Timbuktu, il viaggio folk e onirico di Fabrizio Cammarata

“In un certo senso, mi piace l’idea di tirare l’ascoltatore fuori dalla sua “comfort zone”, verso un luogo in cui è costretto a rapportarsi senza difese con i suoi sentimenti più nascosti (i più belli ma anche i più “pericolosi”). Mi piace che questo accade in quel momento in cui io evoco con tutta la forza i miei di sentimenti, sul palco o attraverso una registrazione. Le mie canzoni non vogliono essere compagne di una serata comoda al calduccio di un camino, semmai devono fare ridere e piangere, senza controllo, in una sorta di rito collettivo di purificazione. È quello che ho imparato da Chavela Vargas e che provo a fare anche io.”

Fabrizio Cammarata parla così di Timbuktu, il suo nuovo singolo: un racconto folk in cui l’amore si intreccia al fascino di una città lontana a e quasi mitologica
Il brano anticipa l’uscita dell’album Lights, prevista per il 29 marzo 2019.

Il 30 novembre uscirà inoltre la deluxe version di Of Shadows, l’album pubblicato lo scorso anno, che conterrà materiale esclusivo, tra cui versioni acustiche e live recordings.

Il ritorno dei Dead Can Dance con Dionysus. A maggio due date live in Italia

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I Dead Can Dance annunciano l’attesissimo ritorno con il nuovo album Dionysus, in uscita il 2 novembre su [PIAS] Recordings.

Sin dalla nascita nel 1981, il duo australiano formato da Brendan Perry e Lisa Gerrard è sempre stato affascinato dalle tradizioni folk europee, non solo dal punto di vista musicale, ma anche da quello secolare, religioso e spirituale. Prendendo ispirazione da ciò, Brendan Perry esplora le feste del raccolto e della primavera tipiche della tradizione religiosa legata a Dioniso, un viaggio che porta alla luce le cerimonie e i riti che vengono praticati ancora oggi.

Durante questi due anni di lavorazione, Perry ha accumulato una gamma di strumentazioni folk, ispirandosi alle tradizioni di tutto il mondo.
I brani del nuovo album si sviluppano meno come canzoni e più come frammenti di un insieme compatto. Dionysus segue un sentiero familiare, utilizzando la tecnica del field recording (registrazione sonora prodotta al di fuori di uno studio di registrazione) e registrando così cantilene, alveari neozelandesi, il cinguettio degli uccelli latinoamericani e i caprai svizzeri.
L’obiettivo nella mente di Perry non è solo quello di evocare le atmosfere e i riferimenti simbolici, ma è anche quello di dimostrare che la musica può essere trovata ovunque, in una forma o nell’altra.

L’album comprende due atti attraverso sette movimenti che rappresentano le diverse sfaccettature del mito di Dioniso e del suo culto, e assume la forma musicale di un oratorio nello stile cinquecentesco. Le voci utilizzate in questi movimenti rappresentano alcune comunità in festa che cantano e il loro scopo è quello di trasmettere emozioni oltre ai confini del linguaggio stesso.
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Nonostante l’album prenda ispirazione principalmente dalla storia di Dioniso, la copertina richiama le maschere fatte dagli Huichol, una popolazione della Sierra Madre in Messico, famosa per le perline e per i quadri di filato, ma anche per i riti sacri con il peyote, utilizzato per guarire ed per espandere la mente.
Questo è il cuore di Dionysus, una celebrazione dell’umanità che lavora fianco a fianco con la natura con rispetto e riconoscenza.

ACT I: Sea Borne – Liberator of Minds – Dance of the Bacchantes
ACT II: The Mountain – The Invocation – The Forest – Psychopomp

Inoltre, i Dead Can Dance partiranno per un tour europeo tra maggio e giugno 2019 e passeranno per l’Italia per due appuntamenti live il 26 e il 27 maggio a Teatro Degli Arcimboldi di Milano.

