandi punti di forza in brani come 1xunattimo, nel pop uptempo di Notte di luglio e nella cover Il mio posto qual è, e riesce a stare in piedi senza cadere in una riduttiva imitazione dei modelli d’oltreoceano, dove l’urban è effettivamente di casa.

… Ready For It?, il nuovo inedito di… Tayloncé

Taylor Swift deve soffrire di una qualche crisi d’identità: dopo aver spiazzato tutti con l’r’n’b elettronico e tagliente di Look What Me Made Me Do, ha rilasciato a sorpresa … Ready For It?, un altro inedito tratto dal nuovo album Reputation.
E se possibile, qui l’avanzata di Taylor nel territorio dell’universo urban si è fatta ancora più decisa, arrivando a sfiorare il rap.

… Ready For It? è un brano che troverebbe tranquillamente posto in un album di Beyoncé o di Rihanna, ma non sfigurerebbe nemmeno come una delle innumerevoli opere sfornate dalla prolifica Nicki Minaj, sempre in equilibrio tra hip hop, pop ed elettronica.
Sarà un caso che dopo aver sentito l’inizio del pezzo la memoria mi è corsa subito a Hey Mama?

Insomma, la vecchia Taylor Swift è morta, lo abbiamo capito: al suo posto sembra essere arrivata … Tayloncé, o Taylor Minaj, fate voi!

BITS-RECE: Fifth Harmony, Fifth Harmony. Si scrive pop, si legge boh

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
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Ci sono tantissimi, probabilmente infiniti modi di fare pop. E le Fifth Harmony, tornate per il nuovo album in una formazione a quattro dopo l’abbandono di Camila Cabello, hanno scelto di restare più o meno fedeli a se stesse, infarcendolo di r’n’b, più qualche passaggio di hip hop, tanto per variare un po’.

Quando si parla di loro, o delle Little Mix, si scomoda quasi sempre il “girl power”, e il pensiero non può non correre ai gloriosi anni ’90, quando la scena era occupata da band come Spice Girls e All Saints. Gente che in quel periodo spadroneggiava nel pop, dettandone le regole e scrivendone pagine divenute fondamentali. Da allora a oggi di cose ne sono cambiate parecchie, e il “girl power” – se mai esiste ancora – è passato dalle mani delle band a quelle delle soliste, che sono le vere protagoniste del pop dei giorni nostri: Katy, Rihanna, Gaga, Miley, Taylor e via dicendo.
Oggi le poche band rimaste devono accontentarsi di fare da sfondo al panorama musicale, soprattutto se, come le Fifth Harmony, pubblicano un disco di un’inutilità vergognosa: un campionario di cose sentite, risentite e ripetute, senza lo sforzo di provare almeno a rendere più interessante il tema.
Non bastano gli ammiccamenti sexy, non bastano i ritmi affettati, non bastano nemmeno i featuring con Gucci Mane (per quanto Down sia l’unico momento salvabile). Tutta roba già vista. Fosse almeno divertente…

Ci sono milioni di modi di fare pop, e le Fifth Harmony hanno scelto il più insipido.
Il girl power era un’altra cosa.

Izi: Wild Bandana si colora d’oro

Wild Bandana di Izi, in featuring con Tedua e Vaz te’ è stato certificato disco d’oro.
Il brano, estratto dal nuovo album d’inediti Pizzicato, mescola sonorità elettroniche, beat ed effetti casuali che s’intrecciano con il flow cantilenato del rapper genovese.

Un testo autobiografico che descrive il percorso del collettivo Wild Bandana attraverso ricordi, luoghi simbolo e personaggi che hanno contribuito alla loro crescita artistica e personale.

#MUSICANUOVA: Bonzai, I Feel Alright

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Bonzai
è una ventenne britannica nata e cresciuta a Dublino e poi trasferitasi a Londra, dove alcuni anni fa ha iniziato a dare vita ai suoi sogni musicali anche grazie all’occhio lungo del DJ e produttore Mura Masa.

Il suo nuovo singolo, I Feel Alright, racchiude tutto il suo mondo musicale, molto vicino all’universo urban, ma difficile da descrivere in una sola definizione di genere (a questo link il video di I Did).
Quel che è certo è che il risultato è efficace e contagioso.

Un altro nome su cui puntare gli occhi nei prossimi mesi.

Ah, a proposito di nomi: provate a dare un’occhiata al significato del termine “bonzai” nello slang urban…………