Il calendario segna i primi giorni di primavera, e i Landlord festeggiano Capodanno.
Ma state tranquilli, loro non sono impazziti e voi non avete perso il conto dei giorni. Semplicemente, New a Year’s Eve è il titolo del loro ultimo singolo, uscito da poco a conclusione di un anno di musica a dir poco intenso iniziato con la fortunata Get By.
Chiusa l’esperienza di X Factor nel 2015, i ragazzi di Rimini si sono infatti messi al lavoro sui loro brani, che hanno visto la luce nel 2016 in Aside e Beside, due EP pubblicati a pochi mesi di distanza, e poi riuniti nel vinile Be A Side, in cui hanno fatto vedere tutte le facce del loro pop elettronico sporcato di influenze ambient e persino sinfoniche.
Nel frattempo, l’attività live si è fatta sempre più rovente e l’agenda della band si è infittita di impegni, non solo in Italia, dal momento che per loro si sono aperte anche le porte del colossale Sziget Festival di Budapest.
E mentre un nuovo tour estivo si profila all’orizzonte, noi abbiamo fatto quattro chiacchiere con loro per annodare i fili di questi ultimi mesi.
New Year’s Eve sembra il perfetto punto di incontro tra un capitolo che si chiude è una nuovo inizio. Che bilancio potete fare dell’ultimo anno? Soddisfazioni, delusioni, sorprese…
Proprio così, il brano rappresenta esattamente questo, e ha per noi un valore particolare. Sicuramente è stato un anno molto positivo, ricco di soddisfazioni, di tante novità e di molta attività. Abbiamo avuto tante sorprese, fatto tante date live, anche all’estero, abbiamo aperto i concerti di gruppi importanti e che consideravamo irraggiungibili e vissuto esperienze davvero importanti.
Pensate che la scelta di pubblicare un doppio EP anziché un intero album vi abbia giovato? Potrebbe sia una buona strategia per far arrivare meglio la musica al pubblico?
Non lo sappiamo questo, ci siamo interrogati a lungo riguardo la pubblicazione, ma poi abbiamo deciso di procedere con i due diversi EP, per mostrare al pubblico una sorta di evoluzione che noi stessi avevamo vissuto. Tutti i brani sono stati scritti nello stesso periodo, però alcuni procedevano in una direzione più elettronica e sperimentale rispetto ad altri e così abbiamo voluto fissare questo cambiamento.
Il vostro tour vi ha portato a lungo in giro per l’Italia e anche all’estero: c’è stata una platea che vi ha particolarmente stupito o un concerto che vi ha lasciato un ricordo più forte?
Due concerti sono stati incredibili: il nostro primo concerto al Velvet di Rimini e la data al Magnolia, in apertura a Edward Sharpe e ai Daughter. Un’atmosfera unica. Abbiamo trovato un pubblico molto entusiasta, molto partecipe e caloroso e per di più a fine serata abbiamo scambiato quattro chiacchiere con i Daughter. Un momento magico, qualcosa di indelebile.
Le vostre principali influenze musicali da dove arrivano?
Ascoltiamo veramente di tutto, ognuno ha i propri ascolti e poi alla fine mettiamo tutto insieme, cerchiamo di delineare una nostra strada senza essere troppo schiavi delle influenze. Siamo comunque dei grandi fan di Justin Vernon, e del suo progetto bon iver.
A distanza di un po’ di tempo, pensate che la partecipazione a X Factor vi abbia insegnato qualcosa?
L’esperienza di X Factor ci ha insegnato tanto. Ci ha formato parecchio; ha rappresentato una sorta di corso accelerato sotto tutti i punti di vista. Ci è servito molto perché abbiamo assunto un atteggiamento di curiosità, di osservazione. Abbiamo cercato di rubare un po’ degli insegnamenti che abbiamo ricevuto ed è per questo che definiamo sempre il programma come una grande scuola, una palestra.
Perché pensate che i talent siano ancora visti spesso come una macchina di illusioni?
Il meccanismo dei talent certamente non è semplice. Un programma televisivo fa sempre molta gola, attira su di se molta curiosità, però noi abbiamo cercato di rimanere sempre con i piedi ben saldati a terra. Siamo profondamente convinti della necessità di fare esperienza, di calcare palchi, e questo ci ha permesso di rimanere molto lucidi durante la trasmissione. Avevamo le idee molto chiare riguardo la nostra strada e quindi siamo andati in quella direzione, ascoltando certamente consigli e aiuti di chi ne sa più di noi, però sempre puntando a quello che ci piace davvero.