BITS-CHAT: Elogio della lentezza. Quattro chiacchiere con… i Secondamarea

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Chi si ferma è perduto, recita la saggezza popolare, che insegna anche però che la fretta è una cattiva consigliera. Forse la giusta soluzione sta come sempre nel mezzo, ed è quella di rallentare: godersi il viaggio, gustarsi il panorama, raccogliere i dettagli.
Una filosofia di vita che i Secondamarea hanno fatto propria già da tempo e che hanno trasferito in Slow, il loro nuovo disco di inediti, un concept album dedicato appunto alla lentezza e ai suoi vantaggi. Coppia nella vita oltre che nella musica, Ilaria Becchino e Andrea Biscaro ormai da 12 anni hanno preferito lasciare Milano per trasferirsi nei più selvaggi scenari dell’isola del Giglio, dove è nato anche l’album. Ma sarebbe un errore affrettarsi subito a una facile conclusione: nessun inferno metropolitano contrapposto a un paradiso incontaminato. Perché anche negli angoli di Milano si può trovare la lentezza, magari sotto forma di farfalla.

Slow, un titolo di un disco, ma forse, e soprattutto, anche un manifesto di intenti…
Andrea: Sì, è un vero e proprio manifesto, il titolo di un concept album che è anche un modo di vivere, il nostro, un invito che auspichiamo possano accogliere anche gli altri: rallentare, guardarsi intorno, prendersi tempo.

Un modo di vivere che avete sempre avuto o che avete iniziato a seguire da un certo momento in poi?
Ilaria: Non c’è stata una vera rivoluzione nel nostro modo di vivere: sicuramente stabilirci sull’isola del Giglio ci ha aiutato, perché ci permette di stare a contatto con una natura più incontaminata, possiamo osservare il mare, guardare quello che porta a riva la marea, ma questa indole selvaggia, il desiderio di vivere seguendo i ritmi della natura, tra gli animali, era già dentro di noi. Già da prima di decidere di trasferirci sull’isola, anche quando stavamo a Milano: in città ci sono i parchi e gli angoli della metropoli offrono dei bellissimi scorci. Qualche anno fa in Sempione avevo visto una farfalla particolarissima, rossa e viola, che non sono più riuscita a trovare.

A Milano, la città più caotica e frenetica per eccellenza?
Ilaria: Eppure ci sono un sacco di luoghi molto vicini al cuore, luoghi che offrono occasioni di sconfinamento. Se si vuole, anche a Milano si può cogliere il silenzio.
Andrea: Se ci fai caso, Milano ha una fortissima dimensione umana. Abbiamo imparato a misurarla a passi, perché sull’isola ci spostiamo a piedi, e quando torniamo qui percorrere la città a piedi è come attraversare un paese.
Ilaria: Milano è come un insieme di tanti paesi, ognuno con la propria vita: i Navigli, Isola, Lambrate.

Per quanto anch’io riesca a vedere la magia nella città di Milano, quello che state offrendo è un ritratto un po’ inedito della città.
Andrea: In realtà non ci piace molto il luogo comune che vuole Milano come centro della frenesia, perché quella c’è ovunque, anche al Giglio. Non vogliamo contrapporre l’inferno al paradiso, perché tutti i luoghi sono potenzialmente dei paradisi, sta a noi riuscire a vederli in un certo modo.
Ilaria: Anche quando si dice che Milano è grigia si dice una grande bugia, qui ci sono degli azzurri bellissimi.

E allora perché la scelta di trasferirvi sull’isola del Giglio?
Ilaria: Ci siamo conosciuti là e abbiamo voluto vedere cosa riservava quel luogo oltre al mese di vacanza, osservarlo nell’intero ciclo delle stagioni. A volte ci chiedono come abbiamo fatto a abituarci, visto che lì non c’è niente, ma in realtà c’è tutto quello di possiamo aver bisogno.
Andrea: È sicuramente un luogo molto energetico, ma la verità è che ogni persona porta il mondo dentro di sé, dobbiamo imparare a coltivarlo per poterlo ritrovare anche all’esterno.

