#MUSICANUOVA: Milano 84 feat. Johnson Righeira, “Summer on a Solitary Beach”
Milano 84 è il concept musicale italopop di Fabio Di Ranno e Fabio Fraschini.
Per l’estate 2024 il duo ha scelto di guardare al passato del cantautorato italiano, ridando vita a un successo del 1981 di Franco Battiato, Summer on a Solitary Beach, firmato dallo stesso Battiato e Giusto Pio e originariamente contenuto in quello che è forse l’album più celebre dell’artista siciliano, La voce del Padrone.
Questa nuova versione amplifica l’attitudine dance del duo, oltre a impreziosirsi di un featuring d’eccezione, quello con Johnson Righeira, nome di primissimo piano della scena disco degli anni ’80.
Summer on a Solitary Beach esce per NHK (il ramo distributivo di Talentoliquido, in collaborazione con Believe Music Italy).
Il brano sarà presente in una long version anche nel nuovo album di Milano 84, atteso per la seconda metà del 2024.
Basta Poco è il nuovo singolo di Cucina Sonora e N.A.I.P: un brano minimalista composto da due note, pochi suoni e poche parole.
Il brano nascondedietro una considerazione apparentemente semplice una riflessione più profonda, sottolineando il senso di frustrazione e di fallimento di chi non riesce a fare una cosa per la quale serve un minimo sforzo o poco impegno, per la quale basta poco.
Le liriche di N.A.I.P., ispirate dai testi di Elio, Colapesce e Franco Battiato, vengono completate da una strumentale vicina al mondo di Mr. Oizo e Jacques, minimale nelle melodie e nelle armonie ma potente nella cura dei suoni e nella follia, rendendo così il nuovo brano un tormentone da fischiettare in qualsiasi luogo e contesto. Basta poco, a tutti gli effetti.
Cucina Sonora è un pianista e producer: nel suo mondo non c’è differenza tra analogico e digitale, classico ed elettronico come dimostra il suo album “Evasione” (2017) il cui singolo estratto è stato remixato da Francesco Farfa su Toys for Kids. Dopo un tour di oltre 60 date in italia e all’estero, firma con la label INRI e pubblica (2022) l’album “Notte”.
Basta poco Per saltare Basta poco Per salutare Basta poco Per girare La testa, un video, un familiare Basta poco Per annuire Basta poco Per ri-annuire Basta poco Per piacere Senza dire per piacere E basta Basta poco Per non saltare Basta poco Per non salutare Basta poco Per non girare La testa, un video, un familiare Basta poco Per non annuire Basta poco Per non ri-annuire Basta poco Per non piacere Allora dico E basta Vivi vivi per davvero Non vivi non vivi per davvero Guarda questo cielo L’hai guardato il cielo o no? L’hai non guardato il cielo o no? Non l’hai non guardato il cielo o no? Non l’hai non guardato il non cielo o no? E basta. E basta.
BITS-CHAT: Non è una musica per giovani. Quattro chiacchiere con… Davide Ferrario
Probabilmente più di una volta avete sentito suonare la sua chitarra e magari nella playlist delle vostre canzoni preferite ce n’è più di una a cui ha fornito il suo contributo, anche se il suo nome potrebbe non suonarvi familiare: per molti Davide Ferrario è infatti una presenza “invisibile”, anche se il suo portfolio è di quelli che ti fanno sgranare gli occhi e cadere la mascella.
Originario di Monselice, nella provincia padovana, ma trasferitosi presto a Milano per avvicinarsi al grande giro della musica, negli anni Ferrario ha messo la sua arte al servizio di grandi nomi come Franco Battiato, Max Pezzali, Gianna Nannini.
Del 2011 è il primo album pubblicato a suo nome, F, un episodio destinato a restare a lungo isolato per lasciare spazio alle numerose collaborazioni con i colleghi. Fino a quando, otto anni dopo, gli torna la voglia di mettere la faccia e la firma su un nuovo lavoro, questa volta in veste di producer.
Ad aprile 2019 esce così Lullabies, un EP di due tracce inedite e due remix pubblicato per l’etichetta americana Manjumasi, che porta Ferrario, abituato a frequentare soprattutto i territori della canzone d’autore e del pop, tra i beat della deep house.
