BITS-CHART: Le 30 canzoni del 2017 secondo BitsRebel

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Eccole qua, le magnifiche 30 del 2017.
Arrivati a fine anno, fare un bilancio musicale degli ultimi 365 giorni resta un gioco divertente e spietato, a cui anche stavolta non ho voluto sottrarmi nonostante qualche difficoltà. Ovviamente, si tratta di una selezione parziale e soggettiva: questa non è la classifica di vendita o degli streaming registrati o delle visualizzazioni dei video, ma semplicemente la classifica di BitsRebel, stilata con gusto e giudizio totalmente personali.
30 canzoni scelte e ordinate tra quelle pubblicate durante l’anno, tra mainstream e panorama indipendente, nella scena italiana e internazionale, tra singoli e brani rimasti nascosti all’interno degli album.
Ecco allora il 2017 secondo BitsRebel.
Stay Rebel, forever!
30. Lady Gaga, The Cure
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29. Angelo Sava, Merlo
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28. Fabri Fibra, Fenomeno
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27. Pula +, Addio a modo mio
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26. Sophie, It’s Okay To Cry
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25. Fabio Cinti, Amore occasionale
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24. Taylor Swift, Look What You Made Me Do
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23. Samuel, La luna piena
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22. Fiorella Mannoia, Siamo ancora qui
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21. Francesco Gabbani, Occidentali’s Karma
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20. Giso featuring Romina Falconi, Solo sesso

19. Mannarino, Un’estate

18. Francesco Gabbani, Spogliarmi

17. Noemi, Autunno

16. Nina Zilli, Il mio posto qual è

15. L’aura, Il pane e il vino

14. Ilaria Porceddu, Sette cose

13. Brooke Candy, Living Out Loud

12. Amara, Grazie

11. Arca, Piel

10. unòrsominòre., Varsavia
Un’aria greve, nuvolosa e desolante fa da sfondo a questo brano in cui riferimenti storici e letterari si accumulano in un denso flusso di pensieri. Una canzone maestosa che avanza lenta e inesorabile, partorita nell’underground nostrano dalla mente di Emiliano Merlin, celato dallo pseudonimo di unòrsòminòre., e che meriterebbe un posto di riguardo nel moderno cantautorato italiano.

9. Fergie, Love Is Pain
Se ascoltando Love Is Pain avrete (o avete avuto) l’impressione che qualcosa vi suonasse famigliare, non siete proprio fuori strada, perché anche se nei crediti ufficiali non se ne fa menzione la canzone è una sorta di omaggio a Prince. “Il dolore è amore e l’amore è dolore”, canta Fergie, e lo spettacolo è tutto lì, negli occhi e nelle orecchie.

8. Miley Cyrus, Malibu (Lost Frequencies Remix)
Quando il remix fa meglio dell’originale. Il country-rock dell’album version di Malibu mi aveva lasciato un po’ l’amaro in bocca, ma poi tra i remix ufficiali è spuntata fuori questa versione house firmata Lost Frequencies: leggerissima e semplicemente magica.

7. Fabrizio Moro, Pace
Un grido disperato di aiuto, una preghiera levata altissima, e nello stesso tempo un manifesto di intenti e di speranza. Fabrizio Moro ha messo in Pace tutta la carica viscerale di cui è capace, regalandoci un momento di autentico amore. 

6. Christaux, Surreal
Christaux, ovvero Clod, ovvero la metà maschile degli Iori’s Eyes, quest’anno ha pubblicato Ecstasy, un album di pop elettronico dal profilo magniloquente, barocco e liturgico. Tra i momenti più struggenti e paradossalmente più scarni, Surreal si fa strada con la sua melodia disarmante e accecante.

5. Noemi, I miei rimedi
Per il suo nuovo album, in arrivo presumibilmente appena dopo Sanremo, Noemi sembra aver optato per l’elettropop. La sua versione di I miei rimedi dei La Rua (ma inizialmente proposto a lei per Sanremo 2016) ha il graffio giusto per parlare delle disillusioni e degli equivoci con cui troppo spesso ci difendiamo inutilmente dai colpi dell’amore. E il video è una delizia.

4. Baustelle, Amanda Lear
Primo singolo estratto da L’amore e la violenza, Amanda Lear non è semplicemente un omaggio all’icona degli anni ’70 e ’80, ma soprattutto un esempio di pura poesia “bianconiana” con la sua patina di malinconia, il racconto di qualche amore vissuto di sfuggita e un pungente profumo di vita. I Baustelle sono e restano una certezza.