Contrariamente al titolo del disco, le canzoni sono nate però abbastanza in fretta.
Andrea: Sì, sono tutti brani che ci assomigliano molto e che probabilmente ci portavamo dentro da molto tempo, forse è per questo che poi la realizzazione dell’album è stata piuttosto rapida.
Ilaria: E poi c’è anche da dire che la velocità non è sempre in opposizione alla lentezza. Quando vado a fare un giro in bici posso anche andare veloce, ma se mi lascio andare al momento che sto vivendo sto in realtà rallentando. La velocità può in qualche modo essere lenta.

Quindi quale potrebbe essere una buona definizione di lentezza?
Ilaria: Assecondare il tempo che c’è, non invadere la realtà, ma lasciarsi invadere.
Andrea: È un fatto di sensazione, non di velocità.
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Il disco si apre con C’hanno rubato l’inverno, un brano sui cambiamenti climatici. Un fenomeno sotto gli occhi di tutti, anche se uno degli uomini più potenti della Terra, Donald Trump, si ostina a negarlo. Come pensate sia possibile?
Andrea: È più facile credere a una falsa ideologia che alla realtà, perché si ha paura di perdere privilegi che derivano dallo sfruttamento delle energie del pianeta. Dal Dopoguerra è così, e sarebbe un paradosso se i potenti del mondo si mettessero a far guerra per quello in cui crediamo noi, se fossero cioè disposti a rallentare, a perdere dei privilegi.
Ilaria: Non si ha più voglia di attendere, non si vogliono più aspettare i tempi delle stagioni, rispettare i tempi della natura. Non ci si rende conto che il vero benessere non sta nella quantità, ma nella qualità.
Andrea: E negare che sia in atto un cambiamento climatico è l’unico modo che un politico ha per portare avanti le sue idee, solo così può legittimarsi agli occhi della gente, con il sorriso.

In Pellegrinaggio invece citate Byron.
Andrea: Amiamo molto la poesia, e questo testo in particolare ci piaceva perché descriveva un pellegrinaggio intimo, un modo di errare, e quindi anche di sbagliare, vagabondare.
Ilaria: Un modo di fare pellegrinaggio per portarsi sulla strada giusta.

Nel mondo di oggi, la possibilità di sbagliare e di adottare la lentezza come stile di vita è un lusso per pochi o tutti possono ancora permetterseli?
Andrea: L’errore è il primo inciampo per conoscere, e quindi anche per evolversi, mentre oggi non ci si vuole più evolvere, si preferisce fermarsi al dato di fatto: “noi siamo questo”, e da lì non ci si vuole spostare. Però mi auguro che sbagliare possa essere ancora una possibilità per tutti.

Con quali riferimenti artistici siete cresciuti?
Andrea: Ce ne sono talmente tanti… sarebbe una vera enciclopedia citarli tutti.
Ilaria: Si sono stratificati nel tempo, e ormai è difficile riconoscerli.
Andrea: Negli ultimi periodi abbiamo ascoltato un disco bellissimo di Josh Tillman, e tra gli ascolti recenti potrei citare The National, Glen Hansard, che amiamo molto anche con The Frames.
Ilaria: Poi ripeschiamo molto anche dal passato, per esempio Joni Mitchell, e spesso le influenze non sono neanche dirette, ma ci arrivano dal cinema o dall’ambiente stesso.

