Quando Takagi & Ketra mettono le mani su una produzione musicale, si può essere quasi certi che quello che ne verrà fuori sarà un pezzo fornito di un bel carattere. Ma per lavorare al nuovo singolo di Enne, i due “re Mida” dei produttori italiani hanno fatto anche di più, non limitandosi a un lavoro esterno, ma aprendo un’etichetta tutta loro.
Vodkatonic è infatti il primo brano uscito dalle officine della PLTNM Squad, l’etichetta fondata dalla coppia di producer.
Questa volta Takagi & Ketra si sono fatti ispirare dalle sonorità e dall’estetica a cavallo tra gli anni ’80 e i primi ’90, per dar vita a un concentrato di elettronica e di synthpop per un inno generazionale alla discoteca e al divertimento, anche se con un risvolto amaro e crudo.
Dietro al nome di Enne si nasconde il bergamasco Nicola Togni, classe ’94. Il progetto nasce con l’idea di scardinare il movimento indie pop italiano partendo dall’interno, portando rappresenta una ventata di freschezza e di contenuti contemporanei, tra immaginari di manga, serie tv e altri fenomeni dei tempi recenti. I soli primi due singoli, interamente autoprodotti, San Junipero e Al centro di una guerra, hanno portato Enne sotto i riflettori della scena e degli addetti ai lavori.
Dopo essere diventato uno dei più acclamati nomi dell’indie pop elettronico italiano degli ultimi anni, Cosmo ce l’ha fatta e sabato 2 febbraio 2019 approderà al Mediolanum Forum di Milano, protagonista per la prima volta in assoluto di un concerto unico e speciale per festeggiare con tutto il suo pubblico il gran finale del CosmotronicTour.
Dopo un 2018 straordinario,Cosmo ha preparato per questo evento incredibile uno show unico, rinnovato nell’estetica e nella scaletta, ricco di sorprese e contenuti inediti. Un evento irripetibile con ospiti speciali che segna la chiusura di un cerchio perfetto.
Inoltre, da venerdì 19 ottobre è in rotazione radiofonica il nuovo singolo L’amore, uno dei brani più caldi e intensi del live che, in una cavalcata intensa dal gusto vagamente anni ‘90 con sfumature trance, racconta un amore… particolare.
I biglietti del live, organizzato da DNA concerti, sono disponibili online su Ticketone (www.ticketone.it) e in tutti i punti vendita autorizzati.
“‘Ce lo chiede l’Europa’ è una frase che è stata usata fino allo sfinimento dalla Politica negli ultimi otto/nove anni, di solito per giustificare scelte impopolari scaricandone la responsabilità. La foto di copertina è una raffigurazione simbolica del concetto di Europa: i ragazzi sorridenti rappresentano il capitale umano della cosiddetta ‘generazione Erasmus’, la prima a identificarsi come europea. Alle loro spalle un’edilizia orribile, simbolo di un altro aspetto di questa Europa, il modello di sviluppo economico liberista, che non tiene conto delle proprie risorse e spesso genera mostri”.
E Ce lo chiede l’Europa diventa ora il titolo del nuovo album di Dutch Nazari, in uscita il prossimo 16 novembre. Il “cantautorap” dell’artista si fa più incalzante del passato con nuovi apporti elettronici uniti alle metriche rap e alla forza comunicativa dei poetry slam
Questa la tracklist: 1. Calma Le Onde 2. Tutte Le Direzioni 3. Mirò 4. Fuori Fuoco 5. Guarda Mamma Senza Money 6. Momento Clinico 7. Lontana Tu 8. Così Così 9. Bella Per Sbaglio 10. Girasoli 11. Comunque Poesia 12. L’Europa
Ad anticipare l’album è il singolo Calma le onde.
