BITS-CHAT: Un’esplorazione umana e sonora. Quattro chiacchiere con… Aerostation

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Gigi Cavalli Cocchi
e Alex Carpani sono due musicisti con la “pellaccia” dura, due che la musica l’hanno conosciuta molto da vicino, entrambi animati da una passione genuina che li porta a guardare sempre avanti, senza paura di entrare in territori inesplorati.

Due solide carriere parallele alle spalle all’insegna del rock e del prog: Cavalli Cocchi è uno storico collaboratore di Ligabue, per il quale ha curato anche la grafica di diverse copertine, e ha suonato tra gli altri nei Clan Destino e con i C.S.I, mentre Carpani ha dato vita alla Alex Carpani Band, oltre a collaborare con artisti internazionali come l’ex King Crimson David Gross.
Negli anni le loro strade si erano già incrociate, ma mai per dare vita a un intero progetto condiviso. Succede ora, con Aerostation, che è il titolo dell’album (in uscita il 5 ottobre) e il nome del progetto che li vede finalmente collaborare insieme. Con loro, terza anima del gruppo, il bassista Jacopo Rossi, attivo sulla scena metal in band come Dark Lunacy e Antropofagus.
Non c’è un nome per la loro musica: rock, prog, elettronica, pop, crossover. Ci sono solo le sue suggestioni ibride e contaminate, con uno slancio internazionale e uno sguardo puntato lassù, nello spazio.  

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Perché Aerostation?
Alex Carpani: Tu sai il significato di questa parola? Molti pensano che significhi “aerostatzione”, invece vuol dire “aerostatica”, e ha a che fare con tutto ciò che riguarda le mongolfiere e i palloni che volano attraverso l’aria. Abbiamo fatto diverse ipotesi per il nome da dare a questo progetto, cercavamo qualcosa che indicasse il viaggio, l’esplorazione.
Gigi Cavalli Cocchi: Siamo appassionati di fantascienza e abbiamo voluto inserire anche visivamente nell’album alcuni elementi che rimandano a quel mondo. C’è stata quindi una grande attenzione alla parte grafica del disco, di cui mi sono occupato personalmente ideando anche il logo con i triangoli, una figura centrale per il nostro progetto. Proponevo le mie idee ad Alex, e lui approvava sempre tutti: credo che ormai ognuno sa quello che l’altro sa fare.

E l’idea di dar vita al progetto da dove è partita?
Alex: È nata da dieci anni di conoscenza, con carriere parallele, conoscenze comuni e collaborazioni occasionali. Gigi ha anche suonato in un mio disco nel 2010. Abbiamo voluto creare un progetto di respiro internazionale che guardasse anche al di fuori dell’Italia, non per rinnegare il nostro Paese, ma perché non ci si può fermare al nostro Paese. La scelta dell’inglese non è stata dettata da esterofilia, ma da ragioni artistiche, perché il rock si può cantare solo in inglese, e solo con l’inglese si può avere un carattere cosmopolita. Questo non toglie che la nostra sensibilità e le nostre radici italiane possano comunque venir fuori.  
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Che taglio avete voluto dare ai brani?
Alex: Un rock molto diretto, potente, senza fronzoli, con aperture melodiche all’ambient. Entrambi arriviamo da esperienze prog, ma abbiamo voluto alleggerire il nostro bagaglio da tutti i fronzoli e i virtuosismi. Non è stato facile dire tutto con pochi elementi, perché viene più semplice aggiungere tanti ingredienti e poi mescolare i vari sapori. L’intento era quello di proporre qualcosa di nuovo, di diverso, e se il pubblico se ne accorgerà sarà il miglior riconoscimento: fare qualcosa di derivativo oggi è perfettamente inutile.

Siete un “trio power”, ma senza chitarra, anche se si fa fatica a capire che la chitarra non c’è.
Gigi: Lavorando al disco ci sono venute in mente diverse possibilità, da quella di utilizzare una band a quella di prendere un chitarrista. Arrivati a definire il suono che volevamo dare al progetto, abbiamo iniziato a togliere, come diceva Alex. Qualche chitarra c’è, ma poi i suoni sono stati presi da Alex, che li ha rimanipolati, filtrati, trasformati, destrutturati, al punto che non ci si rende conto quando c’è la chitarra elettrica. È stato un lavoro di corrosione dei suoni.
Alex: Inoltre dal vivo abbiamo scelto di non avere un chitarrista, così come di non avere un tastierista, perché io non suono tastiere orizzontali.
Gigi: Un apporto importantissimo è stato dato anche dal nostro fonico, Daniele Bagnoli, un giovane collaboratore che si è innamorato da subito del nostro progetto ed è riuscito a rendere perfettamente il suono che volevamo.
Alex: Ha 26 anni ed è un fonico straordinario, capace di lavorare sia studio che sul palco, due situazioni molto diverse.
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Il concept che lega le canzoni del disco è quello della comunicazione e dell’esplorazione. Come pensate che si sia evoluto il modo in cui l’uomo va alla scoperta dell’altro?
Alex: Intesa verso l’esterno, l’esplorazione fa pensare alla ricerca di altri mondi da scoprire per spostare in là i propri confini di conoscenza. In questo, lo spazio, la cosmonautica e l’avventura spaziale ci ha aiutato molto, soprattutto dal punto di vista iconografico ed estetico, perché piace a entrambi e lo abbiamo tradotto nella parte grafica. I testi invece affrontano di più il tema dell’esplorazione interiore e dell’incomunicabilità dell’uomo moderno: siamo tutti perennemente connessi, eppure siamo tutti abbandonati a noi stessi, soli. Nel disco si parla di persone che si parlano e si innamorano e di persone che si sfiorano e non si incontreranno mai, perché passano veloci attraverso non-luoghi in cui nessuno lascerà alcun segno.
Gigi: Esplorazione è soprattutto evoluzione: l’uomo che esplora l’universo compie un’evoluzione nella storia, ma poi c’è anche l’esplorazione all’interno di noi stessi per portare in evidenza quello che siamo. Riuscire a riproporre quello che siamo senza nessun filtro e nessuna maschera è il punto massimo a cui potremmo ambire, la nostra massima evoluzione. Non so se ci riusciremo mai.

Il titolo dell’ultima traccia dell’album, Kepler-186F, prende spunto da un pianeta scoperto nell’universo con caratteristiche simili alla Terra, e che potrebbe ospitare la vita. Possiamo considerarlo come una metafora di una seconda possibilità?
Gigi: Assolutamente, è come l’altra faccia della medaglia di tutto ciò che salta subito all’occhio, di tutto quello che possiamo vedere subito davanti a noi. È la nostra seconda chance.
Alex: Vuole un po’ essere la chiusura del cerchio del messaggio lanciato nel disco.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato date al concetto di ribellione?
Gigi: È la capacità di vivere al di fuori degli schemi prestabiliti. Qualcuno ha detto che il compromesso è il lubrificante della convivenza: ecco, mi piacerebbe evitare di oliare continuamente la nostra vita, per poter fare esattamente quello che vogliamo senza limitare la libertà altrui. Poter arrivare a una convivenza di ribellioni e all’accettazione della ribellione altrui.
Alex: La ribellione è un moto dell’animo, ed è necessaria, prima di tutto a se stessi. Bisogna capire quando non è utile soccombere alla pigrizia, ai propri limiti, alle proprie paure per poter andare avanti. E poi il moto di ribellione deve indirizzarsi all’esterno contro le ingiustizie, per esempio: deve associarsi al dolore e allo shock, perché solo quando qualcosa ci colpisce e ci fa male noi facciamo in modo di stare meglio.