L’album si avvale della presenza di musicisti prestigiosi, da Leziero Recigno a Lucio Enrico Fasino, Raffaele Kohler: come li avete coinvolti?
Andrea: Li conoscevamo già, ma il meriti di averli coinvolti nel disco è del nostro produttore, Paolo Iafelice, che è riuscito a ricreare il mood adatto alla nostra musica.
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Pensate che la rivoluzione digitale sia stata dannosa per la musica?
Ilaria: Su di noi non ha avuto molto effetto, perché siamo due persone che ascoltano ancora i dischi e amano andare a cercarli in giro, però è un processo che ha indubbiamente accelerato i tempi, ed è paradossale che la velocità entri nel processo di ascolto e di ricerca della musica.
Andrea: Si elimina il gusto della ricerca, si ha a disposizione tutto e subito, e questo non permette di farsi le ossa con una cultura musicale approfondita, manca il sedimento. Torna un po’ il tema della lentezza. Mi ricordo che quando andavo nei negozi a cercare i dischi di De Andrè, a volte non c’erano e il negoziante doveva ordinarli, per cui dovevo aspettare per averli: anche questo è un modo in cui si crea affezione verso un artista.

Secondamarea: da dove arriva questo nome?
Ilaria: Da molto lontano (ride, ndr). La marea fa emergere cose, sensazioni, ed è un’immagine che ci piace, ed è la “seconda” perché i primi non piacciono.
Andrea: Poi ha anche un bel suono!

Per concludere, una domanda di rito di BitsRebel: che significato date al concetto di ribellione?
Passano alcuni secondi di riflessione.
Andrea: Penso che dipenda molto dal contesto e dal momento storico, ma oggi la ribellione è fare un disco come Slow. Ogni artista dovrebbe potersi esprimere in totale libertà.

#MUSICANUOVA: Eagle-Eye Cherry, Streets Of You

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Dopo tre album, un tour mondiale e la partecipazione ai più importanti show televisivi del mondo , ad Eagle-Eye Cherry serviva una pausa.
Da oggi però il ritiro è finito e il cantautore torna con un nuovissimo singolo Streets Of You, prima anticipazione dal nuovo album in uscita in autunno.

“Ricordo che stavo per saltare un concerto perché mi sentivo completamente esausto, ma dopo questa tentazione sono saltato su un Concorde a New York e l’ho portato a termine. Quando ero lì tuttavia, sul palco del Madison Square Garden, ho pensato: come potrei mai rinunciare a tutto questo? E’ durata poco perché subito dopo ho capito che avevo bisogno di fermarmi “.
A dargli nuovo spinta è stata la visita di Nashville e del leggendario studio Black Bird: tornato in Svezia, le idee hanno iniziato a prendere forma e, insieme a Ollie Olson , David Lindgren Zacharias e Anders Pettersson, ha creato Streets Of You: “La canzone parla della rottura di un rapporto, di come si cerchi di andare avanti, ma i ricordi di questa persona sono ovunque e qualunque strada tu percorra continui a ricordarti della tua precedente relazione. È qualcosa in cui tutti possono identificarsi”.

BITS-RECE: Wrongonyou, [Re]Birth. Elettrofolk per cuori leggeri

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
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Wrongonyou, ovvero Marco Zitelli, è un ragazzone romano classe 1990. Dopo i primi singoli rilasciati sul web alcuni anni fa e una rispettabile attività live in Italia e all’estero, è arrivato adesso al grande debutto discografico con [Re]Birth. Un disco in certo senso doppio, perché se da un lato raccoglie una manciata di nuovi brani, realizzati sotto la supervisione di Michele Canova, dall’altro riprende i singoli degli anni precedenti, i brani che più di tutti hanno segnato i primi momenti del suo percorso.
Birth e [Re]Birth, nascita e rinascita, appunto.

Innamorato tanto del folk quanto dell’elettronica, un po’ come Bon Iver, Wrongonyou li ha uniti per crearsi un proprio territorio sonoro, fatto di suggestioni gentili, dettagli sussurrati, colori crepuscolari, un immaginario carico di elementi della natura e riflessioni solitarie e intime. 
Valga per tutti l’esempio di un brano come Son Of Winter, emozionante confessione di padre sul letto di morte, con il grande rimpianto di non aver vissuto abbastanza a fondo. 
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Se sulla copertina Wrongonyou – anzi, sarebbe forse meglio dire Marco – ci appare protetto dall’abbraccio di un grande orso disegnato in bianco, la sensazione che abbiamo ascoltando le sue canzoni è proprio quella di trovarci davanti a un artista che ci mette a nudo il suo cuore e vola in alto, leggerissimo.