Inoltre Dutch Nazari ha annunciato le prime date del suo Tour Europeo (in Italia): 6 dicembre – Firenze, Combo 7 dicembre – Roma, Le Mura 8 dicembre – Napoli, Galleria 19 9 dicembre – Bari, Garage Sound 15 dicembre – Bologna, Covo 20 dicembre – Milano, Biko 22 dicembre – Torino, Spazio 211
BITS-CHAT: Partire e sentirsi a casa. Quattro chiacchiere con… Valentina Parisse
Quando incontro Valentina Parisse, lei mi accoglie con un sorriso e una delle più vigorose strette di mano che abbia mai ricevuto. Ha addosso un entusiasmo luminoso, che ti mette subito a tuo agio. “A volte ho paura di sembrare una bambina il giorno di Natale” confessa durante la chiacchierata parlando del suo lavoro, la musica. In realtà, la sensazione che comunica è quella di una ragazza che sta vivendo nella maniera più giusta le enormi occasioni che le stanno capitando, e che ha imparato a tenersi la valigia sempre pronta perché non sai mai quando potrebbe arrivare una chiamata. Dopo essere volata in Canada nel 2011 per realizzare l’album d’esordio, Vagabond, e aver recentemente scritto per Renato Zero e Michele Zarrillo, il suo ultimo singolo, Tutto cambia, è nato sul suolo americano ed è il frutto dalla collaborazione con Tyrone Wells, Danny Larsh e Timothy Myers, ex bassista dei One Republic. Ma anche tutto il suo nuovo album, in uscita il prossimo anno, pare che respirerà aria internazionale grazie ad altre importanti collaborazioni, in una combinazione tra musica organica e sintetica.
Da dove è partito tutto? Proprio da Tutto cambia, e dalla collaborazione con Tyrone Wells, che è il co-autore del brano. Ho ricevuto un invito per una collaborazione a Los Angeles: ho messo quattro cose in valigia e sono partita, con un grandissimo entusiasmo, ma anche tanta paura. Quando ti trovi a lavorare con personalità così grandi ti senti sempre un chicco di riso.
Quindi tu e Tyrone vi conoscevate già da prima? No, c’era solo una conoscenza indiretta. Avevo ascoltato alcuni suoi lavori e lo stimavo molto come cantautore.
Collaborazione internazionale, ma testo in italiano, come mai? Le canzoni nascono da sé, è difficile prevedere come si svilupperà un processo creativo, non è scientifico. Sentivo semplicemente la necessità di dire quelle cose in quel modo. Italiano e inglese sono semplicemente due possibilità comunicative, sono complementari tra loro. È come suonare la chitarra, piuttosto che il basso o il pianoforte.
Molti tuoi colleghi usano l’inglese perché li fa sentire più protetti, sentono di esporsi meno. Per me non è del tutto così, non riesco a percepire il velo. Nel momento in scrivo mi sento già esposta e a volte sento proprio il bisogno e la voglia di espormi. Nella mia esperienza posso dire che la differenza tra italiano e inglese la sento nella scelta dei termini, ma come dicevo prima è più un discorso di possibilità che ho a disposizione: quanti tasti e quante corde ho a disposizione? Sono modi diversi di esprimersi.
Cosa significa per te oggi dire che tutto “cambia”? Tanto. Tutto cambia è una canzone lucida, in cui ho riassunto quello che ho vissuto. Viviamo in un periodo difficile, frenetico, in una rincorsa feroce alla perfezione, in continua guerra con gli altri. Dovremmo invece concederci di sbagliare, siamo umani, e spesso sono gli errori a suggerirci di cambiare direzione.
In genere come vivi i cambiamenti? Purtroppo non sono zen (ride, ndr). Ci sono cambiamenti che mi spaventano, anche se non ho avuto paura di cambiare casa e di andare dall’altra parte del mondo. Mi terrorizza invece lo scontro con l’altro e sono messa a dura prova dai cambiamenti personali improvvisi, quelli che non puoi prevedere e controllare. Nella canzone ho voluto proprio fotografare quel momento, quando ti ritrovi a pensare “e adesso che faccio?”.
La scelta di girare il video di Tutto cambia nel deserto del Mojave? È stata un’occasione. Mi trovavo a Los Angeles per le sessioni in studio di registrazione e ho conosciuto Vonjako, un videomaker incredibile, un artista che riesce a mantenere uno sguardo lucido su quello che fa senza perdere un innato velo di poesia. Non mi piacciono molto i video che raccontano troppo, perché una canzone deve essere intellegibile. Il video è una possibilità in più per mostrare qualcosa che magari non emerge dal brano.
Hai la valigia sempre pronta per spostarti da una parte all’altra del mondo: cosa significa per te essere a casa? Ci sono due luoghi fisici in cui mi sento a casa: Roma, dove sono nata e dove ci sono i miei affetti, e lo studio di registrazione. E poi mi sento a casa quando sto bene con chi ho davanti: sono molto curiosa delle persone che incontro, per me è sempre un’occasione. Ascoltando gli altri ci si ascolta molto dentro.
Oltre a Tutto cambia, in questi giorni è in uscita anche Blindfold, il nuovo singolo del progetto di Rawbach a cui preso parte (link). Andrea Mariani (tastierista dei Negramaro, ndr) è un musicista pazzesco ed è una gioia quando si ha la possibilità di lavorare con le persone che stimi. Insomma, i Negramaro sono i Negramaro! Andrea ha pensato di coinvolgermi in questo suo progetto e io mi sono buttata: mi piace molto la musica elettronica, ma non è il mio territorio, gliel’ho detto subito, e lui si è fidato.
