#MUSICANUOVA: Florence & The Machine, Hunger

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“Questa canzone racconta dei modi in cui cerchiamo l’amore in posti dove probabilmente non dovremmo farlo e di come cercare di sentirci meno soli a volte ci far sentire ancora più isolati. Credo di essermi messa più a nudo ed essermi resa più vulnerabile in questa canzone per incoraggiare i rapporti, perché forse ci sono molte più persone che si sentono in questo modo di quello che vogliamo ammettere”.

Hunger è il singolo che segna il ritorno di Florence & The Machine, anticipazione di High As Hope, il nuovo album in uscita il prossimo 29 giugno.
Un brano che va a scavare nel contrasto tra odio e amore e che manifesta l’equilibrio tra l’intimità e la nuova accettazione raggiunta da Florence Welch, che per la prima volta lavora alla sua musica anche in veste di coprodruttrice.

I lavori del nuovo album sono partiti dal sud di Londra, per poi proseguire a Los Angeles e finire davanti allo skyline di New York, che ha fatto da ispirazione per il titolo.
High As Hope si annuncia come un album che mischia alto e basso, da un esplicito tributo a Patti Smith a qualcosa di nascosto tra i testi, per racchiudere “gioia e rabbia”, ma con la gioia che probabilmente trionfa alla fine: “è sempre un work in progress, non c’è mai qualcosa di definitivo. Questo album però sembra davvero essere la pura espressione di chi sono io ora, come artista, con onestà, Sono semplicemente più a mio agio ora con chi sono”.
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Questa la tracklist:
June
Hunger
South London Forever
Big God
Sky Full of Song
Grace
Patricia
100 Years
The End of Love
No Choir

BITS-RECE: Lady Gaga, Joanne. Se la verità sta sotto un cappello rosa

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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Quando ci affezioniamo a un artista, esattamente come succede nella vita con gli amori e le amicizie, non lo facciamo per scelta, ma perché nasce tra noi e il nostro idolo un’invisibile alchimia data da una speciale affinità di intenti e di spirito. Vuoi che sia la sua musica, i messaggi delle sue canzoni, il timbro della sua voce, il suo aspetto o più probabilmente un miscuglio di tutto questo più un ingrediente misterioso, quando prendiamo in simpatia un artista e ne diventiamo “fan” sappiamo di poterci fidare anche ad occhi chiusi e giuriamo a noi stessi di seguirlo ovunque andrà. Come in amore. Capita poi a volte che, per ragioni che probabilmente solo il nostro idolo conosce, lui/lei decida di cambiare strada, imboccare sentieri nuovi, diversi, talvolta molto diversi, da quelli a cui ci aveva abituati: a quel punto che si fa? Gli si va dietro o ci si ferma a riflettere se ne valga la pena?

Un po’ come quando si rivede un carissimo amico dopo un certo tempo e lo si ritrova profondamente cambiato: siamo noi a non averlo mai conosciuto davvero o è lui a porsi ora in una maniera nuova? La sensazione non può che essere di straniante spaesamento.

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Ecco, esattamente questo è ciò che provato ascoltando per la prima volta Joanne: quasi un senso di disagio, come se in quello che stavo sentendo mancasse qualcosa. Le canzoni mi “parlavano”, ma io non capivo, anche se a cantare era Lady Gaga, proprio quella di cui – musicalmente parlando – negli ultimi anni mi sono fidato di più. Perché sì, io di Lady Gaga posso tranquillamente dire di essere fan, pur non avendo mai messo in pratica certe follie che si sentono dire a volte di certi invasati. Sono un suo fan perché seguo tutto quello che fa, perché trovo in lei un punto sicuro, la sento un po’ mia, sento mie molte delle sue canzoni, perché sento che parlano la mia “lingua”. Adesso però, senza neanche avvisare con troppo anticipo, succede che Stefani toglie di mezzo tutti i ghirigori che aveva usato fino a qualche giorno fa e pubblica un album lontanissimo da ciò che è sempre stata. Così lontano, che se non ci fosse il suo profilo in copertina e la voce nei brani non avesse il suo timbro, si crederebbe tranquillamente che sia il disco di qualcun altro. 