Guardando al futuro, avere già qualche idea di nuove strade musicali da seguire?
Stiamo vivendo un periodo di sperimentazioni, stiamo lavorando di continuo e non sappiamo ancora bene neanche noi cosa succederà, però ce la stiamo mettendo tutta!
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato date al concetto di ribellione?
Associamo il concetto di ribellione all’essere autentici. Tutta la nostra musica si fonda sulla sincerità, sull’autenticità e sulle emozioni che ci guidano continuamene nella scrittura. Per questo siamo molto legati al concetto di essere veri, se stessi, e a volte questo atteggiamento può rappresentare una vera e propria ribellione.
BITS- CHAT: Un rap verso l'assoluto. Quattro chiacchiere con… Peligro
È nato nel 1992 – quindi quest’anno fa 25 anni -, ma dietro di sé ha già una discografia invidiabile.
Andrea Mietta, aka Peligro, è un rapper milanese. Lo scorso dicembre ha pubblicato il suo ultimo EP, Assoluto, quattro tracce che dall’hip-hop trovano spazio per accogliere influenze EDM, acustiche e soul, e che nei testi arrivano a parlare anche di razzismo e discriminazione citando Jesse Owens, l’atleta divenuto simbolo della lotta razza nelle Olimpiadi di Berlino del 1936.
Il 9 marzo, nell’ambito dell’Emergenza Festival, Peligro sarà sul palco milanese del Legend 54, dove presenterà i nuovi brani ma promette anche sorprese.
È la prima volta che ci “incontriamo”, per cui parto con una domanda quasi doverosa: perché questo nome?
Quella sul nome d’arte è una storiella simpatica: oltre ad Assoluto, anche i miei primi due dischi sono stati prodotti da Hernan Brando, originario di Buenos Aires, quindi di madrelingua spagnola. Una mattina mi ha telefonato euforico e mi ha detto: “L’ho sognato, l’ho sognato! Tu ti chiamerai Peligro!”. Ci siamo fatti una risata, però poi a mente fredda ci siamo confrontati e ci siamo detti: “Suona bene… perché no?”
Quando hai iniziato ad avvicinarti all’hip-hop? E quali sono stati i primi artisti che ti hanno fatto appassionare al genere?
Non saprei dire, credo che sia il genere a scegliere l’artista e non il contrario. La prima volta che sentii un pezzo rap ero alle scuole medie, avevo appena iniziato ad approcciarmi alla musica – merito della mia famiglia, che la ama da sempre e l’ha sempre suonata e fatta suonare in casa -, ma i miei ascolti andavano in tutt’altra direzione. Poi non so, il pezzo giusto sentito al momento giusto, quel codice comunicativo è entrato nei miei tessuti quasi inconsapevolmente, ed ora eccomi qui. Il primo artista per cui ho avuto una vera predilezione e che mi ha avvicinato al rap è stato Bassi Maestro, poi ci sono stati i Club Dogo, gli Articolo 31. Quando ho “scoperto” il rap però, in Italia non erano tantissimi a fare questa musica.
Sei giovanissimo, ma hai già alle spalle una discografia piuttosto nutrita: riusciresti a riassumere quello che è stato il tuo percorso fino ad oggi?
Mi viene difficile fare un vero e proprio riassunto: da quando ho iniziato a scrivere canzoni mi sono buttato a capofitto in questa avventura e molti dei miei lavori sono, diciamo, usciti da soli. Mi rendo conto di avere già all’attivo diversi album, nonostante l’età; ho sempre cercato di non avere un atteggiamento “schizzinoso” nei confronti delle mie canzoni, anche delle prime, perché è per merito di ciò che siamo stati che oggi siamo quello che siamo.
L’ultimo tuo EP, Assoluto, è arrivato a pochi mesi dall’uscita dell’album Tutto cambia: come mai un intervallo così breve?
In realtà, quando Tutto cambia è stato pubblicato, Assoluto era già pronto. L’idea di pubblicare entrambi prima della fine del 2016 ha un significato: volevamo tirare una riga su quanto era stato fatto fino a quel momento e iniziare il 2017 come un nuovo capitolo, con nuovi stimoli e nuove destinazioni.