3. Brooke Candy, Volcano
Se il pop ha un volto sporco e cattivo, non può che essere quello di Brooke Candy. Il 2017 sarebbe dovuto essere l’anno del grande salto verso il mainstream, ma i disaccordi con la Sony hanno bloccato l’uscita del suo primo disco. Lei però si è rimessa al lavoro e ha riesumato Volcano, un pezzo che aveva da un po’ nel cassetto: il risultato è una seduzione tra pop elettronico e rap, con un testo che esplode di metafore incandescenti.

2. Romina Falconi, Cadono saponette
Nessuno in Italia sa fare pop come Romina Falconi, mescolando ironia e spietata verità. In Cadono saponette tutto questo è evidente: chi altro avrebbe il coraggio di dirvi che “il pessimismo in amore può far bene”? Eppure sappiamo tutti quanto sia maledettamente vero. Perché almeno una volta tutti ci siamo piegati… alle regole della vita.

1. Miley Cyrus, Younger Now
Diciamolo pure, la svolta country di Miley Cyrus non ha particolarmente convinto il pubblico e Younger Now, il suo ultimo album, ha fatto registrare numeri piuttosto miseri. Resta il fatto che la titletrack è una delle cose che sprizzano più gioia tra quelle sentite quest’anno: un inno al cambiamento e un manifesto di rinnovata giovinezza. Mi è entrata nelle orecchie ad agosto e non ci è mai uscita, marchiando definitivamente il mio 2017.

La playlist dei brani è disponibile a questo link.

BITS-CHAT: L'odore della vita. Quattro chiacchiere con… Amara

Vita, amore, pace, speranza.
Non si contano le volte che Amara usa queste parole nei testi delle sue nuove canzoni. Così come non si contano le volte in cui queste stesse parole ritornano nel corso del nostro incontro, mentre la ascolto parlare del suo secondo album, intitolato proprio Pace.
Erika Mineo, in arte Amara, si era già messa in luce molto bene nel 2015, quando si era presentata sul palco di Sanremo tra le nuove proposte con Credo: non ha vinto, ma ricordo che in quell’occasione molti manifestarono entusiasmo per quella ragazza capace di scrivere e cantare con così tanta consapevolezza cose che sentiva e viveva davvero. La stessa sensazione che si sente oggi tra le righe dei nuovi brani, che tra elettronica e atmosfere sinfoniche arrivano a toccare temi universali, scritti e cantati con una limpidezza che fa davvero meraviglia.
Non è quindi un caso se Fiorella Mannoia quest’anno è tornata a Sanremo dopo trent’anni portando un brano – quel tanto osannato Che sia benedetta – scritto proprio da Amara.
16797378_1118463888263410_1763400978893838872_oPace: è più una ricerca o uno stato d’animo?
Per me è soprattutto pace interiore, quello che cerco da sempre e che forse finalmente adesso ho raggiunto: stare bene con se stessi vuol dire stare bene con il mondo, se l’uomo è in guerra con se stesso è in guerra con il mondo. “Siamo noi la vita, siamo noi la pace” canto nel brano, e intendo proprio questo, riscoprire il senso della vita, perché il vero miracolo siamo noi e noi siamo ciò che sentiamo. La nostra mente in teoria dovrebbe essere l’arma più importante dell’uomo, il nostro miglior amico, ma diventa il nostro peggior nemico se non siamo in pace con noi stessi.
Come è nata la collaborazione con Paolo Vallesi?
Non credo al caso, ogni incontro ha un significato: io e Paolo ci siamo conosciuti l’anno scorso a Prato in occasione di una manifestazione di beneficenza. Si è subito creata una sinergia, ci siamo osservati e ci siamo presi: nella sua carriera ha portato nella musica messaggi bellissimi, basta pensare a La forza della vita o Le persone inutili. Abbiamo passato una notte intera a parlare di musica e abbiamo deciso di fare questa esperienza insieme, così è nato il pezzo. L’abbiamo presentato a Sanremo, ma purtroppo non è stato ammesso alla gara: il fatto che Carlo Conti l’abbia voluto comunque sul palco per il suo messaggio mi rende orgogliosa, anche perché quest’anno per me Sanremo ha avuto un valore importantissimo.
L’album arriva dopo un viaggio che hai fatto in Africa. Cosa ti ha lasciato quell’esperienza? E secondo te il disco sarebbe stato così senza quel viaggio?
Impossibile dirlo, perché il viaggio c’è stato e diversamente non so cosa sarebbe successo alla mia musica. Di sicuro, in me è accaduto un cambiamento: ho ritrovato un contatto con me stessa che non avevo più, un contatto primordiale, con la parte animale che difficilmente riusciamo a sentire. Stare con quelle persone mi ha fatto vedere la relazione reale con il tutto, il rispetto per la Madre Terra. Di questo parlo in La terra è il pane, “nessuno schiavo, nessun è padrone, siamo tutti figli di questa terra, frutti di questa terra”. La terra ci permette di essere vita, ci ossigena, ci nutre, ci ama, ci dà energia. Ai nostri occhi la realtà dell’Africa appare povera, ma io l’ho vista ricca, di valori, odori, colori, non abuso, uso, rispetto: quelle persone vivono la vera condizione del rapporto umano, abitano il pianeta nel modo più semplice. Fanno quello che hanno sempre fatto, bevono l’acqua del fiume, e sono del tutto ignari di ciò che accade fuori, non sanno i danni che stiamo arrecando al clima, e in questo sono schiavi, si ammalano perché noi facciamo loro del male attraverso i nostri comportamenti sbagliati verso l’ambiente, subiscono la nostra arroganza.