Dal primo album, F, sono passati otto anni, e adesso scegli di ripresentarti con un progetto piuttosto distante da dalla musica che sei abituato a fare. Perché?
Ho sempre ascoltato questa musica, l’elettronica è parte integrante del mio background. Dopo il primo album non avevo più voglia di scrivere, o, meglio, non avevo più voglia di fare musica “cantata”: non mi sentivo ispirato e dopo l’uscita dell’album non c’era stata la risposta che mi aspettavo, non era successo nulla. E poi, superati i 35 anni, non mi sembrava il caso di rimettermi a giocare a fare il cantautore. Avevo anche pensato di non fare più niente di mio e per un certo periodo ci sono riuscito con un certo successo (ride, ndr). L’anno scorso a settembre mi è capitato di avere un periodo libero e mi sono messo a giocare con i suoni in studio: da lì sono venute fuori queste prime due tracce, ma non avrei mai pensato che potessero suscitare l’interesse d qualcuno che volesse pubblicarle. Conoscevo già la Manjumasi di San Francisco e molte delle cose che ascoltavo erano prodotte da loro, così semplicemente ho inviato una mail proponendo le due tracce, e hanno accettato di pubblicarle.
Davvero pensi che 35 anni siano tanti per fare il cantautore? Mi sembra che in Italia sia ancora abbastanza radicata l’idea del cantautore come una persona impegnata e possibilmente molto più in là con gli anni…
Può essere, ma al di là dell’idea che può avere il pubblico quello che intendevo dire è che iniziare a fare il cantautore a 35 anni è tardi, e io ne ho compiuti 38. Poi per fare il cantautore devi avere delle cose da dire, e non è detto che io le abbia, o almeno non sono raccontabili e preferisco tenermele per me (ride di nuovo, ndr). Per il grande pubblico sono un emergente, il primo album ha avuto vita brevissima e non è diventato popolare e chi mi segue mi conosce perché suono con il suo cantante preferito. Senza contare che la nuova scena cantautorale non mi rappresenta, se mi presentassi come cantautore sarei molto diverso da quello che si ascolta oggi e mi troverei fuori dal coro a fare qualcosa che verrebbe percepito come datato. Con la house è diverso: mi sento più a mio agio, è un prodotto di nicchia e mi rivedo nella figura del producer chiuso nella sua stanzetta a comporre con i suoni.
Visto che ti sei trovato in entrambe le vesti, quale pensi che sia quindi la sostanziale differenza tra un musicista e un producer di musica elettronica?
I producer, soprattutto quelli medio-piccoli, non ragionano per album, ma per singole tracce: ti trovi a comporre nel tuo studio e dopo vari tentativi ti esce qualcosa di carino, che può funzionare, e decidi di pubblicarlo per poi continuare a fare le tue cose. Ma non sono canzoni, sono espressioni sonore di qualcosa che ti arriva al momento. Sono altre logiche rispetto a quelle con cui lavora un cantante o un musicista. Un producer fa molti più tentativi a vuoto prima di pubblicare qualcosa che abbia successo, per un musicista è diverso, anche se la storia è piena di casi di grandi artisti che hanno fatto brutti album.
Quindi queste due tracce sono l’inizio di un progetto più ampio?
Ho già scritto altro e sicuramente usciranno nuove tracce. Nei live propongo già altre cose, anche perché non potrei far girare un intero live solo su due tracce…
In cosa si differenzia il processo di composizione di un brano suonato e cantato rispetto a una traccia house o elettronica?
Una canzone parte da una semplice composizione alla chitarra o al pianoforte: metti giù le note, poi ci sarà qualcuno, o tu stesso, che farà l’arrangiamento, qualcuno che si occuperà del missaggio, qualcuno che si occuperà del master e così via, ma se il punto di partenza è buono la canzone sta in piedi anche con poco. L’elettronica invece si basa per la gran parte su suoni, la parte compositiva è meno importante di quella sonora. Pensa a uno come Skryllex: se gli togli il suono non resta quasi nulla. Il tempo che un cantautore impiega a cercare la rima o la parola giusta, un producer lo impiega a girare le manopole fisiche o digitali dei suoi strumenti per cercare esattamente il suono che ha in testa. Ed è questa la forma mentis in cui mi trovo in questo momento, ho in mente delle atmosfere e delle sensazioni da ricreare.
