La Battaglia navale di Lorenzo Fragola si gioca a New York

Ambientato a New York  nel parco divertimenti di Coney Island, il video di Battaglia navale rappresenta alla perfezione l’essenza del brano: un viaggio ricco di difficoltà, turbamenti ma anche di rinascite.
COVER DEF
Scritto da Lorenzo Fragola con la produzione di Mace, il singolo è la prima fotografia del viaggio di crescita interiore e artistica iniziato da Lorenzo oltre un anno e mezzo fa. Una vera e propria sfida affrontata attraverso scelte coraggiose, realizzate in totale autonomia, che hanno condotto Lorenzo a un progetto in cui il perno è sempre e solo lui, dalla stesura dei pezzi alla scelta dei collaboratori e alla supervisione totale del lavoro.

Il nuovo album. Bengala, uscirà il prossimo 27 aprile e sarà disponibile anche in vinile e nella versione CD Deluxe (con copertina rigida e libretto da 32 pagine con contenuti speciali). In esclusiva su Amazon, inoltre, un’edizione del vinile a tiratura limitata autografata, color red strawberry.

#MUSICANUOVA: Brooke Candy, For Free

29511175_1514935128632573_3149132799616864861_n
Mentre l’uscita del primo album di Brooke Candy – che dovrebbe intitolarsi Who Cares, ma il condizionale è d’obbligo – continua a essere posticipata da ben più di un anno e viene data ora per la primavera 2018, in rete spuntano ogni tanto brani inediti che dovrebbero andare a comporre la tracklist, ma anche qui non si può andare oltre l’ipotesi.

Se infatti l’ultima pubblicazione ufficiale risale al luglio scorso con Volcano, è di pochi giorni fa la comparsa sul web di For Free, traccia dal gommoso andamento hip-hop, non troppo distante dalle produzioni che anni fa Pharrell curò per il progetto solista di Gwen Stefani.
Da altre fonti si apprende invece che il prossimo singolo ufficiale dovrebbe essere War e dovrebbe essere rilasciato a maggio. Dovrebbe.
Noi aspettiamo, fiduciosi, ma con sempre meno pazienza.

Nel frattempo, Brooke è in partenza per una serie di live nel Regno Unito e recentemente è comparsa in un video della campagna promozionale di Gcds, brand di abbigliamento streetwaer, dove era protagonista la sempre-iconica Pamela Anderson. 

#MUSICANUOVA: Kylie Minogue, Stop Me From Falling

image004
A meno di una settimana dall’uscita del nuovo album Golden, in arrivo il 6 aprile, Kylie Minogue rilascia il video del secondo singolo estratto, Stop Me From Falling.
Girato al Cafè de la Danse di Parigi e diretto da Colin Solal Cardo, il video vede Kylie scaldarsi insieme alla band nel backstage prima del concerto tenuto nella capitale francese il 18 marzo scorso, tappa di un mini tour di presentazione del nuovo album.

Il singolo prosegue sulle atmosfere country-pop che avevano già caratterizzato Dancing e che faranno da filo conduttore per buona parte del nuovo disco.

Questa la tracklist di Golden:
Dancing
Stop Me From Falling
Golden
A Lifetime To Repair
Sincerely Yours
One Last Kiss
Live A Little
Shelby ’68
Radio On
Love
Raining Glitter
Music’s Too Sad Without You (with Jack Savoretti)

BITS-RECE: Diplo, California. Meno BPM e più hip-hop

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
DIPLO_California_3000x3000_EP
No, questa volta niente EDM e niente moombahton.
Se cercate il nuovo inno riempipista dovrete guardare altrove, non nella California di Diplo.
Per il suo ultimo EP, Thomas Wesley Pentz ha infatti messo da parte i carichi di BPM e le scansioni in levare che hanno fatto la fortuna sua e dei Major Lazer per far spazio alle sonorità urban dell’hip-hop.
Succede così che ascoltando le sei tracce del disco, la sensazione sia quella di trovarsi davanti non al lavoro di uno dei più influenti producer del globo, ma a una compilation delle nuove leve del rap d’Oltreoceano.
I nomi coinvolti infatti non nascondo una buona dose di coraggio, essendo per la maggior parte quasi del tutto ignoti al grande pubblico al di là dei confini americani: stiamo parlando di gente come Lil Yatchy e Santigold, Desiigner, DRAM, Trippie Redd, Lil Xan e Goldlink. Non veri e propri emergenti – almeno alcuni – ma sicuramente ancora lontani dalle stelle più brillanti del rap internazionale. L’eccezione alla regola è rappresentata da MØ, talento danese dell’elettropop.
SHOT_01_004
E così, dopo aver messo mano a successoni di Sia, Madonna e Beyoncé, ecco Diplo raccontare la California in salsa elettro-urban, con soluzioni spurie di hip-hop, r’n’b e naturalmente la trap, con tutti i suoi incantesimi al vocoder, che se sono una novità qui in Italia in America non suonano certo come una rivoluzione.
Sì, un po’ di reggaeton c’è, ma resta confinato su uno sfondo di autotune e fumosa poesia in barre. Anche questo è Diplo, e tutto sommato funziona.