Cosa rappresenta per te l’Assoluto?
Sono contento che tu me lo chieda! Il termine “assoluto” deriva dal latino ab solutus, cioè “sciolto da vincoli”. Quando dico che “la mia musica mi porta verso l’assoluto” intendo dire che mi porta a non avere vincoli, il che ha un duplice significato: da un lato quello prettamente musicale, perché questo EP è molto sperimentale e per noi era fondamentale non porci limiti di genere, dando totale libertà alla sperimentazione, e dall’altro quello della vita, mi piace pensare che la mia musica sia un mondo all’interno del quale sono libero di essere completamente me stesso.
Mi ha colpito la quarta traccia, Jesse Owens/Farenheit: da dove ti è arrivato lo spunto per un brano dal contenuto così importante?
Questa canzone è in assoluto l’esperimento creativo più stimolante che abbia mai realizzato. Nel rap le “canzoni doppie” non sono un’invenzione recente, ci sono innumerevoli esempi sia in Italia che nel mondo: la vera sfida era creare una canzone che, pur essendo “composta”, mantenesse una certa unità, come se fossero due facce della stessa medaglia. Ho deciso di affrontare delle tematiche importanti, anche delicate. Parlare di riscatto razziale dal punto di vista di un ragazzo bianco nato e cresciuto in Italia vuol dire assumersi il rischio costante di cadere nel banale e nel luogo comune. Così ho deciso di approcciare la cosa partendo da un fatto storico, dalle vicende di Jesse Owens, che oltre ad essere simbolo del riscatto razziale è anche simbolo del riscatto personale e del superamento dei limiti. È stato un modo per rendere più vicina a me questa vicenda. Per Farenheit, invece, è stato Ray Bradbury ad ispirarmi, col suo capolavoro Farenheit 451: il punto di vista è lo stesso del libro, quello del vigile del fuoco che ha il compito di cercare i criminali possessori dei libri, arrestarli e bruciare i volumi. Quel libro è illuminante, fa vedere chiaramente come senza la cultura sia più difficile avere un pensiero autonomo e come sia facile diventare vuoti e manipolabili. La stessa mancanza di cultura può portare all’odio verso il diverso, che poi è la tematica affrontata nella prima parte del brano.
Il 9 marzo salirai sul palco del Legend 54 di Milano: cosa rappresenta per te questo live e quanto Milano ha influito sulla tua musica?
Sono molto contento di poter suonare al Legend 54. È un locale che negli anni ha ospitato tantissimi rapper ed è un onore per me portare questo genere musicale su quel palco. Milano è una città piena di stimoli musicali e di costante ispirazione: sono contento di viverci e quando sono altrove ne sento la mancanza. A conti fatti, non credo che nella mia musica si possa riscontrare una marcata territorialità, gli stimoli che mi portano a scrivere arrivano spesso da me stesso, dall’interno.
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
Per me la ribellione è innanzitutto personale. Trovo che non ci sia niente di più “sovversivo” della consapevolezza: essere consapevoli di quello che si sta facendo e del contesto in cui si sta operando ci dà il potere di compiere scelte libere. C’è qualcosa di più ribelle di questo?
BITS-RECE: Be A Bear, Time EP. Elettronica per stare bene
BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
Dietro al progetto Be A Bear si nasconde Filippo Zironi, “orso bolognese nato e cresciuto per 15 anni nello sia-punk firmato Le Braghe Corte”, come recita il comunicato stampa.
Quest’orso bolognese l’anno scorso ha portato a compimento un progetto assolutamente personale, coraggioso e, di conseguenza, molto interessante. In pratica, per circa due anni ha messo on line una canzone al mese: brani dalla natura semplice, che mettevano al centro racconti di vita quotidiana letti attraverso la lente di un pop a braccetto dell’elettronica e con una certa vecchia scuola del rock. Il tutto portato avanti con pochissimi mezzi tecnologici: un iPhone e poco più.
Un percorso lento, che durante le sue tappe ha mostrato cambiamenti ed evoluzioni, e che lo scorso hanno si è strutturato in Push-a-Bah, il primo album firmato Be A Bear.
A neanche un anno di distanza, l’orso Filippo ha deciso di dare spazio ad alcuni brani che non lo avevano trovato prima dell’arrivo dell’album: ecco quindi Time, un EP di quattro tracce – tre inedite più il brano omonimo già nell’album – che ondeggiano nelle acque serene di un’elettronica pensata per star bene e far star bene.