Non saprei dire di che genere sia Joanne: non pop, ovviamente non dance, forse a sprazzi rock, e tanto country. Ma voi capite che non è semplice dire che Lady Gaga ha fatto in disco country… Non un disco di pop addobbato di country, ma proprio un album di country e pochi altri accessori addosso! Niente elettropop, niente elettronica in generale, se non forse in Perfect Illusion, che è però il brano musicalmente più distante dal resto: c’è tanta roba acustica, tante chitarre grezze, percussioni nude, bassi secchi e vibranti, ed è davvero, ma davvero difficile capire che si tratta della stessa cantante che nel 2008 esordì con Just Dance e poi fece ballare l’intero globo con Poker Face e Bad Romance

Dopo il rodaggio dei primi singoli, quando uscì The Fame Monster, Lady Gaga sembrava aver aperto una nuova epoca del pop femminile, un pop fatto di schiaffi diretti al pubblico, un pop immerso in un immaginario non per forza luminoso, sorridente e bello, un pop che assimilava elementi che non gli appartenevano e li riproponeva in una nuova, affascinante veste.

Con Joanne tutta questa impalcatura non c’è più: Lady Gaga recupera il country, per giunta nella sua dimensione più intima e nostalgica, e per farlo si è affidata alla produzione del tanto osannato Mark Ronson. Canzoni come la stessa Joanne, Million Reasons, Angel Down e Grigio Girls sembrano uscire dai bauli di qualche sperduta casa nella prateria, dove il vento soffia forte e il cielo è spesso coperto.

Ovviamente non so perché Lady Gaga abbia deciso di muoversi in quella direzione, ma quel che è certo è che – almeno per ora – si è staccata dalla masnada pop delle colleghe e si è rintanata in un cantuccio in disparte.

Probabilmente l’album venderà molto meno dei precedenti, e l’impressione è che sia lei che i suoi discografici ne siano perfettamente consci, eppure questa volta Lady Gaga ha deciso di prendere a schiaffi il pop stesso. Lei che se n’è nutrita in abbondanza, adesso lo mette da parte e si dedica ad altro, sapendolo fare, va detto, perché resta il fatto che questa ragazza ha dalla sua parte un talento che la fa arrivare dove molti altri possono solo immaginare.

Più che giusto domandarsi allora quale fosse la vera Gaga, se quella vestita di fettine di manzo o questa con il cappellone rosa da cowgirl, se quella del pop pestatissimo o questa a cui basta imbracciare una chitarra. Abbiamo sempre capito male noi o è stata lei a farci illudere?

E se da una parte parlo di illusione è perché dall’altra c’è delusione. Delusione per non aver ritrovato l’artista che da fan credevo di conoscere, delusione per non aver ritrovato la musica che volevo ascoltare. Perfect Illusion aveva fatto accendere il campanello d’allarme, adesso Joanne fa scattare la sirena.

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Ma al di là di tutte queste belle chiacchiere, com’è questo benedetto disco? Più bello di come lo pensavo e più brutto di come avrebbe dovuto essere.

La prima metà dell’album la si può tranquillamente tralasciare, ad eccezione della già citata Joanne, una ballata dal testo toccante dedicato alla zia paterna morta di lupus in giovane età: la situazione cambia e si risolleva con sollievo a partire da Million Reasons. Da lì le acque si smuovono e arrivano un po’ di stimoli interessanti, come Sinner’s Prayer e il suo giro di chitarra nerboruto. E poi, dicevo, Angel Down e soprattutto Grigio Girls, a cui senza esitazione consegno la medaglia d’oro. Un pezzo in cui sventola più alta che mai la bandiera del blue mood e che rischia seriamente di spingere fuori qualche lacrima (e poi c’è quel riferimento non troppo velato alle Spice… Colpo basso!). Perché sia finito solo nella deluxe edition, quando merita assolutamente il più ampio ascolto possibile, resta un altro mistero di questo album…

Peccato un po’ per Hey Girl, in duetto con Florence Welch, che si perde senza mordere come avrebbe dovuto.

Prima di ascoltare Joanne dimenticate tutto quello che sapevate (o pensavate di sapere) su Lady Gaga e prendete questo disco come il grande salto di una cantante che non ci ha pensato troppo ad azzardare. Qui dentro Lady Gaga non c’è. C’è una brava artista americana che ha stoffa da vendere, e la vende a chi vuole e come vuole, anche se ci fa corrucciare un po’ troppo la fronte. Se amate il country, forse amerete Joanne, se non lo amate ci dovrete sbattere violentemente il naso contro, ma potreste anche trovarci qualcosa di buono.

Insomma, per farci un bel bagno colorato nel pop, pare che dovremo aspettare il prossimo album di Katy Perry. Sempre che anche lei non abbia intenzione di indossare un cappello rosa.