La scelta dei titoli delle tracce è quindi legata al tipo di sensazione che vuoi comunicare?
No, quelli sono i nomi con cui archivio i file, ma non hanno niente a che fare con la musica. Jewel Ice l’ho scelto perché in quel periodo stavo lavorando a qualcosa che aveva a che fare con il ghiaccio e quel nome mi era sembrato evocativo, ma per me quella traccia vuole richiamare i ricordi, il sole pomeridiano che filtra dalle finestre al pomeriggio, qualcosa che è quasi all’opposto del ghiaccio. Model invece l’ho salvato così perché era il template del programma che avevo utilizzato per realizzarla e con cui volevo realizzare tutto il progetto: era il modello.
Anche il titolo dell’EP l’hai scelto così?
No, per quello c’è una ragione: richiama la sensazione di morbidezza e di calore delle tracce, il suono del pianoforte.
Quali sono le influenze a cui ti sei ispirato per queste due tracce?
Sono tante, soprattutto in Jewel Ice sono confluite idee diverse. Se si ascolta bene, forse c’è anche un mezzo plagio di Pyramid Song dei Radiohead, ma ci sta, fa parte del gioco. Se qualcosa mi piace non mi faccio problemi a utilizzarlo. Più in generale, nell’ultimo periodo ho ascoltato molto Jon Hopkins, musica ambient, colonne sonore, Nils Frahm, Hans Zimmer, che mi piace molto. Non mi sono invece mai avvicinato molto alla techno perché ho sempre bisogno di avere un’armonia alla base, che nella techno manca.
Continuerai a portare comunque avanti anche l’attività da musicista?
Certo, perché dovrei lasciarla? L’elettronica è un divertimento, ma non so cosa ne sarà fra due anni di questa esperienza.
Dopo tutte le esperienze che hai fatto nella musica c’è ancora un sogno irrealizzato?
Il sogno della vita è dedicarmi alle colonne sonore. Un producer olandese, Junkie XL, ha detto che la figata di fare colonne sonore è che puoi andare avanti finché vuoi, non devi apparire e essere bello per forza, puoi farlo anche a 90 anni. Anche perché prima o poi arriverà un ragazzo di 20 anni più bravo che prenderà il mio posto alla chitarra, non posso andare avanti ancora per tanto!
Concludo con una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di “ribellione”?
Darti delle definizioni universali è difficile, rischio di dire qualche sciocchezza, per cui faccio prima a spiegarti cosa è stata la ribellione per me: la mia famiglia non mi ha mai supportato nell’intenzione di fare il musicista, anzi mi ha anche ostacolato, anche se i miei genitori direbbero di no se glielo chiedessi, ma devo perdonarli. Credo che questo abbia generato in me una sensazione di rivalsa e una forza che mi ha fatto andare avanti anche nei momenti più difficili. Per fortuna la ribellione esiste!
E come avrebbero voluto vederti in famiglia?
Ho studiato Informatica all’Università, il mio futuro era già abbastanza scritto.
“Cantautorato italiano per persone scocciate, intellettuali pretenziosi e radical chic con l’attico in centro a Milano.”
Sulla sua pagina Facebook, è questa la presentazione che dà della sua musica Jacopo Di Donato, alias Senatore Cirenga.
Classe ‘93, cresciuto tenendo nelle orecchie le canzoni di Rettore, Battisti, Camerini Carmen Consoli, Franco Battiato, Baustelle, fino ai CCCP e ai Prozac +, il ragazzo ha già all’attivo un primo lavoro, Licorice, con il quale si è affacciato sull’underground italiano rivelando un approccio elettronico e scrivendo testi con l’obiettivo di creare uno spazio sicuro per gli intellettuali e gli appassionati di arte, filosofia e politica.