Quattro brani leggeri come queste giornate di fine inverno, con tanta bella melodia in primo piano e qualche voce lasciata sullo sfondo e qualche rumore di vita qua e là.
Una buona dose di vitamine sonore.
Time EP è disponibile per lo streaming e il download a questo link.
#MUSICANUOVA: Anohni, Paradise
Anche per questo nuovo video Anohni ha scelto in veste di avatar un’altra donna, la modella e artista Eliza Douglas, che “si muove attraverso riflessi di diverse immagini del paradiso, incluse immagini d’archivio del Paradise Garage” come dice il regista Colin Whitaker.
Il brano, elettronico e violento, anticipa e dà il titolo all’EP Paradise, in uscita il 17 marzo, naturale compagno dell’album Hopelessness.
L’EP mira a scardinare l’idea che la musica popolare non possa essere politicizzata, concentrandosi in particolare sulla predominanza assunta da secoli dall’uomo sulla donna. Un’altra collisione tra musica elettronica e testi altamente politicizzati.
BITS-CHAT: Elettronica universale. Quattro chiacchiere con… FRENSHIP
A volte le via della provvidenza – in questo caso musicale – sono davvero infinite. Prendete per esempio il caso dei FRENSHIP, due californiano che dal 2013 si è fatto notare grazie all’elettronica fresca di brani come Knives, 1000 Nights, Nowhere e poi soprattutto con il singolo Captize. Le due anime del progetto, James Sunderland e Brett Hite, lavoravano da Lululemon, una catena di negozi specializzata in abbigliamento sportivo (“abiti per lo yoga”, specificano), lì si sono conosciuti e hanno dato vita a un progetto condiviso che nel 2016 ha dato vita al primo EP, Truce.
Quando avete deciso di iniziare a fare musica insieme?
Brett: All’inizio del 2013. Lavoravamo in un negozio di abiti da yoga ed entrambi avevamo qualche esperienza in ambito musicale, piccoli progetti, piccole band, James in particolare, ma dovevamo ancora capire bene come gestire queste attività, e se volevamo davvero fare musica o semplicemente amarla da ascoltatori. Siamo diventati amici e ci siamo trovati in linea con i gusti, per cui abbiamo pensato che non sarebbe stata una cattiva idea provare a fare qualcosa insieme e a settembre dello stesso anno abbiamo realizzato il primo brano, Knives, in cui abbiamo collaborato con il producer norvegese Matoma. È stato emozionante focalizzare per la prima volta l’attenzione su qualcosa di nostro.
FRENSHIP: perché è scritto in questo modo?
James: Non c’è un motivo particolare. Ci è semplicemente sembrata un’idea carina e originale.
Come è nata la collaborazione con Emily Warren in Captize?
J: L’abbiamo conosciuta perché avevamo la stessa etichetta discografica. Ci siamo incontrati a New York e siamo presto diventati amici. Ci è piaciuto quello che faceva, il suo modo di scrivere e di fare pop.
Ci sono altri artisti con i quali vi piacerebbe collaborare?
B: Tanti, tantissimi, perché i nostri ascolti spaziano molto. Sting per esempio è uno con cui lavoreremmo volentieri. In generale ci piace l’idea di portare la nostra musica a contatto con altri artisti, così come ci piace accogliere influenze esterne, vedere come la musica e i messaggi prendono forma, ma più che alle collaborazioni adesso vogliamo concentrarci su di noi, sulla nostra musica. Siamo i FRENSHIP e vogliamo che il pubblico ci conosca per quello che siamo.
J: Parlando di producer, mi è piaciuto molto quello che Brian Eno ha fatto con i Coldplay e gli U2, mi piace la sua visione del pop, è un artista con una mente brillante.
Ascoltando i vostri brani si sentono sonorità diverse, persino rock: quali sono le vostre influenze?
B: Sting, Police, Genesis, Peter Gabriel, ma anche Skrillex, i Bastille, Christine And The Queens, Ellie Goulding…
J: Ognuno di noi ha poi quelle più personali, pop, hip-hop, elettronica. Come dicevo prima, a me piacciono molto anche i Coldplay. Cerchiamo di spaziare anche con il tempo, tra cose moderne e altre del passato.
Pensate ci siano delle differenze tra l’elettronica negli Stati Uniti e qui in Europa?