BITS-CHAT: Ci piace (ancora tanto) Chopin. Quattro chiacchiere con… Gazebo

GAZEBO Homestory in Rom (I)

Diciamoci la verità, gli anni ’80 non se ne sono mai del tutto andati.
Nella musica come nella moda, non si contano i riferimenti più o meno latenti ancora oggi legati a un decennio che ha sconvolto le regole esistenti imponendone di nuove. Erano anni di sperimentazioni, ma soprattutto di elettronica; gli anni della italo disco, quel glorioso fenomeno musicale che ha scosso le classifiche europee, e anche oltre, partendo direttamente dall’Italia: Easy Lady, Self Control, Tarzan Boy...
Tra i protagonisti, anche Paul Mazzolini, conosciuto dal pubblico come Gazebo: nato a Beirut da padre friulano e madre statunitense, negli anni ’80 ha lasciato il segno con singoli come Masterpiece e I Like Chopin, per proseguire poi la carriera durante i decenni successivi.
Oggi rende Gazebo rende omaggio alla italo disco con Italo By numbers, una raccolta di successi, suoi e dei colleghi, tutti rigorosamente italiani. Tranne uno.
ItaloByNumbers_Cover_2
Italo By Numbers
. Perché?

Italo è un diretto riferimento alla italo disco, quel genere che negli anni ’80 ha avuto un successo enorme, facendo vendere a noi che ne facevamo parte qualche milione di copie. I numbers sono invece da una parte i numeri delle classifiche che hanno segnato il successo di queste canzoni, e dall’altra sono i numeri che compongono i disegni delle Settimana Enigmistica. In America li chiamano “drawings by numbers”, ed è per questo che ho voluto riportarli anche sulla copertina del disco: unendo i numeri si scopre Trinità dei monti, che simboleggia un po’ tutta l’Italia. Anche la Lambretta è un rimando a quegli anni.

A proposito di copertina, è molto interessante anche quella sul retro, e che fa da cover all’edizione in vinile.
Abbiamo voluto giocare sullo stile di Arcimboldo, ricostruendo il mio volto non con la frutta e la verdura, ma con i pezzi della strumentazione dell’epoca. Rappresenta un po’ l’altra faccia della italo disco, cioè l’elettronica. A differenza della disco music, che ha caratterizzato gli anni ’70, la italo disco è infatti figlia della new wave ed era tutta basata sull’elettronica e i sintetizzatori. Masterpiece, il mio primo singolo, era di fatto un brano new wave. L’approccio era piuttosto semplicistico, con la batteria programmata dalla drum machine: si creava musica adatta per ballare. In un certo senso, la italo disco è stata un’antesignana della house, intesa come musica creata in piccoli studi e con pochi mezzi a disposizione.

Da quella montagna di eredità, come sei arrivato alla selezione dei brani?
Penso di aver toccato solo la punta dell’iceberg: ho scelto i primi che mi sono venuti in mente, quelli a cui ero più legato per vari motivi. Self Control di Raf è un brano poderoso, mentre Survivor l’ho scelta per l’affetto che mi legava a Francesco (Puccioni, nome anagrafico di Mike Francis, ndr), che purtroppo ci ha lasciati alcuni anni fa. Ho guardato soprattutto alla scena romana dell’epoca perché noi a Roma eravamo pochi, e con meno mezzi di Milano, ma forse compensavamo con più poesia e maggiore qualità. L’intento non è stato comunque quello di stravolgere quei brani, ma far conoscere un mondo diverso ai ragazzi di oggi, che riescono ad apprezzarlo perché ci ritrovano i suoni che ascoltano in discoteca. La differenza è che all’epoca c’erano le strofe, le strumentali, pezzi suonati davvero.

