Luana Corino, Vertigini. Quando l’urban è donna

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

Vertigini, il nuovo lavoro di Luana Corino è un lavoro di cui la musica italiana dovrebbe andare fiera, non fosse altro per il fatto di essere il segno di come tra i nostri artisti si stia piano piano compiendo una piccola rivoluzione.
Se infatti ormai da anni l’hip-hop italiano ha saputo svincolarsi dal suo genitore statunitense e ha trovato originali forme di espressione (più o meno discutibili, ovvio), sul fronte dell’r’n’b e dell’urban la situazione restava ancora piuttosto stagnante. Ci si accontentava di ascoltare quello che facevano gli artisti stranieri – americani soprattutto -, ma quando si andava a cercare qualcuno che facesse r’n’b in italiano si faticava un po’.
Luana è stata una delle prime a provarci in tempi ancora non sospetti (non dimentichiamoci che la ragazza è in circolazione da un po’), e non c’è dubbio che nell’ultimo periodo le cose siano notevolmente cambiate sul fronte generale: l’ultimo esempio ce l’avete sotto gli occhi – e ancora di più nelle orecchie – tutti quanti. Sto parlando di Soldi, il chiacchieratissimo brano con cui Mahmood ha vinto l’ultimo Festival di Sanremo. Soldi è a tutti gli effetti un pezzo figlio della cultura urban italiana, ed è addirittura finito al primo posto in classifica.

Un segnale inequivocabile di come anche l’Italia si stia costruendo un background “urbano” che fra qualche anno potrebbe non destare più stupore.

Ma non divaghiamo oltre: dicevo qualche riga fa che il nuovo lavoro di Luana è qualcosa di cui l’Italia dovrebbe andare fiera, non solo perché è un altro bell’esempio di urban nostrano, ma perché con questo EP Luana fa un altro, significativo, passo in avanti.
Vertigini è infatti un disco dalla natura orgogliosamente femminile. Un disco pensato da una donna, interpretato da una donna e che mette al centro storie di donne, con uno storytelling diretto, che scavalca ogni luogo comune.
Protagonista non è la donna succube o vittima del maschilismo imperante, e nemmeno la donna sfrontata dell’immaginario rap, ma una donna che vive con serena normalità la sua indipendenza (Gita al mare), che si potrebbe anche chiamare solitudine, o che si prende la sua rivincita dopo la fine di una storia (Non ti piacevo abbastanza). O ancora, una donna che non teme di dichiarare il suo amore definendo se stessa una Bad Mama, l’unica a cui il suo uomo debba concedere attenzioni.
Un disco femminista? Può darsi, ma solo se spogliate il femminismo della retorica di cui si è caricato negli anni. Libertà, amore, coraggio: queste sono le parole d’ordine di Vertigini.

Cross-pop per restare umani. Quattro chiacchiere con… Diego Conti

Che lo faccia con i suoni del pop, del rock o del folk, o che addirittura faccia ricorso all’elettronica, un cantautore non dovrebbe mai perdere di vista la sua missione, quella di raccontare il mondo che lo circonda. Un compito che Diego Conti sembra aver preso molto seriamente, declinandolo senza rifugiarsi in un genere preciso e attraverso una scrittura che non teme di spogliarsi delle censure e delle prese di posizione anche verso le grandi tematiche dell’attualità.
Ne sono prova chiarissima i brani di Evoluzione, il primo EP del cantautore di Frosinone, pubblicato lo scorso dicembre: dal racconto passionale di 3 gradi, la canzone proposta alle selezioni di Sanremo Giovani, alla trasgressione di L’inferno, fino a Clandestino, che punto lo sguardo sulla tragedia dei migranti in nome della condivisione e dell’incontro con l’altro.

Per descrivere il filo rosso di questo EP hai coniato un neologismo, “cross-pop”: di cosa si tratta esattamente?