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione? Ribellione è una parola bellissima, non senti che bel suono che ha? È fondamentale la ribellione, senza essere aggressivi: vuol dire non accettare le cose per come è più facile che siano, cimentarsi, mettersi in gioco per cambiare quello che non piace, mettersi in discussione. È una parola strepitosa.
“Ciò che facciamo è bello per sempre più gente, siamo convinti che questo tipo di musica e di serate possano, e dovrebbero, rientrare più nella cultura di questo Paese e nel nostro piccolo proviamo a contribuire. Perché la musica non è solo canzoni da cantare a squarciagola ma è anche perdersi in un viaggio”.
A sorpresa, senza annunci o proclami, Cosmo ha pubblicato Quando ho incontrato Ivreatronic, un EP di quattro tracce dove le atmosfere romantiche e personali del singolo Quando ho incontrato te vengono catapultate nella pista da ballo grazie al trattamento speciale che i ragazzi del collettivo Ivreatronic – di cui Cosmo è socio e fondatore – hanno deciso di riservargli. Un pezzo che nelle mani di Splendore, Enea Pascal e Fabio Fabio (il duo formato da Tia e Foresta) acquista un sapore del tutto inedito e si allontana sempre di più dai territori della canzone d’autore italiana. A chiudere il tutto, la versione strumentale dell’originale, perché la musica di Cosmo vive oltre la dimensione del testo e della melodia.
Intanto Cosmo si prepara a chiudere l’esperienza live di Cosmotronic con due ultimi show: il 29 settembre a Palermo per #EnelEnergiaTour (ingresso gratuito) e sabato 13 ottobre a Torino, all’interno del Movement Festival, dove dividerà il palco insieme ad alcuni dei nomi più importanti dell’universo della club culture.
Non so se sia proprio un caso che i Thegiornalisti, uno dei gruppi italiani di punta degli ultimi anni, arrivi proprio adesso a intitolare un album LOVE, cioè AMORE, cioè il termine più pop e più abusato da sempre nella storia della canzone. Mi spiego meglio. Tutti gli artisti, dal più becero esponente del tunz tunz al più ermetico rappresentante dell’indie, hanno parlato d’amore: ognuno a suo modo, ma l’hanno fatto tutti. Nessuno però, o quasi, lo ha dichiarato in modo così palese come fa ora il gruppo di Tommaso Paradiso, mettendo anche il titolo in capslock su texture arcobaleno. Senza esagerare nell’attribuire a questa scelta chissà quale missione ideologica, sembra però significativo che uno degli album più attesi dell’anno – quello che dovrebbe dare alla band la consacrazione definitiva – arrivi portando un messaggio d’amore proprio nell’era del web-bullismo, e proprio quando uno dei temi più scottanti nell’attualità è quello dell’integrazione, mentre dall’altra parte dell’oceano si pensa ad alzare muri.
Ripeto, non voglio dare al titolo di un album pop un significato che forse non ha nelle intenzioni originali, ma la sensazione è che l’amore in questione non sia solo quello che ti fa palpitare il cuore e arrossire le guance. Un amore, questo, che trova tra l’altro una perfetta incarnazione nella titletrack del disco, cantata e raccontata con quello spirito innocente che di solito si perde dopo l’adolescenza. L’amore di cui c’è più bisogno e di cui Paradiso ha parlato nelle prime interviste per presentare il disco ha più a che fare con qualcosa di universale, fraterno, umano nel più ampio senso del termine. Forse un disco non può fare molto, ma è almeno uno spunto in più per ragionarci sopra. E ben venga.
Dopo Ufficialmente sold out, i Thegiornalisti erano attesi al varco: a loro spettava solo decidere come arrivarci, e la scelta qualche piccola sorpresa l’ha riservata.
Nel nuovo album c’è – e questa è la più grande conferma – la scrittura di Paradiso, quella fin troppo chiara, quella che si sofferma sulle piccole cose di tutti i giorni, quella che riesce a essere un po’ scazzata (Felicità puttana) e un po’ gigiona e tenerona (Love). C’è l’ironia amara (Zero stare sereno) e la poesia spiazzante (il paragone incisivo con “la Nazionale del 2006” in Questa nostra stupida canzone d’amore è destinato a lasciare strascichi, e in chiusura con Dr. House arriva un’insapettata carrellata di celebrità ed eroi televisivi).