Quindi l’elettronica si incontrava con la tecnica.
Per fare musica dovevi saper suonare. Venivamo dagli anni ’70, che avevano visto la grande esplosione del progressive, le influenze della musica classica. Avevamo un background pazzesco. L’elettronica era un colore in più, ma alla base c’erano musiche “suonate”. Oggi si può fare musica sul tram, utilizzando semplicemente un tablet, ma senza sapere cosa si sta facendo. I DJ non conoscono le tecniche per fare musica, e ne ho avuto le prove conoscendo quelli che sono venuti in studio da me. Tutto si basa sulla cassa in 4 tempi, con il solo scopo di far ballare: negli anni ’80 invece si ballava, ma soprattutto si cantava, e dopo un brano di italo disco potevi sentire un pezzo black o l’elettronica dei Kratwerk o un pezzo rock, oppure anche un pezzo di puro pop come Sarà perché ti amo.
CopertinaB_b
Nonostante il grande successo, all’epoca la italo disco è stata considerata un genere di serie b. Perché secondo te?
In molti casi si pensava di più alle vendite che a produrre musica di qualità; inoltre, i cantanti cambiavano spesso, qualche volta erano dei veri e propri turnisti, oppure si usavano dei modelli per i video e le esibizioni in playback. Insomma, la percezione era quella di un genere minore, snobbato dall’intellighenzia della discografia che preferiva la musica impegnata dei cantautori, anche se spesso si trattava di cloni degli stranieri. Eppure con la italo disco l’Italia per la prima volta ha esportato qualcosa all’estero, con ottimi risultato tra l’altro: un fatto che non si è mai più verificato. I Pet Shop Boys venivano in Italia per ispirarsi alla nostra musica, e lo hanno dichiarato loro, la stessa cosa per i Modern Talking, un gruppo tedesco nato proprio grazie a I Like Chopin.

Gli anni ’80 fanno pensare anche a un grande coraggio di osare e sperimentare, nella musica ma anche nell’immagine. Un’audacia che forse oggi è stata confinata all’underground.
La verità è che siamo andati incontro a un’uniformazione, in discoteca così come in radio, e questo ha portato al terrore di sperimentare, perché se fallisci perdi soldi. Oggi governa la triade talent-radio-major discografiche e un talento, prima che musicale, deve essere televisivo: ti selezionano, ti spremono, ti fanno fare un singolo, se ti va bene fai l’album, altrimenti arrivederci e grazie. Il tutto con conseguenze psicologiche devastanti. In un meccanismo così, gente come Battisti, Dalla o Battiato non avrebbe avuto alcuna possibilità di emergere.

Secondo te l’Italia può avere ancora la possibilità di tornare a dettare moda in campo musicale, come è stato negli anni ’80?
Gli anni ’80 sono stati un periodo molto particolare: l’Italia usciva dagli anni di piombo, dalla contestazione, dalla crisi petrolifera; l’entusiasmo era a mille. Poi è successo alla Spagna, con la fine del Franchismo, e così per tutti i Paesi, portando come conseguenza la nascita di fenomeni singoli. Oggi invece è più difficile trovare movimenti di questo tipo, tutto si muove più compatto e su scala globale, dalla musica alla moda, e una buona parte di responsabilità ce l’hanno in questo i social.

GAZEBO Homestory in Rom (I)
Nel disco c’è anche un inedito, La Divina. Ma è un vero esemplare di italo disco rimasto nascosto fino a oggi o è nato negli ultimi anni?
Per usare un termine tanto in voga oggi, direi che è un fake degli anni ’80! Tutto è nato da Untouchable, un brano che mi è stato mandato da un musicista greco mio fan, e che avevamo pensato di affidare a un artista fittizio chiamato George Valentino, da Giorgio Armani e Valentino, operazione frequente negli anni ’80. Poi una sera ho visto uno speciale dedicato a Maria Callas e mi è venuto in mente il mio maestro di canto di quando ero ragazzo, Alberto, un cantante lirico che nutriva per la Callas un’autentica venerazione. Passava più tempo a parlarmi di lei che a insegnarmi a cantare! Era omosessuale, e per questo diceva sempre di essere stato messo da parte. A metà degli ’90 l’ho incontrato di nuovo, camminando un giorno per Roma. Viveva da clochard in una roulotte fatiscente. Passava le giornate ascoltando le registrazioni della Callas da una vecchia radiolina e nella roulotte aveva una sua gigantografica che guardava come se lei fosse davvero lì presente. Il giorno dopo sono tornato, volevo aiutarlo, ma di lui e della roulotte non c’era più traccia. Da questo ricordo ho scritto di getto il testo della canzone, scegliendo per la prima volta di cantare in italiano. Ne faremo anche un video ispirato proprio ad Alberto.