Più che un genere musicale è una visione di vita, una presa di coscienza che parte dall’idea di condivisione, di contaminazione e di incontro con gli altri. Penso che il futuro si muoverà in questa direzione, e non parlo solo di musica, anche se poi questo concetto trova manifestazione nei suoni delle mie canzoni: prendo un po’ dal pop, dal rock, dalla trap, dalla musica classica. Un vero e proprio “melting-pop” che nasce ogni volta dal mio istinto e da quello di Mark Twayne, il producer con cui ho lavorato a tutti i brani dell’EP. Ma ci tengo a ripeterlo, prima che nei suoni, il cross-pop è un approccio alla vita.

Parlando invece dei tuoi riferimenti musicali, che nomi ti senti di fare?
C’è sicuramente il rock anni ’70, i Rolling Stones, Joe Cocker, Bob Dylan, e poi il miglior cantautorato italiano, da Lucio Dalla, Vasco Rossi, Jovanotti. Tra i riferimenti più recenti invece mi sento di citare la trap di Post Malone: lui è un vero genio.

Cosa si nasconde dietro all’evoluzione evocata nel titolo dell’EP?

Faccio un po’ riferimento alla mia vita, che nell’ultimo periodo ha passato una fase di vera evoluzione per tutto quello che mi è successo. Ma ho voluto anche raccontare la società che vedo intorno, in cui riconosco profondi cambiamenti: ecco perché il brano dell’EP si intitola Evoluzione 3.0. Siamo andati addirittura oltre il 2.0: ci troviamo nella società smart, dove tutto è tecnologico e dove l’avere è più importante dell’essere e dove il senso del pudore sembra essersi perso. E un altro brano-manifesto di tutto il disco è Clandestino.

Un brano pienamente calato nell’attualità, e nel quale non sembri tirarti indietro nel prendere una posizione.
Poche settimane fa Claudio Baglioni si è esposto sull’argomento dei migranti ed è stato preso di mira anche da esponenti politici: io sono molto vicino alle sue parole, artisticamente e umanamente. Penso che abbia solo messo in luce un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti. Nel brano non mi interessava trattare il reato della clandestinità, ma volevo che emergesse il lato umano dell’immenso dramma che si sta consumando sotto i nostri occhi. Volevo mettere in primo piano i valori, l’importanza della condivisione, per tornare a ciò che dicevamo poco fa: in passato la condivisione con l’altro è stata una grande opportunità, e il futuro non può essere da meno. Le leggi non dovrebbero mai prevalere sull’elemento umano. Tutta l’umanità è clandestina, indipendentemente dal colore della pelle, dalla cultura e dalla religione. Eppure è notizia di questi giorni che altre 117 persone sono morte in mare.

La tua visione è pienamente condivisibile, eppure gli slogan dell'”aiutiamoli a casa loro” si sentono ancora e i porti restano chiusi…
In realtà non so se l’opinione pubblica sia compatta nell’appoggiare questa politica, però credo che spesso ci si ferma alla soluzione più immediata, che è anche quella sbagliata. Bisognerebbe riuscire a guardare un po’ più là per capire che questo non è solo un problema degli altri, ma di tutti. Senza contare che queste sono persone che scappano da una situazione disperata e dalla guerra.

E a chi dice che i cantanti devono pensare solo a cantare cosa rispondi?
Sono cresciuto ascoltando John Lennon, uno che ha scritto Imagine, una delle canzoni più belle della storia della musica. Penso che basti questa considerazione. Se a un artista manca la componente umana forse è il caso che cambi lavoro.

