La bionda con le extension più famose del pianeta è da pochi giorni tornata con l’ennesimo album, Glory, e se dovessimo basarci sulla sua rilevanza musicale il discorso potrebbe chiudersi qui. A partire dal primo singolo, Make Me, fino al l’esibizione ai VMA, quello che ci resta di Britney è un ricordo, un ricordo di quello che è stata. Parliamoci chiaramente, l’ultima cosa musicalmente interessante che la ragazza è riuscita regalarci risale forse ai tempi di Blackout, e di anni ne sono passati un po’. Per non parlare del fatto che i fasti di …. Baby One More Time o della tutina rossa in latex di Oops! I Did It Again sembrano appartenere a un’altra era geologica.
Da troppi anni ormai Britney si trascina dietro il personaggio che è stata negli anni ’90, quando irruppe sulle scene probabilmente come la prima vera erede di Madonna: d’altronde, tra la prima comparsa pubblica della Ciccone e i primi ancheggiamenti di Britney vestita di scolaretta nel suo video d’esordio erano trascorsi più di 15 anni, un intervallo fisiologico per permettere a Madonna di guadagnarsi lo status di maestra del pop.
Era la fine degli anni ’90 e la giovanissima Spears macinava milioni e milioni di copie, come la prima vera icona pop dell’epoca post-Madonna. C’erano solo lei e l’Aguilera. La storia ci avrebbe poi insegnato che l’epoca delle puttan pop non era che all’inizio. A sancire il riconoscimento ufficiale di questa “adozione”, l’esibizione ai VMA del 2003, entrata di diritto negli annali, con lo sposalizio profano tra Madonna e le due virginali fanciulle, collaudato dalla doppia slinguata in salsa lesbo.
A quel tempo Britney era ancora Britney e nulla pareva fermarla.
Poi sono arrivati i problemi, le crisi private prima che professionali, e anche la sua carriera ha iniziato a risentirne. Quante volte ci siamo sentiti dire che “Britney sta tornando alla grande”, che il colpo di testa di quella rasatura dei capelli immortalata dai giornali e di quell’ombrello scagliato sul fotografo non erano altro che ricordi?
La verità è che da quel momento Britney è sembrata sempre meno interessata alla sua musica, i dischi che faceva uscire avevano il sapore di prodotti arraffati in qualche modo per giustificare la sua presenza nello showbiz, ma della ragazzina rivoluzionaria degli inizi non c’era più nulla, nessuna spinta, nessuna passione. Ha smesso lei per prima di crederci. Il mondo della musica andava avanti, Britney pareva abitare in una bolla a parte, da cui ogni tanto usciva a prendere aria. Sull’imbarazzante questione dei playback non voglio nemmeno infierire: la Spears non è mai stata una grande voce, non ne ha mai fatto mistero e i suoi archetti indossati solo per scena erano quasi diventati un marchio di fabbrica. Certo però che veniva un po’ da ridere a guardarla.
Ma arriviamo a Glory, alla sua copertina visibilmente (ma non volutamente?) plasticosa, e alle sue canzoncine -ine -ine. Meglio di Britney Jean, ha sentenziato la parte autorevole della critica, e ci mancherebbe, aggiungo io!!
Il nuovo album non aggiunge e non toglie niente a quanto già non sapevamo di Britney, è un disco che può essere tranquillamente lasciato sugli scaffali dei negozi, tanto il mese prossimo nessuno se ne ricorderà. Tranne i fan.
Ecco, i fan di Britney: se c’è una cosa che in questi anni mi ha sempre colpito, è stato il loro amore incondizionato, la loro presenza assidua, quasi come un manipolo di missionari impegnati nel proprio compito di portare salvezza alla loro beniamina. Non importava se e cosa Britney facesse, se lei c’era loro erano con lei, pronti al suo fianco a sostenerla. E così è stato per l’uscita di Glory e per la performance ai VMA, in total playback, con scossoni di chioma e glutei alzati. E chissenefrega se Beyoncé se l’è mangiata con un mini show di un quarto d’ora, così come Rihanna: i brittini hanno speso lacrime e preghiere per lei, Britney.
E in fondo, nonostante la consapevolezza che la Spears sia oggi l’emblema del vuoto cosmico in musica, non riesco a detestarla quanto Kim Kardashan: c’è qualcosa in lei che me la fa amare, o almeno mi fa provare uno strano affetto, quasi a proteggerla per i momenti bui del passato, al di là del fatto che pubblichi nuova musica o no.
Se oggi si vuole bene a Britney lo si fa per quello che ci ha dato in passato e forse perché lei è un po’ il nostro specchio, il riflesso di chi ha conosciuto la gloria – quella vera -, è caduto, si è rialzato, ma con il disincanto che di superumani a questo mondo non ce ne sono. Si tira a campare fra un frappucino take away, i figli da accompagnare a scuola e, ogni tanto, un disco da far uscire.
Quindi vi prego, se il vostro istinto è quello di scagliarvi sul suo playback, sulle sue canzoni usa e getta, sui suoi atteggiamenti svogliati e da ma-che-ci-faccio-qui agli eventi, pensateci un momento, e abbiate pietà di lei.
Che lo vogliate o no, Britney Spears siamo un po’ tutti noi.