Pensando all’immensa eredità degli anni ’80, c’è qualcosa di cui avremmo potuto fare a meno?
Oltre alle spalline e ai capelli cotonati? (ride, ndr) Non me la sento di fare esempi, ogni decennio ha le sue caratteristiche: forse tra dieci anni guarderemo con orrore i tatuaggi dei millenials.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
La ribellione è l’essenza stessa dell’identità: ribellandosi, una persona impone la sua personalità. Se nessuno si ribellasse, saremmo tutti degli ectoplasmi. Da darwinista convinto, penso che l’evoluzione stessa della vita sia il risultato di un atto di ribellione avvenuto nel corso dei millenni. Senza ribellione, tutto sarebbe rimasto fermo, stagnante.

Video realizzato sul set del videoclip di La Divina:

BITS-CHAT: Toccare il fuoco. Quattro chiacchiere con… Eman

Uno dei più celebri episodi della mitologia classica è quello di Icaro, figlio del leggendario architetto e inventore Dedalo: con le ali di cera realizzate dal padre per scappare da Creta, il giovane volò così tanto vicino al sole da precipitare tragicamente in mare.
Una storia di un volo e di una caduta, ma soprattutto di uno disubbidienza e di un limite infranti in nome della libertà, da cui Emanuele Aceto, ai più conosciuto come Eman, è partito per il racconto del suo nuovo singolo, Icaro, apripista di un album di prossima pubblicazione.
Eman - Icaro (cover)_b
Perché la scelta di anticipare il nuovo album proprio con Icaro?

Sembrava il brano più idoneo, è il sunto perfetto della mia musica, che è prettamente elettronica con tanti “graffi” e accompagnata da una scrittura evocativa, che procede per immagini. È un brano di rottura: avevamo già pronti anche altri brani, forse più semplici, ma Icaro è quello che mi rappresenta di più.

Trovo interessante il lavoro che hai fatto sul testo: sei partito dal riferimento al mito classico per spingerti un po’ più in là con l’interpretazione.
Il mito di Icaro mi sembra un una metafora della vita, così come lo intendo io: ho voluto rappresentare un viaggio esistenziale con i suoi obiettivi e le sue ambizioni, ma anche le sue ambizioni. È una storia che si inserisce nel concept più ampio che svilupperò nell’album. L’uomo può fallire, può cadere, e proprio nella caduta sperimenta i suoi limiti e la sua natura, vede fin dove può arrivare e scopre che magari quello che cerca è già dentro di lui.

Pensi che il limite sia qualcosa che bisogna sempre cercare di superare o qualche volta è giusto restare dentro ai suoi confini?
Credo che si debba sempre cercare una via per superare un limite, anche se ovviamente bisogna saper capire quando il limite è davvero troppo oltre. D’altronde, la storia umana è fatta di superamenti di limiti: è importante conoscere l’eccesso per capire fin dove si può arrivare, perché il fuoco brucia, ma fino a quando non lo tocchi non lo puoi sapere.
Eman 2_photo credit Henrik Hansson_b
Nel testo di Icaro parli di una paura che diventa seta. Che rapporto hai con la paura?
Ne ho tante, ma ogni giorno ci combatto e ci convivo. La paura è quello che ci mantiene vivi, soprattutto quando diventa qualcos’altro, come nel testo della canzone, e questo succede quando ci confrontiamo con paure o timori che pensavamo insormontabili.

Altri due concetti che tornano nel brano sono quelli di ambizione e fede. Come li vivi?
Quando parlo di fede, la intendo in senso molto ampio, non necessariamente religioso. Il lavoro che faccio si lega per forza a una fede e un’ambizione, perché mette insieme ciò che fai e ciò che vogliono gli altri. Nella vita, il coraggio stesso è un atto di fede.