#MUSICANUOVA: Enzo Avitabile, Tutt’ Egual Song’ ‘E Criature (Emotional Remix)

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A volte mondi musicali lontanissimi entrano nella stessa orbita, dando vita a incontri speciali.
Tutt’ egual song’ ‘e criature
è un classico del maestro della world music napoletana Enzo Avitabile: un manifesto contro la guerra con uno sguardo sui bambini, che di quelle tragedie sono spesso vittime.

Un giorno la canzone è capitata per caso alle orecchie di Emotional, giovane producer milanese, che ne ha realizzato una personale versione house.

#MUSICANUOVA: Marlon, I’m Still Breathing

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“I’m still breathing
è il brano più profondo che abbia scritto fino ad ora. E’ un grido d’aiuto, un piccolo pezzo del mio cuore. Quando ho scritto questo brano mi sentivo come se fossi sepolto vivo, per questo ho scelto come titolo I’m still breathing, perché nonostante quella sensazione di oppressione sono vivo e sto ancora respirando”.

I’m still breathing è il nuovo singolo di Marlon, band capitanata da Marlon Bergamini, giovane cantautore milanese.
Il brano, una ballad ispirata al folk americano, è il secondo di una serie di dodici singoli che usciranno nel 2018.

Il progetto Marlon nasce dall’incontro fra Marlon Bergamini e il produttore Larsen Premoli nella primavera 2017. La band è formata dal chitarrista Emanuele Nanti, il batterista Jody Brioschi e il bassista Andrea DominoniIl sound di stampo folk-blues statunitense è rivisto in una nuova chiave con soluzioni stilistiche che vanno dal southern-rock al vintage-blues, con intromissioni del pop-rock britannico, l’utilizzo di strumenti vintage e arrangiamenti vocali a quattro voci. 

#MUSICANUOVA: Fil Bo Riva, Head Sonata (Love Control)

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La storia discografica di Fil Bo Riva ha avuto inizio nel 2016 con la pubblicazione dell’EP If You’re Right It’s All Right, a cui sono seguiti mesi frenetici di musica e live sparsi qua e là per l’Europa.

D’altronde, lui le radici in un posto non è mai stato abituato a metterle. Nato a Roma 25 anni fa, Filippo Bonamici ha vissuto in un collegio maschile di frati in Irlanda, per poi spostarsi a Madrid e Berlino, dove ha capito che forse la sua strada ideale poteva essere quella della musica. L’incontro con Felix A. Remm e Robert Stephenson gli ha quindi permesso di fare il suo esordio con una manciata di brani tra rock, folk e blues, con un’anima grezza e viscerale.
La formula funziona, e il nome di Fil Bo Riva inizia a girare qua e là underground europeo.
Oggi, dopo un anno intenso e memorabile, Fil Bo Riva torna con un nuovo singolo, Head Sonata (Love Control), primo capitolo di un primo vero e proprio album: “Se l’EP era la fotografia di un’idea, quello che stiamo cercando di costruire con l’album è un vero film. È un processo fatto di accumulazione di istanti e sensazioni e, dato che tutti noi abbiamo il culto della forma dell’album, ci stiamo prendendo il tempo necessario per dargli la giusta forma”. 
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E a proposito del titolo, racconta: “Il titolo Head Sonata doveva essere solo provvisorio. Il pezzo è stato costruito intorno a un riff di chitarra suonato da Felix: quando lo sentii per la prima volta mi girò letteralmente la testa e pochi minuti dopo mi ero segnato questo titolo, di cui semplicemente mi piaceva il suono. Queste due parole riuscivano a tradurre l’idea della canzone, così come si era formata nella mia mente. Per qualche mese non ha avuto nemmeno un testo, poi a un certo punto mi è arrivato un lampo di ispirazione: ho scritto anche le parole e la canzone era finalmente realizzata”.
Questo autunno Fil Bo Riva e la sua band apriranno i concerti europei dei Milky Chance, compresa la data italiana del 3 dicembre al Fabrique di Milano, quindi torneranno a Berlino per finire le registrazioni del disco.