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Terribile pensare che loro non sappiano nulla…
Per loro conta solo l’essenza e non guardano l’apparire. Hanno un rapporto bellissimo con la natura: sanno prevedere la pioggia, ascoltano la natura, la respirano. Tutti dovrebbero andare in Africa per rendersi conto di cosa significa, per riscoprire la parte nascosta.
Scorrendo i titoli dei brani, si trovano parole come grazie, pace, pane, bellezza, fantasia, filastrocca, amore. Dove trovi tutta questa positività?
Vivo l’attualità e la società come la vivono tutti, e non voglio fare della mia vita una dottrina. Ognuno ha un suo punto di vista, una verità interiore da ricercare per dare un senso alla vita e comprenderla. Ogni cosa che viviamo è un insegnamento per arrivare a una totalità: la cura per non cadere nelle brutture è staccarsi da tutto quello che crea interferenza, ed è per questo che a volte decido di isolarmi, quasi in una sorta di eremitaggio. Sento il bisogno di staccare il collegamento dalla TV, dai social e cerco il contatto con la parte reale, la natura, che ti inonda con la sua frequenza perfetta a 432 Hz. In questo modo posso tornare alla bellezza, perché la natura è una grande maestra e ti fa capire quanto sia importante rispettare il tempo di ogni cosa. La natura ha un caos interiore, che è anche il suo ordine. Se guardo la televisione o leggo i giornali si parla di crisi, morte, disordine, e questo porta paura, porta a essere vittime di quello che c’è fuori, perché siamo tutti in relazione con il mondo che ci circonda. Ecco perché non possiamo permetterlo e dobbiamo staccarci dalle interferenze.

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In questo la musica ti aiuta?
Scrivere una canzone vuol dire lavorare con la magia, perché crei una cosa che non c’è visivamente. Quando suoni magari ti rifai a qualcosa che è scritto su un foglio, ma quando scrivi fermi il momento cosmico: se mi arriva una frase la devo scrivere, altrimenti la perdo, perché di fatto non esiste. Quando sono a casa, nei miei silenzi, nella mia dimensione, mi siedo e cerco quel suono che accenda il “tasto on” nella mia mente e mi faccia riportare sulla carta quella frequenza magica. E’ un po’ come con le persone, cerco sempre di andare in profondità, di vedere oltre che guardare.
Anche Che sia benedetta sembra inserirsi perfettamente nel contesto dell’album. 
Oggi tutto va così veloce, e allo stesso tempo così lentamente, che sembra che a 30 anni non si possa avere la consapevolezza del valore della vita, ma a 30 anni si è adulti e io oggi mi sento donna, anche se non ho un figlio. Da quando ho iniziato a vivere la vita con questa sensibilità non posso che benedire questo dono. La vita è davvero perfetta, ce lo insegnala natura, una grande maestra: vedere un albero che aspetta la stagione giusta per manifestare i suoi colori e i suoi odori o una madre che mette al mondo una vita è un grande miracolo. E’ l’essere umano che la rende imperfetta.
Pensi che oggi la musica svolge un compito diverso rispetto al passato per la società?
Non saprei. Oggi, a noi che viviamo il nostro presente, appare tutto uguale, ma penso che anche in passato fosse così: del passato è rimasto quello che doveva restare, il resto se n’è andato, e anche in futuro sarà così.