Qualche giorno fa hai pubblicato sulla tua pagina Facebook un post dedicato alla città di Milano. Come ti trovi a viverci?
È un rapporto un po’ particolare. Ho iniziato a viverci quando ero già grande, perché gli studi ho voluto farli in Calabria e poi ho trascorso un periodo a Roma. Quando sono arrivato a Milano avevo quindi più di trent’anni, un’età in cui non sei più pronto ad adattarti a tutto come quando ne hai venti. Mi sono trovato catapultato in una città che mi ha chiesto tanto e alla quale ho dato tanto. Milano non ti fa mai capire se sei di casa oppure no: molti pensano che ti faciliti le cose, ma l’unica cosa davvero facile è spostarsi da un luogo all’altro con la metropolitana. Milano è come quelle cugine che non vedi spesso e con le quali non parli esattamente la stessa lingua, però capisci anche che ti piace trascorrerci del tempo insieme.

https://www.facebook.com/plugins/post.php?href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Femanofficialpage%2Fposts%2F1907141242663838&width=500

Sull’album puoi già raccontare qualcosa?
Come anticipavo prima, sarà un concept, ma non voglio raccontare una storia troppo particolare: è un estratto di vita dei giorni nostri, che posso aver vissuto io, ma anche tu e chiunque altro, con gli amori, la solitudine, le avventure. Musicalmente sarà molto vario, come lo è già Icaro. La cosa strana è che molte persone notano questa varietà di suoni nelle mie canzoni, mentre per me e SKG, il mio producer, non è altro che il risultato di un modo naturale di lavorare. D’altronde, noi tutti siamo frutto di questi tempi, una fusione azzeccata di più generi.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
La ribellione è utilissima, è un atto giusto se viene fatto con intelligenza, serve a scuotere le coscienze che restano allineate sui preconcetti. L’atto di ribellione può avere varie forme, non deve essere per forza violento, ma è necessario.

Eman presenterà in anteprima live il suo nuovo album il 20 aprile al Largo Venue di Roma (via Biordo Michelotti 2) e il 27 aprile al Santeria Social Club di Milano (viale Toscana 31). Biglietti disponibili su Ticketone (bit.ly/Eman_T1) e Vivaticket (bit.ly/Eman_VT).

#MUSICANUOVA: Pier Paperoni e Alice, It Takes A Fool To Remain Sane

Cover It takes a fool to remain sane (feat. Alice)
Pier Paperoni e Alice, padre e figlia.
Lui è Pierpaolo Peroni, storico produttore degli 883, che per il debutto discografico ha scelto un nuovo, ironico moniker, Pier Paperoni; lei è sua figlia Alice, una che la musica se l’è vista passare sotto il naso in casa da quando era in fasce, visto che sua madre è la cantante Syria.

Insieme hanno dato vita a una rivisitazione elettronicissima di It Take A Fool To Remain Sane, successo degli svedesi The Ark, datato 2000.

Alice è inoltre la protagonista del video, diretto da Claudio Zagarini.

Outsider, il ritorno tra elettropop e r’n’b di Santii

Santii_foto di Mattia Guolo_b
Dietro al progetto Santii si nascondono Michele Ducci e Alessandro Degli Angioli, ovvero M+A, come si facevano chiamare alcuni anni fa.
Il progetto, nato alcuni anni fa in UK durante sessioni notturne di registrazione divise tra Tyleyard Studio e Dean St. Studio, Santii è un cantiere aperto, che ha come scopo quello di spaziare il più possibile tra generi e forme d’arte.
La parte musicale è una congiunzione di scene musicali e mondi musicali apparentemente diversi, ma attentamente gemellati dai due artisti: l’elettronica club europea da una parte e l’hip hop e R&B americano dall’altra.
Tutto, scrittura, produzione, mix, visual e video è gestito fatto e diretto da Santii.

Il duo torna ora con un nuovo singolo, Outsider, che anticipa il nuovo album, S01, e che vede la collaborazione del rapper irlandese Rejjie Snow«Loveleen, tratto dal suo primo EP, Rejovich, è un brano che abbiamo ascoltato tantissimo. Ci innamorammo della sua voce immediatamente e fu uno dei primi che mettemmo nella lista dei guests che volevamo per il nuovo progetto. Tutto partì con una conversazione in chat su facebook».
SANTII - OUTSIDER feat Rejjie Snow - cover primo singolo_b
«Ogni storia, di una persona, di un pianeta, di una cellula, è infinitamente grande e infinitamente piccola. Questo è il nucleo attorno al quale ruota il video. Abbiamo cominciato con flash di immagini e sequenze, fino alla storia di una ragazza, la protagonista del video. Abbiamo cercato di guardare con freddezza tutto il suo mondo. Tenere insieme macro e micro era importante per riuscire a mantenere uno sguardo lucido, che mandasse in crisi anche le nostre certezze. Il video non è del genere realismo. La sparatoria è simbolica, un’epifania, che può essere interpretata in molte maniere: nel corso di tutta la vita la ragazza dovrà imparare a saper farla finita con qualcosa, con le illusioni, le velleità, con certe parti di se, per cercare di non trovarsi continuamente a fare i conti con la domanda che chiude il video: “how am i gonna do this for the rest of my life?” La canzone Outsider è in armonico contrasto con le immagini: non è l’inno che rappresenta la protagonista, ma la canzone per chi accetta il dolore, per chi impara a saper stare fuori per un po’, non per il gusto di sentirsi unici, ma per inventare nuove forme di vita». 