B: Mmm…. è difficile dirlo. La mia impressione è che negli States si stia cercando di riproporre gli stimoli che arrivano dall’Europa.
J: Qui in Europa la nostra musica sembra funzionare meglio, ma non so se ci siano delle reali differenze nel modo di fare e vivere l’elettronica. Sicuramente l’Inghilterra è un grande punto di riferimento per l’elettronica.
B: E poi forse negli Stati Uniti puoi continuare a fare la ressa cosa per anni, mentre qui in Europa ci sono molto più novità, molto più rinnovamento.
Nei testi delle vostre canzoni sembra quasi di ritrovare un elemento spirituale: è così? Fate riferimenti alla rinascita, al mistero che si cela dopo la morte, al senso dell’esistenza…
B: Entrambi siamo persone spirituali, io ho avuto un’educazione cristiana, ma forse più che di elementi spirituali sarebbe meglio parlare di elementi universali, che in qualche modo rientrano nella vita di ogni uomo.
J: Sì, quello che vogliamo comunicare nei nostri testi è l’orgoglio verso se stessi, questo è il mio modo di intendere la spiritualità, come qualcosa di universale.
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato date al concetto di ribellione?
B: Per rispondere potrei star qui a parlarne per ore. Non è facile, adesso va a finire che vado avanti a pensarci fino a quando arrivo a casa. (ride, ndr) Non saprei davvero.
J: Secondo me l’essenza della ribellione sta nella parola “no”, ribellarsi è come andare in giro con un grosso no stampato sulla maglietta.
B: Sì, ok, ribellarsi vuol dire andare contro qualcosa, ma credo che sia importante anche capire il motivo che sta dietro a questa azione, la causa che ti porta a ribellarti. Lasciamo pure da parte quello che sta succedendo in questo periodo in America, ma ci sono tanti tipi di ribellione. È una questione di grande importanza, perché riguarda un po’ tutti.
BITS-RECE: Charlotte Bridge, Charlotte Bridge EP
BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
L’esordio di Charlotte Bridge porta dritti al centro di una nuvola, o al centro di una foresta immersa nella nebbia di un crepuscolo di novembre. Tutto è vago, indistinto, morbido, spesso malinconico nelle cinque tracce che danno vita all’omonimo primo EP di questa italiana trapiantata in Lussemburgo.
Il mondo di Charlotte – che all’anagrafe è Stefania – è ricoperto da un dreampop soave, in cui l’elettronica mostra il suo volto più dolce, arricchita qua e là da un po’ di folk.
Tutto è rarefatto, candido, onirico, come le luce del sole filtrata dalla foschia, i ritmi si fondono come gocce di pioggia sulle foglie, cadenzati come lampi apparsi all’orizzonte, mentre la voce racconta di voglia di cambiare, di felicità e abbattimento, e di una vita che non chiede altro di lanciarsi sull’infinito, fino all’incantevole conclusione di Deadline.
È tutto bellissimo.
Anohni: a marzo arriva Paradise EP
Dopo il dirompente esordio solista del 2016 con Hoplessness, Anohni torna con un nuovo, coraggioso progetto, Paradise, un EP di materiale inedito o già proposto dal vivo in cui ancora una volta i beat elettronici si mettono al servizio di testi dai forti messaggi sociali o politici.
Protagonista sarà ora più che mai la figura della donna – come mostra già eloquentemente la cover -, da secoli sottomessa al potere maschile, ma adesso ancora più in pericolo dopo l’ascesa politica di Donald Trump.
Anohni si trova così al fianco delle tantissime militanti che in questi giorni stanno facendo sentire la propria voce, e riallacciandosi a Hopelessness, con Paradise tratteggia uno scenario fortemente distopico e intriso di orrore, ma allo stesso tempo invita le “sorelle” alla lotta e auspica una nuova alba segnata dal potere femminile.
D’altronde, la figura femminile era già stata posta al centro in molti video che accompagnavano i brani di Hopelessness (qui il link).
Paradise arriverà il 17 marzo e sarà disponibile nei formati 10”, CD e DIG.
Tracklist:
1. In My Dreams
2. Paradise
3. Jesus Will Kill You
4. Enemy
5. Ricochet
6. She Doesn’t Mourn Her Loss
Nel frattempo, Anohni è stata nominata ai Brit Awards nella categoria Best British Female.