La tua scrittura è piuttosto passionale, a volte addirittura audace e sfacciata, se pensiamo a brani come 3 gradi o L’inferno, sei d’accordo?
Come vivo scrivo, tutto quello che racconto parte dalla mia esperienza: le due canzoni che hai citato sono pienamente autobiografiche, nate da esperienze che ho vissuto sulla pelle. Anzi, adesso posso anche dirlo, L’inferno rappresenta l’epilogo di quello che racconto in 3 gradi. Sono la narrazione di un amore un po’ difficile, e con queste due canzoni ho cercato di scardinare il senso del peccato, visto sempre sotto una luce negativa. Credo di aver comunicato una grande voglia di amare più che di trasgredire. Sia che si parli di tematiche sociali, sia che si parli di sentimenti, un artista dovrebbe sempre cercare di dare un suo contributo, altrimenti il nostro lavoro non ha senso.

Di sicuro proponi una lettura dell’amore meno patinata di quello che si sente di solito.
Ascoltando cantautori come Battisti o Vasco ho ammirato la loro capacità di essere sempre diretti, pur con la sintesi e la poesia. In qualche modo credo di aver assorbito quella scrittura, non mi piace fare tanti giri di parole, voglio andare subito al sodo, e soprattutto con L’inferno direi che si sente, già dai primi versi… (ride, ndr)

Rispetto al passato pensi che oggi si osa di meno nella musica?
Mi sembra di no. Anzi, stiamo vivendo un bel periodo, soprattutto nella nuova scena del cantautorato italiano. C’è tanta varietà, c’è la trap, si spazia molto con i generi.

Per il futuro hai già fatto programmi?
Tra non molto uscirà un nuovo inedito di cui non posso ancora svelare niente, e tra qualche giorno mi chiuderò in studio per finire l’album. Non manca molto alla fine del lavoro, ma essendo da poco uscito l’EP vogliamo aspettare ancora un po’. E poi spero di poter suonare dal vivo i nuovi brani.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
Ribellione significa non essere indifferenti. Già questa è una bella presa di coscienza e un buon punto di partenza per la rivoluzione.

BITS-RECE: Esma, Ending. E (non) vissero felici e contenti…

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

Quattro brani.
Tanto basta a Enrico Esma per racchiudere nel suo ultimo lavoro un’identità cantautorale viva e personale, che dal blues passa al pop più danzereccio, fino a seguire la vena elettronica.
Ending, un EP di quattro tracce che, come lascia presagire il titolo del progetto, puntano lì, sul finale di ogni storia, sull’epilogo delle sceneggiature dei sentimenti, qualunque esso sia: malinconico, imprevisto, qualche volta anche felice.
E quello che Esma riesce a fare è tracciare i racconti ogni volta con mano diversa: c’è il tratto uggioso di Tempesta, o quello più sarcastico usato per descrivere il triste e imperante consumismo di Centro commerciale, delineato con tratti brillanti e un beat incalzante; c’è la tragica intimità di I registi sotto la pioggia, che mette al centro la storia di una distanza tremenda e incolmabile.
Si chiude infime con la solarità di Dejavu, dove forse si nasconde la risposta e la soluzione a tutte le domande che ci hanno da sempre tormentato quando un amore faceva un capitombolo: potrà succederci di tutto, potremo perderci, lasciare o essere lasciati, o restare soli. In fondo “basta spostarci a cercare un raggio di sole. E lui ci scalderà”.

Facile, no? E poi magari finirà così, tutti felici e contenti, come nel più bello degli happy ending…

On Your Side: un respiro anni ’90 nella house di Miki Zanetti

Un spirito vintage tipicamente anni ’90 caratterizza i beat house di On Your Side, nuovo EP di Miki Zanetti.
Prodotto principalmente con l’utilizzo di macchine analogiche,per favorire la realizzazione di ricercate sfumature vintage, l’EP infonde un’anima volutamente grezza a sonorità solari e dal mood estivo.

OnYour Sidela traccia che da il titolo al lavoro, è costruita su batterie, un basso energico e un synth house anni 90, mentre la versione remixata da Mario Arici vede laggiunta di un rhodes che ne esalta un sound più melodico.

1994 è invece una sorta di manifesto a un periodo d’oro per la house music: Zanetti ha creato un sound accattivante con l’utilizzo di synth analogici, e batterie hardware.