BITS-CHAT: Un treno in viaggio tra l’Irlanda e la "solitaritudine". Quattro chiacchiere con… Emanuele Dabbono

BITS-CHAT: Un treno in viaggio tra l’Irlanda e la “solitaritudine”. Quattro chiacchiere con… Emanuele Dabbono

Emanuele Dabbono - Totem3La storia dell’ultimo album di Emanuele Dabbono è iniziata nel 1997, esattamente vent’anni fa, e ha trovato la perfetta conclusione in soli tre giorni di registrazione in una chiesa sconsacrata di Arenzano, in Liguria.
È così che ha finalmente visto la luce Totem, un album nudo e acustico, dal forte sapore irish. Un fotografia nitida del suo autore, stampata idealmente su carta ruvida e artigianale.
In mezzo, tra il concepimento e la nascita del disco, tanti altri scatti: la morte del padre, un viaggio in Irlanda, la partecipazione alla prima edizione di X Factor, la paternità e da ultima la collaborazione con Tiziano Ferro, per il quale Dabbono ha firmato alcuni degli ultimi successi (tra gli altri, Incanto e Il conforto), come unico autore sotto contratto in esclusiva.
Dabbono, figlio del cantautorato americano e fedele al suo spirito indipendente e libero, non ha ceduto alle lusinghe di chi avrebbe voluto sporcare il progetto di Totem con l’elettronica per avvicinarlo al pubblico, ma lo lasciato così lo aveva immaginato sin dall’inizio, incontaminato, senza neanche un vero e proprio singolo da consegnare alle radio.
Perché tanto lui il suo successo lo ha già raggiunto, e ha trovato la sua dimensione ideale nella solitudine. Anzi, nella “solitaritudine“.
Perché Totem?
Nella cultura degli indiani d’America il totem è un simbolo sacro. Veniva messo all’ingresso dei villaggi e ogni disegno rappresentava qualcosa di importante per gli abitanti: la famiglia, gli affetti, i legami. Questo disco è il mio totem, perché dentro ci ho messo tutto quello che conta per me: ascoltarlo è un po’ come entrare nel mio villaggio, andateci piano, state maneggiando il mio cuore. È il disco che ho cercato a lungo, ma che ho anche tenuto nascosto.
È anche un disco che ha avuto una gestazione piuttosto lunga.
Il primo pezzo, Piano, è di vent’anni fa, anche se quasi non me ne rendo conto. Negli altri brani si sentono molto le influenze irlandesi perché per un periodo ho effettivamente vissuto in Irlanda dopo la morte di mio padre. Avevo bisogno di staccare da tutto, liberare la testa, e l’Irlanda mi è sembrato il posto adatto per questa sorta di “espiazione”: una volta arrivato, è successo che sono entrato in contatto con la musica di quei luoghi e anziché fermarmi una settimana sono rimasto qualche mese. La musica irlandese mi ha influenzato molto, sono entrato in sintonia con quell’ambiente, mi è piaciuto il contatto che si instaura con la gente girando per i locali. Tornato in Italia mi sentivo molto meglio, ma ho voluto tenere nascosta a lungo la consapevolezza che avevo acquisito, quasi come se fosse qualcosa di privato. È stato Tiziano (Ferro, ndr) a farmi capire che invece la mia forza stava proprio in quelle atmosfere, nelle tenerezza e nella dolcezza che riuscivo a tirar fuori con quella musica, non dovevo per forza fare rock. Da qui ho preso il coraggio per dar forma a questo album.
Questi suoni non sono esattamente quello che ci si aspetterebbe di sentire oggi da un cantautore…
Totem è un disco folle, e ne sono perfettamente consapevole: non c’è reggaeton, non c’è il featuring con qualche rapper, non c’è elettronica. Qualche major sarebbe anche stata disponibile a pubblicare il disco, ma avrei dovuto modificare un po’ il progetto, e non ho voluto. Quello che è venuto fuori è una fotografia nitidissima di me, in HD. Sono già contento che questo disco possa finalmente uscire: poterlo pubblicare è come ricevere il sesto disco di platino.
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A proposito di Piano, ho letto che è in qualche modo legata a John Denver.
L’ho scritta nel ’97, dopo la sua morte. L’idea però non era quella di fare un pezzo dedicato a lui, ma piuttosto riflettevo sul fatto che quelli che noi immaginiamo invincibili e destinati all’eternità se ne vanno. È stata una delle prime canzoni che ho scritto.
Gli altri pezzi quando sono nati?
Sono più recenti, dall’Irlanda in poi, diciamo dal 2006 ad oggi. L’ultima arrivata è Siberia, che ho scritto alcuni mesi fa. Anche in questo senso Totem è un disco fuori dalle regole: c’è un pezzo del ’97 e poi uno stacco di quasi dieci anni.

