Come su Netflix nasce da una collaborazione iniziata tre anni, durante la lavorazione di Uppercut, l’album che ha segnato il ritorno sulle scene dei Gemellli DiVersi. Proprio durante quelle sessioni di scrittura Lacatus, autore di casa Sugar (sua la firma di pezzi interpretati da Renga, Venditto, Elodie e molti altri) e Thema, membro storico del quartetto milanese, hanno ipotizzato la possibilità di un progetto condiviso.
Un’idea che diventata ora realtà in Come su Netflix. Il singolo si presenta come una riflessione ironica sulla nostra società e un invito alla leggerezza, “frutto di una collaborazione spontanea nata dalla pura gioia e dal desiderio di fare musica”, come dichiara Lacatus, all’anagrafe Mario Cianchi. Il videoclip è stato realizzato dal vignettista Valentino Villanova e animato da Matteo Bellini.
Li avevamo lasciati nel 2012 in quattro con l’album Tutto da capo, li ritroviamo in oggi in due con il nuovo Uppercut. In mezzo, un’attività live che non si è mai fermata… e qualche colpo ricevuto.
Proprio da questi “colpi” incassati, i Gemelli DiVersi hanno preso spunto per il titolo del loro ultimo album, il settimo di una carriera partita 18 anni fa, quando l’invasione hip hop non si era ancora affacciata sulle classifiche e in Italia i rapper “famosi” si contavano sulle dita delle mani. Nel linguaggio della boxe, l’uppercut è quel colpo che il pugile sferra dall’alto verso il basso, spesso come mossa finale per mettere al tappeto l’avversario. Ma loro, che hanno la pellaccia dura, sanno bene che per quante volte puoi cadere, nulla sarà più importante di come ti rialzerai. Nella vita e nella musica.
Tornate dopo più di tre anni con un nuovo album: cosa avete raccolto all’interno? Thema: In Uppercut c’è un po’ tutto quello che siamo stati in questi anni, dagli inizi fino ad oggi, senza però ricalcare in tutto il passato. Ci sono tanti richiami alla nostra storia, ma questo disco segna anche una nuova ripartenza, con nuovi elementi nella musica e nei testi. Ci sono canzoni d’amore, canzoni che parlano di noi, ma fondamentalmente è un album positivo: già con il titolo, che richiama un colpo della boxe, abbiamo voluto far riferimento ai colpi che puoi ricevere dalla vita, ma dai quali devi sempre riprenderti. In questo caso non siamo noi ad averlo dato, ma è un colpo che abbiamo ricevuto, come il pugile della copertina: ci siamo rimessi in gioco, trovando la spinta grazie ai nostri fan e alla passione per la musica.
E’ evidente che in questi tre anni ci sono stati dei cambiamenti: vi ricordavo in quattro e vi ritrovo in due… Strano: Dopo 18 anni insieme, due di noi, Grido e THG, hanno deciso di intraprendere nuovi percorsi. È legittimo: come succede nelle relazioni, si può andare avanti, ma si possono fare anche scelte diverse, e noi ne abbiamo preso atto. Ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo continuato a fare musica come Gemelli DiVersi, perché in realtà il gruppo non si è mai sciolto. Abbiamo cercato di non tradire quello che siamo stati. T: Nell’album ci sono tanti riferimenti anche a quello che è successo nella band, il “colpo” che abbiamo ricevuto è legato anche a questo. Ovviamente all’inizio sei destabilizzato, ma poi devi ritrovare la speranza. S: Dopo tutto, la storia della musica è piena di band partite con una formazione e che poi hanno subito defezioni, succede. È una delle sfide che ti si pongono davanti, e noi l’abbiamo accettata.