Per rivisitare C’è tempo di Fossati hai chiamato Simona Molinari; come ti sei trovata in questa collaborazione? 
Io e Simona siamo due massimi opposti, anche vocalmente, ma questa è la prova che le diversità possono coesistere, e la ringrazio tanto per il suo contributo. E’ un’amica e un’artista che stimo molto. Reputo questa canzone una vera opera, un pezzo importante che ho voluto omaggiare per due motivi: mi ha insegnato prima di tutto a non avere paura del tempo e che ogni cosa accade se si ha la pazienza di attenderla, e poi mi ha trasmesso un senso di responsabilità, perché per me quella canzone è stata motivo e forza di vita, per cui mi fa sperare che le mie canzoni possano fare altrettanto per altri.
laycard_1228Di chi è la voce che si sente in Filastrocca d’amore?
Di Gaia, la nipotina di un mio caro amico. Ha letto questa filastrocca con la spontaneità tipica dei bambini. Parla dell’educazione del cuore, e quando mi sono trovata davanti il testo mi sono chiesta quale fosse il modo migliore per raccontarlo. Fin dall’inizio sentivo che doveva intitolarsi Filastrocca d’amore e ho pensato che non c’è maestro di vita più grande di un bambino. Le parole “se appoggi la mano all’altezza del cuore, tra il battito e il flusso ci trovi l’amore” pronunciate con quella cantilena hanno una forza incredibile. Quando ho detto al mio produttore che volevo inserirla nel disco mi ha risposto che stavamo facendo una follia, ma alla fine l’ho tenuta così, senza musica, registrata da Whatsapp.
Ascoltando Quando incontri la bellezza mi è venuto in mente il brano di un altro cantautore, Fabio Cinti, che in E lei sparò dice “la bellezza, si sa, ti tocca e poi se ne va”. Tu pensi che la bellezza si possa fermare?
La bellezza si può vedere, contemplare, anche vivere, ma non si può prendere. Quando nella canzone dico “l’amore è nel sorriso quando incontri la bellezza” intendo proprio questo, qualcosa che si può solo ammirare.

Nel disco hai inserito Un altro sole, che Loredana Errore aveva già cantato nel suo ultimo album, Luce infinita. Perché hai scelto di riproporla?
Ci sono canzoni a cui sono legata in modo diverso: tutte sono importanti, ma alcune sono come fotografie, passaggi di vita forti. Le canzoni sono un po’ i miei selfie, che non amo fare sui social. Un altro sole mi ha spinto verso la pace: quando vivi una vita che non ti appartiene, ti trovi in uno stato di inutilità e l’unica cosa che puoi fare è aspettare che torni il sole e ritrovare la pace.
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
La ribellione è crescita, rivoluzione interiore. Dobbiamo prima di tutto ribellarci a noi stessi, siamo noi i nostri più grandi nemici.

BITS-SANREMO: la finale

E alla fine Sanremo spiazzò tutti.
Sì, tutti quelli che non volevano vedere e sentire.

Se facessimo un rewind di tre o quattro giorni, vedremmo Fiorella Mannoia elevata sugli altari ancora prima di aver fatto sentire il suo brano, semplicemente per il nome che porta. L’effetto Vecchioni – quello cioè del grande artista impegnato che si concede al Festival e vince a mani basse – non si è ripetuto, e la Mannoia, precocemente eletta papessa, esce dal conclave con la porpora. Certo, si è pur presa il secondo posto, ma meno di una settimana fa tutti avrebbero appoggiato le mani sui carboni ardenti per scommettere che la vittoria non sarebbe potuta andare che a lei.
Poi però abbiamo iniziato a sentire le canzoni e quando Gabbani ha capovolto il palco con la micidiale formula leggerezza/elettronica/balletto/gorilla si è capito che il risultato non era poi così scontato. Ma nessuno lo ha ammesso, e alla domanda su chi avrebbe vinto, la maggior parte dei critici e degli espertoni della domenica continuava a portare avanti il nome della rossa, senza accorgersi (o senza volersi accorgere) che il suo pezzo era interpretato magistralmente, ma non aveva il mordente giusto per abbattere la corazzata Gabbani. Ma vuoi mettere una canzone impegnata ed ecumenica di un’artista che da oltre trent’anni calca le scene con un pezzo balneare di uno che fino all’anno scorso gareggiava tra le Nuove Proposte? Diamine, non sia mai!

Per fortuna però i tempi sono cambiati, e il Festival ha rinnovato la propria pelle grazie anche al lavoro di Conti, che pur cercando di accontentare tutti ha messo in gara alcuni pezzi da nvanta, che poi sono quelli che sono emersi.
In un mondo in cui la musica si divide tra bella e brutta, la canzone di Fiorella sta sicuramente nel primo gruppo, ma per un palco come quello di Sanremo la rima facile benedetta/perfetta non basta, anche se con te hai un’interpretazione da fuoriclasse. Il piazzamento sul podio le sarebbe stato comunque garantito.
Gabbani ha vinto perché è giusto così, perché Sanremo è l’anima nazional-popolare che si sfoga, e tra i 22 brani in gara Occidentali’s Karma è quello con il più alto tasso di coinvolgimento. E attenzione, se dico nazional-popolare lo intendo nella più neutra delle accezioni. Lui poi è una vera bestia da palco, capace di prendere tutto con la giusta leggerezza e di ingegnarsi balletti e mossettine da mascalzone, oltre a essere un lucidissimo osservatore della società. Dietro alla coreografia e allo scimmione, non vi sarà difficile capire che qui Francesco prende allegramente per i fondelli noi e le nostre inutili manie radical-chic, fatte di misticismo di plastica e agognato equilibrio interiore. Se sarà lui il nostro rappresentante all’EuroFestival possiamo star sicuri che se anche non vincerà farà un gran figurone.