Musicalmente invece, l’apertura è affidata nientemenoche a un’epica sinfonia orchestrale, che lascia poi subito spazio alle sfaccettature del pop, da quello alla Coldplay dei primi tempi di New York a quello che ha il volto dell’indie o la scattante allegria elettronica (Milano Roma, L’ultimo giorno sulla terra). Nel finale di Dr.House , dopo un inizio di solo pianoforte e un salto elettronico, si sconfina addirittura nel gospel, e funziona.
Questa è la definizione dell’amore, secondo i Thegiornalisti almeno.
Nei giorni scorsi sono state avvistate in alcune città italiane (Milano, Roma, Firenze, Padova, Bari) alcune misteriose spose abbandonate che vagavano in lacrime per le strade, nei parchi e nella metropolitana. I video e le foto hanno fatto il giro del web e in molti hanno iniziato a chiedersi chi fossero quelle donne, arrivando in alcuni casi a sospettare che si trattasse di una campagna pubblicitaria: bene, il mistero è ora svelato. Si è trattato infatti di una gigantesca rappresentazione di ciò che nell’immaginario collettivo rappresenta il più tremendo stato dell’abbandono, una sposa lasciata sull’altare. Proprio di questo parla Le Cinque Fasi del Dolore, il nuovo singolo di Romina Falconi in uscita il 28 settembre e già in pre-order.
“Mi dicono che raramente esprimo quello che sento ma quando lo faccio, lo faccio in modo viscerale. Per me questo è l’unico modo di scrivere. Crudo. Questa volta ho voluto parlare di abbandono. Le Cinque Fasi del Dolore e cita il famoso modello sviluppato dalla psichiatra Elisabeth Kübler Ross sull’elaborazione del lutto, dell’abbandono. La paziente sono io. Forse è vero che il maestro migliore è il dolore, ma che me ne faccio della lezione imparata se mi hanno abbandonato? Che me ne faccio di me, se il mio desiderio è distrutto? Ho pensato di rappresentare l’abbandono nelle piazze di alcune città, nel modo più tenero possibile: una ragazza vestita da sposa, in lacrime. Ero presente mentre una dolce sposina disperata vagava tra la gente allibita. Poche signore si sono avvicinate cercando di dare conforto. L’abbandono ci fa così paura? Ho voluto fotografare quel momento, descrivendo con precisione chirurgica cosa ho provato durante un abbandono, ridendo e piangendo di me. Volevo essere sincera, a qualunque costo. Ho deciso di scrivere canzoni emotive. Ma forse non è una scelta. Forse, non avendo io grande padronanza della mia vita e dei miei sentimenti, ho voluto mappare le emozioni che provo, perché spero che lì fuori ci sia qualcuno che abbia sentito le stesse cose. Forse scrivo per non sentirmi più sola”.
Il singolo vede la produzione di Francesco “Katoo” Catitti, già produttore di Michele Bravi e collaboratore di Elisa.
Quando lo abbiamo visto la prima a Sanremo nel 2016 dovevamo ancora metterlo a fuoco, e lui, Mahmood, probabilmente lo sapeva. La sua Dimentica, presentata quell’anno in gara tra le Nuove proposte, era qualcosa di piuttosto distante dagli standard sanremesi: non era il solito pop, non era il solito pezzo di “belcanto” all’italiana, non era il cantautorato a cui eravamo abituati. Era qualcosa di lontano, di esotico: era r’n’b, un genere che qui eravamo pronti a sentir cantare dagli americani, ma prima di ricordarcelo nella discografia di un altro artista italiano dovevamo pensarci un po’. Di tutto questo, ripeto, Mahmood doveva essere perfettamente consapevole, tanto che quando lo intervistai e gli chiesi notizie di un album, lui rispose candidamente “Quale album?”, perché in effetti in programma non ce n’era alcuna traccia. Oggi che finalmente esce il suo primo EP se ne capisce la ragione. Gioventù bruciata arriva infatti a più di due anni da quel Sanremo: un periodo di tempo molto lungo e insidioso per un artista emergente, che lui ha saputo però sfruttare per elaborare bene il suo progetto. Nel 2017 è arrivato Pesos, poi un po’ a sorpresa c’è stata la collaborazione con Fabri Fibra in Luna, mentre quest’anno è stata la volta di Uramaki, rilasciato in primavera, e Milano Good Vibes, di sole poche settimane fa. E se come interprete risultava sempre più chiara la direzione che il ragazzo stava prendendo, come autore le soddisfazioni non sono mancate, visto che Nero Bali, che porta anche la sua firma, è stato uno dei successi dell’ultima estate. E sua è anche Sobrio, contenuta nell’ultimo album di Gue Pequeno.