In questo periodo anche la musica in Italia è cambiata molto, con l’esplosione dell’hip hip: come l’avete vissuta? S: L’abbiamo guardata dall’esterno e abbiamo notato che rispetto all’hip hip di qualche anno fa, adesso le canzoni hanno le strofe rap ma il ritornello cantato. Noi però l’avevamo già fatto alla fine degli anni Novanta, e ci sono arrivate addosso le critiche degli addetti ai lavori e della frangia più estremista del mondo hip hip. Adesso quasi tutti usano la melodia per arrivare al pubblico più ampio: possiamo dire di essere stati legittimati? A noi non può fare che piacere sapere che ci sono molti rapper della nuova generazione che dicono di essere cresciuti ascoltando noi, ma succede adesso, prima nessuno lo diceva. Sarà che mi è venuta la barba grigia, ma mi sento un uomo soddisfatto e cresciuto. T: Va anche detto che noi non ci siamo mai sentiti pienamente parte della scena hip hop, siamo sempre rimasti sul confine, un po’ borderline se vogliamo. Abbiamo iniziato riprendendo un pezzo dei Pooh (il ritornello di Un attimo ancora, il loro singolo d’esordo, riprendeva Dammi solo un minuto, ndr), più pop di così! Abbiamo sempre fatto le scelte da soli, e oggi dà soddisfazione vedere che anche gli addetti ai lavori vanno più a fondo nella nostra musica, riescono a vedere i contenuti e non solo l’apparenza di una band di tamarri come accadeva anni fa. Purtroppo il rap soffre di tanti preconcetti, tra cui quello di essere un sottogenere fatto solo di mosse sul palco: siamo rimasti fermi al cliché di Jovanotti con il cappellino che fai gesti con le mani. Lui in Italia è stato un precursore, ma dietro al rap c’è molto di più. Non ci è mai interessato buttare nei pezzi degli skills per far vedere quanto eravamo bravi con le rime, ma abbiamo cercato di dare sempre dei contenuti. S: Il rap è diventato cultura negli Stati Uniti già negli anni Ottanta, perché li c’era già la base: qui da noi i pionieri sono stati Jovanotti e gli Articolo 31, ma negli anni Novanta non avevamo ancora la subcultura dell’hip hop, ci sono volute due generazioni.
Tra i cliché legati al mondo del rap c’è forse anche quello di essere un genere che parla di violenza… S: Proprio qualche giorno fa ho sentito della polemica contro Emis Killa per il testo che inciterebbe al femminicidio (3 messaggi in segreteria, ndr): non ho ascoltato il brano, forse lui avrà usato un linguaggio crudo, ma sono sicurissimo che l’intento non fosse quello di legittimare la violenza. Non è sempre colpa della musica, molto spesso il problema sta nelle interpretazioni sbagliate: un artista deve sempre stare attento a quello che scrive, perché le canzoni arrivano anche a persone che non hanno abbastanza sensibilità per cogliere tutti i significati, ma non si può dare alla musica responsabilità che non ha. Allora noi con Mary avremmo legittimato la violenza dei genitori sui figli? T: È lo stesso discorso che si faceva anni fa con Marilyn Manson: nelle stragi che si verificavano nei college americani, si diceva che era colpa della musica che ascoltavano gli studenti, e in mezzo ci finivano sempre le canzoni di Manson. La colpa non è degli artisti, ma di chi vuole trovare un pretesto per sollevare la polemica. Sono convinto che ci sia bisogno d tutto, anche di artisti che usano parole forti e che hanno il coraggio di affrontare un certo tipo di argomenti. S: È questo il vantaggio della democrazia, dare a ognuno la libertà di parola, invece oggi sembra che tutto deve essere criticato e messo in discussione. Qualunque cosa tu dica o faccia, arriva qualcuno che trova da dire, che si tratti di una presunta legittimazione al femminicidio piuttosto che il fatto di mangiare carne.
Siete d’accordo con chi dice che oggi i rapper sono i nuovi cantautori? T: È un complimento! I veri cantautori sono quelli che negli anni Settanta hanno avuto la possibilità di esprimere le proprie idee, e sono d’accordo sul fatto che alcuni rapper possono essere avvicinati ai cantautori per il loro impegno nel manifestare il loro pensiero, anche se i veri cantautori restano gli intoccabili De Gregori, Guccini, Dalla… S: Forse più che di cantautori sarebbe giusto parlare di cantastorie, perché portano avanti la pratica del cosiddetto storytelling. Ci sono alcuni nomi della nuova scena rap che lo stanno facendo bene, e penso a Ghali o a Sfera Ebbasta, che portano nella musica molto del loro vissuto. Un’aria nuova che può che fare bene a tutta la scena hip hop.
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato ha per voi il termine “ribellione”?
S: Oggi la ribellione è semplicemente riuscire a esprimere il proprio parere, in un mondo in cui tutti cercano di imbavagliarci, le guerre si rivestono di ragioni economiche, il popolo è messo in ginocchio dai poteri forti. L’unico potere che ha il popolo è quello della parola, visto che anche quello del voto non sembra più così forte.
InStore: 26 ottobre, Roma, Discoteca Laziale, va Giolitti 263 27 ottobre, Milano, Mondadori, via Marghera