Che cos’è il “treno per il sud” che dà il titolo a un altro dei brani?
È un ritorno a casa, un ritorno indietro. Non so bene perché, ma il sud mi ha sempre dato l’idea di casa più del nord, forse perché il nord viene di solito associato a temperature fredde. Il viaggio per il sud mi dà anche l’idea di una discesa in profondità, un viaggio interiore.
Che valore ha il viaggio nella tua vita?
Il vero viaggio è nelle persone. Forse è un pensiero che altri hanno già espresso, ma sono pronto a confermarlo. Negli anni ho incontrato persone bellissime, spesso in maniera fortuita. Ti racconto un aneddoto: tempo fa ho trovato un sito web in cui si poteva ordinare un libro per bambini personalizzandolo in base al nome. Mia figlia si chiama Claudia, e per ogni lettera del suo nome gli autori hanno costruito la storia di una bambina che va alla ricerca di creature misteriose. Come dedica, hanno scritto: “Cara Claudia questo è un viaggio tra le meravigliose creature che incontrerai nella vita. Queste sono soltanto le prime”. Ecco, questa è una bellissima definizione di viaggio, un’esperienza tra le persone prima che tra i luoghi. Ovviamente, non trascuro nemmeno il viaggio vero, quello geografico, perché mio padre non ha avuto la possibilità di girare molto e io lo sto facendo anche per lui. Mi capita di sognare alcuni luoghi in cui non sono ancora stato, come l’Islanda o il Sud Africa.
La sensazione che si prova ascoltando questo disco è quella di un uomo in pace con se stesso. Cosa ti dà pace?
È difficile dire cosa mi dà davvero pace, dovrei pensarci un po’, però posso dirti cosa mi fa stare bene: riconoscermi negli altri, nella musica, nei film, nei libri. Hai presente quando hai la sensazione che qualcosa sia stato detto o cantato apposta per te? Quando ascolti una canzone e ti sembra che sia stata fatta solo pensando a te? Ecco, ho imparato che se a me quel momento procura un’emozione mentre non trasmette nulla a un’altra persona è perché in quel momento ci sono anch’io, sono parte anch’io di quell’emozione. E poi mi fa stare bene vedere il mondo: vorrei far imparare alle mie bambine a non aver paura, soprattutto in un momento delicato come quello che stiamo vivendo, con gli attentati all’ordine del giorno. Tutto è incontrollabile, crudele, ma il mondo è così bello che vale la pena rischiare. Pensiamo di avere sempre tempo per recuperare qualcosa che non abbiamo ancora fatto, ma non è così.
Secondo te il mondo di oggi lascia spazio alla gentilezza?
Se fosse una canzone, la gentilezza sarebbe sicuramente fuori dai primi duecento posti di iTunes. Però proprio perché è rara, quando la incontri brilla e la riconosci, ti migliora la giornata. Non è un fatto di educazione, ma è una scelta, un modo per entrare in empatia con gli altri senza giudicarli subito.
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Sulla copertina dell’album ti si vede da solo in un deserto e in Irene canti “sarà la solitudine a riportarci tutti a casa”. Che rapporto hai con la solitudine?
Nella lingua italiana la parola solitudine rimanda a qualcosa di negativo, di cupo, fa pensare a una persona ripiegata su se stessa. Io vorrei coniare un termine nuovo e preferisco parlare di “solitaritudine”, che invece è una figata! Sono un Capricorno, e ogni tanto ho bisogno dei miei momenti solitari, in cui sembra che non stia facendo niente. Un po’ come chi si isola per fumare è impegnato e si sta prendendo un piccolo spazio per sé. Io le mie sigarette invisibili me le fumo scrivendo o leggendo, o quando vado nel mio studio a lavorare, quasi come un artigiano. Sono da solo con le cose che amo: non sto lavorando, sto “privilegiando”, per usare il verbo in un significato nuovo. Questa è la “solitaritudine”. Ci riporta tutti a casa perché ci fa incontrare con noi stessi ed è l’unica occasione in cui possiamo fermarci a pensare a cosa abbiamo sbagliato e come avremmo potuto fare meglio.
Definisci Totem “una fotografia in HD di te stesso”: quindi i dischi precedenti non erano a fuoco?
Ho sempre messo tantissimo di me in tutto quello che ho fatto, ma non sempre il risultato era a fuoco, perché non sempre sono riuscito a tirar fuori il meglio. Non penso dipendesse da me o dalle scelte musicali che ho fatto, ma semplicemente dovevo capire qual era il mio modo migliore di esprimermi. Come dicevo prima, è stato Tiziano a farmi capire che per emozionare non dovevo per forza strafare o sfoderare tutte le ottave della mia ugola: il culto dell’acuto è tipicamente italiano, ma l’emozione arriva anche se canti a mezza voce. È una consapevolezza a cui sono arrivato dopo molto tempo.