Ad anticipare l’album d’esordio Semantica, in uscita in autunno, arrivano ora ben due nuovi brani, Interlunio e Anche stanotte.
Il primo, ispirato a Belkiss, opera del drammaturgo portoghese Eugenio De Castro, indaga l’assoluta dedizione alle proprie passioni nonostante i loro lati negativi, mentre il secondo racconta la storia di un individuo affetto da insonnia, diventando l’occasione per ragionare sulle paure, le insicurezze e sui desideri della generazione millennial.
L’idea di rimettere mano a L’ombrello e la macchina da cucire di Battiato girava in testa a Fabio Cinti già da un po’, addirittura da prima che prendesse forma l'”adattamento gentile” di La voce del padrone, progetto che ha visto la luce lo scorso anno ed è valso al cantautore il conferimento della targa Tenco per il miglior interprete.
Ma il pungolo di “adattare” anche quell’altra opera del maestro Battiato, con i testi che portavano per la prima volta la firma del filosofo Manlio Sgalambro, non gli deve mai essere uscito di mente, al punto che con un post su Facebook ha annunciato la realizzazione di alcuni brani, di cui uno già reso disponibile online: si tratta diFornication, versione in inglese e adattata di Fornicazione.
Nello stesso post, Cinti ha anche annunciato di aver completato il suo nuovo album di inediti.
Dalle corde delle chitarre e dalle tastiere ai beat della console. Può essere descritta così la svolta musicale di Davide Ferrario, musicista e produttore da anni attivo sulle scene con alcuni tra i più importanti del panorama nazionale, da Gianna Nannini a Franco Battiato e Max Pezzali. Il prossimo 15 aprile uscirà infatti l’EP Lullabies (già in pre-order), il suo primo progetto solista, improntato sui suoni della deep house.
Il progetto esce per etichetta di San Francisco Manjumasi, che nel 2018 si è interessata ai lavori di Ferrario, colpita in particolare dalla cura e dall’originalità delle sue produzioni.
Il sound ipnotico e melodico tipico della house incontrano così lo stile di un artista sempre attento alla ricerca di nuovi suoni e immaginari.
“Da anni i miei ascolti sono prevalentemente elettronici ma non avevo mai avuto il coraggio di cimentarmi per davvero in questo genere. Quando ho iniziato a scrivere questo tipo di musica non avevo la minima idea di che fine avrebbe fatto. Di certo non mi aspettavo che nel giro di pochi mesi avrebbe visto la luce come progetto discografico. Quindi ho seguito il mio istinto, sono andato a ruota libera e ciò che è avvenuto, inconsapevolmente, è una sintesi di molte delle cose che mi sono sempre piaciute”.
Questa la tracklist: Model Jewel Ice Model (Bengal Remix) Jewel Ice (Nitin Remix)
Lele Battista che remixa Fabio Cinti che riadatta un pezzo di Franco Battiato. Succede nella nuova versione – decisamente dance oriented – di Il sentimiento nuevo firmata Lele Battista, cantautore e produttore milanese attivo sulla scena italiana fin dagli anni ’90 con il gruppo La Sintesi.
Il remix parte dall'”adattamento gentile” realizzato da Cinti: lo scorso anno il cantautore laziale ha infatti rimesso mano con quartetto d’archi, pianoforte e voce all’intero album La voce del padrone di Battiato. Il lavoro di Cinti è stato pubblicato in primavera ed è valso la vittoria della Targa Tenco come “Miglior interprete di canzoni”.
Il remix è il primo di una serie che varrà pubblicata nei prossimi mesi.
63 brani e 40 pagine di fotografie e racconti. Universi paralleli è la nuova raccolta che celebra l’arte, la poesia e l’avanguardia visionaria di Franco Battiato.
Quattro dischi per quattro grandi tematiche e repertori: il primo disco racconta i grandi pezzi nelle loro versioni live da Strani giorni a La Cura a Centro di gravità permanente a La stagione dell’amore. Il secondo disco è dedicato alle cover di brani italiani e stranieri realizzate dall’artista come Hey Joe o Impressioni di Settembre. Il terzo si concentra sulla ricchissima produzione degli anni 2000 che include pezzi come Tra sesso e castità o Sarcofagia. Il quarto include i pezzi più vicini al mondo progressive rock e sperimentale degli anni settanta tratti dai suoi dischi come Fetus,Pollution, Sulle Corde di Aries.