La drum machine, vero e proprio Deus ex machina di moltissime produzioni elettroniche dagli anni ’80 a oggi, è infine la protagonista di Untitled (909 Bonus Track).

Truffaut, il cinismo elettronico dei Pentothal

“Pop, oggi, per noi, rappresenta il linguaggio e la forma universale più dinamica, sincera e diretta per entrare nel nostro universo musicale e concettuale, che quasi poi inizi anche a ballare”.

Con questa dichiarazione di intenti i Pentothal si affacciano sulla scena musicale italiana.
E in effetti, più che a un preciso ambito sonoro, il “pop” dei Pentothal sembra rappresentare piuttosto un’attitudine e un modo di approcciarsi alla musica. Le sonorità prendono infatti forme elettroniche e ritmiche serrate, mentre i testi affrontano con lucidità e cinismo la vita vista attraverso uno sguardo giovane, ma già disincantato, senza privarsi di riferimenti artistici e culturali, come nel singolo Truffaut.

Prendendo il nome da un potente barbiturico, il progetto Pentothal nasce a Palermo all’inizio del 2018 da Giuseppe Parlavecchio ed Enrico Piraino.
Per il 30 novembre è attesa la pubblicazione del primo EP, Super Cinico Club.

Dirty Spread, i sapori house-funky del trio Spaghetti Funky

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Dirty Spread
 è il titolo del primo EP del trio house-funky italiano Spaghetti Funky, uscito il 5 ottobre su Ogopogo Records su tutti i digital store e Spotify.

Cheese, Soup e Tomato Chill sono i titoli dei tre brani inclusi nell’EP, frutto dell’energia emessa in lavori di studio realizzati in analogico, marchio di fabbrica dei tre producers.
Dirty Spread presenta un mix di ingredienti house e funky, con vocals soul mescolati a dei riff di chitarre, fiati e bassi suonati da musicisti e registrati con banchi analogici.

Tomato Chill uscirà esclusivamente su vinile.
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Spaghetti Funky nasce dall’ incontro tra Simone Scaramuzzi, dj producer da più di 20 anni nel mondo dei vinili e dell’elettronica, e Andrea “Lausen” Cola, chitarrista e bassista professionista.
Nell’estate 2016 il progetto inizia a prendere forma grazie anche alla collaborazione di un secondo dj producer, Fabio Graziotti.
I tre si alternano in lavori di studio prettamente in analogico tra Brescia e Bergamo con l’obiettivo di catapultare l’ascoltatore in un passato/futuro attraverso sonorità disco music, funky-house e re-edit di grandi artisti di un tempo quali James Brown, tanto per citarne uno, con l’ausilio dell’ascolto in vinile accompagnato da una chitarra live.

BITS-RECE: Rose, Moving Spheres. Rotolando lungo il soul

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
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Sulla pagina Facebook di Rosa Mussin, in arte Rose, alla voce “Influenze” si leggono, tra  gli altri, i nomi di Lauryn Hill, Erykah Badu, Amy Winehouse, Aretha Franklin e Ella Fitzgerald. E ad ascoltare le sei tracce del suo primo EP non si può che confermare che quelle influenze ci sono tutte: la lezione imprescindibile di Ella, la voglia di modernità meticcia di Erykah, la passione di Amy.

Moving Spheres, questo il titolo del disco, è infatti un agile concentrato di soul, r’n’b e jazz, con una pacifica corrente di elettronica e chill out che lo attraversa senza fretta. Le contaminazioni fluiscono una nell’altra, e nella sua varietà tutto riesce ad avere un suono omogeneo.

Veneta, classe 1994, Rose arriva alla pubblicazione di questo primo EP dopo diverse esperienze che l’hanno vista all’opera con Mr. T-Bone (Africaunite), Furio (PituraFreska) e Olly Riva (Shandon) e dopo aver calcato diversi palchi italiani e internazionali. Esperienze che le hanno fatto guadagnare quella confidenza con la musica che Moving Spheres mostra con indiscutibile chiarezza.