Sul terzo gradino del podio Ermal Meta, che torna a casa con un bel pacchetto di soddisfazioni, tra quella di essersi finalmente guadagnato lo status di cantautore agli occhi del pubblico italiano.
Ottimo piazzamento per Michele Bravi, che serata dopo serata si è fatto largo con Il diario degli errori, un brano delicatissimo e di una bellezza lunare.
Quinta la Turci, che con questo Festival ha segnato una specie di riscatto personale: molti la davano vincente o comunque sul podio, e sicuramente in altre edizioni sarebbe stato così, quest’anno però l’impresa era davvero troppo ardua.
Da segnalare infine la grande rimonta di Bianca Atzei: inizialmente finita a rischio eliminazione anche in questo caso forse più per il suo nome che non per la qualità della canzone, è poi riuscita a convincere, chiudendo tra i primi dieci. Sarà anche una raccomandata speciale, ma a questo giro portava un brano giusto che ha buonissime possibilità di girare bene in radio – voglio dire in tutte le radio, non solo sulle frequenze di RTL. Sta a vedere che dopo questo Sanremo ci diventa pure simpatica…

Ecco, questo è stato l’epilogo del Festival 2017, con i suoi pronostici in larga parte ribaltati, le sue sorprese e le sue conferme. I ragazzi dei talent, ancora tanto vituperati, non hanno regalato particolari scintille, ma si sono difesi: giusta o sbagliata che si voglia considerare la loro presenza, dall’anno prossimo penso non ci sia davvero più motivo di attaccargli ancora inutili etichette, senza dimenticare che Sanremo deve essere lo specchio di ciò che si ascolta davvero, e non di ciò che si vorrebbe ascoltare. Dovrebbe essere ovvio, ma spesso ce lo dimentichiamo.

Buona musica allora, e con l’Ariston ci si rivede l’anno prossimo.

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E via, anche la quarta serata è andata. Scorrono velocissimi come sempre i giorni di Sanremo e ormai, arrivati al secondo ascolto, tutta l’attenzione più che sulle canzoni è sul piazzamento che avranno nella classifica finale di stasera.
Intanto il primo verdetto è arrivato con la proclamazione di Lele a vincitore delle Nuove Proposte, e molti dicono che se lo aspettavano. Io sinceramente no, anche se è indiscutibile che il ragazzo partiva un passo avanti avendo dalla sua una dose di notorietà arrivata dalla partecipazione ad Amici.

Detto ciò, passiamo alla gara dei Campioni.
Questa volta la mannaia è caduta su Ron, Giusy Ferreri, Al Bano e Gigi D’Alessio: esito in buonissima parte prevedibile e direi anche condivisibile.

Tra i restanti 16, sembra ormai definirsi chiara una cinquina destinata a occupare i piani alti della classifica finale, vale a dire Gabbani, Mannoia, Meta, Turci e Bravi, non necessariamente in quest’ordine.
Perché se è vero che alla vigilia del Festival gli elogi erano solo per Fiorella Mannoia ed Ermal Meta, nel corso delle serate è piombato il ciclone Gabbani a scompigliare le carte, facendosi largo a suon di gomitate e balletti. La Mannoia ha sì un gran pezzo, ma – come già avevo avuto modo di osservare – troppo in linea con i suoi standard, e questo potrebbe rivelarsi un freno. Su Meta non si può francamente dire nulla, se non riconoscere il talento di un cantautore che finalmente si sta prendendo il giusto riconoscimento.



Ci sono poi alcune canzoni partite in sordina ma che di ascolto in ascolto si sono fatte forza, come Il diario degli errori di Michele Bravi, tenerissimo nell’affrontare con la sua giovane età le pesanti parole di quel testo (ah, se ascoltate la canzone chiudendo gli occhi potreste simpaticamente risentire Noemi…), e soprattutto Ora esisti solo tu di Bianca Atzei. E qui devo fare mea culpa, perché verso di lei ero pieno di pregiudizi, come molti altri del resto: sì, è vero, la Atzei non ha mai piazzato un successo in classifica, non vende, non viene passata in radio (eccezion fatta per RTL), forse è davvero raccomandata e probabilmente la sua collocazione tra i Campioni è frutto più di diplomazia altrui che non di un vero pedigree, ma la sua canzone ha un giro melodico assassino che ti si pianta in testa. Tutto il resto, a questo punto, non mi interessa, e le sue lacrime durante l’ultima esibizione mi sono sembrate sincere. Chiamatemi anche stupido, ma io la salvo.