#BITS-RECE: Franky Maze,Nght/Flood. Tra il blues e la Bibbia
BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
In genere chi si muove nell’ambito gothic/dark tende a ripetere il medesimo standard fatto di testi tristi e decadenti, accompagnati da vestiti sonori oscuri, al punto che spesso la sensazione è quella di trovarsi immersi in un mare di cliché, uno schema portato avanti per inerzia, dove l’unica desolazione che si percepisce è quella creativa.
Poi capita che qualcuno trovi la via per proporre soluzioni nuove, combinazioni di stili inedite o almeno desuete, come questo Night/Flood, primo EP di Franky Maze, al secolo Francesco Mazzi, musicista bolognese che ha trovato un’interessante chiave per combinare il folk di matrice americana e il dark.
Due mondi apparentemente inconciliabili, che trovano nei suoi brani nuove, stimolanti suggestioni notturne.
Per simboleggiare questa unione, Maze ha preso l’ultima parola del primo e dell’ultimo brano – ciascuno rappresentativo di questi due mondi musicali – per formare il titolo, Night/Flood appunto. Un EP di cinque canzoni dense di citazioni bibliche e rimandi al blues delle origini, che guardano ad artisti come Nick Cave.
L’apertura con Dark Was the Night, presenta per esempio le note luminose del mandolino, Great Sleeve rievoca un rituale sciamanico, Wayfaring Stranger è invece un brano tradizionale americano in versione rivisitata.
E per controbilanciare l’apertura luminosa del primo brano, il disco si chiude con Love Is the Flood, canzone dalle atmosfere decisamente dark.
BITS-RECE: The Chainsmokers, Collage. Quando l'EDM diventa un gioco
BITS-RECE: radiografia di un in una manciata di bit.
Non c’è dubbio che se andiamo a indagare i campioni del 2016 in campo musicale, Andrew Taggart e Alex Pall, meglio noti come The Chainsmokers, sono tra costoro.
Dopo il grande botto con #SELFIE nel 2014, nell’anno che ci siamo appena lasciati alle spalle i due DJ hanno macinato successi su successi, monopolizzando a lungo i piani alti delle classifiche di mezzo mondo con la loro EDM allo zucchero. Una furba combinazione di dance e pop che ha dato vita a pezzi come Don’t Let Me Down e Closer, e che si ritrova anche negli altri tre brani dell’EP Collage ognuno accompagnato da rispettivo featuring femminile.
Una ricetta sonora lontana dal far assaporare qualche novità, e che appare soprattutto come il gioco innocente di due amici che nella loro cameretta si sono messi a pigiare i pulsanti dei synth. Un gioco che però sembra funzionare alla grandissima, almeno per ora, e nell’effimero mondo del pop questo basta e avanza.
BITS-RECE: David Boriani, Becker
BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
Avete presente quelle giornate di fine primavera o inizio estate in cui il tempo è bellissimo, caldo, ma non ancora soffocante e afoso, anzi, le giornate sono piuttosto serene e ventilate, tutto sembra energicamente leggero? Spesso in giornate così capita he all’improvviso, nel primo pomeriggio, il cielo si rannuvola e arriva un temporale, giusto di 10 minuti, la temperatura scende un po’, l’asfalto sa di bagnato e sui vetri restano tutte le goccioline.
Ecco, Becker, EP di Debutto di David Boriani è esattamente così, come quei 10 minuti di pioggia a maggio.
Diretto discendente della scuola romana, musicalmente parlando si intende, Boriani fa il suo ingresso sulle scene con un mini album di sei tracce pop di forte impronta cantautorale: voce, chitarra, pianoforte, batteria e davvero poco altro, con vezzi elettronici ridotti all’essenziale e una certa semplicità nel raccontare storie con un linguaggio trasparente. Sono quelli che Boriani chiama i “piccoli batticuore quotidiani”.
E proprio come quei temporali di cui si diceva sopra, l’atmosfera di questo lavoro è vagamente uggiosa, ma non per riversarci addosso lacrime e depressione, quanto piuttosto per portare con sé una brezza freschissima, che fa quasi sorridere. Prendete per esempio È Francesca, il primo singolo, con il suo fraseggio ad elastico e i suoi giri melodici (il riferimento battistiano è abbastanza evidente), oppure Oggi, con la sua coperta di malinconia sottile come carta velina.
La pioggia sui vetri sa essere bellissima, vero?