Il cofanetto è disponibile in versione Hardocverbook, 4CD con libretto di 40 pagine.
Tracklist: CD 1 1 Atlantide (Live 2003) 2 Strani Giorni (Live 2003) 3 Shock In My Town (Live 2003) 4 E ti vengo a cercare (Live 2003) 5 La cura (Live 2003) 6 Mesopotamia (Live 2003) 7 Lode All’Inviolato (Live 2003) 8 Stranizza D’Amuri (Live 2003) 9 La stagione dell’amore (Live 2003) 10 Povera Patria (Live 2003) 11 Medley Last Summer Dance (Live 2003) Bandiera Bianca Medley Segnali di vita Medley Sentimento nuevo Medley Gli uccelli Medley 12 L’animale (Live 2003) 13 L’era del cinghiale bianco (Live 2003) 14 Cuccuruccuccu (Live 2003) 15 Centro di gravità permanente (Live 2003) 16 Auto Da Fè (Live) 17 Voglio vederti danzare (Live) CD 2 1 Insieme a te non ci sto più 2 Perduto amore 3 Il cielo in una stanza 4 Se mai 5 Ritornerai 6 Col tempo sai 7 Impressioni di settembre 8 Le tue radici 9 Hey Joe 10 Se tu sapessi 11 Sigillata con un bacio (Sealed with a Kiss) (Italian Version) 12 Come un sigillo con Alice 13 Beim schlafengehen 14 La Mer con Manlio Sgalambro CD 3 1 Prologo 2 Running Against The Grain 3 Bist Du Bei Mir 4 La quiete dopo un addio 5 Personalità Empirica 6 Il cammino interminabile 7 Lontananze D’Azzurro 8 Sarcofagia 9 Scherzo in minore 10 Il Potere Del Canto 11 Tra sesso e castità 12 Le aquile non volano a stormi 13 Ermeneutica 14 Fortezza Bastiani 15 Odore di polvere da sparo 16 I’m that 17 Conforto alla vita 18 23 coppie di cromosomi 19 Apparenza e realtà 20 La porta dello spavento supremo 21 L’incantesimo (Live 2003) CD 4 1 Beta 2 Plancton 3 Fetus 4 Fenomenologia 5 Meccanica 6 Aries 7 Aria di rivoluzione 8 Da oriente a occidente 9 No U Turn 10 Propiedad Prohibida 11 Cafè Table Musik
Impresa ardua rimettere mano a un capolavoro, soprattutto quando a crearlo è uno dei cantautori più raffinati del panorama italiano. Un’impresa che non sembra però aver intimorito Fabio Cinti, che ad aprile pubblicherà una personale rivisitazione de La voce del padrone, l’album-capolavoro di Franco Battiato del 1981. Un disco entrato a tutti gli effetti tra le pagine indelebili della musica italiana con brani come Bandiera bianca, Cuccurucucù e Centro di gravità permanente.
Cinti, che negli anni ha avuto in più occasioni l’opportunità di collaborare con Battiato, ne proporrà una rilettura per sei strumenti (quartetto d’archi, pianoforte e voce), un “adattamento gentile”, come lo definisce lui.