Sensazionale poi Paola Turci, che sta facendo di questa partecipazione al Festival una vera e propria occasione di rilancio tra il grande pubblico.
Tra gli altri, pienamente promossi Samuel ed Elodie, che ieri sera si è riscattata dopo un esordio un po’ spento. Non vincerà, perché la canzone non è abbastanza forte, ma se saprà muovere bene i prossimi passi penso potrà fare belle cose e si scrollerà dalle spalle l’ombra di Emma.


BITS-SANREMO: la terza serata

Mumble mumble….Terza serata del Festival, giro di boa e primi sentori di eccitazioni da vittoria.
Partendo sempre dai giovani, Lele e Maldestro (quest’ultimo un po’ carente in intonazione) passano il turno, lasciando a casa Valeria Farinacci e Tommaso Pini (quest’ultimo un po’ a sorpresa).
Stasera quindi a giocarsi la finale saranno quattro gentleman: Francesco Guasti, Leonardo Lamacchia e i suddetti Lele e Maldestro.


Venendo alle cover, come gli altri anni la carrellata è stata a forte rischio sonnolenza, soprattutto perché non tutti se la sono sentita di rischiare con il brano e con il nuovo arrangiamento.
Tra i pochi, Ermal Meta, che si è preso la meritata vittoria: la sua versione di Amara terra mia, oltre a essere stata interpretata magnificamente, è la prova chiarissima che il ragazzo sa bene quel che fa. Un autore bravissimo, che scrive con anima, e un interprete di robusta personalità.
Buona prova anche per Masini con il suo tributo a Faletti, anche se a tratti pareva non riuscire a stare dietro al tempo, e di Paola Turci, che ha scelto di rimettere mano a un classico e della Oxa come Un’emozione da poco.
Sul resto c’è stata fondamentalmente calma piatta: Elodie avrebbe potuto far molto di meglio con il pezzo di Cocciante, soprattutto negli arrangiamenti e nell’intensità dell’interpretazione; Chiara ha fatto il temino scolastico con Diamante di Zucchero; la Mannoia ha fatto la Mannoia con Sempre e per sempre e Samuel ha fatto Samuel con Ho difeso il mio amore. Qualche problema tecnico ha invece rovinato la festa di Sergio e i Soul System, mandando fuori tempo l’esecuzione di un pezzo –Vorrei la pelle nera – dove il groove era centrale.
Non abbiamo purtroppo potuto ascoltare la versione di Ma il cielo è sempre più blu che avevano preparato Nesli e Alice Paba, e che avrebbe sicuramente riservato entusiasmi.

E a proposito di Nesli e Alice, è evidente che le coppie create a uso e consumo sanremese non funzionano, dato che sia loro sia Raige e Giulia Luzi sono i primi due esclusi definitivi. Il gioco per cui prendi due artisti e le metti insieme sul palco pensando di sommare i voti delle rispettive fanbase e quindi di avere vittoria facile non regge.
Nel caso di Nesli, lui già quest’estate parlava di Sanremo, ma il presentimento è che i suoi progetti fossero un po’ diversi, con l’idea di presentarsi da solo, ma che si sia poi trovato a doversi accollare la Paba per ordine giunto dall’alto. Il che non ha però giovato al brano e non mi stupirei se i pensieri di Nesli si siano fatti scurissimi al momento del verdetto.
Rientrano quindi in gara Ferreri, Ron, Atzei e Clementino.

BITS-SANREMO '17: la prima serata

La prima puntata di Sanremo me la sono persa, ebbene sì. Mentre Carlo Conti e Maria De Filippi aprivano la 67esima edizione del Festival della Canzone Italiana – perché è così che si chiama – io ero a sentire i Bastille al Forum d’Assago e ho rimesso piede in casa proprio subito dopo l’esibizione di Ermal Meta, l’ultimo degli 11 artisti che si sono esibiti.
Le esibizioni le ho quindi ascoltate “di riflesso” sul web, perdendomi la tradizionale e unica emozione della diretta, ma con il lusso di sentirmi le canzoni in ordine sparso e anche più volte di seguito, skippando e stoppando quando necessario.
Detto questo, il primo elemento che mi viene da sottolineare è, almeno per ora, la mancanza del pezzone di successo sicuro: belle canzoni sì, qualche sorpresa, ma tutto sommato nessun soprassalto. Non ci sono state grandi deviazioni di percorso e più o meno tutti gli artisti in gara si sono tenuti sulle rotaie della propria traiettoria.

