Mahmood: adesso l’urban italiano ha la sua voce

mahmood_gioventu
Quando lo abbiamo visto la prima a Sanremo nel 2016 dovevamo ancora metterlo a fuoco, e lui, Mahmood, probabilmente lo sapeva. La sua Dimentica, presentata quell’anno in gara tra le Nuove proposte, era qualcosa di piuttosto distante dagli standard sanremesi: non era il solito pop, non era il solito pezzo di “belcanto” all’italiana, non era il cantautorato a cui eravamo abituati. Era qualcosa di lontano, di esotico: era r’n’b, un genere che qui eravamo pronti a sentir cantare dagli americani, ma prima di ricordarcelo nella discografia di un altro artista italiano dovevamo pensarci un po’.
Di tutto questo, ripeto, Mahmood doveva essere perfettamente consapevole, tanto che quando lo intervistai e gli chiesi notizie di un album, lui rispose candidamente “Quale album?”, perché in effetti in programma non ce n’era alcuna traccia.
Oggi che finalmente esce il suo primo EP se ne capisce la ragione. Gioventù bruciata arriva infatti a più di due anni da quel Sanremo: un periodo di tempo molto lungo e insidioso per un artista emergente, che lui ha saputo però sfruttare per elaborare bene il suo progetto. 
Nel 2017 è arrivato Pesos, poi un po’ a sorpresa c’è stata la collaborazione con Fabri Fibra in Luna, mentre quest’anno è stata la volta di Uramaki, rilasciato in primavera, e Milano Good Vibes, di sole poche settimane fa.
E se come interprete risultava sempre più chiara la direzione che il ragazzo stava prendendo, come autore le soddisfazioni non sono mancate, visto che Nero Bali, che porta anche la sua firma, è stato uno dei successi dell’ultima estate. E sua è anche Sobrio, contenuta nell’ultimo album di Gue Pequeno.

foto di Attilio Cusani
ph. Attilio Cusani

Quello che ci si presenta oggi davanti è un artista in piena evoluzione, ma con un’identità e una personalità molto ben definite: una promessa dell’urban italiano che si sta sempre di più trasformando in una conferma. I cinque pezzi del disco danno spazio alla poesia metropolitana e un po’ sfacciata dei singoli Uramaki e Milano Good Vibes, quest’ultimo ritratto decisamente alternativo della città meneghina, ma anche alle metafore giganti dell’incomunicabilità di Asia Occidentale (mi chiamerai sotto casa / farò finta di niente / come se io fossi l’Asia / e tu l’Occidente), mentre spiazza ritrovare di nuovo Fabri Fibra in Anni 90. Perché si sa che Fabri Fibra non è uno che i duetti li svende.
Mai figlio unico è invece il pezzo più personale ed entra nel vissuto di un ragazzo italo-egiziano vissuto nella periferia milanese.

La musica è un melting pot di r’n’b, pop ed elettronica, cesellata di dettagli tropicali ed esotici, anche se l’elemento che fa la differenza lo mette Mahmood con la sua voce: amorevolmente pigra, sorniona, sensuale, ammiccante.
La voce di una nuova era e di una generazione ormai abbastanza grande per farsi sentire.

Ecco, lo possiamo dire: l’urban italiano ha trovato la sua nuova voce.