Quello che ci si presenta oggi davanti è un artista in piena evoluzione, ma con un’identità e una personalità molto ben definite: una promessa dell’urban italiano che si sta sempre di più trasformando in una conferma. I cinque pezzi del disco danno spazio alla poesia metropolitana e un po’ sfacciata dei singoli Uramaki e Milano Good Vibes, quest’ultimo ritratto decisamente alternativo della città meneghina, ma anche alle metafore giganti dell’incomunicabilità di Asia Occidentale (mi chiamerai sotto casa / farò finta di niente / come se io fossi l’Asia / e tu l’Occidente), mentre spiazza ritrovare di nuovo Fabri Fibra in Anni 90. Perché si sa che Fabri Fibra non è uno che i duetti li svende. Mai figlio unico è invece il pezzo più personale ed entra nel vissuto di un ragazzo italo-egiziano vissuto nella periferia milanese.
La musica è un melting pot di r’n’b, pop ed elettronica, cesellata di dettagli tropicali ed esotici, anche se l’elemento che fa la differenza lo mette Mahmood con la sua voce: amorevolmente pigra, sorniona, sensuale, ammiccante. La voce di una nuova era e di una generazione ormai abbastanza grande per farsi sentire.
Ecco, lo possiamo dire: l’urban italiano ha trovato la sua nuova voce.
E se cerchi la protesta nelle classifiche attuali Rischi di trovare solo la rassegnazione sommessa di giovani anziani Ieri cantavi “Contessa” in piazza durante i cortei popolari Oggi se canti Contessa probabilmente si tratta di un pezzo de I Cani
Calma le onde è il primo assaggio del nuovo album di Dutch Nazari, e come Speculation nell’ EP d’esordio Diecimila lire e Proemio in Amore Povero, il brano inizia con le parole “In senso lato la vita”.
Dutch Nazari torna con il suo “cantautorap” unico, atipico, sempre personale. Sonorità elettroniche incalzanti, suoni stratificati che si mescolano con le metriche del rap e la cifra comunicativa dei poetry slam. Al centro del brano il testo una carrellata di immagini, situazioni, eventi raccontati attraverso un flow mozzafiato e un’ironia tagliente, fino alla spirale di parole che sembra arrotolarsi su se stessa nel finale.
Poi cala il sole e calma le onde e mi vesto Ed esco un po’ fuori di me E un po’ mi isolo e penso che non ci sia nessuno All’infuori di me Che a volte mi fisso su cose un po’ stupide E vado un po’ fuori di me Ed ho pensieri che so solo io E che non devono uscire mai fuori Poi cala il sole e calma le onde E mi vesto ed esco un po’ fuori di me E un po’ mi isolo e penso che non ci sia nessuno All’infuori di me Che a volte mi fisso su cose un po’ stupide E vado un po’ fuori di me Ed ho pensieri che so solo io E che non devono uscire mai fuori Fuori di
BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
Un po’ più di un singolo, molto meno di un album, quasi un EP. Tre inediti. D’altronde, le mani le hanno già messe bonariamente avanti nel titolo: Per un album è ancora presto, che è anche una risposta a chi probabilmente in questi anni chiedeva come mai non avessero ancora pubblicato un disco dopo l’uscita dei primi singoli. Sfruttando i vantaggi della realtà digitale, che permette oggi a un artista – specie se emergente – di muoversi con molta più libertà che in passato, svincolandolo dall’obbligo dell’LP, lemandorle (per chi non lo sapesse, sì, si scrive proprio così, tuttoattaccato) hanno pensato di chiudere l’estate raccogliendo tre nuovi pezzi in un mini EP che prosegue sul percorso già tracciato a partire dal 2016, quando il brano d’esordio Le ragazze è apparso in rete e ha fatto conoscere questo interessante progetto elettropop.
La matrice è sempre quella, ben definita: ritmi danzereccio perfetto per il club e un’attitudine un po’ ironica e un po’ malinconica per raccontare storie ordinarie su melodie elettroniche eredi dei gloriosi anni ’80. Ecco allora Marta, Adesso e Se tu ti prendi, tre canzoni figlie della gioventù dei giorni nostri, quella a ridosso della consapevolezza adulta, in tutta la sua complessità, tra ricerca dell’identità, le contraddizioni, le relazioni sfuggenti, gli incastri difficili.
Per ora ci accontentiamo, ma la voglia di album cresce….