Con Tiziano Ferro la collaborazione continuerà?
Non posso dire molto. Ho da poco rinnovato il mio contratto con lui per altri tre anni e stiamo lavorando a tanti bei progetti.
Di solito concludo le interviste chiedendo di darmi una definizione di ribellione, ma a questa domanda avevi già risposto in un’intervista precedente. Ti chiedo allora di scegliere una di queste parole e di spiegarmi che significato ha per te: ambizione, resistenza, silenzio, indipendenza, successo.
Vorrei darti la mia definizione di successo, che non ha niente a che vedere i numeri, i riconoscimenti o il consenso. Questa è una forma moderna di successo, ma per me il successo è la realizzazione di un’idea, piccola o grande. Il successo è la felicità che ti arriva da quel risultato. È il sogno di diventare padre, ritrovarti tra le mani tua figlia appena nata e pensare “questo è un incanto”. Poi prendere il telefono e trasformare quel momento in una canzone, Incanto, appunto. Il successo è la chiusura di un cerchio, e in questo senso nella mia vita non ho avuto sempre il successo che speravo: ho commesso errori, ho iniziato cose che non ho portato a termine, come l’Università, però credo che quando riesci a concludere la parabola del cerchio puoi anche trovare il consenso degli altri, ed è lì che la mia idea di successo si incontra con l’altra, quando non hai nessun tipo di smania. Ma prima di tutto, è qualcosa che devi fare per te, perché troverai sempre chi non sarà d’accordo o non saprà apprezzare. E se non sai parare il colpo è dura, la sensibilità è un’arma a triplo taglio.