“Nel 1981 Franco Battiato aveva trentasei anni, Giusto Pio cinquantacinque. Affrontano quindi la produzione di uno degli album più importanti della storia della musica leggera – italiana e non solo – con una maturità e un bagaglio culturale e professionale non indifferenti. E questo, sezionando La voce del padrone per studiarlo ai fini di questo adattamento gentile, si sente. Ognuna delle sette canzoni è un concentrato di capacità di scrittura e di arrangiamento, la meta di un affinamento che è maturato nel corso della produzione dei dieci album precedenti (senza contare le canzoni degli esordi). L’assoluta novità del linguaggio dei testi e le relazioni tra melodia, armonia e ritmo, trovano finalmente una compiutezza formale nella totalità dell’album che lo renderà un riferimento costante e importante non solo nella produzione futura di Battiato stesso, ma di gran parte del cantautorato pop e meno pop. La voce del padrone è una scuola, una grammatica assoluta le cui regole sono perfettamente riconoscibili quando applicate alla composizione o all’arrangiamento di un brano. Attorno al motore quasi sempre pulsante della sezione ritmica e alle ormai famosissime melodie, sono architettati in modo molto sapiente gli arrangiamenti di archi, di sintetizzatori, di chitarre e cori. Ed è proprio da questi ultimi che ho deciso di partire per realizzare il mio adattamento, senza rinunciare però neanche alle figure ritmiche della batteria o alle celebri sequenze. Attraverso un ascolto specifico, una sorta di ricerca, ho trovato quella che dal mio punto di vista è la chiave che apre alla tipica percezione emotiva che si ha quando si ascolta questo album: i contrappunti che alcuni sintetizzatori tessono attorno alla voce, le melodie che si sviluppano sotto i temi, l’interpretazione precisa del cantato su alcune poliritmie, le armonizzazioni, le strutture stesse delle canzoni che spesso, pur completamente al servizio della lunghezza del verso e quindi asimmetriche, risultano di facile comprensione. Assegnando queste parti ai sei strumenti che ho scelto per l’adattamento – il quartetto d’archi, il pianoforte e la voce -, distribuendo i timbri e cercando di riprodurre quella tipica sensazione ritmica anche in assenza di strumenti che la marcano, risaltano melodie sorprendenti che nelle versioni originali sono al servizio di quell’emotività di cui parlavo e che qui, invece, di tanto in tanto, hanno un posto di maggior rilievo. Non ho mai avuto nessun interesse nell’eseguire una versione o produrre una cover, di questo album – né di nessun altro album di Battiato -, perché affronto quelle composizioni come si trattasse di musica classica: si possono e si devono eseguire le parti, anche con altri strumenti, senza modificarne la scrittura. Questa è la scelta che ho fatto e da qui le regole che mi sono imposto. Infine, ho affidato la realizzazione della copertina e del progetto grafico a Lorenzo Palmeri che, in merito, dice: «Lavorare alla copertina de La Voce del Padrone, per altro una delle mie copertine preferite di sempre e ovunque, è ad un tempo un onore e una sfida impossibile. L’impianto grafico di Francesco Messina, la bellissima foto di Roberto Masotti sono per me inscindibili dal contenuto del disco che ha cambiato il corso della musica italiana. Ho fatto un timido tentativo di ripensarla da capo, ma ogni via risultava al mio sguardo inadeguata, fuori posto, quasi blasfema, sbagliata. Da questi pensieri è scaturita l’idea della citazione linguistica, di un omaggio all’eccellenza giocato ironicamente sulla scomposizione, sulla presenza e sull’assenza, sullo spostamento, cercando di rispettare e rinnovare la volontà di sorpresa, il piccolo shock che toccò il cuore degli italiani. Come recita il sottotitolo del disco, “un adattamento gentile”.» Il Maestro Franco Battiato ha tracciato un arco indelebile, quasi visibile, che parte dal feto sulla copertina di Fetus e arriva allo spavento dell’attraversamento del Bardo, dove si apprestano a liberarsi le nostre anime. La voce del padrone, per vicinanza temporale tra la mia età di oggi e la sua di allora e per una curiosa coincidenza numerica (’81 – ’18) è l’album che segna anche la mia esistenza in quell’arco“.
Inoltre, il 3 aprile su Musicraiser avrà inizio la campagna di crowdfunding a sostegno del tour di Fabio Cinti, mentre è già fissato l’appuntamento dal vivo il 16 giugno a Milano, presso la Palazzina Liberty.
Se dovesse scegliere un’ambientazione per il suo nuovo lavoro, Roberta Giallo sceglierebbe un Medioevo post-atomico, oscuro, con una sola piccola luce come guida. Non ha caso, il titolo dell’album è L’oscurità di Guillaume.