Quando ho incontrato Ivreatronic: a sorpresa il nuovo EP di Cosmo

COPERTINA disegno Alessio Daverio, Artwork Cosmo
“Ciò che facciamo è bello per sempre più gente, siamo convinti che questo tipo di musica e di serate possano, e dovrebbero, rientrare più nella cultura di questo Paese e nel nostro piccolo proviamo a contribuire. Perché la musica non è solo canzoni da cantare a squarciagola ma è anche perdersi in un viaggio”.

A sorpresa, senza annunci o proclami, Cosmo ha pubblicato Quando ho incontrato Ivreatronic, un EP di quattro tracce dove le atmosfere romantiche e personali del singolo Quando ho incontrato te vengono catapultate nella pista da ballo grazie al trattamento speciale che i ragazzi del collettivo Ivreatronic – di cui Cosmo è socio e fondatore – hanno deciso di riservargli.
Un pezzo che nelle mani di Splendore, Enea Pascal e Fabio Fabio (il duo formato da Tia e Foresta) acquista un sapore del tutto inedito e si allontana sempre di più dai territori della canzone d’autore italiana.
A chiudere il tutto, la versione strumentale dell’originale, perché la musica di Cosmo vive oltre la dimensione del testo e della melodia.
COSMO E IVREATRONIC ph Davide Aichino
Intanto Cosmo si prepara a chiudere l’esperienza live di Cosmotronic con due ultimi show: il 29 settembre a Palermo per #EnelEnergiaTour (ingresso gratuito) e sabato 13 ottobre a Torino, all’interno del Movement Festival, dove dividerà il palco insieme ad alcuni dei nomi più importanti dell’universo della club culture.

Mahmood: adesso l’urban italiano ha la sua voce

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Quando lo abbiamo visto la prima a Sanremo nel 2016 dovevamo ancora metterlo a fuoco, e lui, Mahmood, probabilmente lo sapeva. La sua Dimentica, presentata quell’anno in gara tra le Nuove proposte, era qualcosa di piuttosto distante dagli standard sanremesi: non era il solito pop, non era il solito pezzo di “belcanto” all’italiana, non era il cantautorato a cui eravamo abituati. Era qualcosa di lontano, di esotico: era r’n’b, un genere che qui eravamo pronti a sentir cantare dagli americani, ma prima di ricordarcelo nella discografia di un altro artista italiano dovevamo pensarci un po’.
Di tutto questo, ripeto, Mahmood doveva essere perfettamente consapevole, tanto che quando lo intervistai e gli chiesi notizie di un album, lui rispose candidamente “Quale album?”, perché in effetti in programma non ce n’era alcuna traccia.
Oggi che finalmente esce il suo primo EP se ne capisce la ragione. Gioventù bruciata arriva infatti a più di due anni da quel Sanremo: un periodo di tempo molto lungo e insidioso per un artista emergente, che lui ha saputo però sfruttare per elaborare bene il suo progetto. 
Nel 2017 è arrivato Pesos, poi un po’ a sorpresa c’è stata la collaborazione con Fabri Fibra in Luna, mentre quest’anno è stata la volta di Uramaki, rilasciato in primavera, e Milano Good Vibes, di sole poche settimane fa.
E se come interprete risultava sempre più chiara la direzione che il ragazzo stava prendendo, come autore le soddisfazioni non sono mancate, visto che Nero Bali, che porta anche la sua firma, è stato uno dei successi dell’ultima estate. E sua è anche Sobrio, contenuta nell’ultimo album di Gue Pequeno.