Prendiamo per esempio il brano della Mannoia, Che sia benedetta, osannato da ogni dove e dato per vincitore da molti: pezzo sicuramente piacevole, interpretazione da professionista consumata. Lei si è mangiata il palco con una forza da leonessa e il fuoco negli occhi, ma la canzone non aggiunge molto a quanto Fiorella non avesse detto o fatto in passato. C’è la voce, c’è il messaggio, ma tutto resta tanto, troppo in stile “mannoiese”.
Molto intenso Ermal Meta, che in Vietato Morire porta sul palco un testo coraggioso e drammatico, naturalmente ben scritto.




Su Al Bano non mi accanisco nemmeno.
Fabrizio Moro è invece arrivato con Portami via, una canzone graffiatissima, sicuramente più del necessario, ma in linea con i suo stilemi.
Assolutamente da sentire tre-quattro volte, per farsene una giusta idea, Fa talmente male della Ferreri, dato che al primo ascolto non resta granché. L’exploit di Ti porto a cena con me non si ripeterà.
Sul palco mi è risultata invece inspiegabilmente invecchiata l’atmosfera creata da Elodie, rimasta impigliata in un brano, Tutta colpa mia, dai contorni classici e in cui “amore” viene ripetuto quasi all’esasperazione. La sua non è una brutta canzone, ma l’effetto di Emma in questo caso rischia di fare più danno che beneficio.
Sorprese invece per Samuel e Bernabei: il primo arriva con Vedrai, un pezzo agilissimo e ben strutturato tra pop ed elettronica, mentre il secondo mi ha stupito un po’ – sono sincero – negli incisi di Nel mezzo di un applauso, evitando il rischio di impantanarsi ripetendo la formula elettropop dello scorso anno. Discorso a parte per il testo, tra le cui righe si legge un filo di imbarazzo.


Il secondo elemento che vorrei segnalare è che mai come quest’anno – ma aspetto le prossime serate per approfondire eventualmente il discorso – ho avuto la sensazione che il palco dell’Ariston applichi una sorta di deformazione sui brani, rendendoli ancora più “sanremesi” di quanto non siano, dove per sanremese si intende una canzone caricata di enfasi armonica. Prendete ad esempio Vedrai di Samuel, un brano e un artista che almeno sulla carta dovrebbero stare al festival come la riviera di Levante sta a quella di Ponente. Eppure nell’ascolto non si può fare a meno di pensare che quelle note sono state pensate per essere suonate lì sopra, davanti a quel pubblico, immerse in quel mare di tensione mediatica.
Verità o incantesimo del Festival?

Sanremo 2017: tra rose, gigli e qualche fiore "avvizzito", ecco il mazzo dei 22 artisti in gara

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Ed eccoli qua, li abbiamo attesi a lungo e sono arrivati, i 22 nomi dei Big che prenderanno parte al Festival di Sanremo 2017.Dopo il “mosaico” e la “macedonia”, per descrivere il cast della prossima edizione, Carlo Conti ha usato la metafora del mazzo di fiori, tanto per restare in terra sanremese.
E mantenendo la metafora, il primo commento che mi viene da fare è che tra rose, gigli e garofani, dentro a questo bouquet sia finito qualche ramo artisticamente un po’ avvizzito e qualche erbaccia che si poteva tranquillamente mettere da parte.
Ma visto che senza aver ascoltato i brani ogni parola è superflua, e considerando che mancano due mesi per scaldare bene i motori, mi limito a esprimere soddisfazione per ritrovare Elodie, Samuel, Nesli, Giusy Ferreri, Ermal Meta e Francesco Gabbani.
La grande sorpresa sarà però vedere sul palco dell’Ariston Fiorella Mannoia, forse il nome più gettonato nei pronostici e poi confermato, che dopo un lungo periodo di lontananza dal Festival si ributta nella mischia da concorrente.
Nessuna band pervenuta, qualche duetto inedito ancora da mettere a fuoco.

Questa la lista dei magnifici 22, con i titoli dei brani in gara:

Di rose e di spine Al Bano
Tutta colpa mia Elodie
Fatti bella per te Paola Turci
Vedrai Samuel
Che sia benedetta Fiorella Mannoia
Do retta a te Nesli e Alice Paba
Il diario degli errori Michele Bravi
Portami via Fabrizio Moro
Fatalmente male Giusy Ferreri
La prima stella Gigi D’Alessio
Togliamoci la voglia Raige e Giulia Luzi
L’ottava meraviglia Ron
Vietato morire Ermal Meta
Mani nelle mani Michele Zarrillo
Il cielo non mi basta Lodovica Comello
Con te Sergio Sylvestre
Ragazzi fuori Clementino
Nel mezzo di un applauso Alessio Bernabei
Nessun posto è casa mia Chiara
Occidentali’s Karma Francesco Gabbani
Ora esisti solo tu Bianca Atzei
Spostato di un secondo Marco Masini

Piccola domanda profana da ascoltatore: per quale logica del regolamento Sylvestre ed Elodie sono tra i Big, mentre La Rua, Lele e Chiara Grispo erano in corsa tra i Giovani, pur avendo tutti partecipato alla stessa edizione di Amici?