Ma non lasciatevi ingannare: nessun riferimento all’anarchico svizzero James Guillaume. Al centro dei brani c’è una storia d’amore, vissuta però non con curve e luce con cui di solito si racconta questo sentimento, quanto piuttosto passando attraverso spigoli e buio. Un disco che è anche la porta per entrare in un vero e proprio mondo di musica e immagini, in cui Roberta, artista bolognese molto più che cantautrice, si è ritagliata spazi perfettamente su misura, senza confini di generi e con un ringraziamento molto speciale da fare.
Vorrei partire chiedendoti qualcosa sul titolo dell’album, che mi ha incuriosito molto. L’Oscurità Di Guillaume è un titolo oscuro e misterioso, proprio come la storia che racconta. Protagonisti di questa strana storia, che tra l’altro ho vissuto anni fa, siamo io e Guillaume, un ragazzo francese che ho incontrato un giorno a Bologna e con cui è partita un’intensa e singolare corrispondenza via web, che si è poi evoluta in un amore dal finale inaspettato e, ahimè, non lieto. Musicalmente il disco è molto variegato, con spunti ricercati: come ci hai lavorato? Sono partita dall’essenziale. La mia voce e il pianoforte, per rispettare al massimo la genesi delle canzoni, tutte ispirate, tutte intime, nate nella mia camera, nel “piccolo”. Mauro Malavasi, noto arrangiatore che ha fatto la storia della musica italiana, ha prodotto l’album e con gli arrangiamenti ha voluto abbracciare questa filosofia dell’essenziale, del non superfluo, del ricercato appunto. Per lui la storia da raccontare e le canzoni erano già importanti e dense, bisognava vestirle con rispetto, estrema cura e parsimonia di elementi, solo così accade la magia.
Tema centrale dell’album è l’amore, dipinto però con tonalità un po’ tormentate. Prima dicevi di esserti ispirata a un’esperienza personale: oggi nell’amore ci credi ancora? E’ una storia personalissima che, vinta la timidezza, ho deciso di racchiudere in un disco, come una specie di scrigno-libro, con anche nascosti alcuni segreti, che forse un giorno svelerò. Un disco nato probabilmente dal dolore e dalle lacrime, che hanno trovato il modo di germogliare. Cosa ha rappresentato nella tua vita Lucio Dalla? L’incontro artistico più folgorante e fortunato che abbia mai fatto! Una specie di anno Zero nella mia vita. E’ l’artista al quale mi sento in assoluto più vicino, un po’ per affinità elettiva, un po’ per simpatia. Lucio è Lucio, inimitabile, irripetibile, un mago che gioca con tutti i colori: è folle, serio, leggero, irriverente, un alchimista.Da lui ho imparato che potevo dare sfogo alla mia anima cangiante con naturalezza, e senza curarmi troppo degli altri. Quando seppi che voleva conoscermi, e mi disse che voleva entrare nel progetto e coinvolgermi in alcuni progetti suoi, non potevo crederci e, soprattutto, non potevo non dedicargli questo album! Grazie Lucio per tutto quello che mi hai regalato e che siamo riusciti a realizzare insieme!
Ci sono altri artisti che ti hanno particolarmente influenzata? Non saprei. E dico non saprei, perché tutto ciò che per me è bello probabilmente mi influenza. E fare un elenco è impossibile. Posso citarne alcuni, oltre a Lucio naturalmente: Beatles, Edith Piaf, Battiato… Interessante anche la tua immagine e il tuo look: a cosa ti ispiri? Non lo so, alle forme della natura e ai fumetti. A volte mi scambiano per un cartoon giapponese o per Betty Boop! Oltre che cantautrice, sei performer teatrale, pittrice e scrittrice. C’è un ambito artistico che ti incuriosisce e che non hai ancora esplorato? Il cinema. Vedremo… Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concerto di ribellione? La ribellione è la profonda consapevolezza di te stesso che ti porta a trovare il modo più giusto per combattere ciò che non ti va, ma con i tuoi mezzi, con le tue misure, con la tua testa! Diventare se stessi in un mondo che ci vuole omologati e spersonalizzati, è la più grande forma di ribellione, per me, oggi.