BITS-RECE: Hesanobody, The Night We Stole The Moonshine. Viaggio al termine della notte

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
cover
L’anno scorso ho scoperto per la prima volta cosa significa amare davvero un’altra persona, ma ho anche scoperto per la prima volta cosa vuol dire quando la morte bussa alla porta di una persona cara. Ho visto e toccato i due estremi dello spettro e nel frattempo ho compiuto 25 anni. 
È la vita, immagino, ma forse non ero pronto. Sto ancora cercando di fare i conti con tutte queste cose e non ho ancora ben chiaro il quadro generale, ma lo farò, so che lo farò. Da nuovi sentimenti, derivano grandi responsabilità dopotutto.

Devi migliorare te stesso per restare al passo con ogni cambiamento nella tua vita, devi compiere delle scelte. Quindi, dopo aver trovato la mia appartenenza, sono uscito da un posto dove troppo a lungo sono rimasto intrappolato e ho preso treni, superato posti di blocco con la mia macchina per poi parcheggiarla a ridosso del mare per godermi la vista e finalmente godermi il momento. Dopo di che ho raccolto tutto e ho scritto questo disco. Credevo fosse per me, ma giorno dopo giorno mi sono reso conto di averlo scritto per le mie donne. È un bacio e una preghiera a mia Nonna. È una confessione ed un grazie a mia Mamma. È una dichiarazione e un’esortazione alla mia Ragazza.
Please don’t scare away your dreams, ‘cause you’ll miss ‘em too much. Now I know.

Con questo post pubblicato su Facebook – di cui no ho riportato solo il commiato i e ringraziamenti finali – Gaetano Chirico, nome che si cela dietro allo pseudonimo di Hesanobody, presentava l’uscita del suo secondo EP, The Night We Stole The Moonshine.
Molto di più, mi pare, di una semplice presentazione: in queste righe si intrecciano vita e morte, amore e disperazione, e soprattutto emerge l’istinto di un ragazzo di 25 anni a mettere in musica tutta la vita che gli si è buttata addosso. Un istinto e uno slancio quasi viscerali che hanno preso forma in cinque pezzi di synthpop e tratti oscurissimo e a tratti folgorante.
Se di notte si parla, quella di Hesanobody è certamente buia, ma percorsa da sciami di stelle cadenti e scie di meteoriti, tutti rigorosamente sintetici.

Processed with VSCO with c9 preset
Si parte con 4 Wishes, estatica e immersa nei suoi sintetizzatori vibranti, al limite del dark ambient, per passare subito dopo allo sfogo di beat di Clichè, dove la voce tonda di Chirico fa sentire di essere stata allevata e cresciuta dall’ascolto di parecchia wave anni ’80, per arrivare a un tripudio di elettronica con Roadblock, un episodio che inizia con un semplice pianoforte per poi spingersi sempre più in là, al punto da far intravedere i bagliori della techno e della trance. Resta il fatto che portato sotto ai neon di un club, la sua la figurona la farebbe alla grande.
Toni un po’ più smorzati accompagnano invece le riflessioni di Mourning The Ghost, tutta arrampicata sui giochi di vocoder e gingilli elettronici, mentre la chiusura di Night 23 si affida a un’esplosione che oserei definire festante, ricordando un po’ gli ultimi lavori dei Coldplay.

Processed with VSCO with u3 preset
Citando – fuori contesto – il titolo di un romanzone del ‘900, The Night We Stole The Moonshine è un viaggio al termine della notte: un disco che corre spedito nel buio, in perfetta solitudine, toglie i freni e si lancia tra crinali e bordi di altissime scogliere. Sussulta tra sbalzi umorali, sprofonda e risale, e tutta la sua essenza sembra riassumersi nella notte infinita e a ridosso del Natale raccontata proprio in Night 23: “We stole, we stole / We stole the moonshine / (The night before this Christmas Eve / We celebrated our belief)”. E riecco l’alba.