foto di Attilio Cusani
ph. Attilio Cusani

Quello che ci si presenta oggi davanti è un artista in piena evoluzione, ma con un’identità e una personalità molto ben definite: una promessa dell’urban italiano che si sta sempre di più trasformando in una conferma. I cinque pezzi del disco danno spazio alla poesia metropolitana e un po’ sfacciata dei singoli Uramaki e Milano Good Vibes, quest’ultimo ritratto decisamente alternativo della città meneghina, ma anche alle metafore giganti dell’incomunicabilità di Asia Occidentale (mi chiamerai sotto casa / farò finta di niente / come se io fossi l’Asia / e tu l’Occidente), mentre spiazza ritrovare di nuovo Fabri Fibra in Anni 90. Perché si sa che Fabri Fibra non è uno che i duetti li svende.
Mai figlio unico è invece il pezzo più personale ed entra nel vissuto di un ragazzo italo-egiziano vissuto nella periferia milanese.

La musica è un melting pot di r’n’b, pop ed elettronica, cesellata di dettagli tropicali ed esotici, anche se l’elemento che fa la differenza lo mette Mahmood con la sua voce: amorevolmente pigra, sorniona, sensuale, ammiccante.
La voce di una nuova era e di una generazione ormai abbastanza grande per farsi sentire.

Ecco, lo possiamo dire: l’urban italiano ha trovato la sua nuova voce.

Stories: la pluri-identità sonora dei Deaf Kaki Chumpy

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“Portiamo al pubblico dei brani narrativi, complessi, lontanissimi dai canoni che servono oggi per avere successo sui servizi di streaming. Sogniamo un mondo in cui questa musica trovi il suo spazio all’interno del panorama musicale. Voglio che la gente sappia che esiste altro che le canzoni formate da strofa e ritornello, che la musica è fatta di molto altro, e quel qualcos’altro è bello e vario e sorprendente, a volte commovente”.

Così Alberto e Mancini, pianista e compositore, parla di Deaf Kaki Chumpy, il progetto musicale che ha contribuito a fondare insieme al bassista Andrea Daolio.
Un progetto ambizioso e fuori da ogni schema, nato nelle aule della Civica Scuola di Musica “Claudio Abbado” di Milano, e che vede la partecipazione di ben 18 elementi.
Non una band canonica quindi,  ma quasi un collettivo, un caleidoscopio di pelli, ottoni, legni, voci, corde, organi e synth per una proposta musicale ambiziosa e originale, sicuramente non facilmente catalogabile.

Il 21 settembre la maxi-band pubblica il suo secondo lavoro, Stories, un disco di suggestioni meticce e fantasiose, che dal funk schizzano al jazz, scivolano sul classico e sul soul e sfrigolano sulle melodie del pop e sui sintetismi elettronici. E poi rock, r’n’b, spunti etnici, hip-hop.
Niente, dagli arrangiamenti alle voci, cede agli stereotipi o rassomiglia a qualcos’altro: tutto ha invece il volto (e il suono) della spontaneità e dell’imprevedibilità.
Nelle tracce di Stories c’è tutto, ci sono riferimenti a generi musicali così sovrapposti che è impossibile (e anche un po’ inutile) cercare di scorporarli e individuarli tutti, e quando si pensa di aver definito l’identità di un pezzo, ecco che questo si interrompe e cambia strada.
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Il primo singolo estratto è Thinking Out Loud, personale rivisitazione del brano di Ed Sheeran, e da lui stesso approvata.

“La prima parola che mi viene in mente ripensando ai nostri brani e all’epopea di questo nuovo EP é ‘resilienza’, racconta Emma Lecchi, una delle cantanti del gruppo, “la capacità di trasformare le proprie sventure in energia positiva. Stories, nella sua interezza, rappresenta al meglio questo concetto e ci rappresenta come grande, meravigliosa ed imperfetta famiglia, in tutti i nostri suoni ed i nostri colori”.

Se questa musica troverà spazio all’interno dei grandi circuiti radiofonici e discografici è difficile dirlo, ma di certo rappresenta un valido e convincente tentativo.

Il 22 settembre il gruppo presenterà il disco al Santeria Social Club di Milano (ore 21, ingresso gratuito).