#MUSICANUOVA: Fiorella Mannoia,Combattente

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Arriverà il 4 novembre Combattente, il nuovo album di Fiorella Mannoia, già anticipato dal singolo che gli dà il titolo, una potente esortazione alla lotta.

“E’ una regola che vale in tutto l’universo
chi non lotta per qualcosa ha già comunque perso
e anche se la paura fa tremare
non ho mai smesso di lottare.”

Molte le “firme” che hanno collaborato alla realizzazione dell’album, autori della nuova generazione, ma anche storici nomi della canzone d’autore: Ivano Fossati, con il quale Fiorella torna a collaborare, Giuliano Sangiorgi, Federica Abbate, Cheope, Fabrizio Moro, Amara, ma anche la stessa Fiorella Mannoia insieme a Bungaro e Cesare Chiodo.

BITS-CHAT: Imparare dal dolore. Quattro chiacchiere con… Antonella Lo Coco

La delusione che si trasforma in forza dopo la fine di una storia fatta di bugie. Parla di questo Non ho più lacrime, l’ultimo singolo di Antonella Lo Coco.
Un brano potente, che segna una virata verso sonorità rock, dopo i variegati colori pop dei suoi primi album. Ma Non ho più lacrime è anche il primo frutto dell’incontro tra Antonella e Fiorella Mannoia, che del brano ha scelto di curare la produzione.

Un brano che mette al centro il dolore, ma che si conclude con una dichiarazione di libertà. Perché dal dolore si impara sempre.
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Non ho più lacrime nasce dall’incontro con Fiorella Mannoia: come siete entrate in contatto? E come si è sviluppata l’idea di dar vita prima a questo singolo e poi all’album, che vedrà proprio la produzione di Fiorella?
Siamo entrate in contatto alla finale di X Factor nel 2012..in quell’occasione duettammo su una sua canzone. Successivamente Fiorella mi contattò perché aveva una bramo che riteneva perfetto per me: ci incontrammo per ascoltarlo insieme e da lì iniziammo il progetto. Proseguire oltre il brano è stata un’idea nata spontaneamente per dare una continuità al primo singolo. Sono felice di avere questa opportunità di lavorare con Fiorella e il suo team di lavoro soprattutto perché lavoreremo anche su alcuni brani da me scritti.

Il singolo sembra aprire un nuovo capitolo anche per quanto riguarda i suoni, che dal pop si spostano su un versante più rock: è così? L’album avrà questo taglio?
Assolutamente si. Le sfumature rock sono sempre state in me e finalmente posso tirare fuori al mia anima musicale. L’album è ben rappresentato dalle sonorità di Non ho più lacrime.

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Quali artisti, italiani e internazionali, vedi come punti di riferimento?
Negli anni i punti di riferimento sono cambiati e sono tanti. Gli spunti internazionali hanno influenzato molto la mia scrittura, ho sempre ascoltato molto Tori Amos, i Depeche Mode, i Muse.

Credi che sia vero che il tempo aggiusta le cose e cura dal dolore?
Credo che il tempo aiuti a essere più lucidi per poi affrontare le situazioni che la vita ci pone davanti. Ci sono vari tipi di dolore: il dolore per la fine di una storia d’amore è destinato a finire e a svanire con il tempo, il dolore per la perdita di una persona cara credo possa attenuarsi, ma mai finire.

In genere come ti poni di fronte alle situazioni dolorose: le affronti, pur sapendo a cosa porteranno, oppure cerchi il più possibile di evitarti di soffrire?
Il mio carattere e la mia indole istintiva mi portano sempre a prendere di petto tutte le situazioni, positive e negative, e quindi a vivere le emozioni fino in fondo nel bene e nel male.

Per quella che è stata la tua esperienza, cosa hai imparato dalle esperienze dolorose? Il dolore è in qualche modo terapeutico?
Le esperienze dolorose insegnano sempre qualcosa. Non credo che il dolore sia terapeutico, ma dal dolore si può imparare.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: cosa significa per te il termine “ribellione”?
Il mio soprannome da sempre è Ribella, quindi direi che di ribellione ne ho masticata. Una ribellione adolescenziale sana e costruttiva che mi ha sempre portato a raggiungere i miei obiettivi.